Un nuovo barbiere, Dio e una lingua alta

Stasera, la nostra strada è bloccata ancora una volta, qualcosa a che vedere con un tubo di piombo antico che non regge più l’acqua, e mi diverto a guardare un’immensa colonna di auto ferme.

Cerco di capire cos’è successo, mi presento nei negozi come uno del Comitato Tutela San Frediano, ma la donna che crea oggetti di stoffa con le sue mani, mi dice, “non voglio sapere per non starci troppo male”, e il Nanni che allena calciatori e cani e porta in spalle una microscopica bimbetta, non ne sa nulla, e la fioraia mi dice, “e non lo vedi da te icche c’è?”

In una microscopica bottega, c’è un’inaugurazione, con tanto di palloncini.

E’ un nuovo barbiere.

A nemmeno cinquanta metri dal ragazzo marocchino che ha appena aperto una bottega, e mi chiedo come la prenderà, ma il barbiere è un mestiere che per qualche anno reggerà ancora: potranno tagliare i capelli ai musicisti che non vendono più dvd, ai traduttori annientati da DeepL. Basta chiedere di meno, e infatti il marocchino chiede dieci euro contro i diciotto che chiede il fiorentino da cui vado di solito.

Davanti alla barberìa, vedo L., che vende le case in tutto San Frediano.

Che è un quartiere dove si fanno un sacco di soldi con il saccheggio turistico, però L. non è esattamente il vostro normale venditore di case.

Ha preso di mira un ragazzo, presumo un amico del proprietario della nuova bottega.

“Ma tu sei musulmano?”

“No, sono cristiano!”

E intervengo, “anta masiihi?” che in arabo vuol dire, sei un messianico/cristiano?

Il ragazzo mi risponde che viene dal Quds. قدس

Che significa qualcosa, come il luogo sacro e vietato, per noialtri, Gerusalemme.

E mi trovo a cercare di parlare in arabo con quattro palestinesi cristiani di Gerusalemme, che vogliono diventare fisioterapisti.

Ma L. lo spacciatore di case e di sogni è partito, e ai ragazzi che capiscono appena l’italiano, dice…

“Io mi occupo della scrittura che c’era prima della scrittura… di quando Dio iniziò tutte le cose… perché sapete, noi siamo batteri, innumerevoli esseri viventi, che guardiamo il mondo attraverso una coscienza che non comprendiamo…

io sono uno che si guarda attorno e parla con la voce del futuro che gli altri ancora non conoscono…

come faccio a far capire, che Dio ha inventato la scrittura ancora prima che ci fosse, era nei nostri lobi cerebrali… anche la scrittura araba che è la cosa più bella del mondo… ecco perché il primo versetto del Corano dice, tu lavorerai…”

E sento un certo imbarazzo perché il primo versetto del Corano non dice proprio tu lavorerai.

Dice, casomai, iqra’!

Iqra', il comando iniziale, combina inestricabilmente molti concetti: collegare quei lobi del nostro cervello che sono dediti alla visione a quelli dediti alla parola; ma anche qualcosa di più inafferrabile, la cammella che nel proprio grembo ricopre il feto, le mestruazioni, il calare delle stelle sull'orizzonte, il costruire rime...

I fisioterapisti cristiani di Gerusalemme guardano con una certa confusione L. e gli dicono, “scusa imparo italiano puoi parlare più lento?

Uno dei palestinesi che conosce meglio l’italiano cerca di tradurre in arabo qualche frammento del discorso dello spacciatore di case, ma capisco che non rende quasi nulla.

Però restano tutti colpiti, dal fatto che c’è un messicano di passaggio per Borgo San Frediano che parla frammenti di arabo, e dicono che io parlo la Lingua Alta, solo che non so come un cristiano viva la lingua che l’Arcangelo Gabriele avrebbe rivelato a Muhammad, e allora dico che mi confondo con il dialetto egiziano.

Questa voce è stata pubblicata in esperienze di Miguel Martinez, Firenze, Israele Palestina Canaan, mundus imaginalis, resistere sul territorio e contrassegnata con , , , , , , . Contrassegna il permalink.

36 risposte a Un nuovo barbiere, Dio e una lingua alta

  1. Andrea Di Vita scrive:

    @ Martinez

    Vero che sforzarsi di parlare la lingua di un altro te lo fa amico per sempre, se questo ‘altro’ ha come madrelingua qualcosa che fuori di casa sua nessuno conosce. Io ho conquistato l’imperitura amicizia di un professore Indiano solo per aver indicato la sua firma su un bagaglio e aver chiesto se era Tamil.

    Però… 18€ per un barbiere! Assurdo. Io non ne lago più di dieci da anni.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

    • Francesco scrive:

      dilettante! spendaccione! prodigo!

      io uso la macchinetta per i pochi peli che mi sono rimasti in testa, da quando non erano così pochi ma ho scoperto che i capelli molto corti mi piacciono

      🙂

      • PinoMamet scrive:

        Macchinetta tutta la vita! Risparmio assicurato.

      • Andrea Di Vita scrive:

        @ francesco

        “Macchinetta”

        Patisco, ahimè, il veto di mia moglie. Come compromesso, la volta che spendo i 10€ faccio tagliare i capelli quasi a zero, così passa più tempo fino al prossimo taglio e riduco lo spreco.

        Ciao!

