L’Età dell’Acciaio e la storia di Joe Magarac

Joe Magarac sorse già adulto da una miniera, e il suo gigantesco corpo era fatto tutto d’acciaio.

Lavorava giorno e notte, senza mai dormire, nelle acciaierie di Pittsburgh, e piegava e raddrizzava a mani nude i binari ancora ardenti.

Per gioco prendeva l’acciaio fuso tra le mani e lo trasformava in palle di cannone, come i bambini normali facevano con le palle di neve.

Morì gettandosi in un convertitore Bessemer per salvare i propri compagni, e vive ancora nelle putrelle di un grande ponte.

“Oh Joe Magarac
Joe jumped into the ladle it was fiery hot and he waved to his honkies below
And the roller boss said the very best steel we got is Joe Magarac” [1]

Il racconto va al cuore di una riflessione che stiamo facendo da tempo. [2]

 

Joe Magarac ci parla di un intero tipo antropologico.

E’ nettamente maschio.

In questo suo essere-maschio, è solidale con una vasta compagnia di uomini, che condividono una condizione di continuo rischio.

La vita di Joe Magarac appare tutta intera in superficie, eppure resta un mistero. Non sappiamo nulla della sua intimità, dei genitori, della sposa, delle debolezze. Non è un caso, perché solo quando è nessuno, quando i tratti restano vaghi, che può essere tutti. 

La parabola di Joe Magarac, dalla nascita miracolosa al sacrificio, ricorda palesemente quella di Cristo: è indubbiamente religiosa. Eppure è una religiosità che sostituisce ogni altra e non ha alcun bisogno di una trascendenza fuori da sé.

Joe Magarac è profondamente corporeo/fisico: non possiede alcuna psiche da analizzare. Di lui si tramandano solo azioni e non parole.

Anzi, è talmente fisico da essere costituito dalla materia più solida comunemente nota.

Ma la sua fisicità non ha nulla di sportivo nel senso contemporaneo – non è qualcosa che si coltiva artificialmente per il proprio benessere, ma fluisce spontaneamente da lui e si manifesta nella vita stessa che fa.

Lui è giovane, cioè all’apice della presenza fisica. Una presenza fisica che si svolge tutta nella violenza, cioè nella fisicità per eccellenza: tra palle di cannone e contenitori ribollenti di metallo liquido.

Joe Magarac è un costruttore, cioè partecipa intimamente all’immensa trasformazione del mondo in corso:

“I heard they’re gonna build a railroad to Frisco and back
From Maine down to Mexico
And who’s gonna make the steel for that track
Big Joe Magarac “

La coincidenza di giovinezza e fisicità lo segna per la morte. Ma la sua morte non è quella della vittima, e nemmeno dovuta a una scelta capricciosa, bensì un sacrificio eroico. Ha cioè un senso, e in qualche modo premia la sua esistenza; i benefici della sua morte ricadono su tutti, e costituiscono un esempio.

Tanto sangue fu versato nella prima metà del Novecento, che siamo abituati a immaginare quel periodo come un periodo di conflitti tra poli inconciliabili. E fu certamente così che tanti vissero quegli anni.

Però se guardiamo la figura di Joe Magarac con attenzione, scopriamo una cosa che dovrebbe cambiare tutta la nostra prospettiva su quell’epoca.

Joe Magarac era un operaio slavo nelle fabbriche della democratica Pittsburgh.

Eppure, se guardiamo la sua immagine che decora l’ingresso del numero 300 della Sesta Avenue di Pittsburgh (meraviglie della toponomastica dei geometri), ci rendiamo conto di una cosa curiosa: la stessa identica immagine avrebbe potuto rappresentare, altrove, l’ideale stesso del fascismo, del nazismo, del bolscevismo, dell’ataturkismo o del sionismo.

Ora, se la stessa figura incarna l’archetipo stesso (e non qualche aspetto minore) di tutte le grandi cosiddette ideologie dell’epoca, vorrà pur dire qualcosa.

E infatti, Joe Magarac, democratico, fascista, comunista, ataturkista e sionista, non incarna una “corrente di pensiero”, ma un’epoca.

Torniamo infatti alla fisicità di Joe Magarac: cioè dell’uomo fatto di acciaio.

Come la sua epoca – Stahlhelm, Stalin, Demir, Barzel, il Patto d’Acciaio… Per non parlare dei fumetti che la US Steel dedicò proprio a Joe Magarac durante la Seconda guerra mondiale, evento da cui l’azienda trasse profitti senza precedenti nella storia umana.

Vive nell’Età dell’Acciaio.

O meglio, di un tipo particolare d’acciaio, che ci riporta proprio al martirio di Joe Magarac: quello prodotto nei convertitori Bessemer.

Ora, l’uso del processo Bessemer ci offre due limiti cronologici, che permettono di definire un’intera epoca della storia: inizia con la guerra di Crimea e cessa nel 1968.

E sono esattamente i limiti dell’Età dell’Acciaio, nel metallo, nei corpi e nelle anime.

Note:

[1] Questo brano, come quello citato avanti, proviene dalla canzone Joe Magarac dei New Christy Minstrels.

[2] Le origini del racconto sono discusse: probabilmente non si trattava di una vera traduzione popolare, diffusa tra i honkies (o bohunks), gli immigrati dall’impero austroungarico, ma di un racconto inventato di sana pianta dall’ex-operaio Owen Francis, nel 1931.

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110 risposte a L’Età dell’Acciaio e la storia di Joe Magarac

  1. mirkhond scrive:

    Ma è esistito veramente?
    E dopo il 1968 quale era è iniziata? Quella della dissoluzione nell’ordine liberal-capitalista a guida americana (poi affiancato dalla Cina)?

  2. mirkhond scrive:

    Pensando all’interno di una fabbrica, ai suoi altiforni ecc. mi viene in mente una visione infernale, tipo quelle di alien e dei film spaziali americani…..
    Mi ricorda la fucina di vulcano, la divinità mitologica pagana greco-romana, la cui fucina era situata in regioni oscure e infere….

  3. mirkhond scrive:

    Il nazismo giustamente è parte di questa era dell’acciaio, del culto della forza fisica-industriale come emblema dei regimi moderni, eppure curiosamente viene associato anche al rigetto della modernità, almeno della modernità di matrice illuministica.
    Una sorta di “reazione antimoderna”, molto più del fascismo mussoliniano….
    Nei libri dedicati alla II guerra mondiale e al nazismo, così come in siti internet, si vedono spesso realtà contadine, gente vestita coi costumi tradizionali e viventi in villaggi e cittadine rurali da tipico villaggio svizzero e bavarese…..
    Poco fa, guardandomi un sito dedicato alla wehrmacht, alcuni discendenti di volkdeutsches della Carniola/Slovenia, hanno messo foto del periodo nazista 1941-1945 relativo alle città di Laibach/Lubiana e Celje/Cilli e relativi contadi, in cui questa visione industrialista scompare per cedere il posto ad una Germania “trombonesca”, più in continuità col vecchio impero austro-ungarico che col complesso militare-industriale di massa….
    Le contraddizioni di un regime moderno che, ancora oggi non trova letture unanimi e condivisibili proprio per le contraddizioni tra modernità efficientista spietata e culto per l’antimodrenità tradizionalista….
    Almeno questa è la mia impressione…..

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      Come ogni totalitarismo, per essere totale deve essere in grado di compiere sintesi. Un’ideologia che non sa sintetizzare posizioni anche antitetiche al proprio interno, difficilmente diventerà maggioritaria e mai diventerà collettiva: pensiamo al cattolicesimo, che nel corso dei secoli (almeno nelle epoche e nei luoghi in cui è stato collettivo o largamente maggioritario) ha accolto in seno qualsiasi orientamento, istituzionalizzandolo e dandogli spazio nella sua dialettica interna. Ovviamente non tutti sono assimilati (o perché non si può o perché non si vuole il cattivo serve anche se non c’è) e quindi l’ideologia collettiva ha bisogno di nemici esterni, utilissimi per l’antagonismo noi/altri e per tenere coeso il gruppo sociale (possono essere gli ebrei, gli eretici, gli infedeli, i comunisti o chi preferiamo).
      L’ideologia democratico-pluralista è il capolavoro di questa capacità di assimilare tutto e questa da un lato è la sua forza, perché metabolizzando e incanalando ogni idea e conflitto, elimina (o limita) la violenza tra gruppi e riduce il più possibile l’oppressione della maggioranza sulla minoranza (sono ammesse persino le minoranze ostili al pluralismo, come dimostrano molti commentatori di questo blog!), ma dall’altro è la sua intrinseca debolezza, perché elimina la distinzione noi/altri e fa perdere la coesione interna del gruppo. Risultato? La società ricerca dei cattivi (comunisti/fascisti/musulmani/criminali) per ricostituire la dicotomia che ha perduto e dunque tende a diventare meno democratico-pluralista.

      • Andrea Di Vita scrive:

        Per Mauricius Tarvisi e mirkhond

        Mi permetto di aggiungere una nota personale. Indubbiamente questo Magarac è della stirpe degli Stachanov, e magari se l’e’ inventato qualche ‘public relation officer’ particolarmente fantasioso nell’ufficio personale di qualche acciaieria del XX secolo, così come ‘il camerata Ogilvy’ è inventato dal Winston dell’orwelliano ‘1984’. Ma quello che mi preme sottolineare è che pochi ambienti più di quello siderurgico ispirano un’atmosfera di stabilità e di appartenenza. Ho buoni amici che hanno lavorato in acciaieria. Mi garantiscono che quando ogni giorno si sta sospesi sopra le bramme incandescenti a venti metri d’altezza sul carroponte, che viene ulteriormente scaldato da sopra dai termosifoni che prevengono la formazione di condenza umida che potrebbe arruginire la bramma appena solidificata, alla lunga si resiste solo se ci si sente parte di un gruppo solidale e compatto. Con le sue gerarchie interne non scritte ma severe, col suo nonnismo, coi suoi scherzi anche feroci, ma anche con l’esplicito orgoglio di lavorare con le mani, i muscoli e l’occhio. La retorica totalitaria dell’ uomo immerso nel suo lavoro (‘l’essere lo stabiliscono le condizioni materiali’, recitava un adagio della scuola Polacca ai tempi di Bierut) nacque direttamente da una catena (alla lettera!) di rapporti umani e di produzione che avevano sostituito quelli della civiltà contadina degli antenati ma che garantivano anche una stabilità che nel mondo liquido e precario d’oggi è sconosciuta. Forse soltanto i minatori hanno oggi un modo di vivere simile, il che spiega l’ostinazione particolare delle loro porteste, dall’Inghilterra della Thatcher al Carbosulcis Sardo della cronaca d’oggi. Nessuno come l’operaio si rende conto della falsità del concetto borghese di ‘libertà’. L’esatto contraltare di questa retorica operaia è la retorica del ritorno alla campagna, sia nella versione pseudonaturalistica Inglese (avete presente l’inaugurazione delle Olimpiadi di Londra?) sia nella versione ‘mitteleuropea’ dei film Austriaci di Sissi e ancora di più nel ‘Grande Dittatore’ di Chaplin (la favolosa Ostria) che riprende pari pari le festose scenete capagnole della propaganza cinematografica fascista e nazista. Anche qui si ha la distorsione di un concetto ben altrimenti serio, quello appunto della ‘falce e martello’.

        Ciao!

        Andrea Di Vita

        • Ritvan scrive:

          Ciao Andrea, bentornato fra noi!

        • mirkhond scrive:

          Andrea

          Innanzitutto mi unisco agli auguri di Ritvan dopo una così lunga assenza dal blog*.
          Sarà come dici, ma per me la fabbrica=cancro, e parlo per esperienze familiari su cui non torno, perché davvero ho scassato il belino a tutti qua con le mie geremiadi…
          Sull’Austria, lo sappiamo abbiamo idee antitetiche e magari il nazismo fosse stata un’altra cosa, magari fosse stato il vero erede degli Asburgo, come, forse, sia pur tra immense difficoltà tentò di fare il gaulaiter Rainer tra 1942 e 1945, se solo fosse stato possibile….
          Il progresso spesso pone prezzi troppo pesanti da pagare….
          ciao!

          *ps. ma cosa ti è successo, sempre se naturalmente non sono indiscreto?

