“Più si viaggia, meglio è!” (2)

(….alla parte precedente)

Abbiamo citato Matteo Salvini, che in una sola frase – “più si viaggia, meglio è!” – è riuscito a riassumere un’intera visione del mondo. Che sarebbe riduttivo definire di Destra.

“Viaggiare”, non si viaggia sul nulla: si viaggia con attrezzi costruiti con acciaio ricavato dalle miniere, su asfalto, e con la necessità, per dire, di costruire fognature sufficienti per far sfogare ovunque i clienti dei salsicciai, fosse anche in un autogrill in un luogo disabitato.

La visione alla Salvini si traduce quindi in un’incessante azione sul pianeta su cui viviamo.

Che è un piccolo pianeta che galleggia nel vuoto.

La crosta consiste in uno strato profondo qualche metro, più i mari e la piccola fascia di aria respirabile sopra di noi. Questa immagine ci aiuta a capire quanto sia sottile:

Lo spessore della biosfera è all’incirca quello di un foglio di carta che avvolge una palla dal diametro di 30 centimetri.

Sulla biosfera, come su tutto l’Universo, impermeabile a ogni ideologia, domina imparziale il Secondo Principio della Termodinamica.

La natura non è gentile;
tratta tutto con imparzialità.
Il Maestro non è gentile;
tratta tutti con imparzialità.

(Tao Te Ching)

Su questa crosta tutti gli esseri viventi usano energia per trasformare risorse in parte in qualcosa di utile, in parte in rifiuti e puro calore; poi alla fine anche la parte utile diventa un rifiuto. Cioè si passa dall’Ordine al Disordine.

Un santo, figlio di un alchimista, nato qui, nel Popolo di San Pier Gattolino, raccontava una storiella che non solo offre una sana lezione etica, ma spiega anche la base stessa della questione ambientale. San Filippo Neri

“diceva a una donna che era venuta a confessarsi da lui del peccato di pettegolezzo. Le diede come penitenza di andare per tutto il quartiere, spennando una gallina.

Quando ritorna, con la gallina senza piume, le dice di andare a recuperare tutte le piume. Naturalmente non riesce a recuperarle, così le dice che le parole, le calunnie se ne vanno dappertutto ed è difficile recuperare il male fatto.”

Lentamente e pazientemente, sacrificandosi da quattro miliardi di anni, il Sole ricarica con la sua energia ciò che i viventi hanno disperso, permettendo l’impossibile creazione dell’Ordine dal Disordine.

Il Quarto Sole, dicevano i messicani, si era estinto tra gli uragani, e gli uomini si erano trasformati in scimmie. Allora gli dèi si radunarono attorno al fuoco, e il mite Nanahuatzin si sacrificò gettandovisi, e diventò il Quinto Sole. Attraversa il cielo accompagnato dalle anime delle donne morte di parto, e chiede di essere nutrito con i cuori degli uomini.

Nell’ultimo secolo e poco più, una specie, la nostra, ha rotto l’equilibrio della biosfera.

L’aumento della popolazione umana eccita gli animi da una parte e dall’altra: per ognuno che si accorge che le risorse sono minacciate e dice, “se vogliamo stare meglio tutti, dobbiamo essere di meno!“, c’è qualche catto-comunista che dice, “i poteri forti nazisti vogliono sterminare l’umanità partendo dai poveri!

Ciò che conta davvero non è quanti esseri umani ci sono oggi, ma quanto l’impatto di ciascuno sia stato moltiplicato dalla tecnologia. Per quello che valgono simili conti quando le variabili sono in realtà infinite, un lussemburghese avrebbe una “impronta ecologica” trenta volte quello di un eritreo.

Una volta si parlava di “cavalli vapore”, l’inglese HP, per dire che un mulino a vapore poteva macinare il grano prodotto da due, dieci, cinquanta cavalli legati e frustati.

La Lotus Evija, “2000 hp”, costa due milioni di dollari.

Siccome nessuno oggi sa nulla di cavalli, meglio adoperare l’espressione molto più chiara, di Energy Slaves, “schiavi energetici”. Certo, se poi devi vendere il Lotus Evija, meglio parlare di “cavalli”.

Immaginatevi quanti schiavi ci volevano per portare in vacanza al mare un patrizio romano sulla sua portantina, e immaginate invece di salire su un’auto: da qui il concetto di energy slave – un energy slave svolge la stessa quantità di lavoro che potremmo fare noi, ma in un’infrastruttura non umana.

In questo divertente video della BBC, potete osservare ottanta ciclisti-schiavi che si massacrano di fatica per fornire l’energia che ci vuole per scaldare l’acqua per una doccia di tre minuti, di una sola persona.

Ricaricare la batteria di una Tesla Model X richiede invece il lavoro di 9 ciclisti per circa 80 ore.

Ovviamente la ganzata degli Schiavi Energetici è che non devi aspettare che superino l'infanzia per farli lavorare, non si ammalano, non hanno bisogno di dormire, non devi dare loro da mangiare, e quando non funzionano più li puoi spegnere, per cui è comprensibile che oggi si ergano facilmente ditini imparatori a condannare lo schiavismo del passato.

A fare stime su fenomeni così immensi e complessi, si finisce per dare letteralmente i numeri.

Ugo Bardi, nel 2017 scriveva che ogni statunitense poteva contare su 500 schiavi personali, ma la sua stima sembra basarsi sulla misura poco realistica di uno schiavo che lavora 24 ore al giorno, al massimo del proprio potenziale, per 365 giorni l’anno; per cui la cifra realistica sarebbe molto più alta.

Riduciamo invece, e facciamo finta che ogni essere umano sulla terra oggi abbia 100 schiavi a testa, da spartirsi rigorosamente secondo il Principio di Trilussa:

“Me spiego: da li conti che se fanno
seconno le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra nelle spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perch’è c’è un antro che ne magna due.”

Quindi l’impatto sul mondo non è quello di 8 miliardi di esseri umani; è quello di 800 miliardi.

Immaginiamo 800 miliardi di omini con il piccone e il fucile che scavano buche, sparano pezzi di pneumatici per aria, distruggono foreste, cementificano la terra, avvelenano l’acqua e l’aria, e lo fanno pure a velocità sempre crescente.

Quando condivido con gli altri queste cose, ho imparato – con una certa sorpresa – che di solito nessuno contesta il ragionamento di fondo.

Le reazioni sono altre (e non solo da parte di chi vota Salvini).

Sono spesso reazioni molto viscerali, e quindi particolarmente interessanti da analizzare.

(continua…)

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“Più si viaggia, meglio è!” (1)

“Dal mio punto di vista, più si viaggia meglio è. Più opportunità di lavoro di business e di spostamento veloce in aereo, in macchina, in treno o in nave ci sono, e meglio è.”

Così parlò il Salsicciaio Matteo Salvini, il 19 dicembre 2018, dichiarando il suo sostegno all’espansione dell’aeroporto di Firenze, un aeroporto il cui proprietario è un miliardario argentino, e il cui direttore è attualmente console onorario d’Israele: gente che viaggia, insomma, ben più di un profugo eritreo che sta per annegare al largo di Malta.

Il cielo alle 14.59 del 19 luglio, 2024

La frase di Salvini costituisce un manifesto ideologico, con un giudizio etico: “meglio è”, conclude.

E credo che sia uno splendido spartiacque per separare chi la pensa in un modo, e chi la pensa nel modo opposto, sulle cose fondamentali dei nostri tempi.

I Salvini e affini del mondo svolazzano in una cosa che chiamiamo ambiente, che sappiamo oggi avrebbe qualche “problema”.

Ma cos’è la “questione ambientale“?

Nella cultura comune appare come se ciò che chiamano “l’inquinamento” fosse un po’ come farla fuori dal vaso.

Quelli che la fanno fuori dal vaso, o sono degli incivili che se ne fregano, oppure lo Stato dovrebbe investire di più per costruire vasi accessibili prima che ci scappi.