        Andrea Di Vita

      • Roberto scrive:

        Capelli lunghi come me e risparmiate pure l’acquisto della macchinetta 😁

        • Ros scrive:

          Roberto: “Capelli lunghi come me e risparmiate pure l’acquisto della macchinetta 😁”

          pure te alla MariaMaddalena Velo della Veronica li porti?

          an vedi il gigante fricchettone delle Due Sicilie d’un fiammingo tra i valloni😎

          …epperò la macchinetta la uso pure,
          che mi piace che con la criniera longa sansonica et merovingia l’averci pure qualche parte ai lati e dietro rasoiata alla sangrìa;

          https://sogsite.com/wp-content/uploads/2020/12/sog226-military_assistance_command_vietnam_studies_observations-plasma_shape-18x12_0.jpg

          dura massiccia e incazzata alla mohawk-moicana-MACV-SOG
          famolata strana

          https://menhairstylist.com/wp-content/uploads/2017/04/High-Fade-Mohawk.jpg

          https://i.pinimg.com/originals/b5/56/ac/b556ac52634548538609592c408b4881.jpg

          giust Fascinum Fascinus for fare scantare e piccirille a primavera😉

          «Stando a Varrone, nei crocicchi d’Italia furono celebrati i misteri di Libero Priapo con tanta licenziosità che in suo onore si ebbe un culto fallico, e almeno fosse avvenuto in un luogo un po’ appartato ma in pubblico con sfrenata dissolutezza.

          Infatti durante le feste di Libero uno sconcio membro virile, esposto con grande solennità su un carretto, veniva trasportato dapprima in campagna nei crocicchi e poi fino alla città.

          Nel paese di Lavinio si consacrava a Libero un mese intero, durante il quale tutti pronunciavano delle sconce invocazioni fino a quando l’organo fallico non riattraversava la piazza e non veniva ricollocato al suo posto.

          La più onesta madre di famiglia doveva pubblicamente imporre una corona all’emblema disonesto.

          In questo modo si doveva propiziare il dio Libero per il buon esito dei semi, si doveva allontanare il malocchio (fascinatio repellenda) e per questo si costringeva una matrona a compiere in pubblico un rito che non si doveva permettere in teatro neanche a una cortigiana se le matrone fossero state presenti»

          • Ros scrive:

            https://i.pinimg.com/originals/2a/06/21/2a0621313cab76f2444c93628218b9d1.jpg

            Mary Magdalene, Sandys, 1860
            – “La sensualidad en el más noble sentido del término, porque vivía en un estado de fusión casi permanente con lo más bello que existe en la naturaleza: los perfumes, los colores, las formas y los sonidos.

            Bebía la vida por todos los sentidos de su cuerpo y no establecía ninguna ruptura ni frontera entre el mundo palpable y los mundos sutiles.

            Para ella, los sentidos podían ser un puente entre lo Divino y lo Humano”

            jesssssseca verónica des Magdala & madeleine

          • Ros scrive:

            Roberto: “No come steve adams in questa foto”

            Alla CroMagnon omes de le Grottes d’Altamira-Addaura lì a Lascaux!!!

            Togo! 😎

            Che ci abbini com’accessoires de charme la clava o la zappa?

            ‘na mantellina ‘mpellicciata di lione coi baffetti da sparviero e donne salvatevi che arrivato l’arrotino!😏♏

            • roberto scrive:

              ros

              “Che ci abbini com’accessoires de charme la clava o la zappa?”

              giacca e cravatta
              🙂

              (no scherzo non sempre, al massimo una volta a settimana, in genere semplice jeans e camicia)

  2. Peucezio scrive:

    Non capirò mai comunque la grafolatria.

    La scrittura è un mero mezzo, inefficace, di resa del parlato, cioè del linguaggio (il linguaggio umano è ORALE).

    Inefficace perché del linguaggio fa parte la prosodia, quindi tutta una serie di elementi ritmici, di tono, ecc.
    E poi c’è il gesto, la mimica facciale, la postura…

    Anche le grandi opere letterarie, che ci sono state consegnate grazie alla scrittura, in qualche modo chi le concepisce le concepisce dicendole mentalmente e “udendole” mentre le dice, me compreso mentre scrivo in questo momento: non sto tracciando delle forme sul bianco, ma sto elaborando frasi fatte di suoni.

    Poi ci sono le immagini. L’uomo dipinge e traccia segni da sempre.

    Ma quando le immagini si astraggono e si collegano ai suoni, cominciano i guai.

    • Ros scrive:

      @Peucezio: “…Ma quando le immagini si astraggono e si collegano ai suoni, cominciano i guai…”

      Perché?
      Che t’ha fatto la sinestesia?

      • Il pensiero vien da se come una nuvola che passa;
      viene e passa “astratto” (diciamo pure così🙄)

      • diviene immagine sdoganando l’inventario di magazzino dell’ippocampo

      • ora è colore di tamburi e squilli

      • e suona, e parla; ad alta voce parla

      • ecco adesso il treno e io muccabove che lo guardo

      • • • Frattale Astratto>Simbolo iconografico pescato dal magazzino di Indiana Jones e I predatori dell’arca perduta>colore>suono>parola

      tutto assieme contemporaneamente

      e passa il treno azzurro

      https://www.youtube.com/watch?v=N0eL9k8VQTo

      Cerco l’estate tutto l’anno
      e all’improvviso eccola qua.

      Lei è partita per le spiagge
      e sono solo quassù in città,
      sento fischiare sopra i tetti
      un aeroplano che se ne va.

      Azzurro,
      il pomeriggio è troppo azzurro
      e lungo per me.

      Mi accorgo di non avere più risorse,
      senza di te,
      e allora
      io quasi quasi prendo il treno
      e vengo, vengo da te,
      ma il treno dei desideri
      nei miei pensieri all’incontrario va.