  4. mirkhond scrive:

    Specifico che Lubiana fu de facto annessa al reich solo dopo l’8 settembre 1943, con l’armistizio e il tradimento dell’Italia….

  5. PinoMamet scrive:

    Cito da uno dei link:
    “He worked 24 hours a day, never slept or took a break, and could do the work of 29 men. Joe was a man whose only purpose in life was to work for the steel mill, something his exploited creators could relate to.
    [… ]

    Francis’ 1931 article concluded that being called a “magarac” was a compliment to immigrant steelworkers.”

    Impossibile non pensare a Stakanov.

  6. Zhong scrive:

    La reinterpretazione del tema di questo post nei Simpsons:

    http://blip.tv/todo-mundo/homer-and-bart-visit-a-gay-steel-mill-4258030

    😛

    Zhong

  7. Tortuga scrive:

    Pensieri sparsi di buongiorno:

    — E’ nettamente maschio —

    – ahimé, come la maggior parte di voi 😉

    – Miguel non ci fa mai post con figure femminili troppo simpatiche:
    Miguel, non è che lo fai apposta? 😉

    – In realtà è un bellissimo Deva (divinità-idolo) degno di essere onorato, l’umanità deve una parte significativa della sua storia ed esistenza alle qualità così ben comunicate da questa divinità.

    – Poi Miguel in questi ultimi giorni di ferie è davvero schioppettante: un po’ come Magarac 😉

    – per gli irriducibili monisti: con i Deva non si può essere “mono”, essi devono stare in nutrito gruppo. Il culto dei Deva non può essere monodevista, deve per forza di cosa essere polidevista, poiché ogni deva rappresenta una o un particolare insieme di qualità umane che sono immagine-modello-oggetto di riflessione, ma non possiamo uniformarci tutti, ciascuno ha bisogno di potersi proiettare in una immagine diversa che rispecchia niente altro che ciò che in potenza, in germe, ognuno di noi contiene, e non siamo tutti uguali perché per sopravvivere abbiamo bisogno di riunirci in una comunità dove ciascuno svolga ruoli diversi secondo le proprie inclinazioni.
    Il problema del devismo è quello di essere trattato come un monismo, e che si finisca per voler rivestire tutto l’universo, per esempio, di acciaio.
    Credo sia per questo che l’oriente sembra aver avuto sempre cura di tenere ben distinti “gli” Dei, dal brahman. Il secondo è unico perché comprensivo di tutto, dunque nulla può esistere al di fuori, essere lasciato fuori, ma non verrebbe mai trattato alla stessa stregua di un deva e neppure dell’insieme dei devata. Ecco cosa non mi piace del mono-teismo: che il brahman venga chiamato (dio) e trattato come un deva e che un deva e di volta in volta uno solo venga trattato come se fosse il brahman.
    Il corrispettivo degli Dei infatti non è il dio unico, bensì gli angeli o le dakini, e questo dio unico è per me chiamato dio impropriamente.
    Il problema dell’uomo è che per la maggior parte della vita non riesca a vedere qualcosa di più importante del singolo deva e nell’aspirare al brahman, finisce per attuare operazioni sempre riduzionistiche nei suoi confronti.

    – in proposito al “maschio” mi stavo domandando come mai l’occidente difficilmente riesca a concepire un corrispettivo delle c.d. divinità tantriche, ovvero “coppie”, o, almeno non me ne vengono in mente.
    L’unica coppia che mi viene in mente è quella Giuseppe-Maria, che come modello è veramente una coppia scalcinata a cominciar dall’inizio (lei è incinta di “un’altro”).

    – la mia divinità preferita ovviamente è femminile 😉

    – è incredibile la quantità di miti che coinvolgono i metalli: una grande invenzione l’acciaio (ovviamente io penso alle pentole 😉 )

    – occhio, anche in questo post è comparsa la parola “morte”, che ha avuto l’effetto di aumentare ed animare i commenti ad un post di poco precedente: secondo me Miguel l’ha ributtata dentro apposta 😉 … per vedere di nascosto stavolta l’effetto che fa ;D

    – Ci sono molti aspetti veramente interessanti nella costituzione di questo mito/deva: ci dovrò riflettere.

    • mirkhond scrive:

      In realtà è un bellissimo Deva (divinità-idolo) degno di essere onorato

      Ti ricorda tuo marito? 😉
      ciao!

      • Tortuga scrive:

        Non direi particolarmente.
        Il fatto poi che si riconosca ad una icona la sua bellezza non significa che debba avere una particolare relazione con noi.
        Ho scelto un marito-morbidoso-peluche 😉

        • roberto scrive:

          hehehe l’ho sempre detto che un rassicurante fisico da babbo natale funziona meglio di una inquietante massa di muscoli, almeno con le donne che hanno più di 21 anni
          🙂

        • Tortuga scrive:

          Ma è una questione più psicologica che fisica.
          Cmq non ha la pancetta né le guanciotte né è palestrato.

          Poi non so se esistano donne che scelgano l’uomo in base al suo fisico, sicuramente non io.
          Dopo la settimana di vacanza appena trascorsa cmq ho riflettuto che se fossi giovane oggi e dovessi scegliere un uomo un aspetto fisico conterebbe di sicuro: che non porti tatuaggi o piercing.

        • mirkhond scrive:

          che non porti tatuaggi o piercing.

          Da uomo, concordo, relativamente alle donne, nonostante l’amore per gli antichi Illiri, a cui appartenevano gli Japudi/Japigi, il popolo della Puglia pre-romana.
          Illiri, i quali usavano tatuarsi le braccia e mani, anche le donne, come ancora ai primi del XX secolo in zone remote della Bosnia e dell’Albania….
          ciao!

        • Tortuga scrive:

          Quelli di cui parli su mani e piedi potrebbero essere simili a quelli che si usano sia in India che in diviersi altri paesi anche musulmani.
          Sono dei decori (non rappresentano oggetti o forme animali o umane), si usano in genere per particolari occasioni, come il giorno del matrimonio, e sono tipicamente femminili ma sono ottenuti con dell’ henné e non sono permanenti, ma si lavano via anche a fine giornata, volendo.
          Quelli se ben fatti, non mi spiacciono, anche se piuttosto anacronistici.

        • mirkhond scrive:

          Personalmente non ho mai visto foto di tali tatuaggi (mi riferisco ovviamente a quelli scoperti da Edith Peters ai primi del ‘900 tra le donne di aree remote della Bosnia e dell’Albania…).
          Ma posso supporre che fossero come quelli di cui hai parlato. Le donne bosniache ed albanesi, sia cristiane che musulmane, intervistate dalla grande studiosa britannica, risposero che i loro tatuaggi (croci per le cristiane, mezzelune per le musulmane) erano un’usanza antichissima, tramandatasi da madre in figlia e per loro, costituivano una sorta di ornamento per essere più belle agli occhi dei loro uomini…
          Stando allo storico scozzese Noel Malcolm, autore di splendidi e ricchi studi sulla Bosnia e sul Kosovo, questi tatuaggi insieme alle lingue albanesi, sono ciò che resta dell’antica famiglia dei popoli illirici, abitanti in epoca preromana una vastissima area tra le attuali Austria e Grecia, e tra il Danubio centrale e l’Adriatico.
          Ora, personalmente, se quei tatuaggi fossero come quelli che si fanno fare molte ragazze e giovani donne qui a Bari, dubito che mi sarei sentito attratto da tali sfreggi….
          Ma, appunto, non sono in grado di fare una comparazione…..
          ciao!

        • Ritvan scrive:

          Edith Peters “grande studiosa britannica”??!! Magari era un pochino abbronzata:-) e cantava pure?!
          P.S. Non è che per puro caso la confondi con questa?:
          http://en.wikipedia.org/wiki/Edith_Durham

        • mirkhond scrive:

          Eh si…mi sa che l’abbronzatura l’ho presa io…
          ciao!

        • Ritvan scrive:

          Non te la prendere, caro mirk, nessuno è perfetto…però, per noialtri albanesi la Durham è un mito e se le si sbaglia cognome ci scatta il riflesso pavloviano:-)

          Ciao

        • mirkhond scrive:

          “per noialtri albanesi la Durham è un mito”

          E te credo! Una delle poche personalità della cultura europea, a guardare il mondo albanese con AMORE e senza quegli stantii pregiudizi che lo avvolgono ancora oggi…..
          Comunque la Durham, vista in foto da ragazza, non era mica male ;)……
          ciao!

  8. Guido scrive:

    L’Eroe del Lavoro è quel mito che individua un’era particolare, quella che viene qui definita Età dell’Acciaio, epoca che possiamo definitivamente dare per morta per quanto riguarda la produzione di quei determinati tipi antropologici. Ricordiamoci che s’è trattato della più massiccia opera di sradicamento di milioni di contadini, della loro “liberazione” dal suolo, e del loro inurbamento in luoghi infernali, per la gloria del Capitale nella sua massima espansione. E si tratta della stessa massa umana che si è atrocemente sacrificata per i conflitti interimperialistici nei due macelli mondiali, spesso adescata dall’apparato propagandista messo in campo per far sentire l’ultimo dei reietti un “protagonista” della maggior gloria del “suo” paese.

    Questa dovrebbe essere cosa risaputa, e solo gli ingenui e le anime candide possono credere che i miti della nazione, della difesa dell’identità ecc. possano essere stati altra cosa dal giochino illusionista creato ai fini della servitù volontaria.

    Come ben sappiamo questa è l’era della plastica ma ancor più è l’era della rivoluzione digitale con ciò che comporta nei termini di contrazione di spazio e di tempo. E’ l’era della astrattizzazione del Capitale che non ha più alcun legame con un suolo, come ai bei tempi in cui il ricco bastardo capitalista era il primo a tenerci all’esistenza d’una fabbrica.

    Con una buona dose d’ambiguità questa è anche definita epoca della post-modernità. I soggetti sono sempre più liquidi, sono isolati in situazioni sempre più massificate e vivono in condizioni di angoscia e precarietà. Come è inevitabile e direi salutare, si accendono dei conflitti, ma spesso vengono incalanati in richieste per un ritorno a quella immaginaria “normalità” che viene attribuita persino all’Era dell’Acciaio.

    In quest’epoca altri sono i miti antropologici: direi che va per la maggiore il cyborg, ibrido uomo-macchina, con capacità performative ultraumane raggiunte con l’uso della chimica e della nanotecnologia. Sentimenti e idee sono optionals che vengono venduti in pacchetti personalizzati, prodotti per ricreare l’effetto “vintage” del vero-uomo-che-non-deve-chiedere-mai.

  9. Miguel Martinez scrive:

    Per Mauricius Tarvisii

    “Come ogni totalitarismo, per essere totale deve essere in grado di compiere sintesi. “

    una riflessione molto interessante, grazie!

  10. Miguel Martinez scrive:

    Per PinoMamet

    “Impossibile non pensare a Stakanov.”

    Il guaio di scrivere post di getto, invece di libri che ti lasciano il tempo di ripensare le cose, è che non ho dato il giusto peso al mito del martirio di Joe Magarac.

    Che infatti, in alcune versioni, muore in una maniera affascinante: avendo consumato tutto l’acciaio disponibile, si getta lui stesso nel forno, per creare “l’acciaio migliore”.

    Joe Magarac, come Stakhanov, incarna al massimo grado l’eroismo operaio, in parallelo a quello militare: cioè servire una causa fino alla morte. Non è infatti un ribelle, e proprio per questo il suo mito sarà diffuso dalla US Steel, come quello di Stakhanov fu diffuso dal regime.

    • Ritvan scrive:

      —(Joe Magarac-ndr.) avendo consumato tutto l’acciaio disponibile, si getta lui stesso nel forno, per creare “l’acciaio migliore”. MM—

      Mmmmm….e se si fosse semplicemente stufato di quella vita di m…?

