Marino Badiale di Alternativa sul ricatto della FIAT

Il ricatto di Sergio Marchionne ai lavoratori della FIAT, è una grossa vicenda.

Su Kelebek, ci occupiamo in genere di piccole vicende. Innanzitutto, perché per le grosse vicende ci sono persone che ne sanno molto di più, e sanno scriverne meglio.

Poi, perché le piccole vicende, se analizzate in profondità, ci danno delle chiavi che possiamo applicare a tante altre cose. Se capite bene in che modo un venditore di pentole di Vimercate ha intortato una casalinga di Vimodrone, riuscirete a non cadere in trappola, in tutt’altre circostanze.

Quindi sulla questione FIAT, lascio la parola a Marino Badiale, segretario politico del movimento Alternativa. Non solo perché è una persona saggia, ma anche perché è un amico che stimo particolarmente. Anche se non è facile parlare insieme dei sacrosanti diritti delle persone che hanno dato la parte migliore della propria vita alla FIAT, e dei prodotti largamente distruttivi che caratterizzano la stessa FIAT.

Di mio, aggiungo che la FIAT non solo è opera di molte generazioni e di centinaia di migliaia di lavoratori italiani; ma le sue spese sono state largamente coperte dai contribuenti italiani; mentre lo Stato italiano ha creato il mercato per la FIAT, regalandole due  favolose guerre mondiali, una rete di autostrade e, in anni recenti, la sistematica autodistruzione della concorrenza pubblica.

Aggiungiamo, vista la particolare natura del principale prodotto della FIAT, che è la collettività italiana a prendersi carico delle spese ospedaliere per le vittime di incidenti stradali, dei costi dell’inquinamento, delle conseguenze anche internazionali di un sistema incentrato sul consumo di petrolio e di tutti gli effetti enormi che il traffico su quattro (o più) ruote ha.

Da cui una considerazione minore e una maggiore.

La minore è che il signor Sergio Marchionne, cittadino italiano e canadese con residenza in Svizzera, si dichiara pronto a buttare a mare migliaia di italiani, e i partiti che dichiarano di rappresentare gli italiani – sia quelli che parlano dei lavoratori, sia quelli che parlano di Italia – si proclamano d’accordo con lui.

La maggiore è che lo spirito del capitalismo consiste nel fare un gioco di prestigio, isolando la “proprietà privata” da tutto il suo contesto e divinizzandola; mentre tutto ciò che ne resta fuori, cessa di esistere.

Questa voce è stata pubblicata in Italia, riflessioni sul dominio e contrassegnata con , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

29 risposte a Marino Badiale di Alternativa sul ricatto della FIAT

  1. mirkhond scrive:

    I nodi giungono al pettine: lo sviluppo industriale mostra dei limiti, e il crollo dell’altro volto della modernità industriale, il comunismo sovietico, ha portato in questi anni alla graduale erosione dei diritti acquisiti dai lavoratori, dietro minaccia rivoluzionaria appunto. Benessere ottenuto sulla pelle dei Ritvan, non dimentichiamolo.
    Ma il crollo del comunismo e il trionfo del capitalismo liberista, del padronato più abietto e sfacciato, ha posto anche il limite dello sfruttamento delle risorse.
    Il problema però è che tutto un mondo, il nostro, si è costruito su questo sviluppo industriale, il nostro benessere, impensabile anche una o due generazioni fa, in una cultura agricola.
    Ma se lo sviluppo industriale così com’è, è diventato insostenibile, e il marchionne di turno, privo della minaccia della baionetta comunista nel culo, e non più sostenuto dalla finanza pubblica, minaccia a sua volta di smantellare la fiat, è anche vero che la classe operaia, e tutto il nostro modo di vivere ad essa legato, che fine fa?
    Credo che alla fine si abbasserà a subire il ricatto marchionnale, pur di non perdere il lavoro, sia per la concorrenza extracomunitaria, e sia per l’incapacità di tornare a modelli di vita preindustriali.
    Ed è quest’ultimo, a mio parere, il VERO DRAMMA, della nostra epoca. Ci siamo illusi che lo sviluppo industriale con i correttivi sociali, fosse eterno e illimitato, mentre abbiamo scoperto, soprattutto ora, con l’emersione di nuove e agguerrite potenze industriali come Cina e India, che tutto ciò che è stato raggiunto in questi decenni di rapidi sviluppi, potrebbe CROLLARE, lasciandoci tutti più poveri e disperati.
    Mi viene in mente il racconto biblico della fuga dall’Egitto, gli Ebrei, ormai abituati alle condizioni di vita egiziane, dure ma con alcuni vantaggi, faticano, anzi non riescono proprio a tornare all’economia beduina dei loro avi, creando enormi difficoltà a Mosè, che deve ricorrere a metodi spietati per farsi obbedire, e aspettare una nuova generazione, pronta e (ri)adattata alla vita del deserto.
    E’ una questione di difficile soluzione e, temo, che l’incapacità o l’impotenza dei partiti, soprattutto dell’ormai annacquato fronte di sinistra, potrebbe portare a deviare il crescente malcontento verso l’ormai avviato sentiero dell’islamofobia e aprire la strada a nuove forme dittatoriali.
    Dittatura in cui, in nome di una lotta comune, la chiesa di don abbondio XVI, potrebbe paradossalmente riottenere un ruolo, perduto non a causa delle rivoluzioni laiciste ed atee, ma del CONSUMISMO, frutto dello sviluppo industriale nel mondo bipolare capital-cominista, crollato nel 1989-91.
    Si sa, i poveri sono più RELIGIOSI….

