Luca Dordolo è un vociferante politico o ex-politico leghista di Udine.
Non è noto per aver fatto alcunché nella vita, ma solo per ciò che ha detto, per cui appartiene antropologicamente alla stessa categoria delle Pussy Riot.
Adesso Luca Dordolo dice ancora, precisamente mandando un chilometrico messaggio da un iPad alle 2.02 di notte al nostro amico Riccardo Venturi.
Su Ἐκβλόγγηθι Σεαυτόν Asocial Network, l’antiblog di Riccardo Venturi, potete leggere l’esilarante monologo.
Magari non tutti, nel variegato mondo dei lettori di Kelebek, condivideranno il linguaggio di Riccardo Venturi, ma prendetelo per quello che è: un bestemmiatore toscano da Casa del Popolo, che casualmente conosce diciassette lingue, raccatta gatti randagi e si fa grandiose bevute nei quartieri più malfati d’Atene.
mah in effetti nell’intera Europa, l’Italia e’ il paese in cui la condizione femminile e’ la piu’ arretrata, in termini di sottooccupazione, violenza famigliare etc anche se magari abbiamo una legislazione molto avanzata… insomma parlando di donne non siamo i piu indicati a dare lezioni a islamici e indiani
Sulla sottoccupazione non ci piove (resta da vedere se sia una cosa negativa).
Sulla violenza familiare, non ho statistiche alla mano, ma permettimi di essere scettico. Tra l’altro c’è un nesso stretto fra il consumo d’alcol e la violenza contro le donne. Non è che nell’Italia contemporanea (se parliamo di qualche generazione fa è un altro conto) non esista la figura del marito che arriva a casa ubriaco e picchia la moglie, ma non è caratterizzante e diffusa quanto nelle società germaniche e slave (ma probabilmente di tutto il mondo, escluso, una volta tanto, quello islamico).
Tra l’altro è molto interessante il diverso modo di vivere la sessualità: le donne anglosassoni e dell’Europa orientale (ma non solo) sono abituate all’idea che il sesso è funzionale al puro piacere del maschio e che il proprio piacere può venire solo di conseguenza ed è secondario, mentre le italiane sono abituate al fatto che il maschio si preoccupa del loro piacere e, anzi, individua in ciò un aspetto fondamentale della propria “prestazione”.
Il fatto è che esistono due tipi di “virilità”: quella violenta, brutale, del cameratismo fra maschi, delle colossali ubriacature, della guerra, ed è una virilità tipicamente transalpina, e quella dell’amante focoso, gentile, che evita la compagnia maschile, si circonda di donne e sa come compiacerle, ed è una virilità tipicamente italica. Se si giudicano le cose nella logica maschilismo-femminismo, si potrebbe dire che sono entrambi atteggiamenti maschilisti, ma il secondo non si associa in nulla alla violenza, tutt’altro.
E’ interessante tra l’altro come entrambi gli atteggiamenti si prestino, da parte di chi ha quello opposto, ad essere associati ironicamente all’omosessualità: l’uomo del primo tipo considera il secondo troppo delicato, femmineo e poco virile, mentre il secondo pensa che il primo, che ama stare fra gli uomini e disprezza le donne, in fondo sia un po’ ricchione (e a volte ci prende, perché le pratiche omosessuali sono comunissime in queste comunità di soli maschi, che sprizzano testosterone da tutti i pori).
Sta cosa della condizione delle donne oppressa e discriminata è una bufala colossale.
Per quanto riguarda le violenze, gli italiani non sono poi così violenti come lo sono gli immigrati e di ciò si deve tener conto.
Inoltre seguendo le dinamiche di Peucezio sarei curioso di la virilità tipicamente mediorentale visto che l’Italia è una via di mezzo tra questo e la transalpinia est/centro europea.
L’Italia secondo me non è una via di mezzo. E’ proprio una cosa altra.
Nella virilità mediorientale, c’è una componente in più, che è quella ombrosa, gelosa, chiusa, che non si trova nelle altre due forme.
Ma in fondo il disprezzo per le donne e la tendenza alla violenza e al dominio autoritario su di loro accomuna il mondo mediorientale e semitico a quello nordico. La differenza sta nel fatto che in quello nordeuropeo anche le donne sono virili, quindi un po’ tengono testa, mentre in quelle orientali i rapporti fra i sessi sono fortemente polarizzati, le donne sono molto femminili (in questo sono simili a noi), quindi subiscono passivamente e al massimo si difendono con la furbizia, mai con la forza e rivendicando un ruolo pubblico, cosa che può accadere, ma sono fra le borghesie occidentalizzate e per pura imitazione.
