Un comunista italiano

Marino Badiale è uno dei pensatori più originali e interessanti di questi tempi. Coautore assieme a Massimo Bontempelli della Sinistra rivelata e con altri de I forchettoni rossi – entrambi pubblicati da Massari Editore, Marino, con la sua lucida logica e ironia, ha fatto pensare molte persone.

Qui abbiamo una lettera che lui scrisse tredici anni fa a Costanzo Preve, in cui Marino Badiale prende spunto dalla morte del proprio padre – contadino, militante comunista per tutta la vita e sindaco di Cavarzere nel Polesine per oltre vent’anni – per riflettere su tutto il senso del comunismo italiano.

Miguel Martinez

polesine

 


 

Lettera di Marino Badiale a Costanzo Preve

Caro Costanzo (Preve),

La sofferenza di mio padre è finita. Se n’è andato. L’ho abbracciato per l’ultima volta e gli ho detto grazie di tutto il bene che mi ha voluto, prima che lo chiudessero per sempre. Ora che il più acuto del dolore è finito, mi resta il dovere di pensare. Di riflettere su di lui e sulla sua generazione. Di capirne il senso. E non per gusto intellettuale, ma perché ci riguarda. Se davvero riteniamo che ridare un senso accettabile alla parola “comunismo” sia il nostro impegno, abbiamo bisogno di ricavare un senso da queste vite, un senso che sia possibile portare con noi, nella strada che faremo.

Dovrei spiegarti qualcosa di mio padre, perché tu possa inquadrare quello che ti dirò. Capisci che non è facile per me. Potrei cominciare dal suo funerale, con l’intero paese presente (almeno le “sue” generazioni, diciamo dai cinquant’anni in su) a manifestargli la stima e l’affetto che si era guadagnato. Ma è un ricordo troppo vicino.

Preferisco darti qualche notizia: mio padre era del 1921, veniva da una famiglia di contadini poveri, era entrato in politica subito sopo la guerra, prima (se non mi sbaglio) nell’organizzazione sindacale dei braccianti, poi nel partito. Era legato nel profondo a Cavarzere e alla sua gente. Consigliere comunale ininterrottamente dal 1951 alla morte, sindaco per vent’anni, era un amministratore che ascoltava tutti e cercava di aiutare tutti.

Per tutta la vita si è sforzato di essere vicino ai problemi della sua gente: se da giovane si occupava dei braccianti come lui, da vecchio lavorava al sindacato pensionati della CGIL, contento di poter aiutare i suoi coetanei con le pratiche delle pensioni. Non vorrei aggiungere altro sull’onestà, lo spirito di sacrificio: sono tutte cose che conosci. Ti faccio solo un esempio: era stato più volte messo in lista per le politiche, ma una volta gli venne proposto dal partito di essere uno dei candidati “veri”, quelli su cui erano concentrati gli sforzi per le elezioni (doveva essere il 1972, credo). Mio padre si rifiutò, perché si sentiva impreparato alla “grande” politica, impotente a superare i propri limiti culturali di contadino con la quinta elementare, incapace di fare qualcosa di buono a Roma, mentre si sentiva utile a Cavarzere.

Te lo vedi oggi un politico di paese che rifiuta di “andare a Roma” perché non si sente preparato e teme di non poter essere utile? Queste erano moralità e serietà dei comunisti di quella generazione.

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5 risposte a Un comunista italiano

  1. sonoattila scrive:

    Mi pare che sconfessato il comunismo, non può essere, quindi, preso come esempio da chi si considera ancora comunista.

  2. Ritvanarium scrive:

    Il “Sol dell’ Avvenuto”, fotografato [letteralmente] da Mmax:

    By DavidRitvanarium

    href=http://bloggoanchio.splinder.com/post/17129325/Prove+tecniche+di+indistinguib

  3. daciavalent scrive:

    No, scusatemi, ma “il sol dell’avvenuto” è meraviglioso.