      Sembra quand’ero all’oratorio,
      con tanto sole, tanti anni fa.
      Quelle domeniche da solo
      in un cortile, a passeggiar…
      ora mi annoio più di allora,
      neanche un prete per chiacchierar…
      Azzurro,
      il pomeriggio è troppo azzurro
      e lungo per me.
      Mi accorgo
      di non avere più risorse,
      senza di te,
      e alloraio quasi quasi prendo il treno
      e vengo, vengo da te,
      ma il treno dei desideri
      nei miei pensieri all’incontrario va.

      Cerco un po’ d’Africa in giardino,
      tra l’oleandro e il baobab,
      come facevo da bambino,
      ma qui c’è gente, non si può più,
      stanno innaffiando le tue rose,
      non c’è il leone, chissà dov’è…

      https://i.postimg.cc/LH4M1FkL/Ver-Sacrum-Lullaby-venus.jpg

      Azzurro,
      il pomeriggio è troppo azzurro
      e lungo per me.
      Mi accorgo
      di non avere più risorse,
      senza di te,
      e allora
      io quasi quasi prendo il treno
      e vengo, vengo da te,
      ma il treno dei desideri
      nei miei pensieri all’incontrario va
      🎈👕🍓

      • Ros scrive:

        il treno dei desideri
        nei miei pensieri all’incontrario va

        …eppòi qualched’uno col turbante delle mille e una notte svulazzando sul tappetobbello della Syrian Ruta-Peganum Harmala Spellbound Poison

        ti dice che è l’Arcangelo Gabriele…

        Michele – ciprigno candeloro cinnabaris –
        dietro,
        sghignazza che è un piacere dei suoi e poi a noi dati sogni di una notte di mezz’estate:
        Robin Goodfellow Trickster o di Ferri o di Fiori

        spada di fuoco segreto dell’acciaio e asso di coppe in trono a cuori

    • Ros scrive:

      Peucezio: “La scrittura è un mero mezzo, inefficace, di resa del parlato, cioè del linguaggio (il linguaggio umano è ORALE).”

      si può essere;

      però se al Significato tignoso spicciolo e micragnoso ci arrimìni dentro:

      i Significanti,
      le Immagini,
      i Colori e i Suoni,
      le Crocchette di Silvestrone Gambadilegno,
      l’Assafetida & Stramonio,

      tutti insieme appassionatamente lì a Teresinare …

      … allora – Spellbound – funziona!
      In qualche magarico suo modo🤔

      “Consapevole di quanto sia ardua ogni ricerca che si proponga di sviscerare la natura del linguaggio,
      Andrea Moro ha allestito un personale «album di foto» di pensatori occidentali che ne hanno indagato le mille sfaccettature
      – da Platone e Aristotele a Noam Chomsky, passando per Dante, Cartesio e Ferdinand de Saussure –,
      nel tentativo di comprendere con il loro aiuto quali siano le sue
      «proprietà specifiche»
      e per quale ragione le frasi stiano soltanto in noi, «come i teoremi e le sinfonie».

      Non solo.
      Se il linguaggio è espressione della nostra struttura biologica, dovremo allora capovolgere il prologo giovanneo e affermare che
      «la carne si è fatta logos».

      E ogni riflessione su di esso ci svelerà in definitiva qualcosa di più su di noi, perché «noi siamo parte del dato».

      • Andrea Moro “Breve storia del verbo essere”

      • Andrea Moro “I confini di Babele”

      • Andrea Moro “I segreti delle parole”

      • Andrea Moro “La razza e la lingua”

      • Andrea Moro “Il segreto di Pietramala”

      Autore da leggere 😑!!!
      ..anche se poi per allacciarti le scarpe devi spostare i coglioni …

      pure se è scritto – indi degenerato – il suo primaeraorale.

      «Art qui accepte la matière des lettres réduites
      et devenues simplement elles-mêmes
      (s’ajoutant ou remplaçant totalement les éléments poétiques et musicaux)
      et qui les dépasse pour mouler dans leur bloc des œuvres cohérentes»

      «teoria in perpetuo divenire,
      un sistema totalizzante basato sia sulla decostruzione del linguaggio ridotto all’insieme delle lettere e dei segni,
      sia sul disfacimento della forma e della pittura trasformata in poliscrittura»

      (Isidore Isou)

      «Accettata linguisticamente la metafora per cui significante e significato sono le due facce di una stessa moneta,
      proviamo a lanciare per aria la nostra moneta:
      le probabilità di estrarre significante o significato sono uguali;
      ma quante sono le probabilità che la moneta rimanga ritta di taglio?»

      • Renato Barilli: “Il riscatto del significante.
      Fra significante e significato”
      Università di Pavia, Collegio Cairoli, 1975.

      • Lamberto Pignotti “Fra Parola e immagine” Marsilio 1972;

      • Lamberto Pignotti “Nuovi segni” Marsilio 1973;

      • Luigi Ballerini “La piramide capovolta” Marsilio 1975;

      Poesia Concreta>Visiva>Sonora>Fluxus>Lettrismo

      • Giovanni Pozzi “La parola dipinta” (1981, Adelphi) imprescindibile!
      Una miniera d’oro😚

      Questo libro può essere considerato la prima trattazione organica del tema della poesia figurata in tutte le sue molteplici accezioni,
      che vanno dai technopaegnia alessandrini ai calligrammi di Apollinaire,
      poi ripresi e sviluppati dalle avanguardie.