      P.S. Storiella dei bei tempi:-) di Enver Hoxha.
      Il segretario della cellula del Partito interroga l’operaio che ha fatto domanda di entrare nel Partito.
      Segretario: Compagno, tu bevi?
      Operaio: Beh…compagno segretario, qualche bicchiere di tanto in tanto…
      S: Male, compagno: l’alcool rovina la salute…e poi ti fa dire sciocchezze…niente alcool se vuoi entrare nel Partito, intesi?!…Poi, fumi?
      O: Beh, sì.
      S: Male, malissimo, il fumo rovina la salute e il Partito ha bisogno di gente in salute…pertanto, niente più fumo, chiaro?! Infine, a donne, come siamo?
      O: Beh, compagno, non faccio per vantarmi ma…insomma, a letto faccio le mie discrete figure.
      S: Male, malissimo: la morale comunista non lo consente…e poi, il nemico usa spesso donne di facili costumi per carpirci i segreti del Partito…allora o ti sposi o ti arrangi in altro modo, ma niente più donne, capito?!
      O: Capito, capito….
      S: Un’ultima domanda: sei tu pronto a dare anche la vita per il Partito?
      O: Sì, caro compagno segretario, senza alcuna esitazione!
      S: E mi dici il perché?
      O: Perché? Ma compagno segretario, senza fumo, senza alcool, senza donne, che c..zo ci faccio della vita io?!
      :-):-)

      • maria scrive:

        bellina ritvan, io ne so un’altra, uno , chiede la tessera e gli fanno un piccolo “esame”, allora compagno se tu avessi due case cosa faresti, ma non ho dubbi, una per me e una al partito, bene, e se avessi due automobili, facile, una per me e una al partito, benissimo, e se avessi due biciclette, eh no compagno , quelle ce l’ho e sono mie:-)

      • mirkhond scrive:

        —(Joe Magarac-ndr.) avendo consumato tutto l’acciaio disponibile, si getta lui stesso nel forno, per creare “l’acciaio migliore”. MM—

        Mmmmm….e se si fosse semplicemente stufato di quella vita di m…?

        🙂 🙂 🙂

  11. Miguel Martinez scrive:

    Per Guido

    “L’Eroe del Lavoro è quel mito che individua un’era particolare”

    Ti accuso formalmente di plagio telepatico di quello che penso io 🙂

    Solo che lo sai esprimere più sinteticamente di me.

  12. Miguel Martinez scrive:

    Per Tortuga

    “- Miguel non ci fa mai post con figure femminili troppo simpatiche:
    Miguel, non è che lo fai apposta? ;-)”

    Forse recentemente no, ma in passato sì.

    Piuttosto, non trovo Joe Magarac simpatico. Lo trovo affascinante, cosa piuttosto diversa.

    L’identità maschile di Joe Magarac è fondamentale: l’Età dell’Acciaio è in un certo senso l’età più maschilista della storia, e credo che le femministe confondano spesso il “patriarcato” arcaico con il particolare modello dell’Età dell’Acciaio.

    Che consiste nel Maschio che muore in fabbrica e in battaglia per lo Stato/Imprenditore, mentre la Donna produce stoicamente altri Maschi da fonderia/cannone.

    • Tortuga scrive:

      Siempre per Miguel.

      Dunque, in proposito a simpatico/antipatico o affascinante.

      “Simpatico” era la prima parola generica positiva che mi è venuta in mente.

      Al di là del fatto che sia maschio e di altri particolari contingenti hai dipinto un essere
      – solidale
      – che sa reagire positivamente ad una condizione di continuo rischio con impegno, abilità ed energia
      – una persona riservata, che non dà spettacolo di sè, non egocentrica, che parla poco ma agisce, quindi concreta, partecipativa e costruttiva, capace di dare senso alla propria esistenza e beneficiare gli altri

      (una specie di samantabhadra, bodhisattva della grande azione)

      Tutte cose che non sono affatto una prerogativa maschile: potrebbe, anzi, più facilmente essere l’immagine di una donna. In fondo ne ho conosciute di così. Anzi, ora che mi viene in mente, spesso si tratta (a proposito di patriarcato arcaico) di donne contadine, o comunque di donne dei tempi di mia nonna, del risultato dei cui sacrifici ciascuna di noi ha potuto ben vedere.

      Probabilmente, al di là del fatto che è maschio, mi è simpatico nel vero senso della parola, comunque mi sembra una figura molto positiva, e temo che il fatto che questi personaggi, anche al femminile, mi stiano simpatici, debba preoccuparmi.

      Al contrario non sono ancora riuscita a capire cosa rappresenta la “Jeunne Fille”, un’icona che ho conosciuto qui e che non mi è familiare, ma qualunque cosa rappresenti sento che mi sta fortemente antipatica.

      Mentre scrivevi di questo eroe non sei stato asettico, quando scrivi della “Jeunne Fille” almeno a me appari talmente “asettico” che io che non ho mai approfondito questa immagine/personaggio fatico, anzi proprio non riesco, a cogliere le emozioni e quindi a fare una decodifica.

      Tornando al nostro eroe, certo, crede di sacrificarsi per i suoi compagni, ed è anche così, ma una gran parte di sè è spesa a beneficio dell’impresario, e questo – ovviamente – non ci piace.
      Ma se penso a quelle donne d’altri tempi di cui sopra non vedo differenza. Anche loro credono di starsi sacrificando per tante cose, ma in realtà ne beneficia per lo più il loro impresario/maschio/patriarca/padre-marito-primogenito-padrone.

      Nella famiglia di mio padre, come in molte ancora oggi, vigeva il culto del maschio primogenito di primogenito: il top del patriarcalismo.
      La famiglia patriarcale si sostiene grazie al soggiogamento ed asservimento completo della donna, per il quale uno degli strumenti principali utilizzati è la violenza intrafamiliare, compreso l’abuso intrafamiliare e l’incesto o suoi surrogati, ancora particolarmente praticato in diverse regioni d’Italia, fra le quali il veneto.
      Se non posso sopprimere il peso del sostentamento di una femmina quando mi è di troppo o non mi serve più devo riuscire a programmarla al sacrificio/suicidio, che procede sempre di maschio in maschio, e comunque rende sempre la donna una stoica produttrice di altri maschi, propri divoratori o della propria prole femminile.

      Sembra un po’ che tu rimproveri la donna di questa “produzione”, ma non mi risulta che fino ad oggi abbiamo avuto scelta.
      Normalmente poi la donna è incapace di fare gruppo e solidarizzare con le sue simili, ma questo fa parte del gioco della programmazione ricevuta per millenni.

      In proposito a “credo che le femministe” purtroppo non so dirti perchè non sono mai stata femminista.

      Dai, dai, famo a maschi contro femmine e bisticciamoci un po’ 😉

      • mirkhond scrive:

        Però ci sono anche donne forti, nel senso di megere cattive che schiacciano i maschi e li condannano ad una vita senza amore….
        ciao

      • PinoMamet scrive:

        “Probabilmente, al di là del fatto che è maschio, mi è simpatico nel vero senso della parola, comunque mi sembra una figura molto positiva”

        Che dire… non tutti i gusti sono al limone.

        Francamente fatico a trovare particolarmente simpatica la figura di Joe Magarac. Più che altro mi viene da compatirlo, che è una cosa diversa.
        Lo avessi conosciuto nella realtà, gli avrei detto la stessa cosa che dico ai tanti lavoratori fieri del proprio lavoro ecc., cioé: ma molla tutto, scappa, o perlomeno lavora meno, lavora con lentezza.

        Magarac è il contrario della massima che dice che “nella vita c’è altro oltre al lavoro” e “si lavora per vivere e non viceversa”.

        Perciò, oltre a compatire lui, provo sospetto verso chi lo propone come eroe, come modello: c’è puzza di fregatura, sotto.

        Tu dici che reagisce con positività;, ma sei sicura? io invece direi che reagisce malissimo: è il prototipo dell’alienazione.

        Ma poi sai che non capisco cosa c’entra donne contro uomini, nel contesto?
        Nell’età dell’acciaio in fabbrica ci lavoravano gli uomini, e questo spiega ampiamente il sesso di Magarac.
        Quando han dovuto andarci anche le donne, si sono inventati Rosie The Riveter.

        • roberto scrive:

          “ma molla tutto, scappa”

          vedi che ho raggione che partire non è morire?
          (e parlavamo qualche post fa a proposito di bauman)

          roberto

  13. Tortuga scrive:

    – Forse recentemente no, ma in passato sì. – Miguel –

    Ah, birbone! 😉
    Pensa che io avevo detto per scherzo, non pensando affatto d’inzeccarci 😀

    Quel discorso invece che hai iniziato lì sotto sul maschio da fonderia/cannone è un lungo discorso … che se iniziamo non finiamo più, ma mi sa che non resisterò.
    Ora però sono chiusa all’interno di un ristrettissimo cerchio di pavimento asciutto (causalmente creato proprio davanti al mio pc) mentre mezza casa è bagnata e aspetto di poter passare per fare l’altra mezza … ci vuole più calma 😀

  14. Moi scrive:

    @ TORTUE / TUTTI

    Direi che Ercole e Hulk hanno molto più in comune fra di loro che NON con la Agiologia Cristiana:

    il primo è frutto di un accoppiamento Umano-Divino da Paganesimo (!!!), il secondo è riconducibilissimo a un’ ambigua Hybris sempre da Paganesimo (!!!).

    PS

    Temo che Miguel per “donne simpatiche” intenda _quasi sempre musulmane_“simpatiche a lui stesso” ma difficilmente simpatiche in ottica filoislamica eterodossa o islamica balcanica.

    @ MIGUEL / TUTTI

    La prima cosa che ho pensato è stato il contrasto fra il Cristo (per certi versi però più Spartaco che Cristo) Lavoratore : -) Novecentesco e la Nerdata di Nuovo Millennio PseudoPolitically Correct del Pastafarianesimo, epifenomeno pseudo religioso nonché parapoliticamentecorretto da NON sottovalutare … con cattiva pace 😉 di Pino. Ripeto : “epi” , “pseudo” nonché “para”.

    • Tortuga scrive:

      Ma no, dai Moi, cosa centra (tuttoattaccato) il pastafarianesimo adesso!?!!
      Ti sei fissato, pensi solo a quello, mi sto preoccupando!!

      — Temo che Miguel per “donne simpatiche” intenda _quasi sempre musulmane_“simpatiche a lui stesso” ma difficilmente simpatiche in ottica filoislamica eterodossa o islamica balcanica. —

      Sul fatto che a molti uomini possa piacere l’idea/immagine di donna offerta dall’islam (compreso il numero massimo di mogli “contemporaneamente” consentite: e quel “contemporaneamente” sarebbe da approfondire) non avevo dubbi.

      • mirkhond scrive:

        A me ne basterebbe una di moglie e per tutta la vita, forte e dolce…
        Dell’Islam mi è sempre piaciuto il fatto che la donna si copra, soprattutto la testa, non dico il burqa o il niqab, mi basta l’hijab che mi ricorda tanto la civiltà contadina cristiana di una volta, pur con tutti i suoi difetti……
        ciao!

  15. Moi scrive:

    … Però l’ Ottimismo Progressista di Pace e Prosperità entra in irreversibile (!) crisi dopo la I GM: iconisticamente parlando, con il taglio dei mitici “Baffi a Manubrio” !

    Volendo si può aggiungere “Puccionianamente” : -) la sostituzione del Duello e, a seguire, della Difesa Personale mediante metodo “Bartitsu” * o affini … con lo Sporgere Denunzia da Checche Borghesi.

    *

    Riportato in auge un po’ dall’ultimo Sherlock Holmes Hollywoodiano tutt’altro che “flemmatico” … ovviamente : -) affiancato da Frullatrici-Lanciatrici di Pugnali agili come gatte, “femministically correct” : -) … Dame Vittoriane o Zingare Romantiche è indifferente.

    In fin dei conti, con Cattiva Pace :- ) delle Femministe stesse, l’ Emancipazione Femminile è stata storicamente un “SottoProdotto del Petrolio” [cit.] ; la suddetta è una tesi economico-sociologica che, naturalmente,ha attirato su di sé non pochi strali e geremiadi politically correct … però quasi tutti discorsi emotivi e pressoché nulla invece di razionale.

    • PinoMamet scrive:

      Puccioni:

      Lessi (ma non ho più sottomano) le cifre sui duelli ottocenteschi, solo quelli ufficiali, ovviamente, in Francia e in Italia, rispettivamente.
      In Italia erano più del doppio, negli stessi anni presi in esame
      (le cifre erano di quest’ordine di grandezza, 1000 in Francia e 2000 in Italia, su per giù).