Il Vaso in Piazza Santo Spirito in Oltrarno, che gode di questo straordinario nome, a pagamento, chiude proprio quando sta per iniziare la vita notturna in piazza, per cui la pipì la senti la mattina in tutte le stradine.

In un modo o in un altro, l’Inquinamento si affronta con una multa, o magari con un nuovo accorgimento tecnico: magari una compensazione del CO2: salgo sull’aereo della Ryanair Milano-Palermo (“a partire da 16 euro“), e aggiungo due euro per “compensare” il danno che Ryanair sta facendo al mondo.

Avendo multato lo sporcaccione e trovato un vaso per quello che gli scappa, abbiamo risolto la Questione Ambientale, e possiamo passare ai Veri Problemi.

I mussurmani (gente che viaggia, come direbbe Salvini) hanno pregato davanti al Colosseo, che pare sia diventato di colpo il simbolo della Cristianità…

Uno sconosciuto signore in una festa in Germania si è messo le dita davanti alla faccia e questo ricorda i baffi di Qualcuno, e fa un gesto contorto con il polso che somiglia a una roba che in Germania se lo fai, ti sbattono in galera, e i crucchi non scherzano.

Per capire quale sia la vera questione ambientale, partiamo invece da un video dove potete vedere il muscolosissimo campione olimpico di ciclismo Robert Förstemann che cerca pedalando di generare abbastanza energia elettrica da tostare un panino.

Ci riesce alla fine, e crolla a terra dopo aver generato 0,21 kWh. Non sappiamo quanto avrà dovuto respirare, mangiare, bere, per riuscirci; ossigeno, cibo e acqua trasformati in feci, sudore e anidride carbonica.

Ci vorrebbero 43.000 ciclisti come lui per far volare per un’ora un Boeing 737-800.

E allora?

(Continua…)

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Firenze, Vitamorte

Sono allo sportello numero uno dell’ufficio postale dove il luglio di qualche anno fa misero alla porta Gesù in persona.

Devo fare una pratica complessa. Ci metterò esattamente un’ora, perché manca un codice, poi manca un Pin, poi la cosa che sparano sulle carte non riconosce qualcosa, poi non mi ricordo il mio codice Ateco.

Una decina di clienti dentro all’aria condizionata, fuori un caldo soffocante.

All’ingresso c’è una signora di mezza età, vestita di nero, il cui lavoro consiste nello stare in piedi in silenzio diverse ore al giorno con una pistola alla cintura, aspettando il Rapinatore che non arriva mai. O lei lo ammazzerà, o lui ammazzerà lei, o non succederà assolutamente nulla.

A un certo punto, la mia pratica si arena del tutto, e io e la ragazza allo sportello passiamo una mezz’oretta ad ascoltare i dialoghi attorno a noi.

Allo sportello numero tre, c’è il nuovo direttore, giovane, muscoloso e dall’accento romano, in maglietta e con i capelli con un ciuffo che non fa esattamente un codino.

Arriva una signora anziana ma in forma, che vuole donare il contenuto del proprio libretto di risparmio al nipote, ma parla troppo complicato e dice, “voglio farne il mio beneficiario“.

Il Direttore, con voce tonante, spiega a lei (e a tutti i presenti):

“Senti, Ciccia, te ce poi mette chi te pare come beneficiario, anche Gesù Bambino, oppure ce metti er badante se è l’amante tuo, ma nun è che i sordi vanno subito al beneficiario, devi morì prima…

Se non c’hai fretta de’ tirà il calzino, chi te lo fa fare?”

Poi il Direttore lascia lo sportello per risolvere qualche altra questione (lo sento dire, “mo m’incazzo!“), ritorna con un’altra dipendente, cui spiega alcune operazioni e aggiunge, “aho, invece de stà qua, te inviterei a cena stasera!”

Si rivolge poi sorridendo alla Signora con la Pistola che aspetta il Rapinatore, “Ciao Ciccia!”

In quel momento si apre la porta e sento uno spiccato accento napoletano che mi chiama, “Michi, come stai?”

L’unica persona al mondo che mi chiama così è Gigi che viene da Scampia, e che ho conosciuto quando era appena uscito di galera e vendeva cianfrusaglie, mentre la notte si infilava in stazione per dormire sui treni, poi quando capitava lo ospitavano all’Albergo Popolare.

Sempre con un sorriso, con ragionamenti equilibrati, e la capacità di ascoltare, e un’idea molto politica, nel senso che piace a me, delle cose. Mi descriveva l’inaspettata vita solidale e comunitaria di Scampia, e quante associazioni vere c’erano che facevano cose buone, e a un certo punto mi aveva fatto venire l’idea di fare un gemellaggio, non tra Firenze e New York, ma tra Oltrarno e Scampia, alla faccia.

La mattina, gli ospiti dell’Albergo Popolare vengono cacciati fuori e passano la giornata a oziare in Piazza Tasso, a parte lui che si inventava i mestieri e si entusiasmava; e lui in quella piazza si guardava attorno e gli venivano tanti progetti per sistemarla e tenerla pulita, ma i suoi colleghi non se lo filavano.

“E tu che fai qui?”, gli chiedo.

“Son venuto alle poste per vendere le mozzarelle di bufala ai miei clienti!”

E mi indica uno scatolone che si porta dietro.

“Caspita… fammi vedere!” e gliene compro subito due, mentre sto a fare la fila.

“Mi raccomando, non li mettere in frigo! E’ lo sbaglio che fanno tutti, si rovinano se lo fai… Hai visto come sono andate le elezioni? Renzi qui ha cominciato il gioco sporco, l’ha portato avanti Nardella, e adesso lo completa la Funaro!”

si lamenta, citando i tre sindaci in fila di Firenze.

Il Direttore con un gran sorriso annuncia a tutti i presenti,

“aho, nun dite in giro che Gigi ci vende le mozzarelle di contrabbando!”

A questo punto la ragazza che sta facendo la pratica per me scoppia a ridere, e persino Ciccia (quella con la pistola, non la nonna) mi lancia uno sguardo divertito.

Torno a casa e vengo a sapere che mentre facevo la fila, è morta la Niška Mačka, la gatta che nacque in Serbia, ospite di una famiglia di marmisti, dove il capostipite era stato sul monte Athos.

La mamma della Niška fu uccisa da un’auto, e le piccole gattine furono allevate da un gatto maschio zio che se ne prendeva cura.

La Niška è quella che si vede di meno, in basso a destra, sotto la mole dello Zio.

La Niška entrò clandestina in Italia, con noi, senza avere le idee molto chiare sulle frontiere.

I magnifici occhi verdi e gli straordinari baffi bianchi, una diffidenza un po’ selvatica e quella cosa strana di sapere che c’era una persona gatto che capiva tutto tranne le parole, e questo che ti fa chiedere quale sia il segreto di questo mostruoso dono di noi umani…

Entra adesso in una borsa di tela, non pesa quasi niente, con il caldo che c’è, il corpo non si è ancora del tutto irrigidito.

Portiamo il peso che non pesa, c’è la mezza Luna e vedo un paio di pipistrelli.

C’è da lavorare di pala e di zappa, e la Laura mi ricorda che quello è il luogo dove seppelliscono le camicie scozzesi...

La memoria è fatta di queste cose: io ne ho un pezzo che ho raccontato qui, Laura ne ha un altro, e me lo rammenta.

L’Ultimo degli Uomini Antichi (abbiamo seppellito anche lui) aveva lasciata l’Ultima Gatta su una sedia, avvolta in una camicia scozzese, sotto un ombrello.

E mentre la seppellivamo, sono arrivati dei bimbetti, e ci han chiesto cosa stavamo facendo.

“Quando le camicie scozzesi son molto vecchie, si seppelliscono!”

“Ma io vedo una coda!”