Per quanto spesso sia affine alle tue vedute non concordo quantunque rimanga sicuro, come tu lasci trasparire, che la nostra terra sia la terra dell’equilibrio.
Nel bene e nel male of course.
D’altronde, i riti romani ( pelasgico-sardo/tirreni ) entrarono in Grecia, e non viceversa…
Già un po’ OT ma in tema di bestemmiatori, avevo tenuto da parte questo – che mi era capitato per caso sotto il naso giorni fa, per voi:
http://www.youtube.com/watch?v=gxrzkkcNCpQ&feature=related
— parlando di donne non siamo i piu indicati a dare lezioni a islamici e indiani —
confermo.
ma soprattutto quale donna può veramente sentirsi rappresentata da un personaggio come quel signore che scrive a Venturi.
nessuna di noi deve essere rappresentata da un uomo. le donne devono rappresentarsi da sole.
già solo il pittoresco linguaggio dei leghisti esclude che possano autorevolmente parlare in nome delle donne.
“nessuna di noi deve essere rappresentata da un uomo. le donne devono rappresentarsi da sole.”
Idealmente così dovrebbe essere. In pratica, temo che se aspettiamo una cosa del genere stiamo freschi. Tra l’altro una logica del genere spesso arriva involontariamente a giustificare le forme di sopruso maschile più odiose e violente, perché, in società molto fortemente patriarcali, i valori dominanti sono così pervasivi e radicati che le donne vi aderiscono acriticamente, anche a loro totale discapito.
L’infibulazione di solito viene praticata materialmente da donne, non da uomini. Dovremmo ritenere che donne simili, in virtù dell’appartenenza biologica di genere, siano titolate per rappresentare il proprio sesso?
In linea teorica sì. Oltretutto io sono un relativista, quindi non posso dire di credere a un sistema di valori univoco da applicare indistintamente a ogni società. Però allora dobbiamo intenderci su che cos’è la rappresentanza femminile e qual è il suo scopo. Se lo scopo è registrare unicamente la realtà delle cose e i valori e le categorie già operanti (e in ogni società, le donne, o, meglio, la maggioranza delle donne, come è fisiologico, condividono sostanzialmente i valori di quella società: nella società del politicamente corretto sono per la parità e i diritti; in quelle patriarcali erano maschiliste e in consonanza con la morale corrente), allora a che serve una funzione del genere? E’ ridondante e pleonastica.
ovviamente sono osservazioni che non si possono non condividere.
le donne sono esseri umani e non sono tutte uguali.
alla base nessun essere umano può prendere decisioni autonome se il suo margine di indipendenza dagli altri per la propria sopravvivenza è troppo ristretto. un altro lungo discorso.
poi bisogna vedere un uomo che dice di rappresentare le donne quali tipologie di donne in realtà rappresenti.
è un discorso molto complicato.
L’argomento vero da estrapolare dal succitato articolo di cui al link (ah, Dio benedica il burocratese!) è un ulteriore link al sito dell’omonimo Luca Dordolo tenore, navigando nel quale ho avuto modo di imbattermi nella pagina riportante piccole notizie sul maestro di voce/canto Serge Wilfart e sul proprio metodo.
http://www.humanvoice.lu/serge/index.php?lang=it
Davvero interessante.
Interessante in che senso?
Bastava venire a studiare in un conservatorio italiano 😉
Per quanto riguarda il rapporto fra persona, emozioni, respiro, emissione di suono e voce, credo che non si sia inventato nulla di nuovo.
Un’altra e, devo dire, più interessante patria del suono e della voce è l’India.
Anzi, bisognerebbe citare forse sempre tutti il bacino indo-iranico.
Il problema descritto come se il portatore fosse stato l’unico ad averlo, è comune a 99 per cento dei cantanti. Fa parte del loro percorso trascorrere un certo tempo a familiarizzare con la propria voce, a scoprirla, prima di tutto, a sperimentare metodi ed insegnanti, ed a personalizzare le tecniche.