      Mentre gli studi precedenti si erano spesso appagati di un’analisi innanzitutto visiva di questa forma di poesia,
      Pozzi mira a risalire all’origine di quell’impulso formale,
      qui individuata nella tensione dell’espressione linguistica quando essa si sottomette a un regime che le è estraneo, quello dell’espressione iconica.
      Questa tensione non è presente solo negli artifici più noti
      – quali il calligramma, l’anagramma e l’acrostico –,
      ma in numerosi altri testi dove il valore iconico è per così dire occultato.

      E il disvelamento di queste immagini segrete viene qui condotto da Pozzi con appassionante perizia.

      Alla prospettiva sincronica, che tende a illuminare le sottili questioni formali poste da questa specie della poesia, si accompagna
      – nella seconda parte dell’opera –
      una storia della poesia figurata in Italia dal Medioevo in avanti:

      vi si vedranno sfilare i grandi nomi di Boccaccio, Boiardo, Folengo, Colonna e una folla di autori sconosciuti, soprattutto cinquecenteschi e secenteschi, che spingono la poesia figurata a estremi di virtuosismo e di eleganza.

      Molti di questi materiali vengono qui sottratti per la prima volta al sonno delle biblioteche, portando alla luce immagini delicate, sorprendenti.

      Un senso di vertigine è la cifra di queste invenzioni, oscillanti fra l’esaltazione mistica e la perversione contaminatrice.

      La scrittura, ribellandosi alla sua funzione di rappresentanza linguistica,
      tende a diventare, da ancella della lingua, sua arrogante despota:

      «una storia della scrittura come regno dell’eccesso vedrebbe figurare il nostro genere fra i più inquietanti», annota Pozzi.

      L’evoluzione formale della poesia figurata si intreccia così a quel radicale spostamento dell’asse intellettuale che si manifesta all’inizio dell’età moderna.

      I carmi figurati, che negli esempi medievali si aggiungevano al Liber mundi come un’ulteriore pagina di lode cosmica, tendono sempre più a diventare una celebrazione del disordine e del sovvertimento, segnali dell’assenza della divinità dal mondo, annuncio di un irredimibile caos.

  3. Moi scrive:

    @ MIGUEL

    Secondo Icaro Bilal Masseroli (forse lo conosci di persona … chissà ) un Ateo è un Musulmano al 50% : ha già fatto la prima (!) parte del Percorso di Ritorno all’ Islam, ossia rinnegare le “Divinità”. Non gli resta che la seconda parte : ritornare ad Allah !

    • Moi scrive:

      PS

      In breve per chi ignorasse il personaggio :

      Millennial con un po’ meno di 40 anni

      Divenuto Musulmano più o meno una decina d’anni fa

      Sposato a una “Muslima Nativa” (1/2 Egiziana 1/2 Tunisina ?)

      Gli “Arabi Veri” 😉 si complimentano su tutta la linea per il suo livello linguistico di Arabo, per giunta appreso in età adulta … di conseguenza lui ha creato (con successo) il suo metodo per corsi di Arabo on line su base Italiana e Inglese .

  4. Moi scrive:

    Cmq secondo me, tendenzialmente, i Musulmani sono aggressivi-passivi come i Terroni 🙂 … senza però averne l’ umorismo e la teatralità [cfr. cit. Eduardo De Filippo] nella quotidianità.

    Poi c’è ‘sto trend, già notato da Pino Mamet, che i ragazzi vogliono apparire come maranza … le ragazze come principessine sempre “a-m-modìno”, come dicono in Toscana.

    • PinoMamet scrive:

      “Cmq secondo me, tendenzialmente, i Musulmani sono aggressivi-passivi come i Terroni 🙂 … senza però averne l’ umorismo e la teatralità [cfr. cit. Eduardo De Filippo] nella quotidianità.”

      Un po’ è vero…

      mentre di tanti africa-nerani (gli originari dell’Africa nera 😉 ) devo dire il contrario:
      hanno grandi doti di umorismo e teatralità, poca aggressività;

      a meno che non vogliano imitare i neri americani…
      ma gli riesce male, si capisce che sono qualcos’altro.

      Non parlo solo di quelli famosi come Khaby Lame, che nel suo gesto ironico e disincantato che lo ha reso famoso potrebbe benissimo essere un personaggio di De Crescenzo;
      o di Gideon di “Cucina Gideon”, che seguo su Instagram
      (“un piatto come ce lo faceva la nonna…”; “sale e pepe come la cucina comanda”; “te ne vuoi privare?”)
      o di un altro bravissimo ragazzo di origine africana, di cui non ricordo il nome, che parla sempre su Instagram “della lingua, quella bella, quella italiana!”

      ma anche dei tanti studenti africani che vedo a scuola tutti i giorni…

      (Ora vi svelo un segreto: Khaby Lame sta simpatico a tutti, perché è simpatico;
      Paola Egonu sta antipatica a tutti, perché è antipatica.
      La “razza” c’entra una sega.
      Sta antipatica anche Federica Pellegrini che è bionda!)

      • Moi scrive:

        Be’ sì … cmq viviamo anche nell’ epoca in cui nel Live Action dei Puffi (!) , nella versione Italiana “Puffo Brontolone” era diventato appunto “Puffo Aggressivo-Passivo”.

        I Neri Africani, sì … mi pare che abbiano molto più umorismo “anche per Bianchi” 🙂 , rispetto agli AfroAmericani.

        Ad esempio la “scenetta-meme” in cui a scuola l’ Insegnante :

        “Qual era la merce più pregiata nel Settecento ?”

        Lui o lei alza la mano …

        Insegnante : “… Bravo/a, [nome], ottima risposta !”