“No, non è una coda, è una camicia scozzese un po’ sbrindellata!”

Dentro sento qualcosa di terribile, ma mi rendo conto che questa cosa terribile fa parte dell’esperienza di tutti noi, mammiferi almeno.

Siamo Vitamorte.

Ma ha senso solo se c’è anche qualcuno con cui parlare mentre fai la fila, e un Gatto Zio che ti accudisce, e quando esci dal carcere trovare amici, e un albero con cui condividere le cose più profonde, e gente da abbracciare, e luoghi da sentire nostri, e degli antenati che ti hanno regalato le parole per dirlo, e dei figlioli cui trasmettere le parole.

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Il Numerante Supremo e la Notte dei Fuochi

“Si è perciò coniata anche la parola ‘mammonismo‘ , ma certo solo pochi si sono resi conto che questo Mammona è un essere reale che s’impadronisce dell’umanità come di uno strumento per annientare la vita della terra”.

Ludwig Klages

Qui sul blog, il commentatore Peucezio spiega cosa intende quando se la prende con il “materialismo“:

“il materialismo è la reificazione quantitativa e utilitaristica della natura, quel regno guénoniano della quantità che tanto, giustamente, deprechi.

Per un materialista il fiume serve solo per ricavarci elettricità, la montagna per cavarci materie prime e si può violentare e distruggere tutto.”

Peucezio definisce molto bene l’approccio all’esistente che invece Ludwig Klages, 111 anni fa, chiamò mammonismo.

Ludwig Klages

Non capisco perché chiamare questo approccio al mondo “materialismo“: sono molto ignorante in storia della filosofia, ma mi sembra di ricordare che questo termine venisse usato in polemica sia con la teologia cristiana, sia poi con le fantasie “idealiste“, che per me sono l’altra faccia della medaglia: o a decidere dell’universo ci sono gli atomi che interagiscono tra di loro, o ci sono le mefitiche fantasie di dominio degli esseri umani.

Ma la cosa che Peucezio chiama “materialismo”, il mammonismo di Ludwig Klages, esiste eccome, e contiene diversi livelli.

Innanzitutto, l’istinto animale di ‘divorare‘.

Poi l’istinto umano di organizzarsi insieme, con l’aiuto del linguaggio, per ‘divorare‘.

Poi l’elemento culturale che ritroviamo nell’Ulisse dantesco.

Dante aveva un'incredibile empatia per tutte le persone che incontrava, ma aveva ben chiaro che il posto di colui che aveva superato le Colonne d'Ercole poteva solo essere l'Inferno. E la cosa interessante è che a qualsiasi studente di liceo oggi insegnano che Ulisse era dalla parte giusta. Un diabolico modello, insomma. Commuove pensare che Dante avesse potuto intuire il male del dominio planetario statunitense tanti secoli prima...

Questa avidità però venne magicamente trasformata da un piccolo marinaio toscano astuto, altroché Ulisse: Leonardo Fibonacci, quando ci diede lo strumento per rendere qualunque cosa equivalente a qualunque altra cosa: i numeri cosiddetti arabi, che poi sono indiani, solo che né gli indiani né gli arabi avevano capito la loro potenza distruttiva.

Ora, se tutto è numerabile, l’unica cosa che conta è il possesso del Numerante Supremo, il Denaro.

“Venne infatti un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato”.

Karl Marx, Miseria della filosofia, 1847

Ma questa è la morte della Materia, altroché materialismo: il criterio di ogni cosa diventa l’astrazione suprema e l’idealismo supremo – la credenza universalmente condivisa nel valore assoluto del Denaro.

Posso credere o no alla Trinità senza che nessuno oggi mi rompa le scatole, ma finisco in guai interminabili se non credo e non adeguo i miei comportamenti al dogma almeno altrettanto immaginario che 100 dollari facciano 92 euro al cambio di oggi.

A possedere un tot di quattrini, c’è un Individuo, che senza quei quattrini è solo, appunto un Individuo, un atomo che non può essere ulteriormente spezzato.

Si crea allora la fede in due astrazioni immateriali: l’Individuo e il Denaro. Nient’altro esiste, e tutte le leggi ci obbligano a crederci.

A denunciare questo, molti intellettuali inglesi, qualche intellettuale statunitense, il chimico tedesco Ludwig Klages e l’anarchico tedesco ebreo, Gustav Landauer; l’Italia brilla per un’assenza quasi totale (tranne qualche teorico di strapaese toscano forse, durante il fascismo, e poi isolati contadini ai tempi nostri).

Ma chi forse riuscì meglio a cogliere l’essenza di alcuni meccanismi fu Karl Marx. Nessuno è perfetto, Marx era contraddittorio e oggi è ovviamente superatissimo. Ma è incredibile quanta prescienza ci fosse nei suoi manoscritti del 1844, dove in mondo ancora poco più che neolitico, descriveva i tempi che stiamo vivendo quasi due secoli dopo.

Il mammonismo ha reso possibile la Rivoluzione Industriale, il colonialismo, l’espansione degli Stati Uniti e tutto il resto, e ha precipitato il mondo in una guerra da cui per un caso è emersa l’Unione Sovietica, che a parole faceva vagamente riferimento a Marx.

I dirigenti dell’Unione Sovietica la pensavano esattamente come i dirigenti di tutti gli altri paesi dell’epoca: “il fiume serve solo per ricavarci elettricità“.

Questo riferimento di Peucezio mi ha colpito particolarmente, perché fu il motivo della Feuernacht, la mitica Notte dei Fuochi, 11/12 giugno 1961, in cui i contadini, gli osti, gli artigiani, della resistenza sudtirolese colpirono tralicci e centrali elettriche, con una tremenda attenzione a non colpire vite umane. Tralicci e centrali elettriche con cui alle spese delle piogge e delle nevi e delle montagne, si mantenevano le industrie della Pianura Padana.

Uno dei 37 tralicci colpiti la notte del 12 giugno, 1961

Ecco Graun im Vintschgau (cui il fascismo ha inventato un nome italico che vi censuro, ma che i nostri antifascisti contemporaneo continuano a usare come se nulla fosse), dove il campanile della chiesa del 1140 è stato annegato.

Tutto parte in pieno fascismo, anno 1939, nell”interesse nazionale per rafforzare l’industria nazionale”; e tutto si realizza dieci anni dopo, in pieno antifascismo, per elettrificare Milano (Lenin: “Il socialismo è uguale ai soviet più l’elettrificazione”).

Ogni giudizio su bolscevismo, fascismo, nazismo deve partire dalla premessa: furono tutte note a piè di pagina alla Grande Strage (1914-1918), che non fu voluta da fanatici estremisti, ma da sovrani, diplomatici, politici, intellettuali, imprenditori. La grande menzogna su cui si reggono tutti i miti del ventunesimo secolo, da Destra a Sinistra, consiste nel demonizzare le inevitabili conseguenze, e non interrogarsi mai sulle cause.

Se furono fucilati gli Zar, sotto di loro furono fucilati innumerevoli contadini russi che non volevano sparare su adolescenti tedeschi. Se adolescenti italiani andavano in giro a distruggere le Case del Popolo in Italia, è perché il governo italiano aveva insegnato loro che era bello e doveroso ammazzare adolescenti austriaci. 

Il regime sovietico guardava il mondo con lo stesso occhio avido dei capitalisti: “la reificazione quantitativa e utilitaristica della natura” era l’essenza di tutta un’epoca.

Gaia Baracetti mi ha insegnato a guardare sempre indietro nel tempo: immaginatevi come dovevano essere la terra, il mare e il cielo respirabile - la biosfera - dell'anno 1913, rispetto a oggi. 