Non possono esistere infatti metodi universali infallibili che permettano di defirne altri sbagliati e pericolosi, per il semplice motivo che l’apparato vocale è un complesso di caratteristiche fisiche dalla cui conformazione dipende la voce. Gli organi sono gli stessi, ma non le forme e le misure. Perciò, partendo dalla conoscenza di più metodi e tecniche base, tutte già conosciute, ciascuno deve svolgere un lavoro di sperimentazione e personalizzazione.
Proliferano le scoperte dell’acqua calda.
Interessante nel senso che è meglio saperlo piuttosto che ignorarlo, specie se non ho modo di studiare ad un conservatorio.
E so perfettamente che il signor Wilfart non abbia scoperto nulla di nuovo in quanto a principi, ma qui si parla di metodo: una volta testato il metodo si può dire se effettivamente abbia valore o meno.
– una volta testato il metodo si può dire se effettivamente abbia valore o meno –
Già, ma queste cose sono molto difficile da testare.
Nomen omen? Una riflessione onomastica su Dordolo, fonte il Grant Dizionari Bilengâl Furlan-Talian“:
dordul: allocco, babbeo, babbione, baccalà, baggeo, baggiano, barbagianni, beota, broccolo, bue, (1) citrullo, credulone, (1) cucco, (1) fesso, fringuello, ghiozzo, giuggiolone, gnocco, gonzo, grullo, idiota, imbecille, mammalucco, (1) merlo, merluzzo, ottuso, pesce, piccione, pirla, pollastro, pollo, popone, scemo, sciocco, semplicione, sempliciotto, (1) sprovveduto, stolto, stupido, talpa, tonto, tontolone, tordo.
Questo lo trovo particolarmente interessante, e spiego meglio perché. Ignoro quasi totalmente la lingua friulana, nonostante sia in possesso di una sua interessante grammatica scritta da Giuseppe Marchetti e pubblicata dalla “Socjetât Filologjiche Furlane” nel 1977 (mi scuso per la grafia che potrebbe essere inesatta, ma cito a memoria); però, pensando a “Dordolo”, mi veniva continuamente a mente un termine popolaresco toscano, “dóddo”, un cui possibile diminutivo è “dóddolo” (o “doddolone”, quest’ultimo particolarmente usato), il quale ha per l’appunto il significato di “scemo, ritardato” eccetera. Parrebbe veramente che la sequenza consonantica “d-d” riporti spesso a tali significati, al pari di altre (si pensi a “b-b” in “babbeo” o nel siciliano “babbo”, che vuol dire “stupido, scemo”; o a “t-t” in “tonto” o nel fiorentino “tattamèo”). Che almeno qualche volta il buon Otto Jespersen avesse ragione col suo fonosimbolismo…?
Mi fai venire in mente due considerazioni:
1) la doppia consonante fa pensare alla balbuzie, e mi pare di ricordare che in molte culture essa venga usata estensivamente per dare del cretino a chi non parli bene la lingua del posto: esempio il barbaro presso gli antichi Greci;
2) dordolo è molto simile a stòrdolo, oppure a stordolo’ (stordolone), dalle mie parti (provincia aquilana).
tordo, stordolone, ancora molto usato anche nelle province del lazio
Miguel e gli altri: che cazzo di strumento vivo e crudele è internet! Volevo raccontarvi un aneddoto sul fonosimbolismo appreso parecchi anni fa dal mio amato professore di filologia ugrofinnica Bereczki Gábor e scopro che è morto l’aprile scorso. Sono triste…
Mi dispiace per la tua inevitabile tristezza. Sarebbe un argomento da approfondire anche quello del vivere la morte nell’epoca ciber-telematica. Ora però, anche se non so nulla di filologia, men che ma di cosa sia ugro-finnico (mi investono mondi che non avrei mai conosciuto) mi piacerebbe conoscere comunque l’aneddoto. Credo sia naturale voler sapere qualcosa di una persona che qualcuno, in sincerità, definisce amata.
Ma dai, qualcuno lo trova antipatico questo Dordolo? Io no; che io non sia d’accordo con lui è chiaro, ma un tale che si prende la briga di scrivere alle due di notte a uno sconosciuto per insultarlo, io lo trovo umano, e da umano mi piace, come mi piaceva Germano Mosconi.
Evviva la libertà di parola: fossero tutti così chiari, i politici. Probabile che i Borghezi e i Calderoli credano meno alle loro cazzate, per le quali sono impunitissimi, di quanto Dordolo creda alle sue, per le quali è stato punito; e comunque, loro le urlano a folle di pirla plaudenti, lui le scrive a uno che nono conosce e di cui, è chiaro, non avrà mai il voto.