  2. mirkhond scrive:

    errata corrige:
    capital-comUnista

  3. rosalux scrive:

    E’ curioso, perchè Badiale (ma non diversamente da milioni di persone di sinistra in italia, a dirla tutta) enuncia con chiarezza dei principi, condanna con veemenza dei comportamenti, ma quando si viene al discorso “strategia” non ha veramente nulla di sensato da dire, ne’ sul medio ne’ sul lungo periodo. Sul breve? Muro contro muro, sciopero generale, no-tav insieme alla fiom, e poi? Marchionne sposta la produzione, (tanto siamo contro il capitalismo) e poi? Certo che il capitalismo non si sente tanto bene, ma per caso l’economia pianificata ha mostrato carte migliori? E se non è il capitalismo, non è l’economia pianificata, non è la socialdemocrazia allora che cos’è? Famo casino e poi se vede? Oppure il ritorno ad una economia di sussistenza? Ma dove, in europa? Ci dividiamo la terra, emigriamo in massa dalle città e ci mettiamo a coltivare i pomodori? E questa, la prospettiva che prospettate agli operai? Oppure quale altra? Cosa avete da offrire? No, davvero, è importante, eh? Soprattutto se i progetti sono così a lungo termine e radicali: non si può dire famo casino e poi si vede.

    • giovanni scrive:

      scusa Rosa, ma tu pensi che il signor Lenin aveva GIA’ in mente la NEP mentre tornava in Russia dall’esilio? O Stalin i gosplan?

      • Andrea Di Vita scrive:

        Per giovanni

        Mi sembrano paragoni infelici, vedendo a cosa ha portato l’URSS.

        Concordo con rosalux. Ho conosciuto personalmente Badiale ad una cena con Martinez a Genova: mi è sembrata persona brillantissima dalle idee assai chiare, ma al solito molto più radicale nelle analisi che nelle proposte. (Badiale insgna matematica all’Università. Sono convinto che sia un ottimo docente: del resto, anche Mao e Mussolini erano stati insegnanti).

        Credo che una puntuale battaglia legale -dopo il prevedibile ‘sì’ del referendum- contro tutta una serie di prevedibili abusi che seguiranno all’euforia momentanea della vittoria padronale possa costituire nell’immediato un efficace risposta alla domanda posta da rosalux.

        In particolare, questa mi sembra una risposta nello stile dell’idea di Martinez (http://www.megachipdue.info/tematiche/cervelli-in-fuga/5048-scuola-anziche-farci-male-da-soli.html) sulle lotte nella scuola assai migliore di quella delle gigantesche manifestazioi spontanee di piazza -come quelle che non hanno fermato la guerra in Iraq.

        Mi embra anche una strategia più fruttuosa di quella di una alleanza -cui mi sembra pensare Badiale- con noTAV e simili -alleanze eterogenee sono più facili a sfasciarsi col divide et impera da parte del potere. (Al limite, meglio marciare divisi per colpire uniti).

        Concretamente: qualunque dirigente FIAT ci penserà due volte se ad ogni singola sua decisione presa senza l’assenso FIOM gli arriverà a casa una denuncia per violazione dello Statuto dei lavoratori.

        Questo potrebbe valere anche a prevenire il contragio extra-FIAT (già Fincantieri si è ritirata dalla Confindustria di Genova).

        Una simile ‘guerriglia pacifica a bassa intensità’ sta sotto i radar delle cmpagnie di stampa padronali, ma sul piano pratico ha l’efetto di un logoramento.

        Se poi marchionne decide davvero di mollare il comodo rifugio Italiano -dove è il gallo più grosso del pollaio e dove gli lasciano percio’ fare una voce grossa che altrove si sogna- non sarà certo la modifica dei turni di pipì alla catena di montaggio che gli farà cambiare idea.

        Dev’essere ben chiaro a tutti che il ‘vecchio’ contratto nazionale metalmeccanico (lo so bene: io sono un metalmeccanico…) è più che sufficiente a garantire tutta la flessibilità cui un’aziendapuo’ aspirare per essere competitiva. Oggi il ricco ha più convenienza a speculare nella finanza che a investire in nuovi prodotti, perchè il denaro è più mobile delle persone (come dimostra l’esperienza dei servi della gleba).

        Senza diritti siamo solo schiavi.

        Ma questo slogan FIOM è soltanto il punto di partenza di quella presa di coscienza che dovrà alimentare la conflittualità sindacale del futuro.

        (E’ il caso di ricordare che ogni rivoluzione dell’era moderna comincia di solito con la repressione violenta diun’astensione dal lavoro. La storia è storia di lotta di classe. Per gli amanti dei massimi sistemi consiglio il brano di cui al sito http://www.carmillaonline.com/archives/2011/01/003739.html).

        Ciao!

        Andrea Di Vita

        P.S. E’ OT, ma mica tanto. All’inadempiente sindaco di Adro che ancora non ha rimosso l’infame sole delle Alpi dalla scuola ‘gianfranco miglio’ si oppone oggi il solo delegato sindacale CGIL-scuola, che ha presentato denuncia al tribunale. Queso pre far capire da che parte sta la civiltà, e da che parte la barbarie.

        • Francesco scrive:

          come no, la Civiltù sta nei tribunali e sarà salvata dalle ordinanze dei giudici

          mi sa che ti fai delle belle illusioni

  4. Moi scrive:

    E’ da quasi 17 anni che la SX in ‘sto Paese non conta più una fava …

    tutto per paura che sulle reti di Berlusconi continuassero a girare stronzate come questa …

    http://www.youtube.com/watch?v=i9aG9fdx72s

  5. Miguel Martinez scrive:

    Per Rosalux

    Dici una cosa vera e interessante.