Pensate per un attimo a qualunque posto, 

che fosse l'aria che respirava la vecchietta che metteva la sedia fuori qui, in Via del Leone, dove oggi ci passano solo le macchine, 

che fosse la spiaggia frequentata da quattro pescatori, fatta di dune, dove tartarughe e strani uccelli facevano i nidi,

o che fosse il luogo nel mare dove le balene divoravano i pesci e non sapevano ancora cosa fossero i sacchetti di plastica, 

o semplicemente il villaggio dove la notte si potevano vedere le stelle come oggi li possono vedere solo gli astronauti.

Anno 1913, Ludwig Klages diceva:

“Cost resta a noi, per esempio, del regno animale della Germania? Orso e lupo, lince e gatto selvatico, bisonte, alce e uro, aquila e avvoltoio, gru e falco, cigno e gufo, si erano trasformati in favola, prima che cominciasse la moderna opera di annientamento. Questa li ha davvero fatti scomparire del tutto”.

Centodieci anni fa, il nostro era un pianeta ancora devastabile, saccheggiabile all’infinito.

In questo, la visione sovietica e la visione capitalista, ma anche quella fascista, erano uguali.

I sovietici dicevano,

“ma se organizziamo la rapina razionalmente, invece che permettere a ognuno di rubare ciò che vuole, faremo un mondo migliore”.

Teoricamente ci sta.

Ma in questo hanno dimostrato di avere ragione gli economicisti, i liberisti:

per trasformare le risorse accumulate in miliardi di anni, su un piccolo pianeta dove la biosfera è di poche centinaia di metri in su e in giù, prima in prodotti e poi in rifiuti… il capitalismo è strutturalmente più capace di qualunque programmazione statalista, perché trasforma ogni singolo individuo in predone e preda contemporaneamente.

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In difesa dei cacciatori

Gaia Baracetti, in Friuli, alleva un gregge di pecore, nutrite al pascolo, che possono crescere i propri piccoli, e poi ne tosa la lana a mano.

Gaia inoltre scrive, su un blog, e poi scrive libri, e l’ultimo è Ai turisti e ai viaggiatori,un testo di 478 pagine sull’impatto del turismo.

Gaia, allo stesso tempo, mette insieme un’enorme documentazione, una chiarezza di esposizione, una capacità di pensiero originale, un linguaggio che non annoia mai, su una questione fondamentale. Per cui le ho chiesto di presentare il libro a Firenze, che di turismo se ne intende… Bene, mi chiede, ma chi si occupa delle mie pecore mentre vengo?

    Cercasi sheepsitter per tre giorni

Vi invito caldamente ad acquistare il libro di Gaia, tanto meglio se lo richiedete direttamente all’autrice (gaiabaracetti[chiocc]yahoo.com), che gli autori si sa non prendono quasi nulla dalle opere che gli editori vendono.

Oggi, ho chiamato Gaia, per la prima volta, per chiedere il permesso di pubblicare qui un post dal suo sito.

Qualche giorno fa, mentre guardavo i pappagalli schiamazzare tra i cipressi al Giardino di Boboli, avevo scritto una riflessione:

  1. Noi siamo tutti “Natura”, “ambiente”…
  2. Ma ci siamo talmente identificati nella Tecnobolla che mentre ci protegge, distrugge tutto, da poter far finta che la “Natura” e “l’Ambiente” siano cose fuori da noi…
  3. A quel punto, abbiamo pensato che la Natura fosse una cosa piccola e carina fatta di orsacchiotti di pelouche fabbricati in massa in Cina, e di orsi veri ma visti solo in televisione. Che tra le loro unghie e noi, c’è lo schermo. E allora siamo diventati tutti EcoFriendly.

Gaia ha scritto tre anni fa una riflessione che rimescola tutte le carte, perché parte dagli ultimi umani che non sono del tutto dentro la Tecnobolla. Da qui in poi quello che ha scritto Gaia:

Abolire la caccia, invece, è una pessima idea

Come avrete sentito, ci sono parecchi referendum in ballo.

Personalmente sono favorevole alla maggior parte di essi, e volevo anche scrivere qualcosa invitandovi a firmare, ma siccome non l’ho ancora fatto neanch’io mi sembrava prematuro.
Un referendum per cui invece vi supplico di NON firmare è quello per l’abolizione della caccia. Ho appena sentito un amico che mi ha detto che stava per entrare a firmare, e la rabbia che ho provato alle sue parole ha stupito persino me stessa. Allora, siccome in queste cose bisogna essere onesti con se stessi e le proprie motivazioni, ho cercato di capire perché mi sono arrabbiata così tanto e lo voglio dire anche a voi.
Mi sono arrabbiata per tre motivi.

Uno è che c’è uno sforzo concertato, capitanato per assurdo proprio da associazioni animaliste e ambientaliste, per distruggere gli stili di vita rurali e montani e qualsiasi forma di interazione intima, carnale, tra uomo e ambiente, per sostituirla con una distopia di ambienti completamente selvaggi (in teoria) da guardare e non toccare, punteggiati da città densamente abitate e serre industriali.

La seconda cosa che mi fa arrabbiare è che le persone sono troppo ignoranti in cose troppo importanti, non hanno presenti i concetti base dell’ecologia e, cosa ancor più grave, alcune delle idee più rigide e sbagliate sull’ecologia sembrano venire proprio da studiosi e ambientalisti, che invece dovrebbero sapere quanto sono adattabili, mutevoli e complessi gli ambienti naturali e le creature che li abitano.

Il terzo motivo è che le persone sono non solo ignoranti ma anche ipocrite, vivono vite piene di contraddizioni e si auto-assolvono da queste contraddizioni andando a mettere becco nella vita di persone più coerenti, nella cui coerenza si evidenziano i lati spiacevoli, forse, ma inevitabili della vita e della natura. Queste persone ipocrite, che con le loro automobili e le loro case grandi e calde, i loro animali domestici, i loro vestiti di plastica e le loro vacanze “nella natura” stanno distruggendo il mondo naturale più di chiunque altro, si puliscono la coscienza facendo cose tipo firmare i referendum contro la caccia per “salvare gli animali”.
Apro una piccola parentesi per dire che gli animalisti sono purtroppo i peggiori di tutti. Non ti danno un animale in affido a meno che tu non ti impegni a tenerlo rinchiuso per tutta la sua vita, contro la sua felicità e natura, perché se no ci sono “troppi pericoli” (esperienza diretta), fanno cose come scrivere agli allevatori per insultarli perchè macellano gli animali, brutti!, cattivi!, ma come si fa!, e poi rappresentano associazioni di difesa di orsi, lupi, rapaci e altre bestie feroci, e soprattutto cani e gatti, che mangiano quegli stessi animali macellati dagli allevatori cattivi (esperienza diretta), e addirittura fanno cose tipo sostenere che sia possibile mangiare latticini senza uccidere nessun animale e mantenendo tutti i caproni, arieti e tori fino alla morte di vecchiaia. E quando spieghi che le loro idee non hanno senso, sono incoerenti o addirittura impossibili, continuano a ripeterti le stesse cose ignorando le tue obiezioni, peggio dei fanatici religiosi che almeno scendono nel merito dei propri dogmi.
Inizio a pensare che non esista nella nostra società gente più fuori di testa degli animalisti. Che l’animalismo, come cose tipo l’antirazzismo in America e Gran Bretagna, sia diventato una sorta di isteria collettiva che dà l’illusione di essere moralmente superiori e di poter espiare i propri peccati senza fare in realtà niente per migliorare il mondo reale.

Torniamo alla caccia.

Preciso che non sono favorevole a tutti i tipi di caccia e pesca. Sono contraria a cose come l’allevare fagiani per cacciarli, alla pesca no kill, all’uccisione di specie a rischio o per esibire trofei, a pratiche che comunque sono già illegali come le trappole o il bracconaggio, e alla spaventosa crudeltà dell’uccellagione. Penso che la caccia dovrebbe essere tenuta lontana dai centri abitati e regolamentata con attenzione.

