In questo blog abbiamo iniziato oltre vent’anni fa, parlando dei massimi sistemi, cioè di Medio Oriente e simili.
Poi a un certo punto, abbiamo scoperto una cosa fondamentale.
Che dei Massimi Sistemi, possiamo dire molto poco di sicuro, e quel poco di sicuro che possiamo dire, non avrà assolutamente alcun effetto.
Mentre dei Piccoli Sistemi, non solo ci azzecchiamo perché per forza di cose, li conosciamo meglio di chiunque altro, ma possiamo anche fare qualcosa.
A gran fatica, ma lo possiamo fare.
"Fare", oltre ovviamente a FARE (un mazzo così), vuol dire, smettere di indirizzare moccoli nei confronti dei politici del Partito A, di lamentarci piove governo ladro, di pensare che se solo vincesse il Partito B staremmo tutti meglio.
Quando il mondo attorno a noi collasserà, scompariranno le inascoltate sicumerieche avremmo potuto dire, che so, sulla Palestina, o sulla Meloni o sull’Ucraina, ma resteranno un giardino, un palazzo, una chiesa abbandonati e fatti rivivere.
Il giardino, il palazzo, la chiesa, il Rione, richiedono un lavoro folle, tra spid e runts e codice ateco e firma digitale e refa, ma alla fine riusciamo a ottenere qualcosa che non si aveva dai tempi delle comunanze.
Lo abbiamo potuto ottenere grazie a LabSus, il Laboratorio per la Sussidiarietà, e l’immane e invisibile lavoro che ha fatto per ribaltare l’intero sistema con cui viene amministrata l’Italia. Per cui LabSus dovrebbe essere più famoso, almeno, di tutti gli influenzer sul Libro de’ Ceffi.
Grazie a LabSus, esiste il diritto mio e tuo, non solo di dire, ma addirittura di fare il nostro sui Minimi Sistemi.
Ora, credo che dobbiamo sempre combinare due cose: il fatto di essere d’accordo con i principi espressi a parole da una persona, e quella cosa sanamente animalesca che ti dice, se la persona in questione sia affidabile.
LabSus ha superato entrambe le prove.
Oggi, si parlava con le amiche di una cooperativa che ha vinto un appalto per gestire servizi rivolti a giovani dagli undici ai diciott’anni.
Raccontavo loro di una splendida sorella, che strappa a mani nude l’ortica per farne insalata e con le stesse mani fa nascere bambine e bambini dai ventri delle donne che si affidano a lei, e che con un’occhiata instilla nelle ragazze piene di dubbi l’orgoglio eroico di essere ciò che sono, e le rende orgogliose di donare il loro sangue al mondo…
lo dico da uomo, ovviamente, scusandomi…
E dicevo, convolgiamola per comunicare con affettuosa fierezza con le fragili bimbe del nostro Rione, che hanno paura persino di esistere, figuriamoci di diventare donne.
Le amiche della cooperativa restano commosse, ma mi raccontano come tutte le ragazze che frequentavano il loro centro, passando dalle medie alle superiori, hanno cominciato a fumare, e poi sono passate alla thc, e poi come qualcuna sia seguita dai servizi sociali per violenze domestiche, e qualcun’altra è stata rapita da un discutibile servizio sociale.
Ci vuole tanta resilienza, di quella davvero, che non c’entra niente con i piani dei governanti, per non mollare mai, per sorridere in faccia alla bimbetta che appena qualche anno prima ti arrivava all’anca e oggi si sta distruggendo, come per sorridere a Domenico che dorme in un camper che a sessantaquattr’anni è tutto ciò che gli è rimasto, e cura il nostro giardino, e ci fa crescere piante bellissime; e c’è anche Neri,
e Neri ha anche lui la memoria un po’ confusa, ma poi porta me e la mia piccola curiosa alunna d’inglese a un albero…
E’ un ciliegio, che sta sul confine del territorio accanto, ma sovrabbonda dalla parte nostra.
E mentre assaporiamo le ciliege, Neri mi dice che lui piantò proprio quel ciliego, trentasette anni fa.
Oggi ho partecipato al corteo che da Santa Maria del Carmine andava a Santo Spirito, per ottenere la benedizione delle bandiere dei Bianchi: tra poco, i nostri scenderanno nella sabbia di Santa Croce, e se vinceranno (e se sopravviveranno), disputeranno il finale a San Giovanni, il 24 giugno (dove qualche anno fa spaccarono la clavicola al nostro grande Vàllero, e lo mandarono in coma).
Ho scritto Santa/Santo/San quattro volte, e dà un quadro del nostro mondo
E’ gente da moccoli, che non va spesso in chiesa, e il Priore degli Agostiniani, nella sua predica, li smaschera subito, dicendo che cercano la benedizione per vincere, solo che anche i Rossi, i Verdi e gli Azzurri, da furbi, si sono fatti benedire le bandiere anche loro, e quindi si neutralizzano tutti a vicenda.
E’ una piccola umanità di Sioux o di hobbit o semplicemente di beceri, come preferite.
Questa antica umanità (nella foto, da sinistra, ape, antilope e luna) è sull’orlo dell’estinzione, esattamente come tutte le altre umanità, e magari anche la umanità stessa, o la vita stessa, a causa di quella forza impersonale e demoniaca, che si chiama capitalismo.