    Prima di tutto, bisogna distinguere una proposta seria da una proposta tuttologica – io conosco un bel po’ di gente che ha una “proposta concreta” per tutta una serie di problemi, dalla moneta al cancro, ma anche per la politica italiana: simili proposte sono in genere costruite su una piccola verità, che però trascura l’enorme complessità della realtà.

    Una proposta seria deve, a mio avviso, essere in qualche modo viva, cioè deve riflettere un’autentica possibilità storica. Insomma, è diverso proporre la Città del Sole in un convento nel Cinquecento, e proporre la Costituzione italiana subito dopo la guerra.

    Per proporre qualcosa, quindi, ci vogliono forze vere, storiche. Ora, le forze storiche non stanno dalla parte degli operai della FIOM, e più in generale sono oggi contro la maggioranza della specie umana.

    Se è così, dici, “siamo realisti, troviamo una mediazione”.

    Il problema è che non c’è mediazione: o resisti alla corrente o ti fai trascinare, non la puoi rallentare. Non è che trovi il compromesso che permette agli operai della FIAT di sopravvivere, perché dopo che hanno chinato la testa oggi, gliela faranno chinare il doppio domani, e comunque li faranno fuori ugualmente.

    Secondo me, in simili circostanze, non è facile nemmeno farsi venire in mente proposte realistiche. Ma il problema per un movimento politico si pone più che per un blogger, ovviamente.

    A questo si aggiunge un altro problema: anche quelle rare volte che la sinistra una qualche forza ce l’avrebbe, non la sa usare.

    Mi vengono in mente le enormi folle che hanno manifestato contro la guerra in Iraq. Oltre a fare grandi passeggiate, cos’hanno fatto realmente? Pensa – per dire – a trecentomila persone che nel loro tempo libero scrivono ai giornali, telefonano alle radio locali, fanno conferenze nelle scuole, oppure studiano i legami (che esistono) tra le università e l’industria militare, tirando fuori nomi e cognomi e riempiendo i tribunali di denunce per ogni possibile illecito; oppure inchiodano ogni piccolo bellicista di provincia alle balle che racconta, finché non dice, “meglio lasciar perdere la guerra”.

    Lo stesso discorso vale, ancora di più, per la scuola, tema su cui non ritorno qui perché avevo già scritto qualcosa su Megachip. http://www.megachipdue.info/tematiche/cervelli-in-fuga/5048-scuola-anziche-farci-male-da-soli.html

    Ovviamente, la sinistra si è costruita nel Novecento, ed è un’immenso transatlantico arrugginito e guidato da persone sempre più anziane, che funziona a “assemblea-decide-piattaforma-di-corteo” e poco altro. E o non cambia, o passa dalla parte del nemico. E questo vale, in buona misura, anche per i sindacati.

    • Francesco scrive:

      Miguel

      da inchiodando, pensi veramente che il 100% di quelli che non la pensano come te siano degli assessori provinciali che non sanno come apparire sulla gazzetta locale?

      dai l’impressione di pensare di avere TUTTE le ragioni, e che quindi dall’altra parte stanno (alla fin fine) criminali e idioti.

      spero di sbagliarmi

      ciao

  6. maria scrive:

    Io mi domando perché nessuno metta in dubbio le scelte di bonanni e angeletti, hanno forse una strategia, la strategia che richiede rosa? Non mi pare, loro dicono, se non accettiamo le proposte marchionne se ne va e addio lavoro, non ci vuole una grande mente, ma questo ragionamento non ha fine, potrà essere ripresentanto in ogni circostanza e per ogni questione, ma la cosa che più mi irrita è non voler riconoscere che esiste un ricatto, la fiom non chiede la luna, ma a lei si chiede tutto, e si parla di modernità e di occasione da cogliere, si chiede di chinare la testa e si dà per scontato che non esiste altra via, che non potrà mai esistere; ricordo che quando è scoppiato il caso pomigliano si diceva che era una cosa particolare, che non avrebbe avuto ripercussioni e si tacciava, è il colmo, di conservatorismo e di estremismo chi invece sosteneva che era al’inizio di una svolta e infatti è stato così e sarà sempre così, bastoi vedere l’arroganza di marchionne , il grande democratico, a cui non basta nemmeno il 51 %, lui vorrebbe la resa incondizionata.

    IL capitalismo globalizzato ha azzerato la politica, e che ora si voglia ironizzare e censurare la fiom che continua a farla mi sembra veramente troppo!

  7. corrado scrive:

    Salve Martinez. Scusi so che non c’entra niente ma oggi la disoccupazione mi ha portato alla presentazione di un progetto Herbalife, la promoter – una simpatica signora con un fisico perfetto ma con un viso da novantenne – sembrava convincente, ma io generalmente diffido di queste cose.
    Lei che conosce un po’ il ramo saprebbe dirmi qualcosa in proposito?

    • Miguel Martinez scrive:

      Caro Corrado,

      Ho conosciuto diverse persone che sono passate per Herbalife. Senza grandi tragedie, ma comunque in perdita economica.

      Senza voler demonizzare, direi che sono da notare due cose.

      Uno, i sistemi piramidali – comunque denominati, in particolare quelli che insistono di non essere sistemi piramidali – non funzionano perché non possono funzionare. E chi sta in fondo alla piramide, ci rimette sempre.

      Due, i prodotti di Herbalife saranno rispettabilissimi, ma non sono miracolosi. Come testimonia il fondatore di Herbalife, morto a 44 anni per abuso di alcol e di antidepressivi. Cosa che purtroppo succede a molti, ma non dovrebbe succedere a chi teorizza il segreto miracoloso della vita sana.