Sono però favorevole alla caccia, che considero una pratica nel complesso positiva e soprattutto necessaria per sopravvivere. Ovunque.
Vivo in un paese di cacciatori. Sono quasi tutti uomini; solitamente escono in gruppo, alzandosi presto o passando anche intere notti fuori; spesso iniziano a portarsi dietro i figli da quando sono piccoli. Ci sono bambini (e bambine) in questo paese che alle elementari sanno già pescare una trota o squartare un cervo.

Lo trovate orribile? Io lo trovo bello. Adesso vi spiego perchè.
Una cosa che evidentemente la gran parte delle persone non ha ancora capito, e questo è grave, è che la vita sulla terra si basa sull’uccidere per mangiare. Questa è una realtà da cui non si può sfuggire, ed è veramente esasperante vedere sedicenti ambientalisti che negano questo fatto fondamentale. Non tutto ciò che è mangiato muore – l’erba brucata ricresce – ma, tendenzialmente, mors tua vita mea. Questo vale per le piante come per gli animali. C’è chi ha deciso che la vita delle piante vale meno di quella degli animali, e va bene, è un’idea molto antropocentrica, a ben pensarci, ma comprensibile. Però queste stesse persone non capiscono che se qualcuno – noi o un altro animale o un parassita – non uccide gli animali in eccesso non è che questi allora potranno finalmente vivere tutti insieme in santa pace e in armonia – piuttosto moriranno di fame. Dopo aver distrutto tutto, a cominciare dalle proprie fonti di cibo.

Nelle aree senza predatori, gli erbivori che ci piacciono tanto come cavalli selvaggi o cervi finiscono per distruggere tutta la vegetazione, togliendo habitat e cibo anche a tutti gli altri animali, e poi per morire una morte lenta e orrenda per fame, freddo o stenti. Infatti il ruolo dei predatori è anche mantenere questo spietato ma meraviglioso equilibrio per cui dalla morte nasce nuova vita, e dalla distruzione creazione. La cosa assurda è la pretesa di chiamare gli esseri umani fuori da questa legge fondamentale, quella del morire e rinascere, fingendo che noi possiamo sottrarci a quello che vale per tutte le altre forme di vita.
Però è un’illusione: nel mondo ci sono molti esseri umani (compresi quelli che organizzano i referendum), e anche essi devono mangiare, principalmente se non ormai quasi esclusivamente grazie all’agricoltura. Quello che i vegani non capiscono è che il problema dell’uccisione degli animali non si risolve mangiano vegetali, perché quegli stessi vegetali, soprattutto i più nutrienti come i legumi, attirano anche la fauna selvatica e se questa è troppo numerosa li distrugge. Anno dopo anno, qui in paese vedo gente disperata per il raccolto distrutto da cervi e caprioli, o topi (quest’anno non abbiamo raccolto quasi niente, una cosa mai vista), per i terreni devastati dai cinghiali, e così via. Ogni volta penso: se non ci fosse la caccia, non sarebbe ancora peggio? Almeno con la caccia si recupera un po’ di quello che si è perso.
Tutti quegli ambientalisti che puntano il ditino contro gli agricoltori che scendono in piazza perché ci sono troppi cinghiali, dicendo “forse siete voi che siete troppi!”, dovrebbero anche specificare loro personalmente di cosa intendono cibarsi. Le persone veramente iniziano a credere che il cibo cresca nel supermercato.

(E non venitemi a dire di recintare perché recintare tutti i campi d’Italia è impossibile, costosissimo, e molto più dannoso per l’ambiente che abbattere qualche cinghiale. Senza contare che, a quel punto e continuando a negare gli abbattimenti, vi trovereste come sta già succedendo i cinghiali al supermercato che vi chiedono di dividere il vostro cibo con loro. Ho visto il video di una scena del genere a Roma. Gli animali non hanno contraccettivi se non la fame, la malattia e la predazione, altra cosa che la gente non capisce.)

Ha-ha, direbbero questi animalisti che hanno una soluzione per tutto: ma infatti, se c’è troppa fauna selvatica è perché non ci sono abbastanza lupi e orsi! Nel loro mondo immaginario, esiste un altrettanto immaginario “equilibrio naturale” che si crea tra predatori e prede per cui non c’è mai nessun problema. Questo è vero, ma le persone si dimenticano il piccolo particolare che noi esseri umani stiamo in mezzo, che siamo, come dico spesso, parte di quella stessa natura, che abbiamo un ruolo in questo “equilibrio naturale” e che quindi un conto è il lupo astratto del libro di biologia che “mangia i cinghiali”, e un conto è il lupo delle Alpi o degli Appennini che col cavolo che va a correre tutta la notte e a rischiare la vita per prendere il cinghiale (un animale difficilissimo da uccidere anche per chi ha un fucile), quando ci sono cinquanta pecore indifese e addirittura recintate che sono altrettando appetitose e molto più facili da catturare.
Infatti, se qualcuno di questi che firmano referendum si prendesse la briga di andare un po’ in giro per queste montagne che vuole tanto salvare, si accorgerebbe che sono piene sia di lupi che di cinghiali. E di cervi. E di caprioli. È la parte in mezzo, l’animale domestico e l’uomo a cui viene impedito di esercitare il proprio ruolo ecologico, a soccombere.
Non è pensabile abolire la caccia. La caccia è l’attività più antica dell’essere umano. È una fonte di cibo fondamentale in certe zone. Ma non c’è solo questo. Poter cacciare e pescare è uno dei pochi incentivi rimasti per mantenere un ambiente sano che possa sostenere la vita, e per non uccidere troppo, così da evitare di non avere nulla l’anno dopo. I pescatori sono tra i pochissimi rimasti che si interessano ancora dello stato di salute dei fiumi.
Ma la cosa su cui voglio più di tutte farvi riflettere è che la caccia, quella vera, quella fatta dalle persone del luogo e non dai turisti, è il modo più intimo per conoscere il proprio ambiente. A quelli che firmano contro la caccia chiedo: avete mai parlato con uno di questi cacciatori? Vi siete mai resi conto del fatto che conosce ogni metro quadro delle proprie montagne, che può dirvi cose sui cervi che nessun professore sa così nel dettaglio, che ha passato albe e notti a inseguire gli animali in un rapporto più intimo di quello che voi potreste mai sognarvi?

C’è questa idea che uno che ammazza animali per divertimento può solo essere un sadico. Ma è sadico il lupo? È sadico lo squalo?
Noi ci siamo evoluti per raccogliere e per cacciare. L’istinto della ricerca, dell’inseguimento, dell’appostamento, dell’assalto è nei nostri geni. Io non provo questo desiderio, forse perché sono donna, non so, comunque non vado a caccia, infatti. Ma ho conosciuto diversi cacciatori che mi hanno detto di provare pena, qualche volta o sempre, quando devono uccidere. E allora perché lo fanno? Per i motivi che vi ho detto. Oppure perché la carne è buona. Oppure perché bisogna fare selezione e vanno abbattuti alcuni capi, in collaborazione con le autorità.

Il vero allevatore, il vero cacciatore, uccide perché deve e non perché può. Perché sa, consciamente o a livello inconscio, che qualche innocente deve morire perché la specie sopravviva.

Anche a me dispiace vedere un animale ucciso. Non provo nessun piacere e cerco sempre di far sì che il momento dell’uccisione arrivi più tardi e sia più rapido possibile. Ma mi fanno infuriare quelli che dicono che non è possibile che un allevatore o un cacciatore amino gli animali se li uccidono. È vero, l’amore tra umani non funziona così. Ma la natura ha altre leggi. Amare gli animali e sapere che potrebbe essere necessario ucciderli è una forma di saggezza profonda che molti sedicenti ambientalisti non capiscono e addirittura attaccano.