Nella navata di Santo Spirito, una signora americana dallo splendido sorriso, mi chiede cosa stanno celebrando. E provo in circa centosedici secondi, a spiegarle cos’è il Calcio in Costume; e lei mi sorride, alza il pugno e dice, “I hope the Whites win!”
Ecco, questa è la turista.
Che è l’umanità colta nel suo momento migliore: il momento in cui partiamo con grandi occhi spalancati, cercando di amare e scoprire il mondo.
Ma ecco invece cos’è il turismo.
Dal sito Inside AirBnB, la mappa di puntini rossi dei luoghi su cui la multinazionale AirBnB, proprietà dei signori Brian Chesky, Nathan Blecharczyk e Joe Gebbia, ha creato un impero miliardario, senza magari aver mai messo piede a Firenze.
Innanzitutto ecco tutta Firenze:
Che poi colpisce ancora di più quando vedi cosa è successo strada per strada nel nostro Rione:
Per ogni puntino rosso, immaginatevi una storia.
Che va da
ho seri problemi economici, affitto la stanza dei figlioli ormai grandi che se ne sono andati di casa, e faccio pure amicizia con l’americana dallo splendido sorriso che vuole sapere tutto del nostro rione
ho una seconda casa, e me ne vado a vivere a Soffiano, e affitto quella in centro, e sulla porta ci metto un lucchetto a codice così non devo nemmeno guardare in faccia l’ospite, che sarà solo una transazione sul mio conto corrente
ho una casa che ho affittato anni fa per un prezzo ragionevole alla Nonna Nietta che è pensionata, e l’ho venduta a una finanziaria delle Isole Cayman che in realtà appartiene a una finanziaria londinese che campa di soldi sauditi, e la finanziaria di Nonsisadove sta mandando minacce per sfrattare la Nonna Nietta, per affittare casa sua a diecivolte il prezzo
Non immaginatevi mai mostri (nemmeno la Nonna Nietta è perfetta, anche se ci si avvicina).
Smettetela di odiare i padroni.
Pensate al capitalismo, che entra dentro ciascuno di noi e ci corrode, e non ha nome né volto né corpo, ma ci tenta sempre per Saligia: Superbia, Avarizia, Lussuria, Invidia, Gola, Ira, Accidie. Ciò che gli economisti chiamano, mercato.
Eppure alla fine del capitalismo e della Saligia, dopo le mille scuse che ciascuno di noi avanza, c’è solo la morte.
La morte del rione, la morte della diversità delle culture, la morte delle famiglie, la morte della terra, delle radici, dei funghi, delle identità, degli alberi, dei tassi, delle lingue, delle stagioni, delle donne e degli uomini, l’avvelenamento di terra, acqua, aria.
E da non cristiano, resto fulminato dalle parole che San Paolo (ancora un San!) rivolse agli efesini:
“La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”
C’è uno splendido spazio di epoca barocca, che stanno restaurando con un finanziamento del Ministero del Turismo.
Uno spazio dove l’unico segno di vita, attualmente, nell’annesso, è un gruppo di fiorentine diversamente giovani che dà da mangiare a novecento famiglie senza niente, una casa per ragazze madri e una stanza dove ragazzine “extracomunitarie” imparano l’italiano.
E poi c'è un grande stanzone tutto vuoto perché Inagibile da quindici anni, dove tutto l'inverno il riscaldamento va a manetta. Il funzionario del Comune con cui ne abbiamo parlato dice, che è paranormale: se il riscaldamento è del Comune di solito smette di funzionare dopo pochi anni.
Ora, se paga il Ministero del Turismo, bisogna farci qualcosa di “turistico” in quello spazio.
Che detto così, vuol dire devastazione, sfratti, desertificazione (non certo per colpa dei poveri turisti stessi).
Ma oggi noi si ragionava sotto il temporale con la seconda figura politica della città (teniamo lontani i motori di ricerca). Potremmo farne un‘amministrazione condivisa, tra il Comune e noi del rione.
E invece di parlare di turisti, potremmo parlare di Visitatori (il termine l’ha lanciato lì proprio la Seconda Figura).
Cioè di quelle persone profondamente innamorate di questa pazzesca città, le cantanti liriche macedoni, i pittori irlandesi, le scultrici giapponesi, le ceramiste californiane, le mistiche inglesi che tengono aperti i cimiteri, gli artisti russi… che non passano qui due notti a mangiarsi la bistecca chianina con la Coca Cola, intrupparsi nella coda chilometrica per entrare agli Uffizi e dire wow mentre si fanno il selfie davanti al pisello del Davide.
Ma non conoscono nemmeno la gente vera e viva di Firenze, anche se vorrebbero, non hanno mai imparato l’italiano a parte qualche verso di Dante.
La Florence, insomma, che è la gemella inseparabile della Firenze.
Quindi, immaginatevi, sotto le volte barocche, i tre mondi insieme:
le ragazze madri, gli sfrattati, la gente che non può competere con le multinazionali del turismo, tutto il volto sconosciuto di Firenze e della violenza invisibile dei nostri tempi
il millennario mondo delle genti del luogo, pisseri o beceri quanto volete, ma anche custodi di ricchezze che non vi immaginate nemmeno
la gente della Florence
Ora, la domanda che non mi sono mai posto prima, cosa definisce giuridicamente il turismo?