      Però in Francia l’arma scelta era quasi sempre la spada, destinata (cito dal manuale di scherma ottocentesco che ho in casa) “a tirar solennemente colpi di punta”, e perciò pericolosa e potenzialmente mortale;
      in Italia quasi sempre la sciabola, “a primo sangue”, vale a dire che con un colpetto di striscio si salvava l’onore di entrambi 😉

      Tutto sommato, un metodo più veloce del processo (c’erano precise tempistiche per i duelli, assai veloci) e anche meno dispendioso 😉

      (scopro invece su internet che la “mensur” è ancora viva in alcune università tedesche ed est-europee di tradizione tedesca o affine)

      Ninja-femministe-sherlockiane 😉 :

      la donna pericolosa (di solito collegata al coltello) specialmente se zingara è però un classico della letteratura deteriore (quella che preferisco, ovviamente), specie i francesi mi pare abbiano sempre avuto una certa propensione per le gitane (e le gauloises… dai passatemela) “con la navaja en la liga”

  16. Moi scrive:

    In realtà “Joe Magarac” in futuro potrebbe tornare … sottoforma di Androide Lavoratore AutoCosciente. A quel punto però che senso avrebbe un distinguo “di genere” ? Cioè, “Joana Magaraca” avrebbe un senso ? Che applicazione pratica potrebbe trovarvi la “Borghesia Umana” : -) ? A parte i Bauscia che potranno circondarsi di “Robotroie : – ) Ginoidi“ [ovviamente realistiche : -) ] senza strali del Popolo Viola, intendo. Be’ … mica poco, in effetti.

  17. Moi scrive:

    Ora che ci penso, l’ unico Popolo dell’ Islam con il “niqab maschile” (detto “taghelmust” e derivato notoriamente da prolunga di turbante !) ch’ io conosca è quello Tuaregh … come mai, però, di Migranti Tuaregh NON se ne vedono ?!

    … Neppure alla Stazione di Brescia ! : -) ; -)

    Però dei Migranti Tuareg dimostrerebbero una volta per tutte SE (!) è vero (e per me NON è vero !) che il niqab sarebbe “un problema” solo perché “indumento” (Bah ! … Vedasi “Kekko Kamen” di Go Nagai ! ; -) ) femminile ! 🙂

  18. Moi scrive:

    Rosie The Riveter

    http://archive.ccm.edu/rosie/images/WeCanDoItPoster%5B1%5D.jpg

    Per tanti anni questa energica bella ragazzona-icona l’ho sempre vista in qualsiasi salsa femminista, con straordinaria intercambiabilità ideologica … ora finalemte so come si chiama.

    PS

    Il discorso dell’ Emancipazione Femminile come SottoProdotto del Petrolio lo divulgava Piero Angela (molto più accademico di roberto Giacobo !) a “SuperQuark Economia” …

  19. Moi scrive:

    @ TORTUGA

    La “Djeballah” (credo si trascriva così) da SuperSceiccone Classico in fondo è l’ Hijab da Uomo … ce l’aveva anche Mr Hassan ne “L’ Uomo Tigre II”.

    Il “Taghelmust” o “Niqab da Uomo” ce l’ hanno solo i Tuaregh … ma evidentemente _ e tutti i Leghisti vorrebbero che tutti i Musulmani fossero Tuaregh_ si trovano benissimo in groppa ai cammelli nelle oasi desertiche, visto che a quanto pare NON immigrano !

    @ PINO

    Chissà come faranno in Francia con la “Shinobi” da NinJitsu, disciplina molto più popolare “là” che “qua” 🙂 …

  20. Miguel Martinez scrive:

    Per Andrea

    “Mi permetto di aggiungere una nota personale. “

    Che piacere risentirti!

    E con una riflessione così interessante.

    Non capisco bene la frase:

    ” L’esatto contraltare di questa retorica operaia è la retorica del ritorno alla campagna”

    intendi che due esperienze reali (lavoro di fabbrica/lavoro di campagna) producono sia autentiche solidarietà, sia mistificazioni manipolatorie?

  21. mirkhond scrive:

    Credo che intenda dire che la più merdosa fabbrica cancerogena è sempre meglio della durissima vita contadina in cui si moriva di fame….
    E del resto, il nostro Andrea, da buon illuminista, non può che laicizzare la prospettiva cristiana di un futuro TERRENO sempre migliore….
    Magari fosse vero!

    • Francesco scrive:

      caro Mirkhond

      che io sappia, il derby tra vita da contadino/bracciante e operaio delle prime fabbriche è decisamente uno scontro al ribasso

      solo che la produttività delle macchine ha permesso di produrre molti più beni e alla vita media di durare molto di più, per cui credo che alla fine abbia “oggettivamente” vinto la fabbrica

      cito solo come i coscritti, nell’arco di pochi decenni, siano diventati sempre più alti e pesanti (cioè ben nutriti)

      certo, vista con la pancia piena la vita in campagna è piena di fascino ma non ha mai avuto la pancia piena prima della rivoluzione industriale

      ciao

      • mirkhond scrive:

        E nemmeno il cancro era così diffuso, prima della tua bella fabbrica…
        ciao!

      • PinoMamet scrive:

        “certo, vista con la pancia piena la vita in campagna è piena di fascino ma non ha mai avuto la pancia piena prima della rivoluzione industriale”

        To’, di solito i cattolici dicono “i contadini stavano così bene prima della rivoluzione FRANCESE…”
        tu sei il primo che dice che stavano male, prima di quella industriale! 😀

        a parte questo, l’è mica vero, difficile fare paragoni tra epoche e civiltà diverse (è un bel po’ che l’uomo coltiva la terra…) ma anche quello del contadino sempre straccione, sfruttato e morto di fame è un altro mito o “leggenda nera”.

        • maria scrive:

          difficile dire se sia meglio la condizione contadina o la condizione operaia, ma non mi sbraccerei a preferire la prima, chi ricorda i braccianti?

  22. Tortuga scrive:

    Nella mia ricerca di comprendere la civiltà tibetana mi sono imbattuta in un testo che la descrive come un civiltà rurale che sopravvive primariamente di agricoltura, pastorizia e commercio in un ambiente estremamente ostile.
    Le zone coltivabili sono poche, come anche i pascoli e le bestie, e le distanze da coprire sono ampie.
    Come in tutte le civiltà rurali i figli rappresentano una possibilità di sopravvenza in vecchiaia, ma si può morire di parto e dei figli dati alla luce non si sa quanti raggiungeranno l’età adulta.
    La società si organizza in ruoli e compiti molto rigidi e ben definiti, la famiglia è cosciente del fatto che la terra posseduta o semplicemente lavorata ha bisogno di una certa quantità di manodopera da un lato, ma dall’altro non è in grado di provvedere al sostentamente che di un preciso numero di individui e nuove famiglie, perciò la terra, che costituirà l’eredità dei figli, non può essere frazionata oltre un certo limite perché non darebbe da vivere a sufficienza ad una nuova famiglia.
    “Sono in primo luogo le famiglie povere a destinare alcuni dei figli alla vita monastica, soprattutto a causa di ristrettezze economiche” (cito da Alexander Berzin, studioso ed insegnante di buddhismo tibetano, in un suo famoso libro, peraltro scritto per altri motivi, “Il rapporto con il maestro spirituale, come costruire una relazione sana).
    Così per questo e forse anche per altri motivi la società si organizza attraverso una sorta di riequilibratore sociale, l’ordine monastico dove bambini fra i quattro/otto anni possono diventare monaci, e da qui si diparte una lunga storia, poiché il monastero diventa tante cose, compreso un luogo dove nascono nuove “professioni”: ad esso infatti sono demandate e si devono oltre alla religione, l’educazione e l’istruzione, la coltivazione delle arti e di alcune “scienze” come l’astronomia/astrologia e la medicina.
    Quando la famiglia mette al mondo dei figli ma poi non può dar loro un futuro, questi si riuniscono in nuovi ambienti, accomunati solidalmente da un unico scopo, ovvero trovare nuovi spazi, e nuove forme di sopravvienza, e quindi anche nuovi ruoli e mestieri.
    Così luoghi come il monastero, l’esercito, la fabbrica, la scuola, o anche dei più asettici uffici, possono avere qualcosa in comune, ma di tutti solo il primo conserva – secondo me – nella propria immagine in modo evidente una verità che è alla radice di tutto: un’esistenza – almeno inizialmente – senza prospettive e la famiglia che sacrifica alla propria buona sopravvienza, in un modo o nell’altro, i membri di troppo.
    Sicuramente fra cacciare malamente un figlio sotto il peso di qualche accusa infamante per giustificare l’atto (sto pensando a qualche episodio biblico), quindi trovare un pretesto, e invece un “patto sociale” che ammette il monastero (ma in una comunità che si impegna a sostenerlo con le offerte) trovo più accettabile il secondo. Ne emerge una figura di famiglia che comunque allonana i membri di troppo ma non ne abusa, ovvero non li sottopone al proprio sfruttamento.
    E curiosamente la società monastica è quella che partorisce la figura del bodhisattva, che sacrifica se stesso per il bene altrui (accetta la situazione).
    Il monastero è anche il luogo in cui avviene un processo terapeutico, rieducativo e reintegrativo dei danni derivati dalle situazioni familiari più conflittuali ed accoglie gli orfani ed i bisognosi, cioè tutti coloro che in qualche modo non sono più in grado di contribuire all’altra società perché da essa sono stati già troppo “sacrificati” in qualche altra maniera meno – diciamo – diretta.
    Nelle nuove forme di lavoro e di sostentamento invece, dalla vetreria in cui i giovani morivano di malattie polmonari, all’acciaieria, ai moderni coletti bianchi ed impegati dei call center, ci si da una possibilità – tentando il tutto per tutto – di produrre beni che agevolino e sollevino la società familiare, per dare anche a se stessi una possibilità di non essere esclusi da processo della procreazione, di avere delle continuazioni anche fisiche mentre il monastero resta ancora impegnato nella ricerca di altre forme di continuazione di sé di tipo – diciamo – “spirituale”.
    Sto cercando di indagare cosa mi renda inquietantemente simpatica la figura di Joe Magarac.
    Il monastero che partorisce la figura del bodhisattva è un luogo di solidarietà, e quel mito potrebbe anche essere visto come un modo “garbato” di raccontare e ricordare le come stanno le cose.
    Cambia ovviamente qualcosa se lo stesso “mito” da religioso diventa laico e cioè cade in mano alla società familiare i cui capifamiglia diventano “impresari”.
    Non so, ci sto pensando.

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      Il monastero, nel quasi-feudalesimo (riserverei il termine per indicare i feudalesimi occidentali) tibetano a forte impronta teocratica era un’istituzione mantenuta da un proprio sistema fiscale: i contadini delle sue terre gli erano asserviti e “in cambio” l’istituzione concedeva alle famiglie povere una sistemazione per i figli in eccesso. Chiaramente il sistema crolla (come è crollato da noi) non appena il monastero perde il diritto di pretendere dai contadini lauti canoni.
      L’unica istituzione nostrana in grado di pretendere risorse dal “suddito” è il potere pubblico, che però nel nostro sistema non può prendersi carico dei “figli in eccesso” perché è contemporaneamente caduto il principio dell’appartenenza della prole al genitore. La differenza tra l’acciaieria e il call center da un lato e il monastero dall’altro è proprio la trasformazione del figlio da “cosa” del padre a soggetto pari al padre.

      • Tortuga scrive:

        — Il monastero, nel quasi-feudalesimo (riserverei il termine per indicare i feudalesimi occidentali) tibetano a forte impronta teocratica era un’istituzione mantenuta da un proprio sistema fiscale: i contadini delle sue terre gli erano asserviti e “in cambio” l’istituzione concedeva alle famiglie povere una sistemazione per i figli in eccesso. —

        Questo è vero dal o nel momento in cui le scuole monastiche giungono al potere politico e solo in parte nella misura in cui la situazione non è stata del tutto omogenea in tutti i luoghi ed in tutti i tempi.

