Il cemento e il ghiro

Sogno.

Sono in una grotta, ampia e misteriosamente illuminata da dentro.

La perfezione con cui disegniamo i nostri sogni è davvero straordinaria, ognuno di noi, in sogno, supera i grandi artisti del mondo della veglia.

Ogni sogno ha una trama, ricca come un’opera teatrale, e il mio ha una trama coinvolgente, che non mi ricordo e che non importa, proprio come le cose cui diamo importanza nella veglia.

Di tanto in tanto, do un’occhiata all’unica, stretta uscita della grotta.

Ogni volta, si restringe, e l’ultima volta la trovo interamente tappata con una colata di cemento.

Provo con le unghie a smuovere il cemento, ma non la intacco.

E in quel momento, mi trovo nella situazione di tutti noi: in un luogo splendidamente illuminato, dove c’è una trama avvincente che nemmeno mi ricordo. Un Occidente, per capirci.

Solo che io so che la luce è puramente artificiale e che ogni respiro che faccio, mi avvicina alla morte per soffocamento. E’ il fatto stesso di respirare per vivere, che mi condanna a morire.

Tre giorni dopo, sono tra i monti, nel paese che non c’è.

Romano, che ha ottanta-e-pass’anni e parla una lingua che nelle sue mille sfumature, morirà con lui – e non ho il coraggio di puntargli una telecamera in faccia per salvarla – mi racconta della Conversa dove la sera senza luci stavan su a raccontarsi storie e a parlar male del Duce che portava i loro figli a morire in luoghi che nessuno di loro conosceva,

e qualche anno dopo erano alla Conversa ad ascoltare il Bugiardo – che era la RAI – e poi ad ascoltare gracchiante la Trombetta, che era il suono con cui si annunciava Radio Praga e l’altro mondo che nel loro sogno di contadini si sarebbe liberato dai Padroni…

Romano nella Conversa ha trovato poco tempo fa un buco tra i sassi, e dentro c’era una cucciolata di ghiri.

Una volta ho visto una madre ghiro terrorizzata, sospesa sulla trave di un’antica casa, che non si decideva di sfuggirmi, perché sapeva che il suo piccolo era da qualche parte e rischiava, come ogni vivente, la morte

Sieeh.. i ghiri ti faranno pure tenerezza, ma mangiano tutto ciò che con la fatica di mesi hai messo da parte, annusano persino la lana nei nostri materassi antichi, se ne senti i piccoli passi nella notte, c’è da avere paura per tutto ciò che gli umani hanno costruito con straordinaria fatica.

E allora Romano ha sigillato con il cemento la loro grotta, con loro dentro.

Penso al mio sogno: esattamente quello che dovevano aver vissuto in quel momento i ghiri.

Mentre sento il mio ultimo respiro che esce, aggiunge:

“Ma il giorno dopo, ho visto che avevano fatto un buco nel cemento, erano scappati!

Stanotte, proprio come Romano, ho condannato a morte tre grosse lumache, che si erano insinuate in quella che ho deciso è la casa mia e non la loro.

Quando San Pietro me lo chiederà, spero di avere il coraggio di dirlo.

Sì, sapevo quello che facevo, sapevo che moriranno disseccate, affamate e bollite sotto il sole di agosto.

Come moriremo tutti, se vi consola.

Pubblicato in ambiente, esperienze di Miguel Martinez, Firenze, mundus imaginalis | Contrassegnato , , , , , | 2 commenti

“Offriamo i prezzi flessibili, trasparenti e competitivi nel mercato della prestazione di servizi della medicina riproduttiva

Ieri un commentatore ha segnalato un interessante sito di smerciauteri, la CMC-Canadian Medical Care Inc., con sede a Toronto.

Il sito si presenta così:

Offerte speciali… sconti… prezzi

Insomma, non perdono tempo con la fuffa dei diritti LGBTSPQR. Infatti, devono comunicare con la crema dell’imprenditoria occidentale. In massima parte, ricordiamo, eterossesuale, la questione dell’utero in affitto non coincide per nulla con le questioni riguardanti chi prova attrazione per persone del proprio sesso.

Non devono avere pagato molto il traduttore in italiano, che ha uno stile diciamo ruspante – per questo faccio un link alle pagine come erano all’11 di agosto di quest’anno, sperando con non passino troppo presto con una nuova revisione.

Cominciamo con il link ad our team:

“Ognuno di noi è convinto che non ci siano situazioni senza speranza e qualsiasi problema può essere risolto. Qualunque cosa accada, arriveremo a un compromesso e troveremo una via d’uscita da qualsiasi situazione, anche la più difficile.

Ogni cliente è importante per noi!”

Passiamo alle offerte speciali:

“2. Rimborsamento del 100% delle somme versate in caso di non verificarsi della gravidanza entro i 12 mesi nei programmi con la donatrice di ovuli  e con la conferma della fertilità del padre.

3. Siamo lieti di collaborare con Voi. Se consigliate i nostri servizi agli amici e loro diventeranno i nostri clienti, saremo lieti di offrirvi un premio di 1000 euro.”

Poi arriva la Collaborazione, che a quanto pare è con i medici che vogliono arrotondare lo stipendio:

“Sicuramente, tra i vostri pazienti, clienti, conoscenti, ci sono le coppie e le persone single che da lungo tempo lottato senza successo con l’infertilità […]. Gli specialisti di Canadian Medical Care hanno le conoscenze necessarie, le più moderne attrezzature e l’esperienza sufficiente per aiutare a risolvere questo problema doloroso. Inoltre, vi compenseremo generosamente e con gratitudine le vostre buone raccomandazioni.”

Perché scegliere proprio questa ditta canadese, chiedono al cliente italiano o cinese?

L’Agenzia dispone di una base ampia e costantemente aggiornata di potenziali madri surrogate e donatrici di ovociti che hanno passato gli esami medici e psicologici. Ciò ridurrà al minimo il tempo d’attesa e permetterà di accedere più velocemente al programma di maternità surrogata.

Offriamo i prezzi flessibili, trasparenti e competitivi nel mercato della prestazione di servizi della medicina riproduttiva.

Avrete l’opportunità di prendere in considerazione il vostro “interesse” durante la formazione del valore del contratto e includerlo nella somma totale.

Siamo pronti a fornire uno sconto per i vostri clienti (pazienti, conoscenti) nei limiti dell’importo della vostra commissione, ciò potrà essere un serio sollievo finanziario durante la pianificazione del budget per il programma di maternità surrogata.”

Siccome la putiara vole i piccioli, arriviamo ai prezzi (“costo della maternità surrogata commerciale”):

Ora, state per dare 100 e passa mila euro a un’impresa canadese da remoto, e vi chiedete giustamente, “e se l’utero della disoccupata ucraina non funziona?“:

“Cosa succede se la gravidanza non si verifica? Dobbiamo di nuovo saldare il costo totale del programma?

Continuiamo i tentativi del trasferimento embrionale nel¬l’utero della madre surrogata senza nessun prezzo aggiuntivo fin¬ché abbiamo gli embrio¬ni crioconservati. Se due tentativi con la stessa madre surrogata non hanno portato ad un esito positivo avete tutto il diritto di sostituirla.”

Ecco, abbiamo il Diritto di Sostituirla.

La pagina dei prezzi è leggermente cambiata rispetto all’ultimo salvataggio su Archive.org, per cui vi trascrivo alcune dei brani più interessanti:

“I nostri servizi con prezzi fissi ci permette di regolare meglio il processo di interazione con clienti e semplifica la pianificazione delle spese. Sono interessati nella successo della operazione e garantiamo un ritorno di soldi per famiglie in caso di maternità non riuscita entro 30 mesi. Copriamo anche i costi di trasferimento verso i paesi prescelti. Tutto ciò dimostra la nostra determinazione a realizzare l’obiettivo primario di assistire a creare una nuova famiglia felice.”