Se un funzionario del Comune, nel contesto di un’attività finanziata dal Ministero del Turismo, permette che ospitiamo la performance di un’artista australiana che vive a Firenze da cinque anni, rischia di farsi pignorare la casa dalla Corte dei Conti?
Prima o poi, devi sempre fare i conti con i “politici“, cioè con quella piccola percentuale di persone che sopravvivono alla selezione darviniana chiamata “elezioni”. Come il cuculo, che, dicono, campa felice perché ha fatto fuori tutti i suoi compagni di nido.
Però è anche comodo prendersela con i “politici”, come se il mondo funzionasse a razze di buoni e di cattivi.
Cecilia Del Re è una donna che tutta Firenze conosce, e che alle ultime elezioni comunali ha battuto ogni record di preferenze.
Firenze conosce Cecilia non solo perché il sindaco, Dario Nardella, le aveva conferito le deleghe per Urbanistica, Ambiente, Agricoltura Urbana, Turismo Fiere e Congressi, Innovazione Tecnologica e Sistemi Informativi, Coordinamento dei Progetti per il Recovery Fund, Smart City e Piano di Gestione Unesco, che se togli quelle, non è che resti molto.
Cecilia Del Re
Ma soprattutto Firenze conosceva Cecilia, perché la incontravi ovunque. Io non so cosa faceva quando si occupava di smart city, o diturismo fiere e congressi, e non ho idee chiare su quale fosse la sua politica generale.
So soltanto quello che ha fatto quando ha avuto a che fare con noi.
I suoi colleghi, se ci ascoltavano, dicevano che le nostre richieste erano impossibili, e che comunque grazie ai nostri voti, erano loro a decidere per noi.
Cecilia invece ci ascoltava sul serio, e trovava la soluzione: se esistiamo oggi, come spazio gestito dalla comunità delle genti di San Frediano, è grazie anche a lei; come è grazie a lei che si è trovata la formula per legalizzare il mercato contadino di Piazza Tasso, che un altro consigliere comunale ci aveva detto non si poteva.
E a proposito di tasso, è grazie a lei che non hanno stroncato con due colpi d’ascia il nostro Tasso.
E so che più o meno tutti quelli che hanno avuto a che fare con Cecilia, hanno avuto la stessa impressione.
Per faccende che nessuno di noi ha capito bene, con un pretesto piuttosto penoso, il sindaco ha revocato tutte le deleghe a Cecilia Del Re in un colpo solo, anzi in un comunicato stampa solo.
Sul motore di ricerca che uso io (non è Google!), leggo ancora:
Ma se faccio clic sul link della pagina su Cecilia, che è sul sito del Comune, leggo:
Ieri, quando abbiamo organizzato la commemorazione di Fioretta Mazzei, Cecilia l’Esule è voluta venirci a trovare, e ha scritto sul suo profilo Facebook queste parole sul Giardino detto a volte, Nidiaci e a volte dell’Ardiglione.
Mi sono commossa, ieri mattina, per i 100 anni della Fioretta Mazzei al giardino dell’Ardiglione. Per tante ragioni, che provo a spiegare.
𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́, come è stato ricordato anche ieri mattina, la mia attività politica da consigliera comunale (appena eletta) è nata qui, grazie alla bellissima comunità che si prende ancora oggi cura di questo giardino, intrecciandosi così con la storia di questo luogo, di Fioretta Mazzei e di altre persone speciali, che ancora oggi lo rendono uno spazio libero, sano, vivo, accogliente e resistente.
𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ si sente in politica la mancanza oggi di punti di riferimento così importanti, come appunto Fioretta Mazzei. Anche se è comunque un dono poterla ritrovare nella memoria del suo più recente passato e del suo quartiere.
𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ anche la comunità odierna di via dell’Ardiglione – fatta di donne, uomini, bambine e bambini – è bellissima. E plurale.
𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ se qualcuno mi chiedesse come immagino la Firenze di domani, risponderei come quella del giardino dell’Ardiglione. Grazie a persone in carne ed ossa, sane e libere, che si prendono cura di uno spazio pubblico e fanno comunità.
𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ quella dell’Ardiglione è anche la storia che ho ricordato a inizio anno in occasione della presentazione del nuovo Piano Operativo alle commissioni consiliari riunite. Perché per me è non solo un simbolo della città, ma anche di quell’ascolto e di quel coraggio, dal lato di chi è eletto, che non può mancare mai, anche nel proporre una soluzione diversa da quella che in quel momento è quella governativa (e che ha permesso di salvare un albero secolare, di non consumare nuovo suolo, di avere oggi un’opera architettonica bellissima e uno spazio polivalente come volevano i residenti). Perché la diversità arricchisce tutti, e perché così si esercita la democrazia. E augurai ai consiglieri e alle consigliere che ciò che avevo vissuto io all’epoca, lo auguravo anche a loro.
Anche 8 anni prima, nel 2015, il mio intervento in aula lo dedicai ai Nidiaci (https://fb.watch/kn9Ao-nbHN/). E alle donne del Ruc.
𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́, sì, è anche una storia di donne, che ieri anche Giannozzo Pucci con un bellissimo intervento ha ricordato essere fondamentali per la politica. Giannozzo ci ha poi raccontato che, anche se lui era all’opposizione, Fioretta Mazzei gli suggerì di prendere la presidenza della commissione urbanistica. Che bello questo ricordo (e sono sicura che all’epoca, nessuno parlò di “flirt”, ma di semplice rispetto istituzionale!). Grazie, Giannozzo, anche per la tua commozione di ieri e per le tue parole.
𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ Anna, discepola di Fioretta, ieri mi ha regalato il libro di Fioretta Mazzei, e, aprendolo, ad un certo punto ci ho trovato anche dei fatti che ignoravo. Non sapevo che anche La Pira venne “defenestrato” da ogni incarico (per un’imboscata giornalistica nel ‘65) e che Fioretta Mazzei gli rimase sempre accanto. Precedenti illustri che mi erano ignoti:)
𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ dopo l’Ardiglione, ci sono state altre battaglie che mi sono ritrovata a fare per alcuni preziosi spazi verdi del centro storico in questi anni. Non un metro quadro di meno di verde pubblico per i suoi residenti, per una giustizia ambientale e sociale insieme. Con coraggio e concretezza. Ma ve le racconto un’altra volta.
E allora, viva viva l’Ardiglione e le sue genti, e grazie Fioretta, 100 ancora di questi tuoi meravigliosi anni e semi.
Tra le innumerevoli cose buone di una vita a volte drammatica, ma sempre istruttiva, c’è stato il mio incontro con Vandana Shiva.
Quando viene in Italia, le faccio da traduttore volontario.
Vandana cerca di salvare la biodiversità, dei semi come degli esseri umani, dalle tecnotenebre incombenti. Attenzione, non si tratta di “cambiare” il mondo, che è il sogno di tutti i progressisti, si tratta solo di permettere alla vita di vivere.
Ciò che Vandana ha di speciale è la capacità di comunicarequesta missione. Non come causa astratta, ma come coinvolgimento di ogni singolo individuo che incontra sul suo cammino, sa accogliere le storie di tutti noi e ricordarle.
Vandana arriva tra una platea di persone all’altro capo del mondo dal suo, e in un istante si sintonizza, con passione e umorismo, sulle loro esperienze, per poi incitarle a fare qualcosa di concreto. E come lei mi diceva, sono meglio le persone che non hanno pregiudizi ideologici di partenza, perché sono più vicine alla vita.
Il gioco di “Destra-e-Sinistra” occupa, per gli occidentali, l’intero orizzonte delle scelte disponibili.
Vandana deve trasmettere una visione del mondo lontanissima da questo gioco delirante, perché la sua non nasce dall’Occidente che il mondo l’ha conquistato. E quindi Vandana semplifica molto quando parla: il suo scopo non è fare un ragionamento accademico, ma sfidarci, se stiamo dalla parte della biodiversità o dalla parte del tecnodominio.
The Guardian è un quotidiano inglese che in genere trasmette idee di Sinistra, ma ha una notevole apertura, per cui ogni tanto pubblica articoli come questo. Di solito insomma, è un bicchiere mezzo vuoto, ma è anche un bicchiere mezzo pieno, come questa volta.
Non bisogna cercare molto lontano per trovare l’essenza della vita, dice Vandana Shiva. Ma in una società immersa in un turbinio di progressi tecnologici, bio-hack e tentativi di migliorare noi stessi e il mondo naturale, l’autrice teme che siamo decisi a distruggerlo.
“Tutto nasce dal seme, ma abbiamo dimenticato che il seme non è una macchina”, dice Shiva. “Pensiamo di poter ingegnerizzare la vita, di poter cambiare il DNA accuratamente organizzato di un organismo vivente e che non ci sarà un impatto più ampio. Ma questa è un’illusione pericolosa”.
Per quasi cinque decenni, Shiva è stata profondamente impegnata nella lotta per la giustizia ambientale in India. Considerata una delle più formidabili ambientaliste del mondo, ha lavorato per salvare le foreste, chiudere le miniere inquinanti, denunciare i pericoli dei pesticidi, stimolare la campagna globale per l’agricoltura biologica, sostenere l’ecofemminismo e scontrarsi con le potenti multinazionali chimiche.
La sua battaglia per proteggere i semi del mondo nella loro forma naturale – piuttosto che nelle versioni geneticamente alterate e controllate commercialmente – continua a essere il lavoro della sua vita.
La filosofia anti-globalizzazione di Shiva e i suoi pellegrinaggi attraverso l’India sono stati spesso paragonati al Mahatma Gandhi. Tuttavia, mentre Gandhi è diventato sinonimo dell’arcolaio come simbolo di autosufficienza, l’emblema di Shiva è il seme.
Oggi 70enne, Shiva – divorziata e con un figlio – ha trascorso la sua vita rifiutando di conformarsi alle norme patriarcali così spesso imposte alle donne in India, soprattutto negli anni Cinquanta. Ha pubblicato più di venti libri e quando non viaggia per il mondo per seminari o conferenze, passa il tempo tra il suo ufficio a Delhi e la sua fattoria biologica ai piedi dell’Himalaya.