  5. Moi scrive:

    Due sempre autoproclamati fieri “AntiSionisti” :

    Odifreddi e (Al-)Dibba(h) , come lo ha “rinomignolato” Vittorio Feltri :4

    https://www.youtube.com/watch?v=rAbYG6Rufuc

    _ 7 min _

    “Oggi la gente non ha più paura a dirsi contro Israele. C’è antisemitismo? Autoinflitto”

    [Effetto Post 7 Ottobre …]

  6. Moi scrive:

    AL-QUDS … UN MOMENTO !!!

    In realtà, stando a Wikipedia, esiste anche (!) un toponimo in Arabo “calcato” :

    Gerusalemme

    In ebraico יְרוּשָׁלַיִם‎?, Yerushalayim, Yerushalaim e/o Yerushalaym ascolta;
    In arabo القُدس‎?, al-Quds, “la (città) santa”, sempre in arabo أُورْشَلِيم Ūrshalīm,

    —————————-

    Ma perché gli Arabi NON dicono comunemente أُورْشَلِيم ? … Non è abbastanza Islamocentrico ?

  7. habsburgicus scrive:

    Non è abbastanza Islamocentrico ?

    probabilmente è quello il motivo…
    rammento che in farsi (persiano moderno), lingua IE, Gerusalemme si dice Qods (ovvero la stessa parola, vocalizzata persianamente, talora scritta Ghods poiché la “q” persiana tende a essere pronunciata “gh” che è tuttavia diversissima dalla ghayn !) e quando il Sultano di Costantinopolli creò il mutessariflik (sangiaccato) indipendente di Gerusalemme a fine XIX secolo lo chiamò in turco osmanli, lingua altaica, “mutessariflik di Quds-i sherif” (Quds-i sherif è appunto Gerusalemme “la nobile”);
    la parola Qods/Quds è dunque panislamica e non solo araba (non so però se è stata mantenuta nel turco ataturchiano vulgo “turco moderno” scritto in lettere nostre)

  8. habsburgicus scrive:

    @Moi@chiunque
    https://cnimyanmar.com/index.php/english-edition/20064-myanmar-laos-friendship-bridge-reopens

    riapre il ponte dell’amicizia fra Laos e Myanmar (eh sì, il Laos oltre a Cina, Vietnam, Cambogia e Thailandia confina per un pezzettino a nord-ovest anche con il Myanmar, presso il “triangolo d’oro”..anzi è proprio quella parte di territorio birmano e laotiano ad impedire alla Thailandia di confinare direttamente con la grande e possente Cina, ove vivono molte popolazioni di etnia Dai cioè Thai, come nella prefettura autonoma di Xishuangbanna ove sono passato in treno andando da Kunming a Luang Prabang..si disse che, ai tempi, Londra e Parigi, padroni l’una della Birmania e l’altra dell’Indocina che includeva il Laos, lo fecero apposta per impedire un contatto diretto fra il Siam indipendente e la Cina mai del tutto sottomessa, così come per ragioni opposte il corridoio del Wakhan in Afghanistan servì a impedire un contatto diretto fra l’India britanniche e le terre sottomesse al “Gran Padre Bianco” come prima del 1917 veniva chiamato lo Zar dai mugichi);
    purtroppo mi è stato detto in Laos che tale frontiera NON è per noi farang…solo per gli asiatici e manco tutti (in Myanmar si può entrare, con il visto, ma solo dall’aeroporto di Yangon)

  9. Ros scrive:

    … aggiungerei – scusate assai mi spiace –
    per completezza di finezza;
    perché o se no pare che faccio le cose alla Garibaldina di Carlona lì a Pamplona nel Camiño de Santiago fatto a Compostella

    (La Compostella è un Dulce di medievale, a base di Frutta cotta in Coppa d’Asso nello sciroppo di Zucchero o Vino, eventualmente speziato con Vaniglia, Zenzero, scorza di Limone o Arancia, Cannella in stecche o in polvere, Chiodi di Garofano, Belladonna, Giusquiamo, Mandragora e noci di Stramonio tutt’intére.
    Da “Legenda Aurea: La trahison des image”s)

    e non è cosa buona e giusta fatta alla garibaldina😑😕

    Bibliografia minima ex’enziale

    • Alessandro Magrini. Il dono di Cadmo. L’incredibile storia delle lettere dell’alfabeto (2022, Ponte alle Grazie)

    • Benjamin Lee Whorf. Linguaggio, pensiero e realtà (2022, Bollati Boringhieri)

    • Enrico Cipriani. I misteri del linguaggio (2022, Mimesis)

    • Francesco Benozzo. DESLI. Dizionario etimologico-semantico della lingua italiana (2015, Pendragon)

    • Francesco Benozzo. La tradizione smarrita. Le origini non scritte delle letterature romanze (2007, Viella)

    • Kübra Gümüsay. Lingua e essere (2021, Fandango)

    • Michael C. Corballis. Dalla mano alla bocca. Le origini del linguaggio (2008, Raffaello Cortina)

    • Paolo Virno. Quando il verbo si fa carne. Linguaggio e natura umana (2003, Bollati Boringhieri)

    • Riccardo Santilli. Icone digitali (La scrittura come icona originaria) (©La Critica)

    • Silvia Ferrara. La grande invenzione (2021, feltrinelli)

    • Walter J. Ong. Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola (1986, Il Mulino)

    • Sverker Johansson. L’alba del linguaggio (2021, Ponte alle Grazie)

    • Steven Mithen. Il canto degli antenati (2019, Codice)

    • Emmanuel Anati. Origini della scrittura (2013, Atelier)