Una divagazione geografica:

“C’è un altro paeso, dove molti clienti possono richiedere i servizi per avere proprio ragazzino, L’Albania. Questo servizio è disponibile anche per i single.”

Va notato che non с’è una legislazione ufficiale formata su gli servizi di madre surrogata, ma i servizi stessi abbiano luogo. Il prezzo è relativamente basso e l’accessibilità a tutti i clienti rendono questo paese popolare. Inoltre, FIVET non avviene nell’ Albania, ma nei paesi confinanti e questa procedura richiederà un trasferimento separato.”

Poi arriva un brano di pura poesia:

L’Albania è scelta magnifica per la sua accessibilità, flessibilità e prezzi bassi. Eppure, le autorità del paese forniscono solamente certificato di nascita con la postilla dell’Aia, quindi l’adozione dovrà avvenire nel proprio paese. L’Albania è diventata comò anche una alternativa effettiva alla Russia, dove i servizi sono indisponibili”

Ma colpisce particolarmente la pagina intitolata, senza troppi giri di parole, utero in affitto:

“In passato, questo problema ha avuto molti problemi legali, a causa della mancanza di specifiche delle regole per l’affitto di un utero. Tuttavia, oggi la situazione è completamente diversa. Il processo di affitto dell’utero è regolato e svolto secondo chiare regole legislative.”

In caso abbiate dubbi sulle affittatrici, ci pensa CMC a stroncarle in tribunale, che al punto sei promette di

“6. Fissare il prezzo finale per il servizio di noleggio dell’utero. Firma di un contratto in presenza di un notaio presso l’ufficio Gust life di Barcellona o firma di un contratto da remoto.”

“Gust Life” pare che sia “GestLife”, che presumiamo abbia una schiera di avvocati in grado di rimettere al posto suo qualunque signora ucraina scassaballe. Anche “da remoto”.

Il team, che qui si parla in anglobale:

“Il nostro team è composto da più di 40 donatori di utero professionali di età compresa tra 22 e 36 anni con caratteristiche individuali. Canadian Medical Care conduce un processo approfondito di raccolta di informazioni sulla salute del donatore per assicurarsi che il candidato alla maternità surrogata sia adatto alla soluzione.”

Ora, immaginiamo che le professioniste in questione siano donatrici piuttosto che donatori, ma evidentemente le embrionofore sono più brave dei traduttori.

E qui un colpetto di ideologia, dove si dipinge un Mondo Più Bello e Inclusivo:

“La condanna della maternità surrogata viene da gruppi femministi che confrontano tale lavoro con la vendita del proprio corpo per uno scopo egoistico.

Sebbene l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia riconosciuto la maternità surrogata come una soluzione moderna e solida al problema delle persone con infertilità.

È chiaro che una donna non è qualcosa che può essere affittato, come il suo utero, le donne incinte sono donne che non rinunciano al loro utero, ma piuttosto alla loro capacità di rimanere incinta per le persone che vogliono iniziare la propria famiglia. I sostenitori di questo metodo di medicina stanno cercando di introdurre questa filosofia alle masse mondiali e sollecitano la popolazione a riconoscere questo metodo come ottimale in tali situazioni e non andare oltre i valori morali.”

Non ho capito, ma comunque mettono in guardia gli acquirenti:

“È importante notare che i geni della madre surrogata vengono trasmessi anche al bambino. Per questo motivo, esiste la possibilità di malattie genetiche nel bambino. Sempre prima di affittare un utero, il medico controlla attentamente la salute e le condizioni fisiologiche della utero in affitto per assicurarsi che la madre surrogata sia fisicamente e mentalmente pronta per la gravidanza.”

E tutti i dubbi si sciolgono con un paragone che vale oro:

“La maternità surrogata è in gran parte illegale in Europa. Una risoluzione del Parlamento europeo adottata nel 2015 afferma che questa pratica mina la dignità delle donne utilizzando il corpo riproduttivo come merce, che è una forma di violenza contro le donne.

Tali rapporti mettono in discussione i motivi delle donne di essere una madre surrogata. Gli oppositori dicono che la componente finanziaria del pagamento per la gravidanza nega qualsiasi senso di altruismo concomitante. Ma nessuno mette in dubbio un soldato per essere un patriota e voler essere pagato. Entrambi possono essere motivi veri e ben fondati.”

E’ un capolavoro, direi.

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Utero in affitto, destre e colonialismo

Riprendiamo dal sito Il pungolo rosso. Mi sembra che l’autrice abbia colto dei punti fondamentali, che poi esprime, certo, in un linguaggio che può non essere di tutti.

Contro la pratica crudele e neo-colonialista dell’utero in affitto, e contro l’oscena demagogia delle destre a riguardo

In questi giorni si è fatto un baccano osceno, da entrambi i lati del mondo parlamentare, le destre e le cosiddette sinistre, intorno all’”utero in affitto”. Per noi, ferma restando la necessità di tutelare l’esistenza e i diritti dei figli di coppie omogenitoriali; ferma restando l’opposizione alle discriminazioni che una certa destra vorrebbe introdurre ai loro danni (simili a quelle che un tempo colpivano i “figli naturali”, nati fuori dal matrimonio) – un’opposizione che per noi ha un carattere di principio; fermo restando tutto ciò, resta altrettanto fermo che la pratica dell’utero in affitto è una pratica da criticare e respingere senza se e senza ma in quanto, oltre ad esprimere una visione distorta della genitorialità, ha un carattere mercantile e colonialista.

Lo spiegano bene le pagine che qui riproduciamo (24-27) dell’opuscolo “La posta in gioco” (a cura di Paola Tonello), che inquadrano questo fenomeno in espansione nella più vasta casistica delle diverse forme di messa sul mercato e di “appropriazione sociale del corpo delle donne” in fatto di riproduzione, forme che di sociale non hanno nulla, e nel contesto della crisi della riproduzione della vita che caratterizza un po’ tutti i paesi europei, l’Italia tra i primi. Pagine che mettono nel loro mirino anche, doverosamente, la “scienza medica” e Big Pharma.

La nostra impostazione in materia è agli antipodi di quella delle destre al governo, che usano questo tema per riaffermare la loro concezione di sacralità e unicità della famiglia gerarchica, patriarcale e il più possibile bianco-ariana, accompagnandola con l’ipocrita motivazione del “bene dei figli”, mentre qualunque studio un minimo serio della situazione attuale deve registrare la esistenza di una molteplicità di forme di famiglia e di convivenza, e laddove nulla c’è da rimpiangere della vecchia famiglia gerarchica e patriarcale. Chi per caso avesse dei dubbi sull’antiteticità tra la nostra posizione e quella delle destre solo per via dell’apparente assonanza sul no all’utero in affitto, legga queste pagine; se non le condivide, ci spieghi perché a com.internazionalista@gmail.com. A questo stesso indirizzo può essere anche richiesto l’opuscolo.