      Qui qualche informazione utile: http://www.lucamondini.it/archives/378

  8. nic scrive:

    “Ovviamente, la sinistra si è costruita nel Novecento, ed è un’immenso transatlantico arrugginito e guidato da persone sempre più anziane, che funziona a “assemblea-decide-piattaforma-di-corteo” e poco altro. E o non cambia, o passa dalla parte del nemico. E questo vale, in buona misura, anche per i sindacati.”

    Questo vale anche e soprattutto per la mitica classe operaia italiana che con il “nemico” si è già fedelmente schierata da almeno trent’anni.
    Ora, che si fottano, che si fottano anche loro, come hanno collaborato a fotterci quando ancora potevano osare e scegliere.
    Benvenuti con tutti noi “terziari precari” del libero mercato; a vendere herbalife e senza rompere i coglioni.

    Probabilmente per colpa della birra, una proposta pratica e pragmatica io ce l’avrei pure, anche se riconosco che ad alcuni possa non risultare molto gratificante.

    Fomentiamo decadenza.
    Relativismo (forza Miguel!), depressione, senso di colpa, disfattismo, arrendismo, “complottismo”, scetticismo e rassegnamoci ad aspettare le orde barbare di fronte al PC, alla tivu o all’orizzonte.

    Ma soprattutto, vi raccomando, non inventiamo più niente.

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per nic

      ”inventiamo”

      🙂 🙂 🙂 🙂

      Beata ingenuità.

      Parlo da fisico che lavora nell’industria (ma mi si creda sulla parola se dico che nell’università non è molto diverso).

      Forse non tutti sanno che qualunque innovazione (non dico la ruota o l’antigravità o la fusione fredda, ma anche il semplice cambiare marca di chiave inglese in officina) è esplicitamente vietata se non autorizzata in anticipo dalla direzione.

      A sua volta, quest’ultima ” puo’ ” (non ” deve ”) benignamente concedere tale autorizzazione solo se il proponente ha presentato in anticipo un piano dettagliato dei costi previsti dall’innovazione stessa per tutta la durata prevista della medesima.

      In altre parole, mettiamo che io abbia genialmente formulato una teoria rivoluzionaria che spieghi tutto quello che ancora non si sa sui buchi neri (o sulle caffettiere, o sui superonduttori ad alta temperatura).

      Per poter anche solo cominciare a pensare di prendere in considerazione la mia idea, il dirigente responsabile deve avere sulla scrivania -preparata da me- la pianificazione dettagliata dei costi di costruzione del radiotelescopio necessario alla verifica sperimentale della mia teoria.

      Dopo di che, quel piano dettagliato verrà messo a confronto con altri piani dettagliati preparati da altri ricercatori.

      E persone che nulla sanno del merito di tali piani sceglieranno quello meno impegnativo dal punto di vista delle decisioni da prendere.

      Di fatto, se voglio pubblicare -e quindi acquisire visibilità per il mio lavoro- lo devo fare:
      a) per i fatti miei
      b) nei ritagli di tempo
      c) su argomenti che non coinvolgano neache lontanamente i prodotti dell’azienda (altrimenti confliggo con le regole suesposte).

      All’estero? Non si creda che i meccanismi dell’ ”open competition” siano molto più elastici e sensati delle nostre asfittiche baronie. Valendo il principio folle del ‘publish or perish’, c’e’ gente (ne conosco) che ogni undici anni pubblica un nuovo grappolo di articoli sulla stessa macchia solare, che regolarmente ricompare da un ciclo solare all’altro…

      Si diceva una volta che Steve Jobs e Bill Gates nel loro garage oggi:
      a) in Italia non sarebbero finanziati dalle banche senza una raccomandazione di qualche velina
      b) in Germania si vedrebbero chiudere il garage per violazione della legislazione antiincendio
      c) in Inghilterra si vedrebbero in comopetizione per le borse di studio universitarie con qualche postdoc in Business Science
      d) in Francia si vedrebbero chiedere continuamente il permesso di soggiorno

      Oggi si potrebbe aggiungere:
      e) In USA si vedrebbero liquidfare ui risparmi dal Madoff di turno.

      Ancora Orwell: ‘Non ci sarà più scienza. A cosa ci serve la scienza, se abbiamo il Grande Fratello? L’unico potere che conta è il potere sulla mente.’

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  9. rosalux scrive:

    Martinez: il punto è che la trattativa sindacale con Marchionne ti può portare alle tre pause invece delle due che proponeva lui, il muro contro muro della Fiom (e di Badiale, e di gran parte della sinistra “de core”, Vendola compreso, che è in Italia molto consistente) invece sancisce un principio, ma ha effetti sulla concreta realtà soltanto negativi: si può sacrificare il portafogli, la cena e la vita quando ci sono prospettive, idee, progetti. In cambio di nulla, francamente, no: la nostra cultura è di fatto sufficientemente laica per impedirici il sacrificio estremo per un ideale astratto o per Dio.
    Dice: le conquiste dei lavoratori sono avvenute grazie a battaglie inflessibili, e ora invece di andare avanti si va indietro? Vero, ma le battaglie inflessibili (e mi viene in mente il bel film “We want sex”) sono avvenute in un ambiente saturo di combustibili fossili a basso prezzo, dove esistevano due corsie: quella delle civiltà industrializzate e quella del terzo mondo, e nessuna competizione. Il terreno è diverso, e se si ingnora questo fatto, drammatico ma fortemente concreto e reale non si può neppure iniziare a ragionare su un “che fare” minimamente efficace. Perchè i sindacati non iniziano a creare una rete mondiale, ad esempio? E ragionano invece sempre in modo nazionale? Il salario di un cinese o di un brasiliano non è rimasto lo stesso, in questi dieci anni, e si può fare qualcosa, purchè si ragioni a livello globale e non nazionale, contro il lavoro minorile o gli standard di sicurezza nelle fabbriche! Eppure nulla di tutto questo è minimamente ragionato, e le belle parole di Badiale, Vendola e FIOM sono molto utili per chi le pronuncia e spesso ci campa (non Badiale ma Vendola sì) e per i molti (sovente non operai, va detto) che sentono il bisogno di rinsaldare i loro principi indipendentemente dalla realtà e dal terreno e dagli interessi in gioco.
    In questo senso la visione “dominati” “dominanti” è poco efficace. Se Marchionne non è competitivo, la FIAT chiude e gli operai sono disoccupati: è anche lui -al netto delle sue bastardate, che pure ci sono e vanno combattute- in un imbuto.