        Il III° Dalai Lama H.H. Sonam Gyatso (in realtà fu il primo, poiché i precedenti furono denominati Dalai Lama retroattivamente), nato nel 1543 nel Tolung,
        ricevette nel 1576 un invito da Altan Khan, capo dei mongoli Tumedi ed accolto con tutti gli onori in Mongolia da Altan Khan e dal suo popolo, al quale insegnò per molti mesi i fondamenti dell’etica buddhista. A seguito dei suoi insegnamenti Altan Khan fece redigere un nuovo codice di leggi per tutti i popoli sotto la sua autorità che rifletteva i principi non violenti ed etici del buddhismo.
        Inoltre il re, che voleva conferire al suo Ospite una dignità che lo elevasse al di sopra dei comuni mortali, gli conferì il titolo di “Dalai” che in lingua mongola significa “Oceano”, sottinteso di saggezza. (trad. tib. “gyatso”), mantenuto nell’uso sotto la forma di “Dalai Lama”.
        Sonan Gyatso associò l’onore che gli veniva tributato anche ai due Lama di cui si considerava la reincarnazione attribuendo Loro lo stesso titolo e diventando quindi il III°Dalai Lama.
        Ritonato in patria lasciò il corpo nel 1588.

        Nel 1589 nacque un pronipote di Altan Khan re venne riconosciuto come successore del III Dalai Lama e prese il nome di H.H. Yonte Gyatso come IV Dalai Lama.
        Nel 1602 partì per il Tibet dove continuò la sua formazione ma lasciò il corpo a soli 28 anni, nel 1617.

        H.H. Ngawang Losang Gyatzo, nato nel 1617 da una nobile famiglia dello Yarlung, fu riconosciuto a cinque anni come reincarnazione di Yonten Gyatso e iniziò i suoi studi a Ganden, diventando il V Dalai Lama.

        Nel 1642 il capo dei mongoli Qoshot, Gushri Khan, dopo aver invaso il Kham e sconfitto il re dello Tsang conferì a Ngawang Lozang Gyatso l’autorita suprema sull’intero Tibet.

        Ebbe così inizio il potere temporale dei Dalai Lama e l’esistenza del Tibet come nazione.

        Da questo momento a quello in cui si comincia ad assistere a fenomeni significativi di “feudalesimo lamaista” che tu descrivi passa ancora del tempo.

        Mentre Gendun Drub, il capostipite dei capi spirituali tibetani che dalla Sua terza reincarnazione portarono l’appellativo di Dalai Lama, nacque da una famiglia di pastori nomadi nella provincia dello Tsang nel 1391.

        Mentre l’introduzione del buddhismo monastico in Tibet va ricondotta a Atisha 982 – 1054, nella seconda introduzione del buddhismo in Tibet (secondo ciclo di traduttori), mentre per la prima occorre far riferimento al monaco Asanga (300-370).
        Il monasticismo sembra non abbia preso molto piede durante la prima introduzione, bensì durante la seconda.
        [prima e seconda si riferiscono a cicli di traduzioni e nuovi testi introdotti].

        Perciò il fenomeno che descrivi è circoscritto ad un ristretto numero di anni, rispetto allo sviluppo del buddhismo mahayana in quelle regioni (Tibet e Nepal).

        — L’unica istituzione nostrana in grado di pretendere risorse dal “suddito” è il potere pubblico —

        Non è stato sempre così e mi sembra che dimenticandosi del concordato si faccia un torto alla realtà.

        • Mauricius Tarvisii scrive:

          Il concordato cosa c’entra? Dal 1871, da queste parti, l’unico potere in grado di imporre tributi sul territorio nazionale è lo Stato e questo non è variato col concordato…

        • Tortuga scrive:

          ma i cattolici se piano un sacco de sordi in vario modo!

        • Mauricius Tarvisii scrive:

          Intanto mi piacerebbe pijarme un sacco de sordi 😀

          Ma, parlando della CEI, se li pija allo stesso modo in cui se li pijano le comunità ebraiche e la Tavola valdese: è lo Stato, l’unico soggetto che impone tributi, a darglieli.

        • Tortuga scrive:

          Beh, allo stesso modo non direi proprio, ma è un discorso che non mi va di tirare avanti oltre.

          Per quanto riguarda il tuo prenderti un sacco di soldi … beh, potresti cominciare costituendo una associazione cattolica in grado di percepire il 5 per mille. Non è difficile. Poi usare il canale pubbliciario cattolico per crescere.

        • Mauricius Tarvisii scrive:

          Potrei anche fare un’associazione buddista: avrei sempre diritto al mio 5 per mille, se qualcuno me lo dà…

        • Tortuga scrive:

          Ma ti mancherebbero i canali e gli appoggi giusti:
          con il fomat “chiesa cattolica” puoi avere accesso a prezzi scontati ad ampi locali, numerose sale conferenze capillarmente distribuite sul territorio, saloni storico-artistici, supporters in abito talare, etc. etc. etc. e lasciamo stare.

  23. mirkhond scrive:

    Il problema di OGGI però è che, se la fabbrica ha permesso forme di “emancipazione” e di sviluppo indubitabili e inimmaginabili ancora 100-200 anni fa, ha però chiesto in cambio un conto molto pesante in termini di malattie cancerogene, per cui il diritto del figlio ad essere considerato uguale al padre, è diventato anche l’elevatissima probabilità di fare la stessa morte di merda del padre, tra atroci sofferenze, visto che nel radioso cammino verso un futuro sempre migliore e sempre giusto, non si vuole accettare, almeno in Italia, di concedere un fine-vita dignitoso e possibilmente senza soffrire ulteriormente…
    Se sono condannato a pagare un pesantissimo prezzo al progresso, in cambio del benessere (che poi, quanto durerà ancora, con le varie crisi che ci sono?), credo che sarebbe giusto affiancare il progresso inquinante ad un fine-vita dignitoso e rovescio della medaglia del suddetto progresso…..

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      Certo, ma prima ancora, visto che quello stesso sviluppo tecnologico oltre a tante belle fonti di lucro ci ha anche dato i sistemi di sicurezza per non pagare coi cadaveri ogni euro prodotto, occorrerebbe imporre a chi ci guadagna di reinvestire parte del profitto nella sicurezza di chi lavora per farglielo ricavare.

  24. mirkhond scrive:

    Quanto al call-centre, è un lavoro da rompicoglioni, che non puoi chiamare alle ore più impensabili per proporre vendite o sconti su questo o quello di cui non te ne po’ fregà de meno, e addirittura alle 21:00 della vigilia di ferragosto!
    Perché il progresso crea così tanto stress?

  25. mirkhond scrive:

    Per Tortuga

    Tempo fa, lessi, ora non ricordo dove, che la conversione dei Mongoli al Lamaismo tibetano intorno al 1577 se non sbaglio, modificò talmente i Mongoli, da trasformare quelli che erano stati feroci e temuti guerrieri, in candidi agnellini, così innocui da finire sotto il dominio della Cina Manciù (1644-1911) intorno al 1691.
    Manciù che erano anch’essi di ceppo mongolo, provenienti dalla Manciuria che, assieme alla Mongolia orientale, dovrebbe essere l’urheimat, la patria primordiale dei Mongoli!
    L’ultimo grande regno mongolo fu quello degli Zungari, ma anch’esso venne infine sottomesso dai Manciù nel 1755, dopo l’effimero protettorato zungaro sul Tibet intorno al 1720….
    Insomma è nell’adozione del Buddismo Mahayana lamaista, la causa profonda del declino dello spirito guerriero mongolo? (oltre naturalmente all’accerchiamento russo-cinese delle steppe orientali già dopo il 1650)

    • Tortuga scrive:

      — Insomma è nell’adozione del Buddismo Mahayana lamaista, la causa profonda del declino dello spirito guerriero mongolo? — Mirkhond —

      In questo caso possiamo tranquillamente parlare semplicemente di buddhismo, nel senso che se tu mi domandassi “se avessero adottato il Buddhismo di tradizione Theravada sarebbe cambiato qualcosa?” dovrei rispondere che non penso che sarebbe cambiato tantissimo, anzi. Anche la specifica “lamaista” la toglierei in questo caso.

      Allora, quella che tu hai letto è la favola di alcuni, non pochi, tibetologi e sostenitori del Tibet, ed è una gran bella favola di un popolo terrico, da un lato guerriero, dall’altro dedito ad una religione un po’ “strana” (l’antico Bon tibetano), che viene “bonificato” dalla dottrina buddhista fin al punto da diventare così pacifico, innocuo ed inerme da “finire crocifisso” e invaso dalla vicina Cina.
      La morale della favola è doppia: da un lato, direi, meglio non diventare buddhisti, visto il rischio che si corre, dall’altro si crea questa aureola di santità e di innocenza che induce ad abbassare le difese nell’accoglienza, tanto sono innocui, che male ci possono fare.

      In realtà non ho sufficienti conoscenze per dire se questa storia sia vera o meno, per confermarla o smentirla. Il fatto è che non credo le abbiano neppure i tibetologi perché la storia di questo popolo e di queste terre è realmente ancora avvolta dal mistero per il modo stesso in cui essa passa ai posteri ed è tramandata.

      Il fatto è che diventi un valido tibetologo
      a) se entri nel sistema, ricevi insegnamenti dai Lama, studi a diretto contatto con la realtà del luogo e delle persone stesse, e quindi diventi inevitabilmente ed automaticamente parte in causa e quindi “di parte” e questo parteggiamento diventa la motivazione stessa del tuo studio:
      il lama tibetano non è uno stupido e non ti rilascia conoscenza se non introducenti prima nel suo sistema;
      b) se hai altre motivazioni – cioè appartieni a qualche altra parte – e quindi ti servi di altre fonti, ma automaticamente rimani un “esterno” ed a questo punto ti mancheranno sempre le coordinate di decodifica, e quindi le tue affermazioni saranno sempre confutabili e confutate.

      Fatte queste considerazioni posso solo ribadire il mio “non lo so”, posso solo crederci o no: io personalmente non credo troppo in questa favola.
      So che geograficamente quella zona è molto particolare, non facile da vivere, ed spiega in molta parte l’arretratezza di questo popolo, allo stesso tempo appetibile dai paesi confinanti: so che la storia del Tibet è un continuo di contatti con la Cina che da secoli cercava “alleanza” e forse più.
      Dire che sia stato il buddhismo a rendere questo popolo inerme mi sembra eccessivo. Come noi siamo buddhisti di nome e non di fatto, e sarebbe un assurdo pensare ad una adesione concreta perfetta e fattiva da parte di tutta la nostra popolazione al cattolicesimo, siamo cattolici solo di nome ma la maggior parte di noi non lo è di fatto, lo stesso vale per qualunque altro paese.
      Dietro a questa idea c’è anche quella di un buddhismo come religione efficace tanto che sia sufficiente entrarvi in contatto per aderirvi e perché automaticamente chiunque ne venga trasformato è una mitologia fantasiosa. E’ invece molto più realistico dubitare del fatto che la maggior parte della popolazione tibetana abbia veramente compreso il merito della propria spiritualità.
      C’è un libro di Giuseppe Tucci che non lo letto ma il cui titolo dice già tutto. S’intitola “Santi e briganti del Tibet”.
      Io ho l’idea di un popolo sì sfortunato, sì vivente in un ambiente ostile, ma anche pigro, presuntuoso e malato di infondati sensi si superiorità (questo forse proprio a causa della religione e della sua malcomprensione), ed ho come l’impressione che la parte santa non abbia avuto la meglio su quella brigante.

      Il Lama o guru poi, è semplicemente la persona abile ed abilitata a trasmettere correttamente l’insegnamento.
      Il lamaismo invece è un fenomeno degenerativo relativo ad un certo periodo storico che ha senz’altro indebolito lo sviluppo del paese, fenomeno che con una corretta pratica buddhista centra molto poco.

      D’altronde il Tibet un esercito lo aveva quando è stato invaso.
      Mi sembrerebbe azzardato sostenere che abbia avuto una difesa debole per via di una religione pacifica (in questo caso troppo) anche perché la legittima difesa è ben teorizzata (a meno che non abbiano preso la cosa troppo sottogamba, dimenticandosene, mah), penso più ad un governo pigro e poco oculato che si sia mangiato le risorse da qualche altra parte.

      Resta comunque per me difficile dire, sono solo provvisorie opinioni personali e neanche troppo informate rispetto a quanto ci sarebbe da essere informati.