In questo blog c’è anche una splendida colonnina di “viva la libertà di parola”, appunto, dove ci si imbatte in lombardi orobici che un po’ si vergognano di avere antenati del Dugento che arrivavano da un posto così a Sud come la Toscana, e ebrei di estrema destra che credono nel “tikkun olam con un martello da fabbro”.
Sono d’accordo con loro? No, ovvio. Mi fanno incazzare? Certo.
Mi sono antipatici? certo che no: li trovo meravigliosamente umani.
beh, l’umanità non esclude l’antipatia. lo trovo antipatico ancorché indubbiamente umano
Ecco, è già qualcosa 🙂
pensa il signor MacColl (o come si chiama) di Avaaz, e colleghi: loro non sono neanche umani!
Si confrontino le rispettive risposte 😉
Carissimo Pino, io ci andrei parecchio cauto con tutta codesta “simpatia umana” o roba del genere. Prima di tutto perché sono uso riservare simpatie e antipatie, amori, odi e sentimenti in generale a persone con le quali ho una pur minima consuetudine; questo non è il caso del signor Luca Dordolo. Per quel che mi riguarda, comunque, una persona dalla quale è uscita una dichiarazione del genere su una poveraccia ammazzata dal marito e gettata in un fiume non mi predispone certo a qualsiasi tipo di “simpatia” nei suoi confronti; ricordo inoltre che l’avermi scritto una mail personale (non conta se alle due di notte o di giorno) deriva senz’altro dal fatto che il mio blog non ammette commenti scritti; altrimenti, il signor Luca Dordolo avrebbe scritto il solito commento sul blog. La questione, però, mi sembra un’altra; io non sono così indulgente verso “simpatie” basate su dati comportamenti, e non ho dentro di me tutta questa grande comprensione verso il cosiddetto “animo umano”, e neppure un grandissimo interesse verso i “tipi umani” o roba del genere. Per me questo è e resta uno stronzo di leghista di merda, e col suo “animo” mi ci faccio la birra. Non riesco a provare per lui nessunissima “simpatia umana” basata sul fatto che mi abbia scritto con nome e cognome alle due di notte, e non capisco come mai appaia quasi proibito considerarlo semplicemente come quel mix di idiozia e stronzaggine che è; e qui mi fermo. Saluti cari.
Mi sfugge da dove traspaia che sia proibito considerarlo stronzo. Per il resto, mi pare evidente che diamo significati diversi alla “simpatia umana”, la quale il sottoscritto riserva anche a molte persone che trova genuinamente stronze: da cui l’esempio dei link del blog.
Ricambio i saluti.
L’umanità è anche nel trovare antipatico chi proprio non ci piace, anche se la cosa non sarà molto cristiana, ne umanitaria….
ciao!
ben detto!
anzi confesso che trovo disumana la pazienza e la capacità di parlare con tutti del padrone di casa 🙂
A volte mi chiedo se Miguel Martinez appartenga a questo mondo, oppure provenga da un altro pianeta, ricco di doti che a me mancano, come proprio la sopportazione verso chi ci sta sul cazzo ;)….
ciao!
Volete dire che in tanti anni di blog nessuno è mai riuscito a spazientirlo? 😉
In effetti telematicamente ha una comunicazione invidiabile.
p.s. proverò ad usarlo come Ydam nella prossima riunione condominiale e vi farò sapere se funziona 😀
Ma… che roba è?
Ahaha, beh, ovviamente scherzavo 😉
L’Yidam è la divinità prescelta per la meditazione nel buddhismo tibetano. Ogni divinità può diventare il proprio Yidam, si può vedere, visualizzare se stessi come un Yidam oppure un’altra persona, o entrambe le cose.
Meditazione che – nella fattispecie – consiste quindi nel visualizzarla, determinarne e focalizzarne le qualità, introiettarla e/o proiettarsi in essa, in pratica diventare lei e farla agire al proprio posto.
In una fase intermedia si può vizualizzare un’altra persona come Yidam, se in essa si ravvisano delle qualità tipiche dell’Yidam, per poi scambiare se stessi con quella persona,(per quelle particolari qualità) emulandola, e potersi più facilmente in un secondo tempo identificare direttamente con l’Yidam.
L’Yidam è l’ideale, il modello ideale, un’altra persona che si ritiene, sente, crede o vive come persona che ne possegga delle qualità diventa un esempio vivente di esse, quindi diventa medium (mezzo) che agevola il processo di emulazione/introiezione delle qualità.