L’appropriazione sociale del corpo delle donne

Lo sviluppo del capitale e le lotte delle donne hanno mutato almeno in parte la condizione della famiglia in Occidente: essa non è più solo il luogo di riproduzione degli esseri umani, incoraggiata a parole (per fronteggiare l’invasione degli alieni extracomunitari), e resa improba nei fatti, dati i continui tagli al welfare e alle strutture sociali di sostegno, ma anche un luogo di mancata riproduzione della vita. Le devastazioni ambientali, l’inquinamento del contesto generale in cui si vive, l’assenza di sicurezza del futuro, la mancanza di una rete solidale, lo stress di una vita convulsa hanno da un lato scoraggiato o procrastinato la maternità, dall’altro aumentato esponenzialmente l’infertilità delle coppie, proprio quando l’atrofia della vita sociale spinge molte donne e molte coppie a vedere come scopo fondamentale della propria vita la nascita di un figlio.

Ci battiamo per un movimento che abbia a cuore il desiderio di procreare e denunci come esso sia reso vano dalle difficoltà sociali e ambientali che ne impediscono la realizzazione o sia soddisfatto a prezzo di molte rinunce in un contesto di solitudine e di fatica per le donne. Di fronte a milioni di bambini abbandonati nel mondo, l’adozione è resa sempre più difficile e costosa e al tempo stesso si esaspera il valore della genitorialità biologica, a spese del senso di maternità e genitorialità sociale secondo la quale gli adulti si dovrebbero far carico della cura dei piccoli indipendentemente dai geni che questi portano in corpo. La dimensione individuale o di coppia nella genitorialità deve accompagnarsi ad un senso di responsabilità sociale rispetto ai piccoli, cosa che è scoraggiata e ostacolata.

Il capitalismo ha fiutato da tempo l’affare e gli ampi spazi di guadagno offerti dal soddisfacimento del desiderio di avere dei figli da poter considerare “propri”.

Un’ennesima violenza viene perpetrata sul corpo delle donne, che viene vivisezionato per asportarne le parti “utili” per ogni sorta di esperimenti genetici, per ricreare l’incontro di ovuli e spermatozoi al di fuori dei rapporti umani e dell’ambiente naturale in cui sono destinati ad incontrarsi. Il commercio e la vendita di questi “prodotti” è ormai un business internazionale, con prezzari e contratti più o meno legali che lo regolano. È di questi mesi la notizia del commercio di migliaia di ovuli provenienti dalla Spagna, che sono stati “rimborsati” alle produttrici 1.000 euro l’uno, euro più euro meno… mentre i prezzi dei luoghi da cui provengono la stragrande maggioranza di questi prodotti tra cui le 3.000 cliniche indiane che si dedicano a questo commercio, sono di gran lunga inferiori. È quasi ovvio notare che molto spesso chi è disposto a vendere la propria capacità generativa (la donazione è un eufemismo) vive o sopravvive per lo più nei paesi poveri del Sud del mondo (quelli stessi in cui la sterilizzazione veniva pagata con un sacco di riso e un sari), e chi paga fa parte delle classi agiate del Nord del mondo. E chi ci guadagna, manco a dirlo, sono le multinazionali della Big Pharma, e le organizzazioni che hanno fatto di questo enorme giro di affari la fonte della loro ricchezza.

Al fondo di questo attivismo scientifico l’obiettivo di mettere un neonato tra le braccia degli aspiranti genitori è sempre più secondario. Gli esperimenti scientifici di genetica che ne stanno alla base vanno direttamente nella direzione dell’eugenetica, nella creazione cioè di bambini su misura, con caratteristiche che rispondano ai gusti dei committenti e il cui prezzo varia a seconda della qualità del prodotto. Molte coppie che ricorrono all’utero in affitto lo fanno non perché sterili ma per poter avere un figlio senza l’impegno e il fastidio della gravidanza, o, se single, senza l’ingombro di un coniuge. Si sentono più garantiti dalla fecondazione in laboratorio, pensando che in questo modo il bambino sarà più sano e controllato da ancor prima di venire concepito. Non è possibile affrontare qui un complesso discorso sulla scienza e sulla naturalità della funzione riproduttiva delle donne (una scienza che è sostenuta e finanziata nella misura in cui serve al capitale, tenendo conto però che al capitale serve anche, in una data misura, una popolazione mondiale sufficientemente sana in grado di essere sfruttata e di produrre profitti). Per colpa degli umani, ma non sempre, la natura fa anche dei brutti scherzi, e l’essere umano non è comunque destinato ad essere eternamente giovane e in salute. La scienza avrebbe dunque un notevole lavoro da svolgere se fosse messa veramente al servizio esclusivo del benessere dell’umanità. C’è da diffidare della contrapposizione scienza/natura, anche se è evidente come oggi la scienza sia lontanissima dal compito di favorire un rapporto integrato degli esseri umani con la natura stessa. La natura va ascoltata, l’essere umano va ricondotto alla conoscenza delle leggi basilari che governano la vita sulla terra.

Non c’è dubbio che è in atto un tentativo di sottrarre alle donne il controllo sulla loro funzione riproduttiva anche da parte della scienza medica e degli interessi ad essa collegati. Questa sottrazione raggiunge il suo apice nelle ricerche relative all’utero artificiale e al trapianto dell’utero, ma per ora si deve accontentare della medicalizzazione della fecondazione, della gravidanza e del parto e dell’estensione della pratica dell’utero in affitto. Al di là delle intenzioni, e del “libero consenso” con cui viene presentata, la realtà di questa pratica sottende uno spasmodico bisogno di poter rivendicare come “proprio” il bambino di cui ci si vuole occupare. Nel cosiddetto “consenso” con cui viene avallato vi è insita anche una forma di crudeltà mentale e fisica nei confronti della donna gestante e partoriente, costretta ad alienare il neonato che ha cresciuto dentro di sé per nove mesi, a conformare il proprio comportamento durante la gravidanza a regole stabilite dal contratto di gestazione per altri e a dare a tutto ciò un valore monetario, a cui corrisponde la rinuncia totale di qualunque rapporto umano col nascituro, che dovrebbe essere la naturale conseguenza della gestazione e della messa al modo. Nessuna parte del corpo delle donne può essere oggetto di mercato né a fini pseudo-scientifici né a fini pseudo-umanitari, speculando sui desideri delle donne e delle coppie come avviene attualmente con una chiara connotazione di classe e neocolonialista.

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Cantiamo l’Ossuta, la Secca

Visto che siamo in tema di Messico

sicuramente saprete che in quel paese, qualcosa come dieci o forse venti milioni di persone (certamente diverse volte il numero dei cattolici praticanti in Italia) adorano l’Ossuta, la Niña Bonita, la Secca, la Dama Poderosa, cioè Santa Muerte.

Che poi è l’ultimo stadio nella messicanizzazione del cristianesimo, dai tempi dei pittori di Tlaxcala che impararono dai maestri fiamminghi e crearono un barocco del tutto nuovo, alle offerte delle sigarette ai santi, ai Cristeros che per anni resistettero allo Stato che faceva la guerra eterna e vana al México profundo.

La Santa Muerte si manifesta con uno spirito di Vitamorte che ha saputo dipingere un crocifisso tutto colorato che noi si aveva in casa quando ero piccolo, con il teschio di Adamo ai piedi di Gesù; con i colori di milioni di artisti che erano anche contadini.

Un altare della Santa Muerte

In fondo, non siamo tanto lontani dall’Antica Grecia, anche se mescolato al peggio degli Stati Uniti che si insinuano con la più tremenda violenza che la storia abbia mai conosciuto.

La Santa Muerte, è la Signora, Ama in spagnolo, di tutti coloro che sanno che la vita è breve – le ragazze contadine che stanno per partorire per la prima volta, come il ragazzo che sta per attraversare per la prima volta la frontiera maledetta con un carico di cocaina, e non sa se ritornerà in un cajón de muerto.