      • Tortuga scrive:

        Qualche refuso:
        popolo terrifico e non “terrico”

        E poi:
        “Come noi siamo TUTTI “cattolici” (avevo scritto buddhisti! 😀 ) di nome e non di fatto, e sarebbe un assurdo pensare ad una adesione concreta perfetta e fattiva da parte di tutta la nostra popolazione al cattolicesimo …”

      • Mauricius Tarvisii scrive:

        La debolezza militare del Tibet è sempre e solo stata causata dal suo isolamento, dovuto sia a ragioni geografiche, sia a ragioni culturali. Queste ultime altro non erano che una forma estrema del desiderio di isolamento diffuso un po’ in tutta l’Asia centrale: il contatto col mondo, lungi che utile, era visto come destabilizzante e distruttivo degli equilibri costruiti in secoli di storia.
        Isolamento terminato in Tibet, come in Cina e in Giappone, a causa delle armi degli occidentali.

        • Tortuga scrive:

          Concordo. Ricordo di aver letto un articolo in cui lo ammetteva apertamente i Dalai Lama stesso, affermando che il Tibet non ha mai saputo costruire relazioni diplomatiche significative.
          E’ comunque difficile non essere isolati quando si vive a 4000 metri su rocce a strapiombo ed avendo in effetti poche risorse da scambiare con gli altri.

    • PinoMamet scrive:

      “Tempo fa, lessi, ora non ricordo dove, che la conversione dei Mongoli al Lamaismo tibetano intorno al 1577 se non sbaglio, modificò talmente i Mongoli, da trasformare quelli che erano stati feroci e temuti guerrieri, in candidi agnellini, così innocui da finire sotto il dominio della Cina Manciù (1644-1911) intorno al 1691.”

      A occhio e croce mi pare una minchiata: i Manciù stessi (un popolo sapientemente inventato a tavolino- a partire dal nome, ripreso a quanto pare proprio dal pantheon buddhista- sulla base di alcuni clan Jurchen) comprendevano otto “bandiere”, cioè clan-tribù-reparti militari mongoli, e i mongoli continuavano a fare carriera nella struttura sociale-militare manciù proprio perchè più “sbabbari” di altre etnie quali gli hane anche molti manciù veri e propri, che nel ‘700 erano spesso completamente sinizzati…
      anche gli zungari poi non è che si siano lasciati conquistare così facilmente…

      insomma, mi pare la versione cinese di quella sui Romani che sarebbero caduti perchè convertiti al Cristianesimo…

      • mirkhond scrive:

        Se stiamo alla sacra wiki, gli Zungari sarebbero stati sterminati con modalità genocidarie da far invidia a società più vicine a noi…
        Pare che su 600.000 quanti erano nel 1755, entro il 1759 l’80% venne sterminato o morì a causa dello scompaginamento violento del proprio ambiente a nord del Bacino del Tarim, ad opera dei Manciù/Jurchen/Han…..
        L’ultima dinastia cinese, non solo era mongola di ceppo Jurchen ( popolo che già negli anni 1114-1234 aveva dominato la Cina settentrionale), ma, dominando e controllando l’immenso serbatoio umano Han, anticipò nel XVIII secolo, all’apogeo della sua potenza, dinamiche etniche di controllo sul territorio, che si ritrovano poi nella Cina di Mao (1949-1976), come l’invio di coloni Han nella Zungaria conquistata e ripulita etnicamente, in modo da rendere minoranza in patria i superstiti.
        Mentre invece non aprì la Mongolia, annessa nel 1691 all’immigrazione Han e, come hai ricordato, molti leaders mongoli fecero carriera all’interno di un impero retto da loro affini, e questo fino al 1911.
        Diversa ancora fu la politica Manciù verso la propria terra d’origine, la Manciuria, aperta all’immigrazione Han a partire dal 1850 circa, cosicché oggi la Manciuria è anch’essa un paese a maggioranza Han…
        Del resto, quando, nel 1911, 86 bandiere mongole si resero indipendenti dalla Cina non più imperiale, la Mongolia interna restò cinese come ancora oggi….
        ciao!

        • habsburgicus scrive:

          L’ultima dinastia cinese, non solo era mongola di ceppo Jurchen

          non mongola bensì manciù, dunque di ceppo tunguso (come già gli jurchen)
          ciao !

        • mirkhond scrive:

          Mi sembra che gli Jurchen e i Tungusi siano della stessa famiglia dei Mongoli.
          ciao!

        • PinoMamet scrive:

          I rapporti etnici e linguistici all’interno del macrogruppo Altaico credo che tuttora non siano chiarissimi, certo a quanto ho capito c’è una “parentela” tra Mongoli e Tungusi e Turanici (qualcuno si spinge a metterci anche i coreani e addirittura i giapponesi, ma la cosa è più controversa) ma di preciso in che modo non saprei.

          la cosa è complicata dal fatto che questi tre gruppi etnici (tungusi, mongoli e turchi, insomma) oltre che forse a provenire dalla stessa regione (i monti Altai appunto) hanno poi avuto una lunghissima storia di migrazioni, alleanze, scambi ecc. ecc. per cui (oltre a rendere difficoltoso capire quando una parola sia arrivata per scambio culturale anzichè per origine comune) e a volte difficile sapere quale popolo dell’antichità, citato magari da confuse fonti cinesi, fosse rispettivamente tunguso o mongolo o turco, visto che poi si trattava spesso di grosse confederazioni di tribù che non è detto neppure parlassero la stessa lingua…
          (lo stesso problema c’è con gli Unni e gli Avari, in Occidente, che in fondo sono sempre “quella roba lì”).

          ciao!!

        • Tortuga scrive:

          Ecco la voce “Mongoli” del Cornu.

          Il dato che “potrebbe” essere a sostegno della tesi che Mirk ha chiesto di esaminare è quello di una religione che – e questo è vero – crede nel primato della educazione, dell’istruzione e della conoscenza (la quale però non rende affatto deboli e facilmente prevaricabili).

          Io però mi volevo solo limitare al discorso famiglia-società/lavoro, non volevo farvi divantare tuttibuddhisti 😀 , il Tibet in questo caso era solo un luogo che mi offriva uno spunto utile.

          baciatutti e buona domenica

        • Tortuga scrive:

          x Pino

          “quella roba lì” risolve molti problemi 😉

          in fondo ma checcefregà c’avemo artro da fà, dovemo da campà, mica se po’ sta dietro a tutto 😀

      • Tortuga scrive:

        Esatto, Clan-Tribù.
        Infatti anche i Tibetani, sopratutto i residenti nelle regioni orientali sono “mongoli”, del resto basta guardarli e restano pochi dubbi.

        — i Manciù stessi (un popolo sapientemente inventato a tavolino- a partire dal nome — Pino –

        Il nome richiama quello di Manjushri (icona della conoscenza che libera dall’inganno o “diamane che recide l’illusione”), divinità a cui, insieme a Tara sono devota 😉 più delle altre 😉

        Non c’è un modo qui per passare files, vero?

  26. mirkhond scrive:

    Le tue riflessioni sono sempre molto interessanti, soprattutto perché provengono da chi è “dentro” il Buddismo.
    Io però mi riferivo all’impatto del Buddismo sui Mongoli e non sui Tibetani, e sulla trasformazione dei Mongoli da guerrieri ad “agnellini” che sarebbe dovuta proprio alla conversione al Buddismo….
    ciao!

  27. mirkhond scrive:

    “In realtà non ho sufficienti conoscenze per dire se questa storia sia vera o meno, per confermarla o smentirla. Il fatto è che non credo le abbiano neppure i tibetologi perché la storia di questo popolo e di queste terre è realmente ancora avvolta dal mistero per il modo stesso in cui essa passa ai posteri ed è tramandata.”

    Questa considerazione mi interessa parecchio e mi induce a riflettere su tante cose che si dicono sul Tibet, sul Bon, su Lobsang Rampa (a proposito chi era?), su Shambhala, Agarthi, ecc.
    Cose lette sui libri di Peter Kolosimo, e raccontate da furbacchioni simpatici come Valentino Compassi, un cui libro, Luci su Shambhala del 1995, cerco da anni senza riuscire a trovarlo in nessuna libreria, nemmeno di libri vecchi e fuori commercio….
    Penso ai viaggi di missionari cattolici in Cina, a partire da Odorico da Pordenone (1265-1331) coevo di Marco Polo, e poi di gesuiti portoghesi e italiani nei secoli XVII-XVIII…
    Ecco, pensando a ciò che dici, si può ritenere che le immagini del Tibet, giunteci attraverso tutti questi filtri occidentali, non siano altro che abbagli?
    Eppure il Tibet suscita in molti di noi un fascino di terra magica, esoterica, inaccessibile, e mi viene in mente Shambhala di cui cerco notizie serie fin da quando avevo 17 anni….
    ciao!

    • Tortuga scrive:

      Intanto su Losang Rampa puoi leggere questo
      http://unavocegrida.tripod.com/Rampa.htm

      Per una succintissima storia della Mongolia, se ti interessa posso provare a passarti lo scanner di una pagina del Cornu.

      Shambala invece è una storia complicata, ma si tratta di un regno che pur essendo sulla terra non può essere visto che da uomini dotati della forza del merito della pura virtù e della piena conoscenza dei tantra 🙂
      Il problema non è tanto la conoscenza dei tantra ma la pura virtù 😉
      Quindi minimo bisognerebbe seguire tutto il percorso di studio e pratica: 111.000 prostrazioni + 111.000 recitazioni di purificazione + 111.000 rifugi e 111.000 guru yoga sono il minimo richiesto per solo iniziare, + 20 anni di studio del paramitayana e altri 20 dopo di studio del tantrayana, ma ancora non basta per accedere al kalachakra, e poi forse si può vagamente iniziare ad avvicinare Shambala, ma non è ancora detto che la si possa “vedere” 🙂
      Insomma, è inutile illudersi, non son cose per non addetti 😉
      Comunque è una favola, come tutte quelle tibetane, metaforica.
      Si tratta infatti di una leggenda profetica che ha origine nel XII secolo, quando sull’India grava la minaccia delle invasioni musulmane.
      Descrive una terra pura e inviolabile dove viene preservato l’insegnamento di Kalachakra.
      La storia di Shambala in occidente avrebbe dato origine però a diversi nuovi miti e, chissà, forse solo il Dalai Lama e qualche altro vecchio tibetano ne conosce ancora i segreti.

      E… non sono così tanto addentro, il favolismo eccessivo ed eccessivamente complesso del b.t. alla lunga mi stanca.
      Con questa loro mania di metaforizzare tutto e cripticizzarlo alla fine credo che loro stessi abbiano perso il contatto con la realtà.
      Loro hanno passato il loro tempo in questo, noi abbiamo l’ingegneria, la medicina, sistemi giudiziari sicuramente più avanzati, e siamo andati sulla luna. Per quanto sognare sia bello e farlo in modo organizzato sia auspicabile, tuttavia alla fine il rischio è quello che si riduca tutto ad una grande inutile sega mentale.

  28. mirkhond scrive:

    Per Tortuga

    Interessante l’articolo che hai postato.
    ps. se non lo sai, Massimo Introvigne non è particolarmente simpatico al nostro colonnello proprietario di questo blog…
    Comunque, sempre ritornando all’articolo, almeno ha il merito di fare un po’ di chiarezza su un certo esotismo che però affascina tanti Franchi proprio per la sete di magico, di fiaba, che in tanti ci portiamo dentro per condire una minestra della vita, spesso amara e/o insipida…..
    Provo una certa ammirazione per quegli scrittori capaci di farti fantasticare con storie in gran parte, se non del tutto inventate, sia pur inserite su sfondi storici “verosimili”…
    ciao!

    • Tortuga scrive:

      Si, non è colpa mia se è firmato con quel nome.
      La verità è che lo stesso identico articolo lo poteva scrivere parola per parola qualunque altro tibetologo italiano, compreso un mio (ex)amico che comunque ebbe il tempo di confermarmi l’attendibilità di massima del contenuto di quello specifico articolo.
      Poi è chiaro, arriva uno, scrive quello che tutti in un certo ambiente sanno e dicono tanto che non fa forse più neppure argomento di convesazione, ci mette la sua firma e op-là, si mette in mostra come scopritore di inganni e si fa una fama.
      Ha fatto solo opera da scribacchino che, con le fonti giuste, potevo fare anche io e qualunque studente universiario di orientalistica.
      Ora quali motivazioni abbia per firmare questo articolo non lo so, ma a me interessava il contenuto, e – purtroppo – non potevo cancellare il nome dalla pagina ma copiandomi il testo 😉

    • mirkhond scrive:

      non è colpa mia se è firmato con quel nome.