Chi conosce i cacciatori sa che portano il sale e il fieno agli animali per l’inverno. Che se un animale è ferito ma ancora vivo lo cercano con i cani per ucciderlo, così da non farlo soffrire. Certo, non tutti i cacciatori si comportano bene, ma questo è vero di qualsiasi categoria umana. Non idealizzo lo stile di vita che vi descrivo: vi dico solo com’è.

L’altro giorno ho visto quattro cacciatori di ritorno da una battuta. Mi hanno detto che i lupi sono arrivati anche qui; hanno fatto strage di pecore su una montagna non distante. Quindi, ora tocca anche a me. Probabilmente dovrò abbandonare tutto quello che ho costruito in tutti questi anni, perché non ho modo di proteggere le mie pecore. Ogni volta che le vedo temo che sia l’ultima. Sono angosciata e indifesa.

Se non invertiamo la rotta, scompariranno i pastori. Scompariranno i cacciatori, se il referendum avrà successo, o se il lupo mangerà tutti gli animali selvatici non lasciando più nulla per noi. Gli animalisti esulteranno – ed è anche questo che fa rabbia. Con loro esulteranno gli speculatori: una volta allontanati gli abitanti, via libera per l’idroelettrico, i resort, il turismo “sostenibile”… Chi ha scelto di vivere “nella natura” non per modo di dire, ma per capire le sue leggi, far entrare il proprio corpo e la propria mente in intimità con essa, rinuncerà. Si perderanno tradizioni, conoscenze, habitat. La cosa assurda è che questo sarà stato fatto con l’aiuto determinante di chi si dice ambientalista.

Vi descrivo una scena, sperando che le persone di cui parlo non la leggono, anche se non sto dicendo nulla di male su di loro. Eravamo al supermercato del paese e si parlava di caccia. A qualcuno il sapore di selvatico non piace, ad altri fa pena dover scuoiare un animale che poche ore prima saltava libero nel verde. “Quando devo curare il capriolo lo guardo e gli dico: ma non potevi scappare?”, dice una donna con un sorriso triste. “Ogni tanto mi chiedo: ma dovevo proprio sposare un cacciatore?”

Poi si rivolge al titolare del negozio. “Hai ancora i petti di pollo AIA?”

>Per quel capriolo, l’alternativa alla pallottola sarebbe stata o essere sbranato da un lupo, morte più traumatica e dolorosa, o la ancor peggiore morte per fame. Però fino al momento finale, quello in cui il cacciatore lo ha trovato, la sua vita è stata la più libera e naturale possibile. Ma vogliamo parlare del pollo, della sua vita innaturale, del suo stesso corpo innaturale perché modificato da una genetica che lo carica di più carne di quanta riesca a reggere, della sua breve vita in un capannone sovraffollato? E quale carne è più sana, più nutriente, tra il capriolo che mangia tutte le erbe della montagna e anche gli alberi, e un pollo ingozzato di mangimi?

Se passerà il referendum, ci saranno più di questi polli, nessun capriolo più sulle tavole, e magari tutti quei bambini che crescono seguendo i padri nei boschi troveranno qualcos’altro da fare, per esempio ubriacarsi ancora di più o fare shopping nei centri commerciali.
Stiamo trattando la gente delle nostre campagne e montagne come sono stati trattati gli Indiani d’America, e nessuno lo ha ancora capito.
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Perché a mezzogiorno suonano le campane?

Mi trovo in un piccolo progetto europeo. Giovedì 4 luglio, siamo al nostro Giardino, e proprio a mezzogiorno, dobbiamo interrompere, perché suonano fortissime le campane della Chiesa del Carmine.

Mamma Europa è generosa.

Come il seminatore del Vangelo, riversa i nostri soldi sul sentiero dove molti uccelli li divorano in gran fretta; quel che rimane finisce in gran parte sui sassi o sulle spine, ma qualche volta capita che ricada quasi per sbaglio su terreno fertile.

Questa volta, ho avuto la sensazione del terreno fertile, perché il progetto è basato su piccole realtà comunitarie concrete e radicate e sincere, siamo tutti direttamente coinvolti da anni, gente pratica insomma. E se dalle nostre tasse, ci ritornano dei soldi che ci permettono di fare meglio e “nell’interesse generale” (Costituzione italiana art. 118 comma 4) ciò che già facciamo senza soldi, è una buona cosa.

Tra i nostri partner, ci sono due donne che vengono dalla Romania.

Partner: la tragedia ineluttabile di dover comunicare sempre in inglese. Ho provato a suggerire il latino, ma hanno capito subito che scherzavo-ma-non-troppo

Andreea, senza essere mai stata in un paese anglofono, parla un inglese pieno di sfumature, dove le frasi colloquiali, le battute, sono spontanee ed esattamente come dovrebbero essere. Non so se parlare l’anglobale sia un bene, ma non è la prima volta che noto come anche in questo, i romeni riescano a sorpassare gli italiani.

I romeni possiedono ancora un tesoro antico che in Italia è stato rinnegato, e allo stesso tempo hanno l’energia e l’entusiasmo che avevano gli italiani degli anni Sessanta.

Tetyana invece è emigrata in Romania dall’Ucraina, porta a destra un orecchino gialloblu e a sinistra – per onorarci – un orecchio rosso-bianco-verde, e dal vestito le pendono due cordoncini gialloblu. Mi racconta del suo bambino di quattro anni, e condividiamo con ironia cosa succede, a mano a mano che crescono.

Entrambe fanno cose a livello locale, che sono molto vicine a quelle che facciamo noi,

Mentre ceniamo, al tramonto tra i cipressi, Tetyana ci racconta di sua nonna, nata all’inizio del Novecento, che visse la prima guerra mondiale, la deportazione, l’uccisione dei suoi fratelli, “il Holodomir“, una seconda guerra mondiale, e non ha mai avuto un luogo che fosse suo. Mentre il nostro progetto parla di place-based communities.

“Per mia nonna, avrei voluto ricreare un luogo, poi dieci anni fa è iniziata la guerra”

Mi colpisce di sfuggita la data che Tetyana sceglie per parlare di inizio della guerra, 2014 e non 2022, ma non dico nulla.

“La Chiesa Ortodossa non è russa… nasce a Kiev… i russi sono un’altra cosa, sono, ecco… Mongoli! Beati voi in Italia che come vicini avete solo montagne impenetrabili e il mare!”

Sorrido pensando ai tanti siciliani che mi hanno detto, “noi purtroppo siamo circondati dal mare, e per questi ci hanno invasi tutti, romani, arabi, normanni...”

Le racconto che per un caso, da giovane, avevo conosciuto a Roma la chiesa dei cattolici ucraini dedicata ai santi Sergio e Bacco (meraviglia, il Santo Bacco), dove si era fermato il Cardinale Slipyj, reduce di straordinarie battaglie con Stalin, ma Tetyana ammette di non saperne nulla.

Intervenie Andreea,

“Sì anche noi siamo stati invasi! Per duecento anni, i patrioti romeni hanno resistito ai turchi!

Il marito, che indossa una camicia tradizionale cucita a mano (in Romania, ogni villaggio ha il suo costume, riconoscibile, e ho visto i telai, salvati di generazione in generazione, su cui sono stati ricamati), la corregge,

“No, non siamo stati invasi dai turchi, siamo stati invasi dagli ottomani!

I turchi sono nostri amici, gli ottomani avevano conquistato i turchi!”

Lei interviene con un indimentabile sguardo di entusiasmo, e mi racconta…

“Lo sai che fu un Papa cattolico, che per onorare i patrioti romeni che per due secoli si sono sacrificati, ha ordinato che a mezzogiorno si suonassero le campane di tutte le chiese?

E tutte le volte che vengo in un paese cattolico, e ascolto le campane suonare a mezzogiorno, mi commuovo!

Da tutto questo, un piccolo impegno lo abbiamo costruito insieme: qualunque cosa ci sia nel nostro passato, vero o immaginato o dimenticato o sognato, guardiamo anche al male che bussa alle porte. Per cui per comunicare tra di noi, ci siamo trovati a scegliere di comunicare tra di noi usando mezzi degooglisés.