Ma siccome siete in vacanza (io no), volevo condividere con voi un inno alla Santa Muerte. L’autore non è messicano, è colombiano, si chiama Camilo Valencia, ed è l’unico cantautore che io conosca a cantare quasi esclusivamente il suo affetto per i cani.

Da gattaro, non mi esprimo, ma il suo Inno alla Santa Muerte è un capolavoro, degno degli inni omerici.

Mi fa piacere che il cantautore abbia deciso di mettere nel “video ufficiale” immagini barocche che mi ricordano Luca Giordano, e altre di quel mondo inglese che intuì l’orrore che incombeva, e i semi di resistenza possibile.

E poi altre immagini ancora, che nascono dal mondo virtuale in cui siamo immersi, ma non sono mai fuori luogo.

Voi che guardate i teschi disegnati nelle immagini, per me i teschi sono quelli che vidi una volta negli scavi in periferia di Roma...
stavano sbucaltando un terreno per farvi dei palazzi, e gli archeologi lavoravano veloci per studiare ciò che si stava per distruggere. 
E c'era un teschio all'uscita di una piccola galleria, che era così antico, che Romolo non aveva ancora ucciso il fratello, e mi guardava dritto dritto negli occhi.
Voi che guardate i teschi disegnati nelle immagini, per me i teschi sono quelli che vidi una volta negli scavi nel centro di Firenze... 
stavano sbucaltando Piazza del Carmine, per farci i bidoni dei rifiuti, e gli archeologi lavoravano veloci per studiare ciò che si stava per distruggere. 
E c'erano tanti teschi e tibie e costole, così antichi che non sapevano ancora che tra qualche anno, sarebbe nato un bimbo di nome Dante.
Fecero un cartello per dire che dove butto il sudicio, c'erano dei  mortivivi, ma i movidari lo sfasciarono, e oggi c'è solo lo scheletro di ferro di un cartello che parlava di scheletri di vivi.

“La mia anima ti chiama, dolce avvocata grande imperatrice dell’oscura dimora
tenebre nefaste dopo il vivere. Sola nel tuo letto eterno
Osservi il gelo che è il cuore di questi
umani ingrati che ti rifiutano per volgare paura
Sei nella notte e nel giorno l’eterno sorriso della nostra esistenza
Morte cara morte mostrami nella tua ombra come devo vivere
Signora creata eterna e immortale come una galassia che non ha fine
Eppure ascolti pazientemente il desiderio che qualcuno viene a chiederti
Io sono una goccia nel mare nel sogno dello stesso Dio che ci ha creati
Hai un rispetto infinito dal cielo all’inferno e a tutto il creato
Tu sei nella notte e nel giorno l’eterno sorriso della nostra esistenza
Morte cara morte mostrami alla tua ombra come vivere (bis)
Se sei nella notte e nel giorno l’eterno sorriso della nostra esistenza
Morte cara morte mostrami nella tua ombra come vivere (bis)

A ti te llaman mi alma mi dulce abogada gran emperatriz de la oscura
Morada tiniebla nefasta después del vivir sola en tu lecho eterno
Observa el hielo que es el corazón de estos
Humanos ingratos que te rechazamos por grosero temor
Si eres en noche y en día la eterna sonrisa de nuestro existir
Muerte muerte querida muéstrame en tu sombra como eh de vivir (bis)
Ama creada eterna y inmortal cual galaxia que no tiene fin
Y aun así escuchas paciente el deseo que alguien te venga a pedir
Soy una gota en el mar en el sueño del mismo Dios que nos creo y
Tenéis el respeto infinito del cielo al infierno y toda la creación
Si eres en noche y dia la eterna sonrisa de nuestro existir
Muerte muerte querida muéstrame en tu sombra como eh de vivir (bis)
Si eres en noche y en dia la eterna sonrisa de nuestro existir
Muerte muerte querida muéstrame en tu sombra como eh de vivir (bis)”

Qui potete ascoltare l’originale, avendo messo, si spera tutti gli adblock del caso.

Pubblicato in esperienze di Miguel Martinez, Messico, mundus imaginalis, resistere sul territorio, USA | Contrassegnato , , , , , , | 10 commenti

Come nasce uno Stato

Il Messico, nella sua incredibile varietà, è un luogo affascinante per capire i processi che viviamo tutti.

Il Cártel del Golfo o CDG opera da oltre novant’anni nel campo del commercio internazionale – iniziarono rifornendo gli statunitensi assetati di alcol durante il proibizionismo, e continuano oggi aiutando gli statunitensi alla ricerca della cocaina.

Un po’ come fecero gli inglesi, venendo umanitariamente incontro alla domanda degli oppiomani cinesi un secolo prima.

Ogni frontiera crea un pieno da una parte, e un vuoto dall’altra.

In Egitto, mi sono trovato a importare tre bottiglie di whisky, solo ufficialmente per “consumo personale”. Cosa legale per uno straniero, ma che rivela un pieno “occidentale” e a un vuoto “orientale”.

Se avessi voluto importare trecento bottiglie, avrei guadagnato una fortuna; ma avrei anche rischiato pesantemente: mi ricordo come una gentilissima assistente di volo ti porge, mezz’ora prima dell’arrivo a Singapore, un foglietto in cui ti chiedono se hai qualcosa da dichiarare e ti ricordano che per l’importazione di sostanze stupefacenti, c’è la pena di morte. Un grammo di hashish e via.

Avete presenti gli italiani che non sanno tenere una matita in mano ma ti dicono di essere compatrioti di Leonardo? A Singapore, tutti mi hanno fatto una testa così con il vanto nazionale, che era la severità delle pene: in un sondaggio, il 95% esaltava la pena di morte. 

Le frontiere selezionano un tipo di umanità eccezionale, che è esattamente quella che il limes romano selezionò tra il secondo e il quinto secolo dell’era cristiana.

Cioè uomini (ho un amico irlandese che sostiene di aver avuto la bisnonna pirata, ma di solito sono uomini) che sognano di diventare molto ricchi, ma rischiando di morire molto giovani.

Non siamo in tanti a mettere la paura di morire al secondo posto, e questo già opera una fortissima selezione: gli Stati Esistenti, quelli che creano le frontiere, tendono a selezionare al contrario persone che mettono la propria sopravvivenza, anzi la propria accettabilità sociale, al di sopra di tutto.

Ecco perché in Messico si trova in prima linea un’umanità inimmaginabile in Italia, di Frontalieri (ma immagino comunissima in Libia oggi): non a caso forse, i frontalieri sono tali anche etnicamente – se guardate le foto dei capi dei narcos, non sono quasi mai indios.

I frontalieri devono creare legami con altri uomini come loro.

Non è un rapporto facile: gli uomini come loro possono saltare loro alla gola in qualunque momento.

Per questo, il Capo deve basarsi su terrore e amore, che è una polarità fondamentale dell’esistenza di noi tutti.

Il terrore deve essere tale da spaventare persino chi non ha paura di morire.

Quindi deve essere un terrore assoluto, che supera l’immaginazione delle stesse persone che deve terrorizzare. Lo Stato Esistente si fonda sulla propria impersonalità e ineluttabilità: il burocrate dell’Agenzia delle Entrate, pauroso come un coniglio, ci metterà vent’anni, ma prima o poi troverà l’errore nella dichiarazione dei redditi e te lo farà pagare, contando sul fatto che nessuno gli righerai mai nemmeno la carrozziera dell’auto.

Il Frontaliero non può contare sull’impersonalità, non può pagare funzionari anonimi per perseguitarti per due decenni, non può costruire carceri dove garantisce di nutrire le sue vittime ogni santo giorno fino a fine pena mai.