      Era solo una battuta, non preoccuparti. 😉
      ciao!

      ps. se ti va, guardando negli archivi del blog, datti uno sguardo all’analisi su Introvigne fatta da Miguel Martinez….
      Comunque sia, ben vengano le sue demistificazioni fatte su Lobsang Rampa….

      • Tortuga scrive:

        Le ho lette, cmq per un attimo me ne ero dimenticata, anche perché Miguel è una persona intelligente, non credo che se la sia presa a male.
        Considera che se un tibetologo scrivesse un articolo simile (in fondo estremamente banale se lo vai a leggere bene) per ricavarne denaro o fama, i suoi colleghi e la sua comunità gli sputerebbero in un occhio 😉 per il grado di banalità in fondo.
        Cmq dopo il caso editoriale Rampa, ce ne sono stati altri (lo zen e il tiro con l’arco è un’altra “megabufala”).

        Poi, vabbé, l’autore che chiama/paragona il buddhismo “nuova religiosità”, manifesta tutta la sua ignoranza o malafede.
        Che io o tu non sappiamo che non esiste alcun buddhismo tibetano, che il buddhismo mahayana diventa tibetano per noi oggi solo nella misura in cui le invasioni islamiche hanno distrutto molti originali sanscriti del canone mahayana, che fino a non molto tempo fa avevamo solo in tibetano e cinese, ma che ora stiamo riuscendo a recuperare anche in sanscrito (un avanzo di qua e un avanzo di là) è perdonabile.
        Che no lo sappia lui, invece no.
        Così come lui dovrebbe sapere che cosa è uno “gnapaka” (lo scrivo come si pronuncia ed è sanscrito) e quindi che sa di star raccontando anche lui la sua parte di frottola, ovvero di omissioni volontarie, volute e quindi partigiane.
        Anche degli “scopritori di inganni” bisogna diffidare 😉

  29. Tortuga scrive:

    Dimenticavo, p.s. per Mauricius:

    non si può dire “teocrazia” del buddhismo tibetano e di nessun buddhismo, quindi non è possibile porre un paragone valido fra questo è un’altra teocrazia (es. cattolicesimo).

    come già detto infatti non vi è alcun Dio – in senso monoteistico – che giustifica ed avvalla dall’alto ed a priori il potere temporale.

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      La forma di governo dove il capo politico coincide col capo spirituale, nel dolce idioma, si chiama teocrazia: è più sintetico di “governo del tizio che è da tutti considerato il massimo leader religioso della zona”.

      • Tortuga scrive:

        Te tu c’ha ragione, tuttavia in questo caso non si può applicare quella parola, occorre sforzarsi di capire che la religione, al di fuori dei Monoteismi Desertici, come direbbe Moi, può essere tante altre cose diverse rispetto a quelle cui siamo abituati, ed assimilare il diverso attraverso un termine non è corretto.

        • Mauricius Tarvisii scrive:

          Sì, ogni dottrina è diversa (anche tra i biekiSSimi monoteismi semitici), ma quello che conta, nel discorso teocrazia, non è il contenuto, ma la forma.

      • Ritvan scrive:

        —La forma di governo dove il capo politico coincide col capo spirituale, nel dolce idioma, si chiama teocrazia: è più sintetico di “governo del tizio che è da tutti considerato il massimo leader religioso della zona”. Mauricius Tarvisii—
        Mmmmm…non mi sembra sufficiente, poiché così la Gran Bretagna, la Norvegia e l’Andorra risulterebbero delle “teocrazie”(?!) (fonte http://it.wikipedia.org/wiki/Teocrazia ).
        Io preferirei un’altra definizione:”Teocrazia-forma di stato in cui la legislazione discende da princìpi religiosi e non può essere in alcun modo in contrasto con tali princìpi”.

  30. Mauricius Tarvisii scrive:

    A proposito del nostro prosindaco

    http://www.youtube.com/watch?v=bfjkmivNpRM

    Freschissima, quasi di giornata 😀

  31. mirkhond scrive:

    Per Pino

    Stando a Jean Paul Roux, uno dei più grandi turcologi, nella sua Storia dei Turchi del 1988, sostiene, stando almeno all’interpretazione dei dati archeologici, che l’urheimat primordiale dei Turchi, fosse nella Siberia orientale, da dove, molto, molto lentamente, sarebbero sciamati nella Mongolia centro-occidentale, intorno al 700 a.C., mentre i Mongoli (come pure gli Jurchen e i Tungusi) sarebbero provenienti dalla Manciuria, Mongolia orientale e Estremo Oriente Siberiano.
    A prova di ciò, Roux, sostiene che nelle più antiche tombe prototurche in Mongolia, si troverebbero cavalli camuffati da renne, come a dimostrare il tenace attaccamento a luoghi più ancestrali e alla difficoltà di cambiare stile di vita!
    Le più antiche documentazioni storiche sui Turchi, le fonti cinesi, risalgono al III secolo avanti Cristo, e citano gli Hsiung Nu, che in Occidente, a ragione e a torto sono associati agli Unni.
    E tuttavia l’area altaica, sempre stando a ritrovamenti archeologici, allo studio dei crani e delle ossa, doveva essere piuttosto un paese indoeuropeo, il terminale orientale dell’immensa area delle steppe eurasiatiche, i cui più antichi abitatori erano chiamati Sciti o Saka, genti verosimilmente di ceppo iranico, anzi forse gli iranici originari, piuttosto differenti dalle popolazioni armenoidi più meridionali della stessa lingua.
    Si doveva trattare di gente dai tratti somatici europoidi chiari, con capelli biondi o rossi, e occhi chiari.
    Certo, data la vastità e l’immensità della steppa tra le foci del Danubio e la Manciuria, è possibilissimo che, dietro il termine Sciti, si celassero realtà etniche più complesse e articolate, popolazioni e confederazioni miste.
    E tuttavia se osserviamo i ritrovamenti archeologici altaico-centro-sud-siberiani, a partire dalla facies di Afanasievo (3500 a.C.), fino a circa il 700-200 a.C., troviamo che l’area altaica dovette essere una terra indoeuropea, in cui, solo, molto lentamente, cominciano, nell’età del ferro, ad affluire popolazioni turaniche, probabilmente dopo aver addomesticato il cavallo, forse a contatto proprio con queste genti scitiche, con cui condivideranno l’habitat e abitudini di vita.
    E nelle fonti cinesi dei secoli III-I a.C., infatti abbiamo notizie sia degli Hsiung Nu, che, se i dati archerologici sono combacianti coi racconti cinesi, dovevano essere genti dai tratti mongolici e forse i più antichi Turchi menzionati da documenti scritti.
    Le stesse fonti poi, ci parlano di 5 popolazioni abitanti nelle regioni occidentali del Gansu, e ancor più ad ovest verso il Bacino del Tarim (allora forse più ricco d’acqua e vegetazione, e più fertile di oggi), e i Tien Shan.
    Queste popolazioni ad ovest dell’antica Cina, vengono descritti come di alta statura, di pelle chiara e con capelli biondi e rossi, e occhi azzurri e verdi! Un testo cinese del I sec. a.C. li descrive “alti e biondi con gli occhi azzurri, BRUTTI COME LE SCIMMIE DA CUI DISCENDONO!”
    Due di queste popolazioni sono note come gli Yuezhi e i Wu Sun. I primi vengono generalmente associati ai Tocari delle fonti greco-romane, stanziati nel Bacino del Tarim, in ambigui e fluttuanti rapporti di vassallaggio con i potentati turco-mongolo altaici e con la Cina, fino ad essere poi sommersi dagli Uiguri intorno all’850 d.C., e da cui furono infine assimilati.
    I Wu Sun invece, stando sempre al Roux, dovrebbero essere dei Saka, degli Sciti iranici, stanziati sui Tien Shan ancora alla fine del II secolo a.C., come testimoniato dal racconto di una giovane principessa cinese, andata in sposa (contro la sua volontà) ad un re Wu Sun intorno al 110 a.C.
    La giovane regina cinese, in un canto poetico, ci descrive la sua vita in mezzo a queste genti che lei disprezza come barbari, il suo vecchio marito, gentile e premuroso con lei quanto si voglia, ma che le suscita ribrezzo per quella barbaccia e capelli rossi, per i suoi occhi azzurri, per la vita in tenda che conducono e per il latte fermentato e latticini che lei è costretta a mangiare. Il tutto passando e ripassando per i pascoli e gli alpeggi dei Tien Shan….
    A partire dal II secolo a.C., però la pressione “unna” cominciò a farsi più forte verso gli Altai e le steppe centrali eurasiatiche, e tra i secoli IV e VI d.C., non troviamo praticamente più traccia di genti indoeuropee (con l’eccezione dei Tocari del Tarim fino alla metà del IX secolo dopo Cristo, come detto prima), nell’immensa fascia stepposa tra gli Altai e la foce del Danubio.
    Cosa è successo? Verosimilmente vi fu un’ ulteriore avanzata di genti turche e mongole, e mongole dietro ad esse, in cerca di pascoli, che portò all’espulsione verso l’Asia centrale transoxiana, l’Iran e l’India da una parte, il Caucaso settentrionale e l’Europa dall’altra, delle popolazioni scitico-iraniche, mentre ciò che ne restava veniva assorbito dai nuovi dominatori, dando origine a confederazioni di popoli misti come gli Unni Bianchi (c.420-567 d.C.), e tra gli stessi Türük, i nostri Turchi coi loro imperi (secc. VI-VIII d.C.). Turuk, il cui clan dominante gli Ashina, vantava origini da un meticciamento con donne sogdiane, quindi iraniche, in stile ratto delle Sabine! E aveva il suo totem nel Lupo (Kurt in Turco).
    O pensiamo ancora agli Jakuti siberiani, forse originari degli Altai, che si autodefiniscono SAKA, conservando nel nome, un lontano ricordo di incontri con genti iraniche della steppa….
    Per non parlare infine di individui con fattezze parzialmente o del tutto EUROPOIDI, che si ritrovano nel Turfan, nel Tarim, nel Khotan, sugli Altai e in Kazakhstan, in contesti in stragrande maggioranza turchi, turcofoni e MONGOLICI nei tratti somatici….
    ciao!

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      C’è chi ha detto che turco è chi parla un certo tipo di lingua e non chi discende da un determinato gruppo di antenati comuni.

    • PinoMamet scrive:

      “..e per il latte fermentato e latticini che lei è costretta a mangiare”

      Devo avere qualche antenato Han, mi dicono che nutrono lo stesso ribrezzo per i latticini (formaggi specialmente) che ho io…
      anche se mi pare che molti adesso se li facciano piacere per moda, ma credo che sia un gusto acquisito…

  32. mirkhond scrive:

    Infatti, nel discorso, mi sono limitato a parlare dei Turchi “veri”, quelli più vicini, per fattezze somatiche e habitat, agli ambienti siberiani, mongoli, altaici e centroasiatici.
    Ho volutamente omesso i Turchi dell’Anatolia e quelli dell’Azarbaigian e dell’Iran, come i Gagauzi e i Tatari di Crimea, proprio perché costoro di “mongolo” c’hanno solo la lingua, un’autoidentificazione “nazionale” e alcune sfilacciate (e spesso rielaborate) tradizioni….
    Il turco musulmano tra l’Egeo e l’Asia Centrale transoxiana, culturalmente (e non solo) è un IRANICO.
    ciao!