    • nic scrive:

      per Rosalux:

      “Perchè i sindacati non iniziano a creare una rete mondiale, ad esempio?”

      Perchè gli interessi della residuale aristocrazia operaia internazionale (quella occidentale) sono ancora, per oggettive condizioni economiche e sociali oltre che ideologiche, diamettralmente opposti a quelli del proletariato del sud del mondo. In un mondo globalizzato, con un impero chiaramente definito geograficamente ed una periferia ancora destinata al saccheggio, la contraddizione principale è geopolitica.

      “e si può fare qualcosa, purchè si ragioni a livello globale e non nazionale, contro il lavoro minorile o gli standard di sicurezza nelle fabbriche”

      ..e non ti dimenticare la riduzione di Co2!!! Non ti preoccupare che ci stanno già provando da tempo, ma purtroppo (per i nostri) sembra che i rapporti di forza siano cambiati e cinesi, brasiliani e indiani li possono tranquillamente mandare a cagare.

      E perchè invece non proporre un salario minimo universale?
      Facciamo 1000 dollari al mese per tutti, dal minatore boliviano al metalmeccanico italiano? Sono sicuro dell’appoggio entusiasta sia di Marchionne che del minatore boliviano, ho qualche dubbio sul metalmeccanico italiano .-)

      Ma se si sacrificasse un poco, poi potremo finalmente giocare alla V internazionale per la rivoluzione proletaria globale! 🙂

  10. Miguel Martinez scrive:

    Per Rosalux

    Io cedo che siamo d’accordo più spesso di quello che sembri.

    In questo caso, condivido in buona parte il tuo ragionamento, partendo anche dalla premessa che ne so sicuramente meno di te: infatti, nel mio post, faccio un discorso di ordine generale, e poi lascio la parola a Marino Badiale.

    Sull’incapacità dei sindacati a pensare in termini globali, concordo, anche se non saprei che risposta dare: ci sono persone che ricevono il loro stipendio da realtà di lavoro che subiscono ma non capiscono ciò che sta succedendo, e che hanno competenze di piccoli negoziatori – conosco degli ottimi sindacalisti della CGIL, che riescono a strappare condizioni di lavoro dignitose (anche per gli immigrati) dai viticoltori senesi, ma non sanno una parola di lingue straniere.

    E non sono cose che si risolvono bandendo un concorso che poi magari viene vinto da un furbetto poliglotta esperto di marketing…

    In particolare, concordo con te sul passaggio da un sistema ad abbondanza energetica a quello attuale. Anzi, è proprio quello il tema che mi sembra più convincente di Alternativa: non si tratta semplicemente di “produrre e vendere più auto”, insomma, anzi.

    Solo che nel discorso di Marino Badiale, manca proprio una proposta in tal senso, che sarebbe davvero rivoluzionaria.

    Cioè, Marino Badiale affronta il problema fondamentale: come mantenere un livello di vita dignitoso e una certa sicurezza del proprio futuro per le persone ormai di mezza età che lavorano per la FIAT, senza produrre SUV?

    La risposta, insomma, alla tremenda domanda: siamo già al crollo della civiltà energivora; come possiamo sopravvivere nella maniera più dignitosa, senza cadere nel caos.

    Ma una volta posta questa domanda, è molto difficile trovare una risposta credibile. Ci vorrebbero dei tecnici straordinariamente capaci, e i tecnici straordinariamente capaci sono pagati da imprese che ragionano in termini di profitti a breve termine, e quindi di continuazione di questo sistema.

    Ci vorrebbe un paradigma in cui inserire una simile trasformazione, e non c’è.

    Ci vorrebbe una forza capace di imporre una svolta, ma in giro c’è solo confusione, disperazione e rabbia che si sfoga sui più deboli.

    Non lo so. Grazie comunque.

    • Francesco scrive:

      Miguel

      questo è un caso classico di botte piena e moglie ubriaca!

      tu vuoi sia una vita dignitosa per gli operai della FIAT sia la fine della FIAT …

      capisco la preoccupazione socialdemocratica per il periodo transitorio tra la fine del lavoro in FIAT e il nuovo lavoro chissà dove ma mi pare che siano alcuni secoli che il sistema, con questo principio, va avanti abbastanza bene

      di certo non vedo il ruolo dei tecnici nella soluzione – se non quelli di un rinnovato Piano Quinquennale, avente come fine unico la piena occupazione, che però ha prodotto economie morenti, neppure in grado di garnatire la riproduzione dei fattori di produzione, cioè di dar da mangiare alle persone

      Ciao

      • Andrea Di Vita scrive:

        Per Francesco

        E dàlli.