L’autrice attribuisce il suo spirito di resistenza ai suoi genitori, che erano “femministi a un livello superiore a quello che avrei mai conosciuto, molto prima che si conoscesse la parola ‘femminismo’”. Dopo il 1947, quando l’India ottenne l’indipendenza, suo padre lasciò l’esercito per un lavoro nelle foreste dello Stato montuoso dell’Uttarakhand, dove Shiva nacque e fu educata a credere sempre di essere uguale agli uomini. “Le foreste erano la mia identità e fin da piccola le leggi della natura mi hanno affascinato”, racconta.
Aveva circa sei anni quando si imbatté in un libro di citazioni di Albert Einstein sepolto in una piccola biblioteca ammuffita in un rifugio nella foresta. Rimase affascinata e decise, contro ogni previsione, di diventare fisica. Sebbene la scienza non fosse insegnata nella scuola rurale conventuale, i genitori di Shiva incoraggiarono la sua curiosità e trovarono il modo di farla imparare. A vent’anni stava completando il dottorato di ricerca in fisica quantistica presso un’università canadese.
Tuttavia, mentre il disboscamento, le dighe e lo sviluppo devastavano le foreste dell’Uttarakhand e le contadine locali si sollevavano per combatterle – un movimento noto come Chipko – Shiva si rese conto, una volta tornata in India, che il suo cuore non era la fisica quantistica, ma una domanda diversa e assillante. “Non riuscivo a capire perché ci dicevano che le nuove tecnologie portano progresso, ma ovunque guardassi, le popolazioni locali diventavano sempre più povere e i paesaggi venivano devastati non appena arrivava lo sviluppo o la nuova tecnologia“, racconta.
Nel 1982, nella stalla per vacche di sua madre nella città montana di Dehradun, Shiva creò la sua fondazione di ricerca, esplorando l’incrocio tra scienza, tecnologia ed ecologia. Iniziò a documentare la “rivoluzione verde” che investì l’India rurale a partire dalla fine degli anni Sessanta: nel tentativo di aumentare i raccolti e scongiurare la carestia, il governo aveva spinto gli agricoltori a introdurre tecnologia, meccanizzazione e prodotti agrochimici.
Questo le ha instillato un’opposizione di lunga data all’interferenza industriale nell’agricoltura. Sebbene si riconosca che la rivoluzione verde abbia evitato una fame diffusa e abbia introdotto la necessaria modernizzazione nelle comunità rurali, è stata anche l’inizio di un sistema di monocoltura continuo in India, dove gli agricoltori sono stati spinti ad abbandonare le varietà autoctone e a piantare poche colture di grano e riso ad alto rendimento in cicli di rapida rotazione, bruciando le stoppie nei loro campi nel frattempo.
Questo ha anche creato una dipendenza da fertilizzanti e prodotti chimici sovvenzionati che, sebbene costosa e disastrosa dal punto di vista ambientale, dura ancora oggi. Il suolo di Stati fertili come il Punjab, un tempo noto come il granaio dell’India, è stato privato dei suoi ricchi minerali, con i corsi d’acqua che si prosciugano, i fiumi inquinati dalle sostanze chimiche e gli agricoltori in uno stato perenne di profonda crisi e rabbia.
I sospetti di Shiva sull’industria chimica si sono ulteriormente aggravati quando, all’inizio degli anni Novanta, ha assistito ad alcune delle prime discussioni multilaterali sulla biotecnologia agricola e sui piani delle aziende chimiche per alterare i geni delle colture a fini commerciali.
“Le aziende erano in corsa per sviluppare e brevettare queste colture geneticamente modificate, ma nessuno si fermava a chiedersi: quale sarà l’impatto sull’ambiente? Quale sarà l’impatto sulla diversità? Quanto costerà agli agricoltori? Volevano solo vincere la gara e controllare tutte le sementi del mondo. A me sembrava tutto così sbagliato“, racconta Shiva.
Nel 1991, cinque anni prima che venissero piantate le prime colture geneticamente modificate (GM), ha fondato Navdanya, che significa “nove semi”, un’iniziativa per salvare le sementi autoctone dell’India e diffonderne l’uso tra gli agricoltori. Otto anni dopo, ha portato il monolite chimico Monsanto, il più grande produttore di sementi al mondo, davanti alla Corte suprema per aver introdotto in India il suo cotone geneticamente modificato senza autorizzazione.
La Monsanto è diventata famosa negli anni ’60 per aver prodotto l’erbicida Agente Arancio per l’esercito americano durante la guerra del Vietnam, e successivamente ha guidato lo sviluppo di colture geneticamente modificate negli anni ’90. Si è mossa rapidamente per penetrare nel mercato internazionale con le sue sementi privatizzate, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, prevalentemente agricoli.
L’azienda, che nel 2018 è stata acquistata dalla società farmaceutica e biotecnologica tedesca Bayer, è stata coinvolta in un’azione legale. Nel 2020 ha annunciato un pagamento di 11 miliardi di dollari (8,7 miliardi di sterline) per risolvere le denunce di legami tra il suo erbicida e il cancro per conto di quasi 100.000 persone, ma ha negato qualsiasi illecito. Nel 2016, decine di gruppi della società civile hanno inscenato un “tribunale popolare” all’Aia, giudicando Monsanto colpevole di violazioni dei diritti umani e di aver sviluppato un sistema agricolo insostenibile.