    • Andrea Moro. I confini di Babele. Il cervello e il mistero delle lingue impossibili
    (2018, Il Mulino)

    • Lorenzo Tomasin. Europa romanza (2021, Einaudi)

    • Lorenzo Tomasin. Il caos e l’ordine. Le lingue romanze nella storia della cultura europea (2019, Einaudi)

    • Lorenzo Tomasin. Prima lezione di romanistica (2023, Laterza)

    • Louis Godart. Il disco di Festo. L’enigma di una scrittura (©1994, Einaudi)

    • Louis Hjelmslev. Il linguaggio (1970, Einaudi)

    • Massimiliano Marazzi. La scrittura dei Micenei (2015, Carocci)

    • Massimiliano Marazzi. Scrittura, epigrafia e grammatica greco-micenea (2013, Crocci)

    • Marco Mancini, Luca Lorenzetti. Le lingue del Mediterraneo antico. Culture, mutamenti, contatti (2013, Carocci)

    • Ferdinand de Saussure. Saggio sul vocalismo indoeuropeo, Clueb, 1978.

    • Questo non è una pipa (1973), SE, Milano, 1988.

    Michel Foucault:
    “Questa non è una pipa”
    di Jeanne Willette | 17 gennaio 2014 | Teoria.

    «[…] una pipa disegnata minuziosamente;
    e, sotto
    (scritta a mano con una calligrafia regolare, diligente, artificiosa, con una calligrafia da amanuense, quale si può trovare, a titolo di esempio, sul frontespizio dei quaderni di scuola, o su una lavagna dopo una lezione di cose),
    la dicitura:
    “Questo non è una pipa”». Foucault commenta:

    «Ora, paragonato alla tradizionale funzione della didascalia, il testo di Magritte è doppiamente paradossale.

    Si propone di nominare ciò che, evidentemente, non ha bisogno di esserlo (la forma è troppo nota, il nome troppo familiare).

    Ed ecco che nel momento in cui dovrebbe dare il nome, lo dà negando che sia tale»

    (Michel Foucault)

    Questa non è una pipa.

    Il saggio di Michel Foucault, Questa non è una pipa, la sua contemplazione su un famoso dipinto di René Magritte, La trahison des images (Ceci n’est pas une pipe) (1929) può essere letto come un seguito alla sua precedente analisi del dipinto molto più grande di Diego Velasquez, Las Meninas (1656).

    Entrambi i saggi – “Las Meninas” è stata l’introduzione a L’ordine delle cose (1966) e This is not a Pipe è un piccolo libro a sé stante
    – hanno più o meno la stessa lunghezza e riguardano la questione della rappresentazione.

    Inoltre, La trahison des images (1929) può essere sequenziato in relazione a Las Meninas (1656) in quanto Las Meninas fa parte dell’episteme “classico” e La trahison des images è un esame dell’episteme moderna.

    Il surrealista belga René Magritte (1898-1967) si definiva da tempo un pensatore (filosofo) che utilizzava la pittura per esplorare questioni filosofiche.

    Nel corso della sua carriera aveva letto non solo Heidegger e Sartre, ma aveva anche vissuto abbastanza a lungo da leggere le prime opere di Foucault, come Les mots et les chooses, pubblicate pochi anni prima della sua morte.

    In effetti Magritte ha stabilito un collegamento tra i due dipinti.

    Come scrisse a Foucault nel 1966:

    “È completamente invisibile come il piacere o il dolore. Ma la pittura interpone un problema:

    c’è il pensiero che vede e può essere descritto in modo visibile.

    Las Meninas è l’immagine visibile del pensiero invisibile di Velásquez?

    Allora l’invisibile a volte è visibile? a condizione che il pensiero sia costituito esclusivamente da immagini visibili”.

    Partendo da un disegno del 1926, Magritte utilizzò la pipa in numerosi suoi dipinti, ma la versione più conosciuta della “pipa” si trova al Los Angeles County Museum of Art.
    Il dipinto è di medie dimensioni, reso con cura nei toni del marrone.

    Come nel solito caso con Magritte, la pittura viene applicata in modo fluido per neutralizzare le sue qualità espressive e per mettere in primo piano la preoccupazione per il rapporto tra il linguaggio e la “realtà” percepita.

    Una pipa di legno con cannello ricurvo galleggia da sola su uno sfondo café au lait , isolata tranne che per una frase eseguita con cura ” Ceci n’est pas une pipe” posta sotto la pipa.

    Fatta eccezione per il “non”, il dipinto è un’immagine speculare di un libro di scuola con immagini etichettate con le parole corrispondenti.

    Con una parola Magritte mette in crisi il nesso metafisico, ipotizzato da Platone, che esisteva tra le parole e le cose.

    Magritte ha anche reciso il gesto di “indicare” della parola “questo” che ora ha un referente ambiguo: a cosa si riferisce “questo”:
    la pipa, la tela, la frase stessa?

    Renè Magritte. Questa non è una pipa (1929)

    Sempre interessato al linguaggio, Foucault esplorò il moderno sistema di rappresentazione e si rivolse nuovamente all’arte per esplorare alternative allo strutturalismo e alla sua dipendenza dai sistemi rappresentativi.

    Quando scrisse Questa non è una pipa, pubblicato su Les Cahiers du chemin nel 1967, l’attacco di Foucault allo strutturalismo finì nel bel mezzo di un dibattito in corso sulla stampa francese sulla teoria letteraria.

    Usare un dipinto di Magritte fu naturale per Foucault che era in corrispondenza con l’artista e, come molti scrittori della sua generazione, era interessato al Surrealismo e alle sue strategie che tentavano di annullare le connessioni narrative che davano un senso al mondo.