        Poi accusano i Comunisti di ragionare in modo ideologico 🙂

        La tua è la solita ideologia del TINA: There Is No Alternative.

        Il che, come molte cose ripetute all’infinito (tipo il Complotto Demoplutogiudaico, o la Buona Novella) semplicemente non è vero. Sembra vero perchè lo si ripete all’infinito.

        A meno di non voler credere davvero alla bufala marchionnesca che le vendite Italiane della fiat scendano più di quelle della concorrenza perchè l’operaio fiat puo’ fare pipì tre volte in un’ora e non due. E non perchè la fiat ha smesso da un pezzo di sviluppare prodotti nuovi per il mercato Italiano, a differenza di quello che avviene sul mercato della Polonia (con l’Arbea, che mio suocero a Bialystok trova e io a Genova no) e del Brasile.

        O davvero pensiamo che la competitività di un Paese -e di un’azienda in particolare- si mantenga alla lunga solo tenendo bassi i salari e decidendo dall’alto le pause per la pipì? Pure in Cina stanno cominciando a capire che non è così.

        Il conflitto fiat-FIOM scoppiato a fine 2010 sul progetto per lo stabilimento di Mirafiori a Torino segue l’analoga vicenda per lo stabilimento di Pomigliano d’Arco.

        Giornali e tv presentano la versione fiat, sostenuta anche dal governo, per cui con la crescente competizione internazionale nel mercato dell’auto i lavoratori devono accettare condizioni di lavoro peggiori, la perdita di alcuni diritti, fino all’impossibilità di scegliere in modo democratico i propri rappresentanti sindacali.

        Ora, nel 2009 la fiat ha prodotto 650 mila auto in Italia, appena un terzo di quelle realizzate nel 1990, mentre le quantità prodotte nei maggiori paesi europei sono cresciute o rimaste stabili.

        La fiat spende per investimenti produttivi e per ricerca e sviluppo quote di fatturato inferiori a quelle dei suoi principali concorrenti europei. Nè brilla nel campo delle fonti di propulsione a basso impatto ambientale.

        A differenza di quanto avvenuto tra il 2004 e il 2008 – quando l’azienda si è ripresa da una crisi che sembrava fatale senza toccare i diritti dei lavoratori – negli ultimi anni la fiat non ha introdotto nuovi modelli.

        Il risultato è stata una quota di mercato che in Europa è scesa al 6,7%, la caduta più alta registrata nel continente nel corso del 2010.

        Al tempo stesso, tuttavia, nel terzo trimestre del 2010 la fiat guida la classifica di redditività per gli azionisti, con un ritorno sul capitale del 33%.

        La recente divisione tra fiat auto e fiat industrial e l’interesse ad acquisire una quota di maggioranza nella Chrysler segnalano che le priorità della fiat sono orientate verso la
        dimensione finanziaria.

        Non è neanche impossibile che a tale dimensione venga sacrificata in futuro la produzione di auto in Italia e la stessa proprietà degli stabilimenti Italiani.

        (Non diversamente, in passato il manager pirelli ha smantelato la divisione ricerca e sviluppo PirelliLabs che aveva pure fatto brevettare invenzioni -come l’amplificatore all’erbio- del complessivo valore di mercato di tremila miliardi di vecchie lire, e ha anche svenduto la Pirelli Cavi, che manteneva il 40% del mercato mondiale di cavi sottomarini. Col ricavato ci si è comprato il pacchetto di controllo della Telecom Italia dell’era pre-Genchi).

        A dispetto della retorica dell’impresa capace di “stare sul mercato sulle proprie gambe”, la fiat ha perseguito questa strategia ottenendo a vario titolo, tra la fine degli anni ottanta e i primi anni duemila, contributi pubblici dal governo italiano stimati nell’ordine di 500 milioni di euro l’anno.

        Negli ultimi dieci anni l’occupazione fiat nel settore auto a livello mondiale è scesa da 74 mila a 54 mila addetti, e di questi appena 22 mila lavorano nelle fabbriche italiane.

        I salari medi sono tra i più bassi d’Europa nelle industrie del settore.

        La distanza dalle remunerazioni degli alti dirigenti non è mai stata così alta. Marchionne guadagna oltre 250 volte il salario di un operaio.

        L’accordo concluso dalla fiat con fim, uilm e fismic per Mirafiori – che la FIOM ha rifiutato di firmare – prevede un vago piano industriale a dir poco come dire …vago.

        (Del resto, persino un masticabibbie come Benjamin Franklin ricordava che chi baratta i diritti con la sicurezza della pagnotta finisce col perdere e i diritti e il pane).

        L’accordo scarica i costi sul peggioramento delle condizioni dei lavoratori. L’accordo si presenta come sostitutivo del contratto nazionale di lavoro, e cancella la FIOM dalla presenza in azienda e dal suo ruolo di rappresentanza dei lavoratori che vi hanno liberamente aderito.

        Il referendum tra i dipendenti sull’accordo, con la minaccia fiat di cancellare l’investimento nel caso sia respinto, pone i lavoratori di fronte a una scelta impossibile tra diritti e lavoro.

        In questa prospettiva, la strategia fiat appare come la gestione di un ridimensionamento produttivo in Italia, scaricando costi e rischi sui lavoratori e imponendo un modello di relazioni industriali ispirato agli aspetti peggiori di quello masticabibbie.

        Quello che dà davvero fastidio a marchionne e ai nostri governanti suoi fiancheggiatori non è certo il numero delle pause per la pipì.

