Florence, Firenze, Fiorenza

Di solito traduco, rare volte insegno inglese.

Lo faccio con poche persone, scelte.

Da traduttore, esercito uno dei più antichi mestieri del mondo, dove il godimento del cliente è ciò che mi permette alla fine di andare a fare la spesa.

L’anglobale, anzi l’angloballe, ha un ruolo criminale nel mondo, come sistema di scambio universale delle merci.

Dicono tanti italiani, è una lingua facile e quindi stupida. O lo sarebbe, se non avessero pure deliberatamente scelto di metterci come unico scoglio un’ortografia insensata.

Il ruolo dell’angloballe è analogo, non al latino medievale, ma al fiorino che ha reso possibile gli scambi che hanno portato a tutto ciò che viviamo oggi.

Però l’inglese ha anche una sottile capacità di perversione del linguaggio e delle menti, che non è stupida, anzi poche altre lingue riescono a generare tanto male.

Cutting edge, fremium, deadnaming, actioning, gender affirming surgery, carbon neutral, bottom line e infiniti altri delitti. Lascio che mi penetrino già tutti i giorni per campare, non voglio avvelenare ulteriormente un mondo già morente.

Però a volte colgo l’esistenza di italiani in grado di percepire qualcos’altro.

Non importa che capiscano “bene” o no quello che ci presentano come lingua inglese, l’importante è che capiscano.

Con loro, parlo di Dick Gaughan, scozzese, che ci ricordò che la prima colonia dell’impero britannico fu l’Inghilterra.

La lingua inglese è stata la prima colonia dell’angloballe.

L’altro giorno, ho fatto una lezione incentrata su Jehanne Mehta, che ho conosciuto perché ha scritto una raccolta di versi sui tassi, i nostri sacri e silenziosi alberi velenosi e scuri. Per una taxus baccata, in piccolo, abbiamo cambiato un frammento della storia del nostro rione.

Prendo per voi un solo verso di Jehanne Mehta, dal prologo a Heart of Yew. Che foneticamente, può essere tanto, “cuore di tasso”, quanto “il tuo cuore”.

Sono tre righe intraducibili:

“this spring about to uncoil,
all at once in ripples,
out of bole and bough”

Intraducibili, perché abbiamo un unico, antichissimo monosillabo, spring, che ha il senso di energia che improvvisamente sgorga fuori (quindici sillabe, in italiano).

monosillabi - un-coil è un monosillabo più la sua negazione, ripple lascia con il dubbio, se la elle sia una sillaba a sè, atona, o un pezzo del monosillabo, a-bout è certamente un monosillabo con un prefisso. Ma è facile fare monosillabi quando si hanno tanti suoni a disposizione.

Spring è la molla, quindi, “pronta a svolgersi”, uncoil, il contrario di colligere, di essere rannicchiato tutte insieme come il feto nel grembo.

Spring è la sorgente, che sgorga in ripples, le piccole increspature sull’acqua.

Spring è la primavera, che emerge dal tronco e dai rami dell’albero.

L'inglese è una lingua farmaco, che avvelena e guarisce.
Allitterazioni, bole e bough. Bole è parente della nostra bolla, è il tronco dell'albero che da dentro si gonfia. Bough in origine era il braccio, e solo dopo ha preso il senso di braccio d'albero, di ramo quindi.

Un quattordicenne altissimo mi racconta invece del suo maestro, che è dei nostri sanfredianini.

Il Maestro, che credo vada sui settanta, gli ha insegnato il karate.

Il maestro del Maestro ha molti più anni, ma quando si mette alla prova, vola.

Il Maestro ha raccontato ai ragazzi del dumilaevventi, che lui ha iniziato a lavorare a dieci anni.

Poi per una vita ha fatto un mestiere da bottegaio fiorentino: il tassista.

Il quattordicenne ascolta e si guarda attorno, e mi racconta di aver visto un bimbo dell’asilo, che quando la sua mamma gli chiedeva di tenergli per un momento una borsa, rispondeva tutto stizzito, NO! E pensa al Maestro…

Jehanne Mehta è England, il Maestro è Firenze.

Ho appena finito di leggere un romanzo su Firenze, dell’amico inglese Paul Cudenec, The Fakir of Florence.

Paul Cudenec scrive sotto la sigla della quercia d’inverno, The Winter Oak.

Siamo querce, ma in questa torrida estate, è profondo inverno, ci teniamo dentro le foglie del futuro

Magari un giorno vi racconto della trama di questo bizzarro e affascinante racconto su Firenze, ma credo che colga l’essenziale: la Firenze rinascimentale è stata insieme una straordinaria visione del mondo, e un sistema criminale di arricchimento personale.

Ma in fondo, non è stato anche il destino della lingua inglese?

E allora intuisco vagamente, una sorta di guerra di liberazione parallela, tra Firenze e Florence. Che faccia fiorire Fiorenza.

E proprio oggi sono andato al Palmerino. Ad ammirare, tra l’altro, le colline sotto Fiesole, che un secolo e passa fa erano tutte cave brulle, e che gli inglesi hanno trasformato in foreste di cipressi.

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