Quasi la prima volta, che tra alternativi, non ci sia gente che si doni avidamente a Google, Amazon e compari.

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L’Impero e il suo Indotto

Impero è una parola che fa pensare agli antichi Romani, o ai britannici padroni dei mari.

Eppure il concetto è semplice.

Prendiamo Firenze, perché la conosco e quindi non rischio di sbagliare, ma è del mondo che stiamo parlando.

La Città Metropolitana di Firenze ha un milione di abitanti.

Il Comune di Firenze (che da ora in poi chiameremo “Centro“, da non confondere con il suo centro storico), in rosso sulla mappa, ne ha 360.000.

Quindi in quello che chiamerò l’Impero fiorentino, un abitante su tre fa parte del Centro, due della Periferia.

Ovviamente, le interazioni in cui è coinvolto un sistema del genere nel ventunesimo secolo sono di una complessità inimmaginabile, per cui semplifico rozzamente la questione fondamentale.

Il Centro (anzi, circa la terza parte di uno dei suoi cinque “quartieri” ufficiali) ingurgita ogni anno 14 milioni di turisti, cioè circa 40 volte il numero degli abitanti.

La Firenze turistica corrisponde all’incirca alla parte del Q(uartiere) 1 dove si legge la scritta “Centro storico”. Che sarebbe quasi invisibile sulla mappa dell’Impero Fiorentino

Questi turisti vengono trasformati, da una parte in denaro, dall’altra in rifiuti, e vanno infine defecati, cioè rimandati a casa loro.

Questa procedura richiede una bocca, che è (tra l’altro) l’aeroporto; un ano, che è lo stesso aeroporto; e una discarica.

Coppo di Marcovaldo, urbanista e antropologo del Dugento, ci presenta così il Supremo Imperatore all’opera

Bocca, ano e discarica devono stare in Periferia.

Infatti, l’aeroporto sta a Peretola, dove scarica tonnellate di cemento, rumore e pericoli innanzitutto su un’oasi straordinaria, la Piana Fiorentina.

Solo che la pista dell’aeroporto è piccola (boccuccia di rosa) e non riesce a ingurgitare abbastanza.

Per cui hanno deciso di espanderla con una gigantesca nuova pista che sbucalterà l’ultimo polmone verde a ovest di Firenze, puntando esattamente su un’oasi dove ogni anno arrivano i fenicotteri, e poi sui popolosi comuni di Sesto Fiorentino e Campi Bisenzio.

I fenicotteri della Piana, foto di Wild Peregrine

Il presidente di Toscana Aeroporti è Marco Carrai, che riesce ecumenicamente a conciliare la propria vicinanza a Comunione e Liberazione con il ruolo di console onorario di Israele per la regione italiana di Lombardia, Toscana e Emilia Romagna.

Ma l’azionista di maggioranza di Toscana Aeroporti è un extracomunitario, tale Eduardo Eurnekian, miliardario argentino. L’attuale presidente dell’Argentina, il pittoresco Javier Milei, è stato il suo principale consulente economico; e il nostro ex-sindaco Dario Nardella, in un impeto di generosità, ha regalato ad Eduardo Eurnekian le chiavi della città.

Nardella mica ha dato le chiavi della nostra città all’extracomunitario perché sta per distruggere il polmone di Firenze, no, ma per il suo

“contributo encomiabile, in veste di presidente della Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg, a favore della promozione dei valori della solidarietà, della pace e del coraggio civico, capisaldi etici dei soccorritori dell’Olocausto e di quanti ancora oggi con coraggio si battono contro ogni forma di razzismo e di pregiudizio”.

Che il politicamente corretto santifica così.

Come sapete, Destra e Sinistra litigano volentieri a proposito di senza fissa dimora, di offese ai gay e di vetrine rotte, ma quando si tratta di roba seria, PD e Lega sostengono entrambi con uguale entusiasmo il progetto di Carrai di sbucaltare la Piana.

Una delle discariche si chiama Casa Passerini, e si trova ovviamente in Periferia, nel Comune di Sesto Fiorentino. Ha avuto una storia molto complessa, che non voglio riassumere qui… ma fatto sta che il Centro ha promesso di pagare ai comuni di Sesto Fiorentino e di Campi Bisenzio una indennità di disagio ambientale” di mezzo milione di euro l’anno che non paga dal 2019.

Sarebbe interessante confrontare le dimensioni del Duomo di Firenze con quelle della discarica di Case Passerini

L’altro giorno, è partita da Firenze la gara ciclistica, Tour de France.

Io capisco che la gente adori guardare queste cose in televisione, ma pensiamo un attimo a cosa significa.

La Francia non è esattamente dietro l’angolo, ma pare che i Ludi li avesse chiesto prima Renzi e poi Nardella (e adesso che hanno litigato tra di loro, li rivendicano entrambi).

E questo ci riporta all’altra faccia di ogni impero: che mentre mangia e defeca esseri umani, l’Impero deve anche costruire Colossei, con la relativa invenzione di tradizioni:

Il Grand Départ sarà una celebrazione del ciclismo e della cultura italiana, con la passione della città per questo sport e la sua ricca storia e le sue tradizioni che si uniscono per creare un’esperienza indimenticabile.

Scrollataci di dosso la fuffa e la passione, e tradotto in termini concreti…

il Consiglio Metropolitano di Firenze (in mano al PD che ci ha appena Salvati dal Fascismo) ha deciso di prendere i nostri soldi, e regalarli agli organizzatori del Tour de France (la ditta privata Amaury Sport Organisation), pur di far piovere sugli imprenditori che sfruttano Firenze una bella manciata di soldi.

“L’impegno economico della Città Metropolitana è stimato in euro 1.586.000 tra 2023 e 2024 a cui si aggiungono 417.259,92 euro tra costi di promozione e per affidamenti vari tra 2023 e 2024.”

Firenze ha vinto l’offerta della famiglia Amaury, e chi vince l’offerta deve anche assumersi tutti i costi, che di solito arrivano al doppio.

(ribadisco, "Città Metropolitana" vuol dire per i due terzi, luoghi che i turisti li vedono solo quando volano sopra le loro teste).

L’idea come al solito che il pubblico paga, ma poi qualche privato si arricchisce: le cifre variano secondo le fantasie dei giornalisti, qualcuno sogna un “indotto per Firenze di 54 milioni di euro” e l’arrivo di ben “780 mila persone“, con “aumenti di alberghi e affitti brevi.”

Non so come sia andata in realtà.

L’evento avrà davvero regalato 54 milioni di euro ai fiorentini che sfrattano da casa le vecchiette di novantasei anni per farne “affitti brevi”?

Ha davvero regalato 54 milioni alle finanziarie internazionali che si comprano palazzo su palazzo in centro per farne dormitori per turisti?

Ha davvero riversato i rifiuti di 780.000 turisti, raccolti con le mie tasse, impacchettati e scaricati sulla Periferia?

Un titolo di qualche anno fa riassume l’Indotto per la Periferia:

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Ma perché piace la “Natura”?

Ovunque, la stessa retorica ci assilla:

Perché proprio oggi (e non magari trent’anni fa), una rivista che si chiama Money.it sente il bisogno di dire che i prodotti surgelati, oltre a essere “amici del portafoglio”, sono anche “amici dell’ambiente”?

Badate bene, non dice “non danneggiano l’ambiente”. No, sono proprio amici. L’Ambiente guarda il pesce surgelato e gli stringe commosso la pinna.

Dunque, tutto è “Ambiente”, che vuol dire semplicemente “intorno”.

Dai batteri nei miei intestini alle stelle sopra di me, è tutto un “intorno” a qualcosa di piuttosto misterioso che percepisco come “io”: anche la zanzara ha un “ambiente” attorno a sé, di cui gli esseri umani fanno parte.