Shiva afferma che portare Monsanto in tribunale è stato come mettersi contro una mafia e sostiene che sono stati fatti molti tentativi per minacciarla e farle pressione affinché non presentasse il caso. salta la promozione della newsletter
La Monsanto ha finalmente ottenuto il permesso di portare il cotone geneticamente modificato in India nel 2002, ma Shiva ha continuato a lottare contro le multinazionali della chimica, che Shiva definisce “cartello dei veleni”. Attualmente più del 60% delle sementi commerciali del mondo sono vendute da sole quattro aziende, che hanno guidato la spinta a brevettare i semi, hanno orchestrato un monopolio globale di alcune colture geneticamente modificate come il cotone e la soia e hanno fatto causa a centinaia di piccoli agricoltori per aver salvato i semi delle colture commerciali.
“Abbiamo affrontato questi giganti quando dicevano ‘abbiamo inventato il riso, abbiamo inventato il grano’, e abbiamo vinto”, afferma.
Rimane fermamente convinta che le colture geneticamente modificate abbiano fallito. Ma anche se l’eredità del cotone GM resistente ai parassiti in India è complessa e ha aumentato l’uso di pesticidi, non tutti concordano sul fatto che la questione sia bianca o nera. Infatti, le sue posizioni schiette e spesso intransigenti sugli organismi geneticamente modificati e sulla globalizzazione le hanno fatto guadagnare molti critici e potenti nemici.
È stata accusata di esagerare i pericoli degli Ogm e di semplificare i fatti sulla correlazione diretta tra i suicidi degli agricoltori e le colture geneticamente modificate, ed è stata definita nemica del progresso per la sua retorica contro la globalizzazione, viste le minacce che incombono sul mondo.
Con l’aumento della popolazione mondiale a 8 miliardi di persone e la crisi climatica che mette in crisi l’agricoltura, anche alcuni ambientalisti di spicco hanno cambiato posizione, sostenendo che le colture geneticamente modificate possono sostenere la sicurezza alimentare. Paesi come il Regno Unito, che avevano imposto leggi severe sugli alimenti geneticamente modificati, stanno ora spingendo per un maggiore editing genico di colture e animali. L’anno scorso l’India ha approvato il rilascio di un nuovo seme di senape geneticamente modificato.
Shiva critica questa nuova spinta verso gli organismi geneticamente modificati, sostenendo che gran parte del processo di editing genico è ancora “pericolosamente imprevedibile” e definendo “ignoranza” pensare che le colture adattate al clima possano provenire solo da laboratori industriali.
“Gli agricoltori hanno già allevato migliaia di semi resistenti al clima e alla salsedine; non sono l’invenzione di poche grandi aziende, a prescindere dai brevetti che rivendicano”.
Per Shiva, la crisi globale dell’agricoltura non sarà risolta dal “cartello dei veleni” né dalla continuazione dell’agricoltura industrializzata che consuma combustibili fossili, ma piuttosto dal ritorno a un’agricoltura locale e su piccola scala, non più dipendente dai prodotti agrochimici. “A livello globale, i sussidi ammontano a 400 miliardi di dollari all’anno per far funzionare un sistema agricolo non redditizio”, afferma.
“Questo sistema alimentare industrializzato e globalizzato sta distruggendo il suolo, sta distruggendo l’acqua e sta generando il 30% dei nostri gas serra. Se vogliamo risolvere la situazione, dobbiamo passare dall’agricoltura industriale a quella ecologica”.
Tuttavia, anche se la sua crociata contro la potenza delle multinazionali chimiche continuerà, Shiva considera il suo lavoro più importante il viaggio nei villaggi indiani, la raccolta e il salvataggio di semi – tra cui 4.000 varietà di riso – la creazione di più di 100 banche dei semi e l’aiuto ai contadini per tornare ai metodi biologici.
“Il lavorodi cui sono più orgogliosa è ascoltare il seme e la sua creatività”, dice. “Sono orgogliosa del fatto che una bugia è una bugia, non importa quanto sia grande il potere che la dice. E sono orgogliosa di non aver mai esitato a dire la verità”.
“La dominante di Firenze è la bellezza, la bellezza in un ordine, in una misura.
[…] Un altro aspetto della bellezza sta nel piccolo e non nel grande, quindi nell’armonia del piccolo.
Una città può riflettere una bellezza addirittura superiore alla bellezza di un viso perché è una bellezza comunitaria, voluta da tutti, condivisa.
[…] La vita comunitaria riflette la vita del cielo nei suoi misteri che non sono solitari”.
Fioretta Mazzei, La mia storia sacra
Il 6 maggio è il Đurđevdan, la festa di San Giorgio che celebrai tanti anni fa in un campo Rom a Brescia, guardando con una certa apprensione un agnello sanguinante brutalmente appeso a un gancio; ed era anche il giorno in cui l’esercito ottomano, surreale composito di cento popoli, partiva ogni anno alla ricerca di nuovi mondi da saccheggiare.
Il sei di maggio di quest’anno, festeggiamo storie fiorentine.
La prima, è il centenario della nascita di Fioretta Mazzei.
La più bella presentazione di Fioretta l’ha fatta Julia Bolton (scorrete la pagina fino a trovare il testo in italiano): Julia, incredibile quanto Fioretta, l’ho raccontata qui. Julia cita Giovanna Carocci:
Una sera d'inverno di pochi anni fa, mi trovavo da lei, con pochissimi altri, nel suo piccolo cucinotto. Saranno state circa le undici di sera. D'un tratto si sente il campanello. Apriamo e sull'uscio della sua casa compare una donna straniera con la sua bambina di due anni per la mano e il pancione di una gravidanza avanzata: non sapeva assolutamente dove andare a dormire, quella notte e le altre che sarebbero seguite. Fioretta, che era sempre di una sconvolgente autenticità, ha un attimo di visibile sbigottimento, poi semplicemente ci dice: " Forza, datemi una mano, troviamo un letto!". La mamma e i due bambini - perché nel frattempo era nato anche l'altro- rimasero mesi in casa sua, finché non trovò per loro una sistemazione adatta alle loro necessità.
Ho una discreta antipatia per le persone canonizzate come santi nelle narrative ufficiali edificanti. Ma Fioretta fu l’esatto contrario: le istituzioni quasi non ne parlano, mentre me ne parlano profondamente colpite, tutte le persone che l’hanno conosciuta dal vivo. Io la conosco solo da loro, sono arrivato a Firenze che era già morta.
Fioretta Mazzei
Incarnava il paradosso fiorentino: della famiglia dei conti Mazzei, viveva nello splendido Palazzo Mazzei, in radicale povertà. E accoglieva in assoluta parità ragazze che al contrario di lei erano nate in una povertà non scelta.
E scopro una dopo l’altra, le ragazze di Fioretta, ormai cresciutelle, ma tutte interessanti.
Fioretta scelse di fare politica, e scelse di farla nella Democrazia Cristiana, in un rione comunista, anche se Beltrando Menestrello Fiorentino (nato il 24 giugno, San Giovanni) ci assicura che quelli non erano comunisti veri.
Grano grano non carbonchiare
è l'ultima sera del carnovale
io ti vengo a illuminare
e il piano è per il poggio
ogni spiga ne faccio un moggio
Infatti in quel rione rosso come la Russia, il parroco si smazzava mille ragazzini alla volta a dottrina, contro la decina oggi che segue al catechismo la splendida Maddalena, pure in tempi in cui il Partito Unico è in mano ai discendenti peggiori della Democrazia Cristiana.
E c’era l’amico di Fioretta, il gigante Don Cuba che si metteva a dormire al Torrino per essere alla pari con chi si prostituiva, e un giorno sfidò vittoriosamente il miglior ciclista comunista del rione a far la corsa da Porta Romana al Galluzzo e ritorno, e alla fine portò la sfida fino alla cima del Kilimangiaro che all’epoca nessuno sapeva nemmeno dove fosse, arrivandoci in moto per celebrare la messa.
E la Ghita Vogel, di antica famiglia ebraica, che ho visto per un attimo poco prima che morisse a 96 anni, e sembrava avere trent’anni in meno.
Come scorre veloce la vitamorte, mi sono sempre promesso da marinaio di andarla a cercare in Via del Drago d'Oro, e poi non c'era più.
Ghita con una conversione profonda, si era liberata di ricchezze sterminate, dedicandosi a diventare la dottoressa dei poveri (se andate al grande parco di Villa Vogel, sappiate chi ringraziare di averlo donato al Comune).
Fioretta, Ghita, Don Cuba, e Giorgio La Pira che li teneva insieme, si possono capire però soltanto in un contesto di fede e di preghiera, che non è il mio. E proprio per questo li rispetto. E’ un po’ la fede che si respira alla Badia Fiorentina.
Fioretta in realtà è nata a settembre, ma facciamo finta di niente e la festeggiamo adesso, che spuntano le gemme sui platani. Diciamo, cent’anni.
Poi proprio dieci anni fa, il sette di maggio del 2013, abbiamo preso in mano proprio il Giardino alle spalle del Carmine che la Fioretta aveva creato.
E un anno fa, il sei di maggio del 2022, è morto l’Ultimo Uomo Antico, che a quel Giardino ci aveva dedicato la vita.
Non solo si ascoltano le chiacchiere fiorentine per strada…
Una signora al mercato che dice a gran voce a un'altra, "hanno trovato un cadavere in un sacco a pelo, e che c... ce ne frega?"
Un toscano archetipico, nasone alla Schlein e capelli ricci, che urla per strada con voce roca,
Bianchi cadaverici avete tutti preso l'acca-i-vi, adesso godetevela!"
Improvvisamente, si sono aperti ovunque varchi, alleanze inattese,
i calcianti nella loro palestra, i racconti sugli usci, la mamma che suona il pianoforte con il figliolo di dieci mesi in fascia e vuole suonare anche lui, il Menestrello Beltrando che dice di essere meglio di Marasco, la maestra in pensione della scuola d’infanzia che alle bimbe ha insegnato le eroesse, la cantante di storie operaie e contadine che è stata maestra di quella che in casa ha il tavolo riportato da quando i tedeschi fecero saltare il ponte alla Carraia, la chitarrista comunista della parrocchia, gli studenti espulsi dall’università perché rifiutavano il Greenpass, la figlia del barista romagnola che ha vinto la borsa di studio alla Bocconi e crea startup, il pittore cresciuto accanto a Padre Pio con la moglie americana alta una spanna più di lui che ha adottato una caterva di figlioli…
Persone che rientrano nel numero di quelle che possiamo guardare in faccia, di cui possiamo riconoscere pregi e difetti, e assieme a cui possiamo costruire il nostro, minuscolo, meraviglioso mondo.
Un mondo fondato sul cogliere la bellezza di tutte le persone e di tutti i luoghi che si conoscono, si intuiscono, convivono davvero.
E allora devo mettere insieme tutti i lavori che riesco a cogliere per campare, con la mia commercialista che anche lei dovrebbe fare così, solo che invece di pensare a far cassa, mi convoca domattina a gratis a tutti e due alle nove di mattina per vedere come sbrogliare un bando per il nostro rione, e ogni tanto si lamenta, come mi lamento anche io, “veramente avrei un’altra vita”.
E sono già stancomorto per la giornata a fare cento cose, ma domattina io, e noi, ci siamo impegnati a farne altre e altre ancora.
Ma sarebbe così semplice, se veniste a trovarci qui dove costruiamo mondi.
Avviene in Canada, un pezzo del lontano mondo anglosassone, tipo Stati Uniti solo che hanno l’Assistenza Medica gratuita.
Diciamo che è una storia del prossimo futuro, l’ultimo spettacolo prima del collasso ambientale. Dove avremo ben altro di cui preoccuparci.
Graham Linehan ha ripreso la storia di Lois Cardinal, giovane canadese.
Lois ha due caratteristiche: è un ragazzo che ha vissuto con disagio la propria adolescenza; e i genitori gli hanno messo in mano uno smarfo.
E quindi ha trovato dallo smarfo (ticchetocche, iutiube, ecc.) la spiegazione del proprio disagio. Era genderdisforico.
A 19 anni, gli operatori di una gender clinic hanno convinto Lois a sottoporsi prima alla castrazione chimica e poi alla mutilazione genitale a spese dello Stato – chiedo scusa all’onorevole Zan,volevo dire che ha potuto accedere alla gender affirming surgery.
Ora, la cosa buffa è che nell’istante stesso in cui Lois ha scoperto la sua Vera Identità di Donna, è saltato tutto:
“Sebbene la domanda iniziale di Lois sia stata respinta, gli operatori sanitari hanno fatto pressione su Lois affinché avesse accesso all’intervento chirurgico e i costi fossero coperti dal governo. Non appena l’anestesia è svanita, Lois si è pentito di aver fatto l’intervento.”
Ma la storia ha un Lieto Fine: esiste sempre una Soluzione Finale, grazie di nuovo al contributo dello Stato.
Lois ha fatto richiesta di accedere al “MAiD in Canada“.
Che è un titolo ganzissimo, perché suona proprio come “Made in Canada“, alla Meloni insomma.
MAiD in Canada sta per “Medical Assistance inDying“.
Il Medico ti aiuta a crepare.
Allora, una mia amica si tuffò dalle trombe delle scale al quinto piano; un altro si impiccò a una trave, e un terzo mi chiamò la sera tardi e poi si scagliò con l’auto da un dirupo nel lago di Garda.
Roba da italiani, invece in Canada arriva il Medico che ti Aiuta.
Ora, se tu sei un canadese, non è che puoi andare dal primo poliziotto e dire, “shoot me please!”
Ci deve essere un motivo serio.
E Loris ha un motivo serio.
Un uomo biologico che vuole mantenere in funzione una “neo-vagina“, ha bisogno di “manutenzione personale e assistenza sanitaria continua.”
Ora, Lois è “una persona delle Prime Nazioni”, e lo specialista che gli hanno assegnato per manutènerlo nel suo stato di “adesso-sono-una-donna” si trova a 5 ore e mezza in auto, che è ragionevolmente troppo per dover pur continuare a vivere.
E Lois dice che ha sentito questo fatto come se fosse stato costretto a partecipare al “genocidio del proprio popolo”.
E in più, Lois ha un altro problema, che non c’entra nulla con il suo corpo: il suo orientamento sessuale. Un ginecologo del lontano Edmonton lo ha appena ridefinito da “omosessuale” ad “assessuale” (da capire bene il concetto di omosessuale riferito a una persona che passa dal sesso A quello B).
Non ho capito bene perché questo gli darebbe un’ulteriore scappatoia per farsi ammazzare, ma tant’è.
Ora, prima di farsi amichevolmente sopprimere, Lois avrebbe il piacere che l’aiutassimo a realizzare un piccolo desiderio.
“Ho sempre voluto volare su un piccolo aereo e godermi il panorama”.
Se volete aiutare Lois, ecco il link (a differenza dell’articolo da cui cito, qui manca però la parte sul volo, che mi sembra l’elemento più bello e l’unico a cui contribuirei volentieri).
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