    Dacia Valent

  4. controlL scrive:

    La lettera è molto bella e spiega bene l’importanza che nella repubblica italiana ha avuto il pci, se si esce dalle polemiche ideologiche condotte dai grand’uomini e si guarda alle migliaia di dirigenti locali che operarono giorno per giorno nelle loro realtà. Eppure il collegamento con quelle polemiche generali, come badiale giustamente afferma, c’era ed era molto forte. Cosa legava quella pratica quotidiana a quell’ideologia generale, e soprattutto la domanda è: perché si trovarono legate così strettamente? Vediamo un passaggio della lettera di marino badiale che parla dell’idea di socialismo hic et nunc che aveva il padre comunista:

    Ma cos’era questo socialismo, per mio padre? E’ questo il punto cruciale. Non so bene cosa avrebbe risposto lui. E qui è chiaro che devo mettere in bocca a mio padre parole non sue; devo cercare di sintetizzare in formule “filosofiche” il senso di ciò che lui pensava. Indubbiamente per lui “socialismo” era il miglioramento delle condizioni di vita materiale dei ceti più deboli, erano le scuole e gli ospedali, era il diritto al lavoro, era la difesa dei diritti dei lavoratori, era anche magari la nazionalizzazione dell’economia. Ma come si può sintetizzare tutto questo? Quale ne è il senso profondo?

    Io credo che tutti questi aspetti diversi e magari contraddittori (se presi isolatamente) fossero solo articolazioni di un’idea fondamentale. L’idea di demcraazia. Di una democrazia piena, sostanziale. Di una democrazia intesa letteralmente come potere del popolo o, per usare una delle tue citazioni preferite, come “governo dei più, che sono anche i più poveri” (cito a memoria la tua citazione di Aristotele). Una democrazia intesa come capacità sempre crescente, da parte di tutti, di capire, giudicare, intervenire e pesare nelle scelte. E visto che, non per volontà nostra, il mondo è diviso in classi, sviluppare la capacità di decisione di tutti significa in primo luogo sviluppare la capacità di decisione dei più deboli, di coloro che sono sempre stati esclusi dalla possibilità di governo di sé. Tutto si lega a questa idea profonda, l’idea della libertà di tutti come capacità di autogoverno: lo sviluppo economico, il benessere, gli ospedali sono necessari perché chi è preso dal bisogno materiale non è mai realmente libero; la scuola è indispensabile perché per esercitare la libertà occorre il sapere; i diritti dei lavoratori vanno difesi perché la democrazia non può arrestarsi ai cancelli delle fabbriche. E così via. Democrazia e libertà, intese in questo senso, sono solo un altro modo di dire crescita di cultura e coscienza critica dei ceti inferiori. E’ solo attraverso questa crescita che “il popolo” può contare, può governare. Perché a cosa servono i diritti se non si ha l’organizzazione intellettuale necessaria per esercitarli? E allora, per arrivare finalmente ad una sintesi, credo che il “socialismo” per il quale mio padre ha speso l’intera sua vita adulta fosse da intendersi come l’idea di una continua crescita di conoscenza, cultura e coscienza da parte dei ceti inferiori, assieme alla crescita della loro capacità di governo di sé, sia nelle piccole realtà dei paesi sia nelle grandi scelte dello Stato.

    Prendiamo ora un passaggio, non da un testo qualsiasi, ma dal grande discorso di turati al xvii congresso socialista, quello della scissione, per intenderci [http://www.paura.info/pagine.php?id=17]:

    …rimase il nucleo vitale: il marcio riformismo, secondo alcuni, il socialismo, secondo noi, il solo vero, immortale, invincibile socialismo, che tesse la sua tela ogni giorno, che non fa sperare miracoli, che crea coscienze, sindacati, cooperative, conquista leggi sociali utili al proletariato, sviluppa la cultura popolare (senza la quale saremo sempre a questi ferri e la demagogia sarà sempre in auge), si impossessa dei Comuni, del Parlamento, e che, esso solo, lentamente, ma sicuramente, crea con la maturità della classe, la maturità degli animi e delle cose, prepara lo Stato di domani e gli uomini capaci di manovrarne il timone.

    È la stessa idea di fondo, ma per la quale turati proprio allora ruppe coi comunisti e i comunisti con turati. Com’è potuta accadere questa confusione? Il punto sta qui del comunismo cosiddetto novecentesco.p

  5. Pingback: Massimo Bontempelli | Kelebek Blog

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