Il Frontaliero deve quindi instillare il terrore con mutilazioni e torture e massacri.

E lo deve fare in maniera pubblica – le esecuzioni in piazza di un tempo vengono sostituite con i video dei narcos dei nostri tempi (mi ricordo di uno in cui una ragazza, viva e cosciente, viene lentamente smembrata).

Inutile moraleggiare: un Frontaliero mite è un Frontaliero morto.

Ma il Frontaliero deve anche giocare con l’amore. Ispirare in chi condivide con lui la scelta della morte, uno spirito di fiducia.

Gli uomini che lo seguono devono sapere che il Frontaliero è disposto a morire non solo per se stesso, ma anche per loro.

Il suo Potere è proporzionale al Terrore che sa ispirare; ma lo è anche all’Amore che sa ispirare. E quell’amore deve essere credibile fino al punto di diventare autentico: la generosità del Capo deve essere totale, fino alla donazione della stessa sua vita. E infatti, il Capo sa che molto presto verrà ucciso, o – peggio – verrà rapito da qualche agente statunitense e rinchiuso in un carcere a vita. E quindi trasforma naturalmente questo suo destino in un sacrificio umano.

E in questa impersonalità, il Frontaliero già sta fondando un nuovo Stato. Cioè un nuovo ente immaginario, un idolo che si distacca dai propri fondatori, diventando astrazione: non è più il Capo che compie il sacrificio umano, è lo Stato.

Come è successo in tutta la storia umana.

Alcuni mesi fa, l’esercito messicano scoprì il “regolamento XIX” degli Scorpioni del Cártel del Golfo, pochi paragrafi che con una certa tenerezza fanno capire come nasce uno Stato.

La stampa messicana ha sottolineato il fatto che pezzi interi del testo sono stati ricopiati da documenti dell’esercito messicano: ma proprio questo sottolinea come lo Stato Esistente e quello Nascente siano in fondo la stessa cosa.

Ecco a voi il Regolamento XIX, in tutta la sua nascente impersonalità:

I. La disciplina deve essere rigida, ferma e ragionata da parte di un superiore nei confronti di subordinati e controparti.
II. Il principio della disciplina è il dovere e l’obbedienza; è nobile comandare come obbedire, e chi sa obbedire comanderà meglio.
III. Gli ordini devono essere eseguiti con precisione e intelligenza, senza ritardi o brontolii. Si possono chiedere chiarimenti solo quando appaiono poco chiari.
IV. Gli ordini devono essere impartiti dai superiori in conformità ai codici organizzativi e alla subordinazione mantenuta tra i gradi o le commissioni.
V. È vietato parlare male dei propri superiori; in caso di lamentele, queste devono essere portate a conoscenza di chi può porvi rimedio e non si deve dare il cattivo esempio con le maldicenze.
VI. Esiste una subordinazione tra membri dello stesso grado o della stessa gerarchia, purché abbiano un incarico di comando.
VII. Tutti i membri del comando devono conoscere i propri subordinati, il loro background, la loro mentalità, le loro qualità e i loro difetti, oltre ad avere un inventario del personale, delle attrezzature e delle risorse a loro disposizione.
VIII. Ogni membro deve eseguire e far rispettare gli ordini impartiti dal comando e accettare con dignità materiale e morale.
IX. Devono rimanere sempre puliti, vestiti correttamente in abiti civili o in uniforme e mantenere i loro abiti in perfette condizioni, astenersi dal parlare in modo inappropriato o con codici in luoghi pubblici o richiamare l’attenzione su di sé, poiché tutti i membri rappresentano il cartello e devono mettere al primo posto gli obiettivi dell’organizzazione.

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La grande trappola

Ieri sera, sul treno, apro un libretto, pubblicato da una piccola casa editrice anarchica, leggo due pagine e improvvisamente mi diventa chiaro ciò che stavo cercando di formulare da qualche anno.

Vi dico dopo il titolo del libretto, salto subito alla conclusione.

Esistono imprese che hanno trilioni da investire nello sbucaltamento del mondo, allo scopo di guadagnare ancora più trilioni. I trilioni devono essere sempre di più, e quindi il processo comporta un’inevitabile accelerazione costante.

Esistono apparati statali che (ad esempio) costruiscono le autostrade su cui passano i camion degli sbucaltatori. E mettono in carcere chi ne volesse impedire la costruzione.

Esistono media e università che da un secolo e mezzo decantano ed esaltano tutto questo come progresso e crescita.

Estrarre a velocità crescente le risorse di un pianeta dalle risorse limitate; trasformare queste risorse sempre più velocemente in prodotti, che diventano sempre più velocemente rifiuti, non può che portare velocemente alla catastrofe.

Questa è una cosa che sa da decenni la piccola schiera degli ambientalisti.

Poi a un certo punto l’ovvio è stato capito anche da chi veniva pagato per consigliare gli investitori.

I quali da qualche anno hanno capito che anche la catastrofe che loro stessi hanno creato può essere un investimento.

Durante la guerra Iran-Iraq, ci sono stati degli italiani che si sono arricchiti vendendo missili a entrambi i contendenti. E ci sono stati italiani che si sono arricchiti vendendo sistemi anti-missile a entrambi i contendenti. E conosco uno che ha venduto un milione di stampelle al sistema sanitario iracheno, perché anche gli investiti possono essere un investimento.

Così da qualche anno, invece di nascondere la catastrofe imminente (come avevano fatto per decenni), l’hanno impacchettata e imposta sotto il nome di crisi climatica.

Perché per la crisi climatica hanno inventato il rimedio, la transizione ecologica.

Ora, il termine crisi climatica permette di focalizzare tutto su un unico sintomo, il riscaldamento globale. Dovuto a un’unica causa, l’aumentata concentrazione di CO2 nell’atmosfera.

Risolvibile quindi con un immenso investimento: trilioni per il rinnovamento totale del parco auto del mondo, la ricostruzione degli edifici, l’invenzioni di cibi sintetici e soprattutto il controllo digitale di ogni centimetro del pianeta, con un contorno decorativo di pale eoliche e un lucroso traffico nelle nuove indulgenze, i carbon credit.

E con ogni probabilità, alla fine innalzeranno un tecnosistema di solar radiation management (geoingegneria) per oscurare i cieli e vedere l’effetto che fa.

I soldi per un arricchimento di questa portata, alla fine, possono venire solo dallo Stato, direttamente o tramite imposizioni ai cittadini.

Per convincere i cittadini a pagare, il complesso impresa/stato/media promuove il nuovo grande investimento, con gli stessi mezzi con cui si è sempre promosso quell’altro grande investimento, che sono le guerre: suscitando le Passioni e instaurando l’Emergenza.

Ora, sia ben chiaro: tutto questo si aggiungerà semplicemente allo sbucaltamento in corso.

Continueranno a estrarre petrolio come e più di prima, ma i campi da cui prendevamo il cibo diventeranno colture di biocarburanti.

Ricordiamo che l'Unione Europea ogni anno spende 17 miliardi di soldi nostri per pagare gli italiani per distruggere i propri boschi che faticano a rinascere e trasformarli ecosostenibilmente in "biomasse".

Quindi non servirà minimamente a evitare la catastrofe ambientale e probabilmente non ridurrà nemmeno il CO2 nell’atmosfera. Ma questo è irrilevante di fronte all’opportunità di un intero campo nuovo di investimenti.

Di fronte a questo quadro, l’umanità viene divisa in due, che sono essenzialmente i due schieramenti interni in ogni guerra: i Patrioti e i Panciafichisti. Dove la “Patria”, in un Mercato Globale, è ormai l’Idolo Pianeta.