  33. habsburgicus scrive:

    @mirkhond
    Mi sembra che gli Jurchen e i Tungusi siano della stessa famiglia dei Mongoli

    che i Tungusi abbiano affinità linguistiche con i Mongoli non ci piove (anche se non poi così grandi); tuttavia per quanto ne so i Tungusi dovrebbero essere distinti dai Mongoli così come i Germasnici sono distinti dagli Slavi, per quanto ambedue indoeuropei
    le cosiddette lingue “altaiche” (pur essendoci alcune differenze fra gli studiosi) si dividono in 3 grandi gruppi
    1. Turchi
    2. Mongoli
    3. Tungusi
    come i Turchi non si confondono con i Mongoi, così i Tungusi non dovrebbero essere sconfitti con i Mongoli
    le lingue turche, diversissime fra loro, sono ben note (ne dimenticherò certo qualcuna :D): gagauzo, kipçak dei karaiti in caratteri ebraici, kipçaq di Galizia in caratteri armeni, tataro di Crimea, ciuvascio, baschiro, tataro di Kazan’, khakasso, oiroto, jacuto, tuvino, kazaxo, kirghizo, karacalpaco, uzbeco, turkmeno, karaçaj e balkar, kumyk, nogaj, azaero, osmanli
    le lingue mongole sono molte di meno: mongolo, buriato, calmucco e altre lingue di piccoli popoli in Cina che non sono scritte; mongola era la lingua dei Qidan, predecessori degli Jurchen in Cina del Nord, sotto il nome di Liao (947-1125), di cui esistono 2 forme di scrittura di tipo sinico (altre 2 esistono per lo jurchen, dinastia Jin=Kin)
    le lingue tunguse sono poche: manciù, xibo (o manciù del Xinjiang), l’estinto jurchen, e, credo, daur, even, evenki e altre lingue di piccoli popoli di Cina e Siberia (per alcune si tentò di scriverle nel periodo “sovietico” della Cina rossa, sino al 1957/1958; poi il maoismo iper-nazionalista abbandonò questi progetti..fra l’altro ciò é una diffeenza imptressionante fra l’URSS degli anni ’20 e ’30 quando furono codificate decine e decine di lingua e la Cina popolare, anche nei suoi anni più filo-sovietici, gli anni ’50, che non a caso però furono gli unici in cui si fece qualcosa, anche con l’ausilio in certi casi del cirillico :D)
    come é noto l’alfabeto manciù, adottato nel 1599 e riformato nel 1632, fu preso dal mongolo chee a sua volta fu creato nel XIII secolo dll’uiguro, che era stato preso dal sogdi8ano, di origine aramaica e dunque in ultima analisi fenicia…dal Mediterraneo al Pacifico 😀
    ciao e buona settimana a te e tutti !

  34. mirkhond scrive:

    “come i Turchi non si confondono con i Mongoli, così i Tungusi non dovrebbero essere confusi con i Mongoli”

    Si, forse a livello linguistico, ma nei fatti, nella steppa i popolamenti misti sono stati tutt’altro che infrequenti, dato che in fondo si condividevano gli stessi ambienti e lo stesso stile di vita….
    Del resto, non sono rarissimi individui con fattezze parzialmente o totalmente europoidi tra Mongolia e Kazakhstan, così come Qashqai, Azeri, Osmanli, Tatari di Crimea e Gagauzi di mongolico non ne hanno certo i tratti….
    In Mongolia, i Turchi non furono mai del tutto scacciati dai Mongoli.
    Questi si sarebbero affermati nell’Otuken (Mongolia) prima come casta dominante degli Juan-Juan/Avari nel 407-552 d.C., poi abbattuti dai Türük, i “Fabbri degli Altai” sotto Bumin Khan, fondatore del primo impero turco delle steppe, in cui i Turchi compaiono sotto questo nome.
    Poi, intorno al 920 d.C., le tribù mongole, provenienti dalla Mongolia orientale e dalla Manciuria, cacciano i Kirghisi, l’ultimo grande gruppo turco stanziato in Mongolia, i quali a loro volta avevano distrutto l’Impero Uiguro, anch’esso turco, nell’840-850 d.C., Uiguri che possono essere considerati gli eredi dei Turchi Orientali, una delle due branche dell’Impero Turco sorto nel 552 d.C., e frazionatosi già dopo il 580 d.C. e definitivamente intorno al 630 d.C.
    E tuttavia, cospicue popolazioni turche rimasero in Mongolia, e sono presenti ancora all’epoca in cui Gengiz Khan fonda il suo impero tra il 1196 e il 1206 circa.
    Penso ai Naiman, in gran parte nestoriani, che furono assorbiti nel nuovo grande impero delle steppe.
    Tra i Mongoli di Gengiz Khan (1155/62/67-1227) e successori, i Mongoli propriamente detti erano una minoranza, mentre la maggior parte degli effettivi militari e dei clan che li seguirono erano TURCHI, in gran parte ancora legati allo Sciamanesimo, al Manicheismo, al Buddismo e al Cristianesimo Nestoriano.
    E di fatti, i grandi khanati occidentali dell’Impero Mongolo, Ciagatai, Ilkhan dell’Iran e Orda d’Oro, divenuti de facto indipendenti da Karakorum e poi da Kambaluq/Pechino, fin dalla morte di Kublai Khan (1294), divennero TUTTI TURCOFONI, e musulmani.
    Secondo Jean Paul Roux, i Mongoli propriamente detti che, agli ordini di Batu Khan, fondarono l’Orda d’Oro nel 1237-1241, erano solo 4000, il resto dell’immensa orda era composto da TURCHI, tra i quali i Kipçiaq/Cumani/Polovzi, già presenti da almeno due secoli tra le steppe tra il lago Balkhash e il basso Danubio, costituirono uno degli elementi essenziali….
    ciao

  35. mirkhond scrive:

    Negli scorsi giorni, osservando un sito di una compagnia di reenactors ucraini, specializzata nella ricostruzione di battaglie sul fronte russo della seconda guerra mondiale, mi hanno colpito alcune splendide “infermiere di guerra” in uniforme tedesca, con carnagione chiara e occhietti stretti….
    Guardandole, mi venivano in mente tutti i passaggi di popolazioni in queste aree della steppa, e ai popoli misti che generatisi da questi scontri/incontri….
    Del resto i Qipçaq/Cumani/Polovzi, dei secoli XI-XIV, sono descritti come genti di aspetto europoide seppur linguisticamente turchi, e mi chiedo se gli attuali Gagauzi e i Tatari di Crimea ne siano gli ultimi eredi, almeno da un punto di vista linguistico….

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  37. mirkhond scrive:

    “chi ricorda i braccianti?”

    Tenendo SEMPRE conto delle difficoltà della vita, in OGNI, epoca, stando ai miei studi universitari, il problema del bracciantato, almeno in Italia, diventa qualcosa di serio con l’arrivo di Napoleone, e l’abolizione del feudalesimo e del regime dei campi aperti, nel periodo 1796-1814.
    La scomparsa del feudalesimo, creò una massa di proletari, costretti a sottostare alle dure condizioni salariali, imposte dai nuovi ceti terrieri, di stampo borghese e/o ex feudatari sciolti dai loro OBBLIGHI verso gli ormai ex servi della gleba, ceti formatisi nel periodo napoleonico, e divenuti con la (parziale) restaurazione, il gruppo inquieto che avrebbe capitanato quella variegata e contraddittoria serie di moti chiamati “risorgimento”, e trovato il loro apogeo nella costruzione dell’italia sabauda nel 1859-1870.
    La scomparsa del feudalesimo, in realtà scardinò un equilibrio sociale plurimillenario, le cui origini risalgono all’epoca tardo-antica della Pars Occidentis della Romània, nei secc.III-V.
    A quest’epoca, in seguito alla cessazione delle guerre di conquista romane, anche la grande schiavitù di massa, venne meno, in quanto non vi erano più immensi serbatoi umani di prigionieri di guerra, come ancora nelle guerre daciche di Traiano (98-117 d.C.)
    Per cui, dovendosi “arrangiare” con la servitù esistente, si assistette tra II e III secolo dopo Cristo, alla trasformazione del ceto servile in ceto di servi della gleba, condannati certo a restare a vita sul territorio in cui vivevano e faticavano, ma potendosi finalmente formare una famiglia, e lasciare il “posto fisso” in eredità ai figli.
    E proprio nei secc.II-III che, comincia a formarsi un UNICO ceto rurale, formatosi dalla fusione degli antichi schiavi agricolo-pastorali con ciò che restava delle popolazioni indigene italiche ormai latinizzate.
    Da un lato quindi, vi fu un irrigidimento sociale, a differenza dei primi due secoli successivi ad Augusto (29 a.C.-14 d.C.), ma dall’altro si creò un immenso “ammortizzatore sociale” che si rivelò talmente efficace da durare almeno 1500 anni, dato che le stesse nuove elites germaniche, spartitesi la Romània occidentale nel V secolo dopo Cristo, l’avrebbero lasciata e rielaborata, all’epoca di Carlomagno (768-814 d.C.) col nome di feudalesimo.
    Il Frangistan unificato non sopravvisse di molto al suo fondatore, e la storia franca è un millenario alternarsi di tentativi di riunificazioni e spinte centrifughe, giunte fino ad oggi con lo zollverein bancario-monetario chiamato unione europea.
    Però il sistema feudale, con alcuni DIRITTI (legati ovviamente agli ONERI) garantiti al mondo contadino (regime dei campi aperti, diritto di pascolo e raccolta della legna nei boschi demaniali e dell’ente feudale DISTINTO dalle proprietà vere e proprie del feudatario), fu come detto prima uno stabile “ammortizzatore sociale”
    Certo a partire dal XII secolo, in alcune aree del Frangistan come nella Longobardia Maior e in Toscana, lo sviluppo dei comuni e di ceti dirigenti urbani borghesi-nobiliari, avviò una fase di “protocapitalismo” con le prime grandi rivolte di massa, spesso incanalate sotto forma di movimenti religiosi più o meno ereticali, oppure in vere e proprie rivolte sindacali come il tumulto dei Ciompi a Firenze, nel 1378!
    Era nata la (difficile) economia cittadina, in cui l’aria della città rendeva liberi solo quei contadini più furbi, scaltri e cattivi, che coll’avidità e l’arroganza tipica dei risaliti sociali, cercavano di fare serrate sostituendosi e/o affiancandosi alle antiche aristocrazie nobiliari, per impedire ai più sfortunati dei vecchi e nuovi inurbati, di godere anch’essi del benessere dei primi.
    E tuttavia, e per le grandi crisi delle prime grandi banche toscane come i Bardi, i Peruzzi ecc., e per l’esplosione di epidemie pestilenziali tra XIV e XVIII secolo, e per il carattere ancora “grezzo” del protocapitalismo e la tendenza dei risaliti a diventare nobiltà feudale, il processo fu ritardato fino all’esplosione protestante tra Olanda e Inghilterra nei secoli XVI-XVII, con le “chiusure” nella seconda e la trasformazione del ceto nobiliare, di vecchia e nuova data, in brutale PADRONATO CAPITALISTA.
    Nel resto del Frangistan, invece, grazie all’illuminismo e a quel capolavoro che fu la rivoluzione francese, che vecchi e nuovi riccoidi poterono definitivamente abbattere il feudalesimo con i suoi “insopportabili” obblighi (per lorsignori) e “mani morte” che, se NON facevano arricchire chi vi lavorava, però gli garantivano il PANE per se e discendenza…
    Ecco COSA C’E’ alla base del cosiddetto liberalismo e risorgimento, e perché la mia PROFONDA AVVERSIONE, per una rivoluzione di vecchi e nuovi RICCHI, snob o meno, che FREGARONO I POVERI in nome di un’astratta “libertà” che era invece libertà di RUBARE ai poveri QUEL POCO che avevano.
    Al processo infine dette una vigorosa mano la rivoluzione industriale coeva, che agli indubbi vantaggi tecnologici, si accompagnava sempre la maledetta mentalità da risalito di NON voler spartire il malloppo coi tanti, troppi poveri, che CONTRIBUIVA ad aumentare.
    E non a caso Marx e il Marxismo sorgono nel XIX secolo, e cioè DOPO la rivoluzione industriale-illuminista dei ricchi, rivoluzione che Marx apprezzava per la distruzione dell’antico ordine feudale, ma che considerava una rivoluzione interrotta, “tradita”, proprio per la sua OGGETTIVA INCAPACITA’ di allargare il giro del benessere a tutti…
    Il Marxismo insomma, fu la reazione-radicalizzazione alle ipocrisie dell’ulluminismo, e solo interagendo, solo puntando la bajonetta al culo dei riccastri, è riuscito, con durissime e sofferte lotte, nei luoghi dove NON E’ MAI ANDATO AL POTERE, come in Italia, ad ottenere il benessere di massa.
    Benessere che oggi è in fase recessiva, a meno che non vi sia un miracolo….
    ciao!

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