    Foucault ha esplorato le lacune tra discorsi ed eventi e ha cercato di dire il non detto per defamiliarizzare.

    Come disse una volta il conte Isidoro de Lautréamont de Les Chants de Maldoror,
    l’Insolito o il Meraviglioso o il Tristanzuolo appisquanato era
    “…bello quanto l’incontro casuale di una macchina da cucire in prosa e di un’umbrella su un tavolo operatorio della Morgue con la Divinorum Salvia”.

    I temi esplorati da Magritte su tela erano deliberatamente “disorientanti” e mostravano un fascino per i non sequitur e le eterotopie visive.

    Il termine eterotopia in termini medici significa lo spostamento di un organo dalla sua sede abituale.

    Nell’arte, Magritte ha spostato parte di un corpo e l’ha ricollocata in un altro corpo, come la sua bottiglia di carota, il suo pesce-umano, con risultati sconcertanti.

    Per intenderci, l’unione del pesce e della femmina non è una metamorfosi ma una fusione forzata, fissa e arbitraria.

    Ne L’ordine delle cose , Foucault si riferisce all’“eterotopia”, ovvero a un luogo in cui le molteplicità coesistono.

    L’eterotopia si produceva collegando insieme ciò che era “incongruo” producendo un disordine ancora peggiore.

    Tutti gli ordini possibili esistono separatamente e simultaneamente e diventano una dimensione senza legge e inesplorata, chiamata eteroclita.

    Le cose vengono disposte, collocate, disposte in siti, ed è troppo difficile trovare un terreno comune per tutte.

    Questo concetto di “insieme” non è dissimile dall’“allegoria” di Benjamin nel senso di assemblaggio, ma a differenza dell’allegoria, l’eteroclito resiste al significato unitario.

    In contrasto con un’utopia, una regione tranquilla, l’eterotopia è inquietante e impossibile da nominare, contestando così la possibilità del linguaggio.

    Ciò che Magritte presentava allo spettatore era una contraddizione inconciliabile che rendeva il linguaggio disfunzionale.

    Sia Foucault che Magritte criticano il linguaggio e concordano con Ferdinand de Saussure nel ritenere che i segni siano arbitrari, circostanziali e convenzionali.

    In contrasto con il tentativo della pittura classica di identificare scene o immagini con modelli che le ispiravano, Magritte cercò di bandire la somiglianza impiegando immagini familiari la cui riconoscibilità sarebbe stata sovvertita.

    Ha esplorato l’elemento linguistico segreto della pittura: “Questa immagine dipinta è quella cosa”, impiegando immagini familiari la cui riconoscibilità è da sovvertire.

    Riprendendo il programma antilinguistico del Modernismo, secondo cui la pittura non è altro che se stessa, Magritte usò il letteralismo per indebolire se stesso.

    Ha giocato con la “somiglianza” come riferimento primario che prescrive e classifica:
    copie sulla base della relazione mimetica con se stessi e della “somiglianza” in cui c’è riferimento, l’ancora è scomparsa.

    Con la similitudine i rapporti sono laterali con relazione infinita e reversibile del “simile al simile” in una serie infinita di ripetizioni.

    I concetti di somiglianza e somiglianza sono familiari a chi ha letto L’ordine delle cose e appartengono all’antica episteme.

    Secondo Foucault, ciò che rende “strana” la figura di Magritte non è la contraddizione tra l’immagine (la pipa) e il testo (“Questa non è una pipa”) perché una contraddizione può esistere solo tra due enunciati.

    Ne La trahison des images c’è una sola affermazione e una semplice dimostrazione ma, attraverso le nostre abitudini di lettura, assumiamo un collegamento “naturale” tra testo e disegno.

    Foucault ha tentato di correggere questa lettura errata.
    Piuttosto che leggere il dipinto come un segno con la sua etichetta, Foucault affermò che il dipinto di Magritte era un calligramma, “costruito segretamente e accuratamente svelato”.

    Secondo Foucault il calligramma arricchisce l’alfabeto e si ripete senza l’aiuto della retorica, intrappolando le cose in una doppia cifra.

    Il calligramma avvicina il più possibile testo e forma:
    le linee delineano la forma di un oggetto e dispongono sequenze di lettere, alloggiando affermazioni nello spazio di una forma.

    Un calligramma fa dire al testo ciò che il disegno rappresenta e distribuisce la scrittura in uno spazio non neutro.

    L’ideogramma è costretto a disporsi secondo le leggi della forma simultanea.

    La trahison des images è quindi tautologica in opposizione alla retorica, che è allegorica, ricca e piena.

    Il calligramma utilizza le lettere per significare sia come elementi lineari disposti nello spazio, sia come segni in un’unica catena sonora.

    Il calligramma cancella l’opposizione del mostrare e del nominare e crea una trappola dalla doppia funzione: i segni invocano proprio ciò di cui parlano.

    Come spiega Foucault, la pittura di Magritte recupera le funzioni del calligramma per pervertirle.

    Ha rotto i tradizionali legami tra linguaggio e immagine e il testo ha ripreso il suo posto
    – sotto l’immagine, sostenendo il compito di “nominare” e diventare “la leggenda”.

    Intanto la forma si libera e risale, fluttuando di nuovo nel suo naturale silenzio. Magritte ritorna a una semplice corrispondenza dell’immagine con la leggenda o della parola con la cosa. Nomina ciò che non ha bisogno di essere nominato e nega che l’oggetto sia quello che è.