I Patrioti sono quelli che Si Informano – cioè ascoltano i telegiornali con attenzione; sanno che il Nemico CO2 è alle porte; e sono disposti a Sacrifici per un Futuro Migliore. Quali siano i sacrifici da fare, ce lo diranno i Generali, gli Esperti, i Tecnici.

I Panciafichisti invece sono quelli che Curano solo il Proprio Orticello, che chiudono gli occhi di fronte al disastro, che fanno i furbi, che invece di Informarsi si Disinformano.

I Panciafichisti vanno ovviamente educati, ma se dopo un certo punto, continuano a far finta di non capire, vanno sistemati.

Ora, vi racconto di una mia amica, che è come tante persone che conosco in Toscana.

Lei ha la stessa auto da 26 anni, e ci ha fatto finora 100.000 chilometri, perché quando può, va a piedi. Solo che abiti tra i monti, e non può andare ovunque a piedi.

Mangia solo cibi biologici, in gran parte raccolti da lei nell’orto, e non tocca carne perché non vuole alimentare le aziende che distruggono la terra con gli allevamenti intensivi.

In casa, non usa il riscaldamento un po’ perché non è certo ricca e un po’ perché non vuole inquinare; e va da sé che non usa l’aria condizionata.

Beve l’acqua del pozzo, e per pulire usa il più possibile l’aceto per non inquinare con prodotti sintetici, per cui l’acqua di risciacquo l0 usa per annaffiare l’orto.

E ha un telefonino addirittura meno smarto del mio.

Certo, ha fatto abbattere molti alberi, con tutti i libri che legge.

Adesso, per farla diventare “ecosostenibile”, lo Stato minaccia di obbligarla ad arricchire le multinazionali comprando una nuova auto piena di diavolerie elettroniche, trasformando quella sua vecchia in un rifiuto; di metterle in casa un contatore che spii i suoi consumi al millimetro; di arricchire le aziende dei materiali da costruzione coibentando la sua casa a sua spesa, con i soldi che da pensionata non ha.

E imponendole delle norme che alla fine la obbligheranno – pena la cancellazione dal consesso umano – a usare uno smarfo fatto con minerali estratti dalle miniere del Congo e dell’Australia e che manda giorno e notte i suoi dati a una multinazionale statunitense.

La mia amica è (moderatamente) una “scettica del CO2 antropogenico” o se preferite, una “negazionista climatica“. Non è invece per niente una scettica della catastrofe ambientale globale, che capisce meglio del 95% degli altri italiani, e che studia da una vita.

Io non sono d’accordo con lei sul “cambiamento climatico”, ma trovo la nostra divergenza irrilevante.

Il punto è che ogni Guerra si giustifica con un Mito.

L’Italia ha occupato nel 1918 il Sudtirolo, adducendo che aveva fatto parte dell’impero romano, che Napoleone aveva chiamato un pezzo di quella regione “Alto Adige” alla maniera dei dipartimenti francesi, e che il nome vero di Gsies era Casies.

Uno dei fatti è vero, uno è irrilevante e il terzo è una balla pura e semplice: ma insieme costituiscono un Mito che giustifica la pugnalata alle spalle all’alleato austroungarico, il macello di 600.000 vite di giovani italiani e l’imposizione del proprio dominio su un una popolazione che non aveva nulla di italiano.

I cosiddetti “negazionisti” sono un po’ come certi sudtirolesi: si appigliano ai dettagli del Mito. Qualcuno denuncia giustamente una balla (tipo Casies), qualcuno forse arriva a inventare una contro-balla (tipo, il Sudtirolo non è mai stato romano).

Ma è chiaro che il problema non è il Mito.

E’ il fatto che il Mito serve a legittimare l’arrivo dei soldati italiani, la chiusura delle scuole, il divieto di insegnamento della lingua, i privilegi concessi agli immigrati dal resto d’Italia.

Il Cambiamento Climatico è un Mito – se volete la mia opinione, fondato su fatti piuttosto solidi, ma che impacchettato in questa maniera, nasconde l’insieme della catastrofe ambientale.

Però non ha senso perdere tempo a discutere su quanto ci sia di vero o di falso nel Mito, perché crea una falsa divisione dell’umanità.

I Patrioti sono i ragazzi di Ultima Generazione che mettono a rischio il proprio futuro perché vorrebbero “salvare l’ambiente”, e sono i banchieri che volano in business class da un capo all’altro del mondo spacciando carbon credit;

i Panciafichisti sono quelli che parcheggiano il Suv pure sull’orto di un contadino, e la mia amica contadina con l’orto.

Smettiamo di discutere di quanto sia vero il Mito, e guardiamo la Guerra.

Lo stesso dispositivo che ci ha imposto la Catastrofe Ecologica, sta cercando di imporci la Transizione Ecologica.

E adesso torniamo al libro che ho sfogliato sul treno.

Celia Izoard, Cambiate lavoro, per favore. Lettere agli umani che robotizzano il mondo, Edizioni Malamente, Urbino, 2023.

In Francia, i rappresentanti di alcune delle più devastanti multinazionali globali hanno convinto il governo a emanare nel 2019 la “Legge di orientamento sui trasporti”, che tra l’altro prevede l’introduzione della guida senza conducente.

La guida senza conducente viene presentata come “ecologica” perché si può ipotizzare una forma di car-sharing, dove invece di avere tante auto private, le persone possono prendere e lasciare un’auto appartenente a una multinazionale (i negazionisti chiederanno subito, “ma perché sarebbe più ecologico il car-sharing senza autista che quella con?”).

E quindi proprio il Ministero della transizione ecologica si mette all’opera:

“Squadre di esperti sono ormai al lavoro per regolamentare patenti, regimi di responsabilità e polizze assicurative. Bisogna creare un arsenale di leggi e di protezioni destinate a limitare gli eccessi della raccolta dati e i cyberattacchi. Standardizzare le strade dell’Europa intera per renderle più intelligibili alle migliaia di sensori delle macchine e dei camion autonomi. Dispiegare un’infrastruttura di big data con decine di migliaia di antenne, di server e computer ai bordi delle strade, per far funzionare a pieno le potenzialità di questa tecnologia mettendo in connnessione i semafori, i pannelli informativi, i veicoli tra di loro…”

E’ facile prevedere che più è comodo viaggiare, più gente viaggerà, e quindi i veicoli a guida automatica faranno aumentare il traffico, la necessità di asfaltare, la costruzione ecologicamente devastante di nuove auto, camion e bus.

Mentre permetteranno il licenziamento di milioni di autisti di bus, camion e taxi. Certo, se qualcuno si suicida, ci sarà un po’ meno emissione di CO2…

Ma se tu ti opponi al fatto che ti buttano giù casa per metterci un’antenna, sei un egoista nemico dell’ambiente, un Panciafichista che sta sabotando la sopravvivenza dell’intera umanità.

A questo punto, mi sento davvero in trappola.

Se io oso oppormi alla devastazione dell’ambiente, in qualunque forma, mi stroncano come nemico dell’ambiente.

Però è da questa trappola che dobbiamo partire.

Che Artemide/Diana ci aiuti.

Chi ci vuole bene, riconoscerà dove si trova questa statua.

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Community contro comunità

L’altro giorno vi ho raccontato del questionario che mi ha presentato un amico.

Un amico, ci tengo a precisare, molto in gamba, che sta facendo una ricerca sulla maniera migliore di favorire lo sviluppo di “quartieri sani“, e proprio perché partiamo da esperienze molto diverse, ci capiamo subito.