        Quello che dà davvero fastidio è il dover concertare le decisioni col Sindacato.

        In Europa la crisi è stata affrontata da imprese come la Volkswagen con accordi sindacali che hanno ridotto l’orario, limitato la perdita di reddito e tutelato capacità produttive e occupazione.

        In Volkswagen hanno mantenuto i livelli occupazionali e aumentato i salari a) facendo più innovazione per tempo b) garantendo ai lavoratori la compartecipazione agli utili c) rinunciando alle scalate azionarie dei concorrenti in difficoltà in Stati a rischio default (come la FIAT con la Chrysler in USA).

        Tutte misure di stampo …e diciamola, ‘sta parolaccia, su … socialista… 🙂

        In questo modo la produzione sta ora riprendendo insieme alla domanda.

        Produrre auto in Europa è possibile se c’è un forte impegno di ricerca e sviluppo, innovazione e investimenti attenti alla sostenibilità ambientale.

        Per questo sono necessari lavoratori con più competenze, meno precarietà e salari adeguati, e un’organizzazione del lavoro contrattata con i sindacati che assicuri alta qualità, flessibilità delle produzioni e integrazione delle funzioni.

        E’ necessaria una politica industriale da parte del governo che non si limiti agli incentivi per la rottamazione delle auto, ma definisca la direzione dell’innovazione e degli investimenti verso produzioni sostenibili e di qualità; le condizioni per mercati più
        efficienti; l’integrazione con le politiche della ricerca, del lavoro, della domanda.

        E’ necessaria una politica che scopra il bluff marchionnesco.

        L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro.

        Non sull’impresa.

        Se ne vada pure dall’Italia, la fiat. Vedremo dove trova un altro Paese in cui possa fare la parte del gallo più grosso del pollaio comeha fatto in Italia per decenni.

        Ci siamo scordati come la Merkel ha risposto al marchione quando voleva comprre la Opel?

        Ci siamo scordati come Sarkozy abbia preteso dalle fabbriche tedesche in Francia che mantenessero invariati i livelli occupazionali per cinque anni se volveano continuare a vendere in Francia?

        Ma questo è fantascienza nell’Italia del bunga bunga.

        Davvero ce lo vedi un Sarkozy, un Obama una Merkel dire alla Peugeot o alla Ford o alla Volkswagen che avrebbero ragione ad andarsene dai rispettivi paesi, così come ha fatto il silviuccio nazionale con la fiat?

        Ciao!

        Andrea Di Vita

  11. p scrive:

    Credo che si sopravvaluti troppo la battaglia giudiziaria. Senza l’assenso fiom è il secondo o forse terzo, non ricordo sul momento, contratto metalmeccanico nazionale che s’è già firmato. Non mi pare che sia successo nulla di eclatante. Un po’ di polemica tra i sindacalisti e via col tran tran per chi lavora in fabbrica. Io direi piuttosto di non vedere l’estromissione della fiom, se vi sarà, dalla fabbrica come la fine dell’organizzazione operaia. Sarebbe la fine, traumatica certo, come tutte le fini, d’un ciclo, che per quanto mi riguarda, ho sempre visto come folle.p

  12. p scrive:

    Un punto rosalux non ha colto bene. La chiusura questa volta è della dirigenza fiat o meglio newco, che ha presentato un documento immodificabile, prendere o lasciare. Sta qui il senso politico dell’operazione di marchionne. La fiom, per motivi storici, non poteva prendere e ridursi a un sindacato aziendale di tipo americano.p

  13. Miguel Martinez scrive:

    Un testo interessante:

    http://attacgenova.wordpress.com/2011/01/12/lettera-aperta-di-19-italiani-cervelli-in-fuga-che-lavorano-allestero-stiamo-con-la-fiom/

    Lettera aperta di 19 italiani (cervelli in fuga) che lavorano all’estero.”Stiamo con la FIOM”

    gennaio 12, 2011 di Attac Genova Lascia un commento

    Siamo un gruppo di italiani sotto i 40 anni che vivono e lavorano all’estero, ma che continuano ad avere contatti diretti con il nostro Paese. Paese a cui ci legano affetto e nostalgia, accompagnati dalla rabbia di vederlo in costante declino.

    Nessuno di noi si è finora impegnato direttamente in politica, pur essendo tutti simpatizzanti per la sinistra nel suo significato più ampio, ma ciò che sta succedendo in questi giorni non può lasciarci indifferenti. Per questo abbiamo deciso di manifestare le nostre preoccupazioni su alcuni temi importanti: il ricatto di Marchionne; un contratto imposto e non negoziato; la convocazione di un referendum pericolosamente somigliante ai plebisciti del Ventennio in cui l’unica scelta è tra la disoccupazione e le condizioni imposte dal padrone; la deroga a diritti costituzionali riconosciuti attraverso la stipula di contratti privati; la rinuncia al contratto collettivo nazionale nel silenzio di Confindustria e di gran parte dei sindacati (che a priori avrebbero dovuto rifiutarsi di firmare un contratto diverso da quello nazionale per gli operai di Mirafiori); l’esclusione del più grande sindacato metalmeccanico dalla rappresentazione sindacale.

    Consideriamo tutto ciò molto grave. Lo troviamo ancora meno accettabile in un periodo di crisi economica e rigettiamo il tentativo di far pagare ai lavoratori i costi del fallimento del neo-liberismo. Ci stupiamo di fronte al silenzio imbarazzante di gran parte dell’opposizione, soprattutto quella parlamentare, e pensiamo che sia il momento di schierarsi nettamente.