Quindi, in parole povere, nella prossima riunione condominiale, dovrei convincermi di non essere me, ma di essere Miguel, e fare solo ed esclusivamente tutto quello che penso farebbe Miguel. Nella fattispecie potrei immaginarlo – come Mirk – dotato di incredibili capacità di sopportazione che in una riunione condominiale serve sempre 😀 oppure emulare l’aspetto, che so, “poche parole ma efficaci” o “capacità interazione/gestione relazioni di gruppo”. Na roba così.
In questa thangka ci sono diversi Yidam
http://insolitudine.tumblr.com/post/31282749030
al centro Avalokiteshvara / Cenrezig Bodhisattva, sul suo capo Amithaba Buddha, in alto a dx e sx Tara Bianca e Tara Verde, in basso a dx e sx Majushri e un Vajrapani (mi pare, ma di quest’ultimo non sono sicura, cmq un dharmapala). Le Tara e Manjushri sono Bodhisattva, il Vajrapani non me lo ricordo cosa sia (credo un “protettore della dottrina”).
Sono le divinità principali della scuola gelupa (quella del Dalai Lama).
Questo è Majushri
http://insolitudine.tumblr.com/post/31283256980
divinità che rappresenta la conoscenza/saggezza.
La spada indica la forza della conoscenza che recide l’illusione, il loto che sorregge i testi il cui stelo è tenuto nella mano sinistra rappresenta la ancora la conoscenza/saggezza come strumento di trasformazione… più o meno, sempre con beneficio di inventario che dovrei andare a riguardare i miei libri. Anche la mudra (posizione) della mano ha un significato, come diversi altri particolari. Le immagini sono un testo-libro disegnato anziché scritto e fungono da mappa-mnemonica, promemoria.
L’idea è carina (visualizzare delle qualità e farle proprie) ma come la fanno complicata, ‘sti tibbetani!
sono proprio tarati su una forma mentis parecchio distante dalla “nostra”: voglio dire, non li condanno per la loro complicatezza (che forse da loro sarà stata anche necessaria, e sarà apparso meno complicata… me lo auguro!) ma noialtri, non corriamo il rischio poi di confondere il contorno per il piatto principale?
Ché va a finire che poi lo “adoriamo” invece di mangiarlo…
Mi sono dimenticata di scrivere – per completezza – che il processo descritto è il cosiddetto Guru Yoga, dove l’esempio vivente diventa il Guru.
Il rischio di adorare il piatto anziché mangiarlo penso sia un po’ implicito in ogni cosa, sia per noi che per loro, credo.
Si, sono un po’ complicati, veramente!
Bastava dire:
riconosci ed apprezza le qualità altrui e falle tue 😀
… ma non fa lo stesso effetto di quel po’ po’ di roba. Vuoi mettere?! Eh! 🙂
Ma poi chi saranno mai questi bergamaschi con radici toscane?
La cosa si fa interessante, soprattutto alla luce di ciò che ho letto qualche giorno fa, relativamente alla storia di Udine, comune sorto nel XIII secolo intorno ad un castello, e la cui popolazione in parte era formata da mercanti toscani immigrativi….
In tema con gli elogi al padrone di casa, leggo spesso i “numeri arretrati” del blog. Sono arrivata al febbraio 2009. Non è che leggo tutto a tappeto, molti argomenti non sono mai entrati nel mio raggio di interesse e di osservazione, soprattutto perchè io sono una “estraniata” da questo mondo, perciò li scorro, a volte non ci capisco un ciufolo, altre mi smaletto anche un pochino 😀 …
Questo è il post che finora ho trovato il più bello in assoluto:
http://kelebeklerblog.com/mundus-imaginalis/333-2/
Per Tortuga e Mirkhond
prendo per buoni i vari elogi, fanno sempre piacere 🙂
Semplicemente, non riuscirò mai a essere come Lenin http://kelebeklerblog.com/2010/07/10/lenin-tra-le-nevi/ e infatti, Lenin in pochi mesi ha preso in mano uno dei più grandi paesi del mondo, io faccio precariamente il traduttore.
Non riesco a scindere la critica politica dalla ricerca delle cose belle e positive che io, molto soggettivamente, trovo nella vita.
E le cose belle, comprese quelle dolorose-ma-belle, sono talmente tante, e si trovano ovunque, che passa la voglia di litigare.