Stamattina, siamo tornati sul concetto di inclusione, con la lista di motivi potenziali di esclusione che vi segnalai l’altra volta:

“Diversità di genere
Questioni identitarie/razza/etnia
Stato/classe socio-economico/a
LGBTQIA+
Disabilità e/o neurodiversità
Religione
Età
Immigrati/rifugiati
Condizioni di malattia/salute (fisica o mentale)”

Sono categorie che sento aliene al vissuto reale del rione in cui vivo, per i motivi che ho già raccontato.

Ma mi sono venute in mente alcune riflessioni.

Cominciamo con diversità di genere. Ho un grosso problema ad applicare un termine che proviene dalla grammatica ai corpi sessuati, ma so che sex nell’inglese puritano è diventata una brutta parola…

Verissimo: per anni, sono stato uno dei tre babbi tra venti mamme a raccattar i figlioli a scuola. E mi faceva soffrire per quello che si perdevano gli altri babbi. E non mi sembrava nemmen giusto verso le mamme.

Ma è esclusione?

Poi, inclusione ha due possibili significati.

Il primo è il grado di accettazione che si riceve in un contesto burocratico/anonimo;

il secondo quello che si riceve in un contesto vissuto/diretto.

Prendiamo il compianto Zio Bechir, zingaro kosovaro affetto da non so che cosa (poteva sembrare sindrome di Down, ma mi dicono che non lo era), che parlava incessantemente da solo in una lingua che capivano solo lui e la nipote zoppa e poliomelitica e saggia e ironica, e abbracciava tutti.

In una società burocratica/anonima povera, sarebbe stato seppellito vivo in un’istituzione da paura.

Manicomio di San Salvi, Firenze, una novantina di anni fa

In una società burocratica/anonima ricca, come la nostra, sarebbe stato fatto oggetto di progetti di cooperative di laureati precari abili a scrivere bandi, che si sarebbero alternati secondi i fondi a disposizione a fargli piovere dall’alto un po’ d’Inclusione (pensa che figata, neurodiverso Rom immigrato musulmano rifugiato, il punteggio schizza pazzescamente in alto).

Lo Zio Bechir invece fece una vita piena e felice e libera, perché ebbe la fortuna di nascere in una mahalla Rom del Kosovo, dove un’immensa e complessa famiglia di matti e sognatori analfabeti veniva mantenuta dal lavoro in miniera di uno, finché non chiusero la miniera: il bello degli zingari, è che vivono lo stesso anche senza lavoro.

precisazione… io dico “zingaro”, perché nella loro lingua, “rom” vuol dire “marito”. Poi se volete fare i maschilisti, chiamateli pure “rom” e sentitevi assolti

Poi arrivarono gli albanesi e cacciarono tutti gli zingari dal Kosovo, e lo Zio Bechir si trovò su uno scafo a ridere e ridere mentre viaggiava clandestino verso l’Italia sul mare spumeggiante, e infine un burocrate italiano ebbe la ventura di interrogarlo per capirlo se era un Perseguitato per le sue Profonde Idee Politiche oppure no.

E Daio Bechiri gli rispose subito con un fiume di parole gioiose in gadzhokhané, la lingua di tutti i non Rom del mondo. Che è qualcosa che somiglia al serbo, ma lo capiva solo lui e la nipote zingara zoppa.

Ma lo Zio Bechir era incluso perché svolgeva un ruolo cruciale: mentre c’era chi andava a fare lavoretti, e chi andava a chiedere l’elemosina, lui si prendeva cura con grande attenzione e affetto dei tanti bambini che nascevano ovunque.

Lo Zio Bechir

Oppure prendiamo il bulash del Poderaccio. Bulash vuol dire, maschio effeminato. Ora, gli zingari non hanno mai letto Judith Butler, e siccome fanno il meno possibile di scuola, non hanno mai goduto di progetti edificanti organizzati da laureati precari.

Sicuramente la loro è una cultura paurosamente maschilista, ma non approfondiamo. Ed è una società in cui l’aborto è visto con grande praticità: le bocche vanno sfamate, solo se servono al bene comune.

Semplicemente, il bulash è di una utilità pratica straordinaria, perché può entrare nelle stanze delle donne. In un mondo in cui i corpi sono ancora importanti, può aiutare le donne grazie alla sua forza fisica.

Quindi, abbiamo una comunità che con risorse all’orlo della morte per fame, con esattamente zero valori occidentali e moderni, condivide queste risorse alla pari con un neurodiverso e con un, boh… risparmiamo a una società che si basa sulla comunicazione orale quel mucchio alfabetico impronunciabile di LGBTQIA+.

Che oltretutto è roba inglese, mentre il romanè si è tramandato dall’India grazie proprio alla trasmissione totalmente orale.

Dunque una comunità reale, anche con risorse minime, include tutti perché tutti possono essere utili, in qualche modo, per tutti gli altri.

Altra riflessione: la lista che abbiamo visto, è una lista coloniale.

Nel senso che è una lista statunitense.

Non solo perché ci impone obbrobri anglobali come LGBTQIA+.

Io sono (anche) statunitense, anzi avevo un avo che fu tra i primi, nel Seicento, a sbarcare sul continente nuovo. E sono fiero di esserlo. Però, in nome di mia madre che rinunciò alla cittadinanza statunitense per prendere quella messicana:

Tagliando con l’accetta, gli Stati Uniti sono una società che nasce senza istituzioni. Con mostruose disparità di ricchezza, ma con poco senso di classe.

Il paradosso fondante: ogni individuo si deve arrangiare da solo, se fallisce è colpa sua. Ma vivere senza parenti, amici, pioggia, grano, boschi, funghi, microbi è impossibile.

Per fingere di vivere, l’americano deve forgiarsi una community, che sta lla comunità come l’Anticristo sta al Cristo.

Un cattolico va a vivere vicino ad altri cattolici, frequenta la parrocchia dove si organizza il mutuo soccorso; un ebreo vive con altri ebrei… Il territorio è irrilevante, le persone si spostano continuamente, e comunque la terra stessa è in fondo rubata e poi geometrizzata.

Dietro questo, una religione condivisa da tutti, che dice che volere è potere.

Cioè quello che io penso diventa realtà: mi immagino miliardario, e lo divento; mi immagino salvato da Gesù e volo in paradiso; mi immagino donna e lo sono. E la mancanza di fede diventa un peccato che porta all’immediata esclusione: tanto ci sono mille altri posti dove andare.

Così nascono nuove community che sono in realtà lobby che riuniscono individui attorno a qualche singolo problema personale: la community gay, la community dei proprietari di fucili, la community dei malati di Alzheimer, la community degli utenti dei voli low cost, difesi da agguerriti avvocati del corpo, pronti a fare cause miliardarie e comprarsi i politici.

L’Italia – come anche il 90% degli altri paesi del mondo, se togliamo la coltre coloniale statunitense – ha un’altra storia.

Penso alla Tina che ho incrociato oggi sotto il sole e l’afa, e mi chiede, “ma oggi è lunedì o martedì?” e quando le dico è lunedì mi sorride e ritorna a casa… e mi chiedo se questa fantastica, surreale persona, casualmente lesbica, appartiene alla community LGAGASPQR, o appartiene alla nostra comunità che le vuole bene?

Fino a decenni recentissimi, nessuno immigrava in Italia.

La religione era una sola, fondata (al di là della teologia) sull’idea che esiste un Dio buono, che siamo tutti peccatori, ma alla fine tutto si perdona con qualche Avemaria.