    La FIOM non difende solamente i lavoratori di Mirafiori, difende la Costituzione, la democrazia, la libertà di scelta. Difende, in sostanza, la possibilità di un futuro per il nostro Paese, che ci sembra sempre più lontano. Schierarsi oggi dalla parte dei diritti dei lavoratori vuol dire difendere un modello sociale basato non solo su solidarietà e uguaglianza – concetti che sarebbe ridicolo definire datati – ma anche su una più equa distribuzione del reddito, così da evitare crisi di sovrapproduzione e bolle speculative. Significa rigettare lo sfruttamento intensivo della forza lavoro, tipico dei paesi in via di sviluppo e non certo delle economie avanzate. Non sono riformisti coloro che vogliono riportare indietro le lancette della storia, ma reazionari. Non sono eroi quelli che, fomentando una guerra tra poveri, ci portano sulla strada del sottosviluppo. Non sono innovatori coloro che, invece di puntare sulla ricerca e l’investimento in capitale umano, cercano semplicemente di abbattere i costi col dumping sociale.

    Siamo per altro convinti che gli attacchi alla Costituzione, ai diritti, al nostro contratto sociale e, in breve, al futuro del nostro Paese, si possano fermare. Questa speranza si lega a due elementi: lo sdegno per la realtà delle cose e il coraggio di cambiarle. Per questo non abbiamo dubbi: stiamo con la FIOM.

    Laura Andrazi, Paris, Francia
    Alessio Baldini, University of Leeds, UK
    Giorgia Maria Battistello, Six Telekurs, London, UK
    Tommaso Cavazza, Barcelona, Spagna
    Francesca Congiu, University of Leeds, UK
    Ilaria Giglioli, University of California at Berkeley, USA
    Matteo Giglioli, Palo Alto, California, USA
    Simone Giovetti, United Cities of France (Cooperazione Francese), Francia
    Silvia Gurrieri, Paris, Francia
    Giandomenico Iannetti, University College London, UK
    Salvatore Marchese, Brno, Repubblica Ceca
    Nicola Melloni, London Metropolitan University, UK
    Vasco Molini, Maputo, Mozambico
    Valentina Rigamonti, USAID, Afghanistan
    Pietro Roversi, Oxford University, UK
    Davide Sormani, Brno, Repubblica Ceca
    Gigliola Sulis, University of Leeds, UK
    Elia Valentini, University College London, UK
    Alessandro Volpi, London, UK

    Per contatti e adesioni: ( e/o vedi chi ha aderito)
    http://www.facebook.com/home.php#!/home.php?sk=group_169410559768904
    italianiallesteroconlafion@gmail.com
    http://twitter.com/#!/perlafiom

  14. rosalux scrive:

    Andrea di Vita: Sono d’accordo in linea di massima con quello che scrivi, ma non come risposta al commento (a mio avviso sintetico e giustissimo) di Francesco. A me pare che Francesco colga in pieno un altro punto della questione. Spesso chi auspica la fine del mezzo privato è anche favorevole alla piena occupazione degli operai metalmeccanci. Ma è una contraddizione: La crisi del mercato automobilistico – che più che auspicabile sta semplicemente avvenendo e sarà sempre più pesante (e alla quale attivamente collaboro avendo smesso di utilizzare l’automobile) – significa una riduzione di posti di lavoro, di salari, una competizione molto più accesa tra i produttori che di certo non porta ad un miglioramento delle condizioni del lavoratori. Si può essere favorevoli o contrari a questo processo, o lo si può semplicemente osservare: ma non si può ad un tempo essere favorevoli ad una battaglia inflessibile per l’occupazione, i salari e i diritti e sperare in una acceleazione del processo di crisi del mercato automobilistico. A questo proposito aggiungo che mi sorprende che Martinez sia d’accordo con il tuo commento: o il capitalismo è il male inemendabile, e bisogna accelerarne la degenerazione, o è una fase storica complessa e in crisi, e si può favorirne la conservazione o la transizione dolce verso quello che verrà, che sicuramente dovrà prevedere dei processi produttivi, di consumo e di smaltimento ciclici e non lineari.

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per rosalux

      Quello che mi fa mettere le mani nei capelli è che siamo ancora qui nel 2011 a considerare tutti (Italiani, Statunitensi, Giapponesi…) l’automobile come IL prodotto per eccellenza dell’industria, anzi il Manufatto per antonomasia.

      Statistica del pollo, e vado a memoria: già oggi abbiamo 1 autovettura ogni 2 abitanti, in Italia. In Cina e in India il rapporto è circa 1 a 20. Quando i Cinesi e gli Indiani avranno in proporzione tante autovetture quante ne abbiamo in Italia, ci sara’ al mondo PIU’ DI UN MILIARDO di autovetture.

      Ora, c’e’ posto sulla Terra per 1.000.000.000 di autovetture?

      E quand’anche ci fosse: saturato in pochi decenni il mercato asiatico, e poco tempo dopo quello sudamericano, a chi le venderemo? Ai Ruandesi? Ai pinguini?

      Ciao!

      Andrea Di Vita

      P.S. Io la mia vecchia e fedele station wagon la tengo da 214.000 Km, e non ho alcuna intenzione di cambiarla, visto che la uso pochissimo e ci faccio meno di dieci pieni di benzina l’anno 🙂

  15. Val scrive:

    Butto lì una provocazione un po’ stupida, ma per me certe imprese, superata una certa soglia dimensionale in termini di fatturato e dipendenti, diventano di fatto pubbliche. Concepisco un capitalismo fatto solo di piccole o medie imprese. Quelle grandi o grandissime, da nazionalizzare. 🙂

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *