Alla prima parte
Mi permetto di proporre lunghe citazioni dal libro, Le favole del reincanto, dell’antropologa Stefania Consigliere, perché non ho mai visto esporre in modo così chiaro i punti principali del momento che stiamo vivendo.
Non solo un lontano momento storico, ma proprio la mia vita.
A partire dalle prime parole del libro, che dicono ciò che tutti già sappiamo, anche quando abbiamo troppa paura per dire che le cose stanno così:
È poco più che una constatazione: l’impresa moderna, con la sua narrazione di progresso e felicità per il maggior numero di individui, è fallita. Il mondo intorno a noi è un disastro.”
Noi viviamo il disastro però in uno stato anestetizzato, dove è “scomparso il terriccio della vita comune“:
“L’esperienza triviale della chiamata a un call centre compendia questo sentimento del presente che si estende fino all’intimità, dove disabilità emotiva, stereotipia linguistica e ossessione per il godimento illustrano la miseria dei tempi.”
Mentre chiamiamo il call centre,
“pare che la quantità di calore che il sistema terra sta accumulando sia pari a quello causato dall’esplosione di una decina di bombe atomiche, come quella sganciata su Hiroshima, al secondo.
Tutto questo è noto, ma non ce ne facciamo niente; non ci arriva come un pugno allo stomaco, non lo concepiamo davvero. Se lo facessimo, non potremmo continuare imperterriti nel monumentale spreco energetico che è la nostra vita.”
Viviamo
“la paralisi dell’immaginazione, l’incapacità di guardare oltre le mura della prigione che ci sta soffocando.
Quest’alienazione trasforma il disastro in apocalisse, il venir meno del mondo a cui siamo abituati nella scomparsa di ogni mondo possibile. Somiglia a un sortilegio: molti animali muoiono così, fissando paralizzati i fari del treno che li travolgerà.”
Ma se l’animale che fissa paralizzato i fari del treno non riesce nemmeno a immagarsi un altrimenti, il suo destino è segnato.
Ora, ci possono essere (aggiungo io) almeno due altrimenti.
Il primo è quello di Elon Musk che progetta un mondo che esiste soltanto nella sua testa. E con lui tutti gli esaltati del nanomondo che fantasticano di trascinarci nel loro personale “altrove”.
Ma esiste un altro altrimenti:
La via di fuga da un tempo stregato è qualsiasi cosa non sia il disastro incombente. La paralisi si scioglie a contatto con l’altrimenti.
Non un altrimenti astratto, fumoso o esotico, ma quello assai prossimo di un mondo che continua a esistere fuori dal fascio abbacinante dei fari: l’erba, il terrapieno, la tana, il sentiero, gli alberi, l’ombra del bosco, gli animali sul prato. La foresta è ancora viva.
Quello che cerchiamo è già qui: frammentario, imperfetto, ruvido come le cose reali. Si tratta solo di avvertirne l’esistenza.
E qui, aggiungo io, esiste anche un mondo umano “che continua a esistere fuori dal fascio abbacinante dei fari”, i Calcianti de’ Bianchi, le piccole donne che incontro ogni giorno che non si fanno rubare la vita, Sincero che ha fatto fiorire i giaggioli, la gente che vive i frammenti migliori della vita come se Stato e padroni non fossero ancora stati inventati…
Nei giorni in cui l'Uomo, che non sono io ma è l'apparato militare statunitense se ne andò sulla Luna, Buffy Sainte-Marie cantava le parole del ritorno:
Un antropologo scrisse un libro
lo intitolò “i miti del cielo”
è scomparso, sua moglie è tutta sconvolta
è venuto un angelo a portarselo via
i suoi capelli erano oro, i suoi occhi amore, le sue parole verità,
i suoi occhi erano lapislazzuli
parlava una lingua così primitiva, ma così primitiva
che riuscivo a capirne il senso
A impedire il contatto, la capacità di capire che un altro mondo non solo è possibile ma esiste già da sempre, è l’accusa di superstizione, cioè di non avere
“accesso all’unica vera conoscenza: quella delle leggi di natura rivelate dalla scienza.
Gli altri credono, noi sappiamo.
Cosa succede, però, se l’unica conoscenza vera porta dritti al disastro planetario? Se il sapere diventa paralisi esistenziale? Se i metodi d’indagine richiedono la distruzione dell’oggetto conosciuto e, alla lunga, anche del soggetto conoscente?
Ribadita da tutti i manuali e innestata nel profondo del nostro impianto pulsionale, questa incrollabile presunzione di superiorità è l’enzima che trasforma il disastro in apocalisse.
Le ragioni della nostra supremazia devono essere difese a qualsiasi costo: meglio un uragano scientifico che un rifugio magico; meglio morire che essere come tutti gli altri. Il ridicolo che abbiamo riversato sulla possibilità che esista qualcosa oltre a ciò che vediamo ci paralizza in mezzo ai binari.
La vita è fatta di vita, non di astrazioni.
Oggi c’era G., fotografo e filosofo, figlio di un piccolo paese del Cilento, che da sempre amaodia Firenze. Da un paio di anni, per vari disastri, vive sulle panchine, scherza ironico sul fatto che gli hanno messo un defibrillatore, quando può ruba nei supermercati per vivere e se cercano di fermarlo dice, “paga Nardella!”
Mi insegna un piccolo trucco per far venire meglio le foto.
E cerco di inquadrare meglio il Giglio, il Giaggiolo, che ci hanno regalato quelli del Giardino dell’Iris, e che Sincero ha fatto crescere, e che ora noi dovremo preservare.