C’erano famiglie molto, molto allargate, e c’erano parrocchie e rioni e confraternite e c’erano tante persone che si davano una mano a vicenda, e si nascondevano a vicenda i peccati.

C’erano distinzioni enormi, ma molto, molto diverse da quelle che troviamo nella lista coloniale statunitense.

La prima, la distinzione, tra città e campagna. I contadini non erano però esclusi. Erano sfruttati, che è tutt’altra storia.

La seconda, la distinzione tra Signori e Manovali, mettendo nella seconda categoria tanto contadini quanto operai, o magari giardinieri. Che faresti sposare tua figlia con un manetta, come si chiamava il guidatore del tram a Milano?

Manovale/manetta, vuol dire che il lavoro con le mani è disprezzato.

Ora, il Signore di una volta non è detto che usasse più di tanto la mente, ma non doveva certo sporcarsi le mani.

E qui il primo parallelo che viene è con qualcosa a cui io e l’amico stiamo cercando di dare un nome: la discriminazione in base al livello di istruzione.

Qui il discorso si fa insieme sottile e cruciale.

Caso Uno: camorrista figlio di camorrista, che forse ha fatto qualche anno di istituto professionale con scarso rendimento, che si compra quaranta palazzi storici di Firenze e dopo un breve periodo agli arresti domiciliari, vende proprietà nel metaverso con bitcoin da Dubai. Fesso non è di sicuro, ma non saprei attribuirgli altre virtù.

Caso Due: muratore con la terza media, con un carattere burbero da morire, e discorsi che in seconda elementare l’avrebbero bocciato se si boccia ancora, che a gratis curava il nostro giardino e faceva nascere fiori dal deserto. E siccome il nostro è proprio un giardino, era una persona fondamentale, indispensabile. Poi l’abbiamo seppellito, ma sottoterra e non in un’istituzione. Come l’Ultima Gatta, che proprio lui aveva scoperto.

Un secolo fa a Firenze, gli Istruiti erano i rampolli dei Signori, che frequentavano il Liceo Classico e l’Università, e quando arrivarono le prime squadre fasciste, si arruolarono in masse per manganellare i manovali.

Oggi a Firenze, però, gli Istruiti sono figli di tanti ceti. E vivono in un mondo tutto loro, tra progetti Erasmus e bandi e concorsi. Dove si scrivono pagine e pagine di parole teologicamente ineccepibili, in correttissimo latino inglese, si incrociano le dita e si spera di poter ricevere un po’ di Fondi da enti sconosciuti e misteriosi, persone che forse non esistono, e che proprio per questo giudicano solo la correttezza delle parole.

Gli Istruiti sono spesso degli sfigati, che arrivano ai capelli bianchi senza posto fisso, ma il loro ruolo sociale, come quello del clero medievale, è di predicare, di essere Meglio degli Altri.

E i Non Istruiti, che alla fine sono per forza di cose, l’immensa maggioranza della popolazione, li vedon lassù che li condannano con il Ditino Imparatore.

Esattamente come i loro antenati vedevano i malvestiti (come mio suocero ricorda si chiamavano i frati) che venivano a scroccare con le chiacchiere da chi usava le mani.

Certo, in questo istante unico della storia in cui le risorse sembrano illimitate, spesso il manovale è ben più ricco del predicatore, ma la rabbia, l’è la stessa.

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Buhaioli del mondo, unitevi!

Invitato da un amico, compilo un questionario sul Design Inclusivo.

Se volete,potete compilarlo anche voi.

Innanzitutto, mi chiede:

2. Nel contesto che hai selezionato, hai vissuto in prima persona o hai visto esperienze riferite ad altre persone in merito a discriminazioni, fenomeni di esclusione o atteggiamenti negativi rispetto a:

Seleziona un massimo di tre opzioni.

Diversità di genere

Questioni identitarie/razza/etnia

Stato/classe socio-economico/a

LGBTQIA+

Disabilità e/o neurodiversità

Religione

Età

Immigrati/rifugiati

Condizioni di malattia/salute (fisica o mentale)

Non sono emersi atteggiamenti negativi

Ora, ho una risposta immediata, per me e per altri 4000 residenti dell’Oltrarno.

Abbiamo tutti subito, violentemente, discriminazioni, esclusioni, cacciate di casa con i poliziotti, condanne dai tribunali, invasioni dei nostri spazi. Ah, e magari atteggiamenti negativi.

Mica battutine di quello che ci prende in giro per il colore della pelle.

Ma dove collocare la violenza che abbiamo subito?

Scrivo, “Stato/classe socio-economico/a”.

Non sono sicuro che sia quello il problema: conosco tanti ricchi che non ci discriminano e non ci rendono difficile la vita, perché non campano del nostro sangue.

La speculazione immobiliare ha sfrattato migliaia di persone.

Per prima, mi ricordo una famiglia etiope, poi un vecchio artigiano del nostro rione, poi una famiglia di maghrebini, e per ultima la Nonna Nietta e la Bisnonna di 96 anni in carrozzella per farci un Bedenbrecfas senza brecfas.

Immaginatevi questa scena… in una lurida buca dove vive da decenni una donna che fa le pulizie, un essere ancora più lurido che gestisce ristoranti e bedenbracfass, una donna di settant’anni che ha sempre pagato l’affitto e punta il dito nell’occhio del lurido umano, dicendogli tu fai schifo

Ha reso impossibile alle persone normali (di ogni religione e orientamento sessuale, se vi interessa) trovare casa.

Ha distrutto il lavoro degli artigiani, sfrattati e cacciati di casa e morti magari suicidi, per farci localini.

Ha cacciato il sempre sorridente Walter dalla sua forgia, dove faceva il fabbro.

“Atteggiamenti negativi”, chiede il questionario, e penso al giudice che condanna la donna che ha sempre pagato l’affitto, e la caccia di casa…

Mi affaccio alla finestra, e vedo la gran folla di gente che prende i pacchi dalla parrocchia (clericali! discriminatori! ma i pacchi li danno, e non chiedono niente in cambio) perché non avrebbero altrimenti da mangiare.

Ma magari è tutta l’idea della discriminazione, che assolve i delinquenti dai loro peccati. Come se li colpevoli degli orrori del nostro mondo fossero quelli coi pregiudizi, e non gli speculatori.

Penso alle due amiche lesbiche che sono riuscite finalmente a sposarsi. Ora, se qualcuno le prende in giro perché son brutte come la fame, è un conto; se arriva l’ufficiale giudiziario a sfrattarle di casa, è un altro.

Qui ci si dà del buhaiolo, e ha il doppio senso di di quello sfortunato costretto a cavar sabbia dalle buche dell’Arno per punizione, e di quello che cerca buchi nei corpi umani, ma anche di quella cosa assurda che siamo tutti noi umani…

Ma l‘importante è che non si caccino i cristiani (e i musulmani, e i buhaioli e chi volete voi) dalle buche in cui vivono.

Un secolo e oltre fa, Bernard Shaw descrisse la visione del mondo dei trafficanti d’armi, che a pensarci è la stessa dei trafficanti di case. Che è il massimo del politicamente corretto:

““Fornire armi a tutti coloro che offrono un prezzo onesto, senza distinzione di persona o di principio; ad aristocratici e repubblicani, ai nichilisti come allo Zar, al capitalista come al socialista, al protestante come al cattolico, al ladro come al poliziotto, a persone dalla pelle bianca, nera o gialla, di ogni genere e condizione, a tutte le nazionalità, tutte le fedi, tutte le follie, tutte le cause e tutti i delitti – Dal credo di Undershaft, produttore di armi, in Il maggiore Barbara di Bernard Shaw, 1905.

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