Però “noi” (questo discutibile pronome lo uso qui per dire il ceto medio atlantico, anno 2024) viviamo in un sotto-ambiente, un po’ come gli astronauti nelle loro capsule: la Tecnobolla.

La Tecnobolla è quell’insieme che ci accompagna ovunque, che va dai vestiti alla scuola, dall’automobile alla bevanda gassata, dall’ospedale al codice penale, dalle cuffie stereo ai missili intercontinentali, dai vaccini ai parcheggi, dalle piste da sci a Instagram, dalle rampe per disabili ai voli low cost. Il tutto accompagnato da un ipnotico sottofondo sonoro e luminoso emesso da miliardi di sorgenti elettriche, come perfettamente illustrato da Steve Cutts.

Noi viviamo la totalità della nostra vita dentro questa bolla, perché crediamo che ci preservi da “malattia, vecchiaia e morte” (per citare il Buddha) e ci renda sempre soddisfatti: quando non lo fa, vuol dire che c’è un difetto, una colpa, un delitto di qualcuno. Difficile misurare la felicità che può dare, comunque la Tecnobolla è sicuramente l’ambiente meno doloroso che l’umanità abbia mai sperimentato.

La Tecnobolla per eccellenza è il Dubai SkiDome (di cui vi abbiamo già parlato qui), che permette di sciare tutto l’anno proprio a Dubai.

Può esistere solo a due condizioni:

  1. Si deve sigillare ogni apertura verso ciò che lo circonda
  2. Si deve prelevare sempre più energia e risorse da ciò che si esclude, trasformandole in calore e in rifiuti.

La cosa che chiudiamo fuori dalla nostra Tecnobolla è ciò che oggi chiamiamo Natura.

Da quando la Tecnobolla ha sigillato per bene porte e finestre, la Natura ci si presenta solo come quello che la Tecnobolla permette di passare: gentili brezze primaverili, un parco curato, una spiaggia resa tutta liscia a pochi metri dal parcheggio cementificato, un mare in cui ci possiamo immergere nella stagione più gradevole e dopo esserci impiastricciati di crema solare.

Gli animali ammessi in questo mondo – il gatto domestico, la tartaruga allo zoo, ma anche l’orsacchiotto pelouche – sono tutti simpatici, e non ci sogneremmo mai di fare loro male.

I nostri prati sono tutti curati, magari paghiamo gente che non vediamo per cospargerli di glifosate per evitare che ospiti sgraditi entrino nella Tecnobolla, ma condanniamo chi strappa i fiori: è una colpa, proprio come prendere a calci un gatto.

Questo oggetto è pubblicizzato con la tosta didascalia, “Diserbante totale “Premium top” erbicida Glifosate puro 360, sistemico“, che quando i duri iniziano a giocare, chiamano i marines e mandano via i puffetti

Ora, noi pensiamo che anche lì fuori, nella Natura Amica, tutto dovrebbe essere a Dimensione Tecnobolla. Anzi, noi che siamo grandi, forti e importanti, vogliamo bene a quella piccola cosa carina che è l’Ambiente, come ci ricordano innumerevoli immagini come questa:

Ma ogni tanto i media ci fanno vedere una tartaruga impigliata tra buste di plastica, o ci parlano dei PFAS nelle acque lombarde, o accennano alla cementificazione che contribuisce all’alluvione a Campi Bisenzio, o ci raccontano della discarica abusiva in Campania.

Noi sappiamo che la Tecnobolla deve essere perfetta, e quindi pensiamo che ciascuna di queste cose sia un’eccezione, la colpa di un singolo egoista che non ha fatto il proprio dovere. Quello che invece di riciclare come si deve, butta per dispetto la busta nel mare. Cosa che io non farei mai, si dice l’automobilista mentre schiaccia la volpe sulla strada senza rendersene nemmeno conto.

Spesso in queste cose, ci sono di mezzo comportamenti di individui che avrebbero potuto scegliere diversamente, ovvio, ed è giusto punirli, se si riesce.

Ma trovare il singolo colpevole ci oscura l’essenziale – ripetiamo tutta la frase; perché la Tecnobolla possa esistere:

Si deve sigillare ogni apertura verso ciò che la circonda

Si deve prelevare sempre più energia e risorse da ciò che si esclude, trasformandole in calore e in rifiuti.

Noi che non approveremmo un bambino che prende a calci il proprio orsacchiotto, proviamo un istintivo dispiacere quando sentiamo che gli orsi polari soffrono. Ma non riusciamo a fare il collegamento – gli orsi polari soffrono perché abbiamo un sistema che permette di produrre e importare decine di milioni di pelouche dalla Cina, con tutta la catena inimmaginabilmente complessa che c’è attorno.

Ora, proprio perché la catena è inimmaginabilmente complessa, è facile trovare dei colpevoli: sono dappertutto. Ma se sono dappertutto, allora possiamo tutti dire di essere innocenti, o dire, lui è più colpevole di me, e non sapremo mai esattamente chi ha ragione.

Cosa possiamo però fare?

Beh, intanto, capire. Che agire senza capire è una ricetta sicura per fare ancora più danno.

Poi magari partire da quattro “ri-” (di solito sono tre, ma una l’ho aggiunta io).

In ordine di efficacia.

La prima è ri-aggiustare. Cioè cose come i tappi che non si staccano dalle bottiglie, che sicuramente impedisce alla gente di buttare i tappi da soli in giro. Allo stesso tempo, richiede materiali più pesanti, una lavorazione in più con relative emissioni, eccetera. Nella categoria riaggiustare ci possiamo mettere anche cose come la pressione perché la gente butti la vecchia auto e ne compri una nuova meno inquinante… inquinando così due volte, tra rifiuti e produzione. Ora, l’incubo di tanti produttori è di trovarsi il mercato saturo – cosa meglio di uno Stato che ordina al cittadino di buttare il vecchio prodotto ancora funzionante e comprarne uno nuovo? Nel ri-aggiustare rientra poi l’agghiacciante gioco contabile delle compensazioni, dove una mafia internazionale compra inquinamento e – se non sono semplicemente dei truffatori – cacciano degli indigeni da qualche parte del pianeta per piantare boschi finti.

La seconda è ri-ciclare, che è sempre meglio che usare solo risorse nuove, e sempre meglio che buttare tutto. Però, il riciclare è sempre in discesa qualitativa (da bottiglie di plastica, palette di plastica al primo giro, poi più niente) e, come nota il commentatore Andrea Di Vita qui,

“Prendo un oggetto (plastica, vetro). Gli tolgo le ‘impurezze’ (le etichette di carta, il tappo di metallo per le bottiglie). Lo scaldo per fonderlo. Distillo in qualche modo i suoi componenti. Li forgio in una forma nuova e raffreddo il tutto (roventi sono intoccabili).

Ciascuno di questi passaggi richiede energia, e (con buona pace degli innamorati di specchietti e girandole) energia concentrata dove serve e quando serve.”

Ovviamente, qualunque azienda è grata a un governo che usa i soldi dei cittadini per raccogliere materie prime più o meno gratuitamente per lei, ma non è certo la soluzione.

La terza è ri-usare, che è una bella e sana abitudine.

Ma l’unica cosa che abbia davvero senso è ri-durre.

Se vuoi respirare un’aria più pulita, non serve far finta di compensare le emissioni, non c’è riciclaggio che tenga, e non si possono ri-usare i voli.

Si possono ridurre i voli.

E se si riducono i voli, si possono ridurre gli spazi occupati dagli aeroporti.

E se si riducono gli spazi occupati dagli aeroporti, si può ridurre il traffico sulla strada all’aeroporto.

E se si riduce il traffico sulla strada all’aeroporto, si può ridurre il numero delle auto;

e se si riduce il numero della auto, si riduce il numero di ricoveri in ospedale…

per dire!

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