    Nel ridistribuire testo e immagine nello spazio, ciascuno mantiene il suo posto e il testo afferma la propria autonomia.

    “Questo” si riferisce al disegno o alla dichiarazione e il testo e l’immagine non hanno punti in comune.
    Da nessuna parte c’è una tubazione e le negazioni si moltiplicano.

    L’esteriorità degli elementi scritti e figurativi è simboleggiata dalla non relazione tra il dipinto e il titolo.

    Un abisso impedisce allo stesso tempo il lettore/spettatore, perché Magritte ha dato un nome al suo dipinto per attirare l’attenzione sull’atto stesso di nominare.

    Secondo Magritte

    Tra parole e oggetti si possono creare nuove relazioni e specificare caratteristiche del linguaggio e degli oggetti generalmente ignorati nella vita quotidiana…

    A volte il nome di un oggetto prende il posto di un’immagine.

    Una parola può prendere il posto di un oggetto nella realtà. Un’immagine può prendere il posto di una parola in una proposizione.

    Le parole non sono legate direttamente ad altri elementi pittorici e, come scrive Foucault, “Magritte lascia che sia il vecchio spazio della rappresentazione a governare, ma solo la superficie, niente più che una pietra levigata, portatrice di parole e forme: sotto, niente.

    È una lapide”. Alla fine degli anni Settanta, Foucault e Barthes avevano riunito una serie di idee prese in prestito dai loro precursori e ne avevano estratto frammenti per un esame più approfondito.

    Questo pluralismo nel pensiero filosofico fu esemplificato dalla critica di Magritte a Platone e la data della sua morte nel 1967 segnò l’inizio del postmodernismo.

    Le ultime opere di Magritte coincidono con l’interesse americano per le ultime opere di Ludwig Wittgenstein (1889-1951) come si vede nelle opere di Jasper Johns.

    In False Start (1963), Johns, indicò beffardamente diverse aree di colore nello “stile” dell’espressionismo astratto” e poi, utilizzando lo stile universale dell’etichetta stampata, procedette a (ri)denominare tutti i colori.

    La scritta “Rosso” era stampata in giallo sopra un’area di vernice blu.

    Il Nome e la Cosa erano scollegati, indicando l’interesse di Wittgenstein per l’indicazione, base della proposizione.

    La proposizione secondo cui “il rosso è rosso” viene minata disconnettendo il collegamento atteso tra l’oggetto e la sua etichetta.

    Il “punto” ultimo dell’esercizio è che la nostra “realtà” è linguistica e si basa sulla nostra ingenua convinzione che le nostre parole abbiano un significato intrinseco.

    Wittgenstein avvertiva che il significato non esiste in sé e per sé ma solo “nell’uso”,
    un punto che sia Magritte che Foucault sottolineavano in altre parole e in altri modi.

    • Ros scrive:

      non mi passa manco un linko😧

      erano solo 15; erano importanti a definire la concetta

      così però non si capisce gnente, gente!

      emmi’ però.

      Non è giusto!
      nonnònnò però, nun si fa accussì
      😭

      uno ci mette tanto amore …

      • Ros scrive:

        Perché non tutte le regole concepibili sono realizzate nelle lingue del mondo?

        In altre parole, come si spiega il mistero delle “lingue impossibili”?

        La sorprendente risposta a tale enigma lega i limiti di variazione tra le lingue alla struttura neurobiologica del cervello, obbligandoci a ripensare la natura stessa della mente e le modalità di apprendimento nell’uomo.

        Questo libro dà anche conto delle ultime sensazionali scoperte nel campo delle neuroscienze cognitive: ora si apre la strada per accedere ai contenuti linguistici direttamente dall’attività elettrica della corteccia cerebrale, senza aspettare che il suono venga articolato.

        “I confini di Babele. Il cervello e il mistero delle lingue impossibili”
        Andrea Moro. 2018 Il Mulino.

  10. Andrea Di Vita scrive:

    @ Martinez

    “noi siamo batteri, innumerevoli esseri viventi, che guardiamo il mondo attraverso una coscienza che non comprendiamo”

    In una sola frase il tuo conoscente L. ha riassunto due temi: la vita batterica e la coscienza ‘che non comprendiamo’.

    Nel bel romanzo “Il quinto giorno” di Schaetzing, notevole esempio di fantascienza Tedesca, si immagina che organismi semitrasparenti formati da sciami di batteri che si muovono in sintonia un po’ come gli stormi di uccelli e che vivono sostanzialmente immortali sul fondo del mare una generazione dopo l’altra di batteri reagiscano – coscientemente? omeostaticamente? – al cambiamento climatico antropogenico preparando la liberare il metano intrappolato nei clatrati sottomarini. Se ciò avvenisse l’effetto serra esploderebbe così in fretta da eliminare gli umani – ma non naturalmente i batteri.

    Quanto alla coscienza, rimando al link

    https://kelebeklerblog.com/2024/04/07/lo-sterminio-artificiale/#comment-873804

    su questo stesso blog. Se l’approccio ivi descritto fosse corretto – a tutt’oggi è l’unico a definire cosa sia ‘la coscienza’ in modo potenzialmente misurabile – consentirebbe anche a un mucchio di batteri di essere cosciente. Sostituendo alla parola ‘batteri’ la parola ‘circuiti’, è quello che è stato rimproverato ai sostenitori di tale approccio. I quali hanno risposto: ‘Perché no?’. Quando un credente disse del resto a Turing che un computer non potrà mai avere un’anima, quello rispose: ‘E perché porre limiti alla divina Onnipotenza?’.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

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