Poi uno si può divertire a volte a prendere in giro gli antipatici, ma non riesco a sentirlo come una crociata, anche perché so che i miei peggiori nemici sono fragili quanto me.
Un’altra cosa.
Io mi arrabbio di solito con qualcuno quando penso di avere io la soluzione a un problema, e ritengo che il comportamento di quella persona stia sabotando la soluzione.
Per questo i comunisti di una volta erano molto rabbiosi. Contro i nemici che impedivano alla Linea di Partito di vincere, ma anche e soprattutto contro i Sabotatori, cioè le persone che indicavano obiettivi anche leggermente diversi.
Ora, io non possiedo la soluzione a quasi niente, e a volte mi viene il dubbio che esistano i problemi stessi.
A che pro arrabbiarsi?
“Ora, io non possiedo la soluzione a quasi niente,
e a volte mi viene il dubbio che esistano i problemi stessi.”
– Miguel –
Certe volte – non poche – sembri un po’ buddhista – non poco 😀
A me, invece, la cosa che fa più reagire è quando trovo il comportamento di qualcuno manipolatorio/ingannevole, il che avviene – ahimé – piuttosto spesso, dato che sull’argomento sono incline alla tetrapilectomia.
“A che pro arrabbiarsi?”
Ciò denota una grande saggezza, e soprattutto un dominio di se e un’attenta riflessione sulla vita, sui nostri limiti e su quelli del nostro prossimo….
Ma credo che sia anche questione di carattere, perché io invece, essendo di animo focoso, proprio non ci riesco a non incazzarmi, se sento cose che non riesco a mandar giù e non mi sento compreso, pur, magari, passata la buriana, rendendomi perfettamente conto che tutto è inutile…..
Io capisco benissimo mirkhond nonostante non sia particolarmente incazzoso, ma quando ce vo’ ce vo’.
Poi miguel dice una cosa interessante: ci sono tante cose belle a questo mondo. Solo che per me sono talmente tante e il tempo talmente poco che nono riesco a dedicare tempo/energia a cose o persone insulse
Roberto
Vabbè, ma fate due fatiche…
certo pino!
non dico che tutto quello che non mi piace lo butto al mare, ma che, per dire, se ho un minuto piuttosto che leggermi i deliri di breivik preferisco gli scambi fra te e ritvan sull’origine albanese dell’universo e dovendo scegliere piuttosto che con dordolo andrei a cena con il kebbababro sotto casa che mi sembra più interessante, o almeno meno fastidioso.
mi fai venire in mente qualche anno fa un matrimonio di un’amica di mia moglie che vive in sudafrica (matrimonio in germania). noi eravamo al tavolo dei sudafricani per motivi linguistici e ho passato la serata vicino a dei latifondisti del cavolo che si lamentavano del fatto che “you know my friend, adesso se voglio licenziare un negro c’è il sindacato….capisci il mio problema? prima bastava un calcio in culo e se ne andavano da soli”….ecco con questo genere di persone faccio un pochino più che due fatiche
roberto
Poi uno si può divertire a volte a prendere in giro gli antipatici, ma non riesco a sentirlo come una crociata, anche perché so che i miei peggiori nemici sono fragili quanto me.
maria
non starò a tessere anch’io la capacità inusuale che ha miguel di porsi con tutti, lo avevo già intuito tanti anni fa in altra lista dove il suo essere antisraeliano aveva una sfumatura del tutto diversa dagli altri, al punto che aveva convinto un ebreo romano di israele che la frequentava e che spesso era amareggiato dal modo grossolano e becero con cui alcuni affrontatavano il tema, ma è una vicenda lontana …..
Scrivo per dire che il tema della fragilità con cui miguel ha tentato di spiegare il suo atteggiamento mi ha fatto venire in mente quanto scrive Rousseau nell’Emile:
“La debolezza dell’uomo lo rende socievole; le nostre miserie comuni portano i nostri cuori all’umanità….così dalla nostra stessa felicità nasce la nostra fragile felicità”
Io non sono rousseiana , non sono convinta da nessuna teoria in assoluto, credo soltanto nell’esistenza delle classi che producono disuguaglianza continua e irrimediabile, ma queste parole mi hanno sempre affascinato pur contraddicendo la mia unica “certezza”
scusate rettifico la citazione chiedendo scusa del doppio invio
non “nostra stessa felicità” ma “nostra stessa infermità”