Le ferite degli uomini

Esco dal Conad.

Lungo la rampa di uscita, ci sono due uomini.

Uno mi si avvicina, e gli dico subito che non ho spicci, perché uso il bancomat.

Mi sembra superfluo precisare che ho anche un biglietto da cinquanta euro, ma dubito che lui abbia il resto.

“Questa è finalmente una risposta!”, mi fa lui. “Tu sei una persona cortese”.

Mi avvicino.

Va sui quaranta, cinquanta, portati apparentemente bene.

Si avvicina anche l’altro, è più giovane, chiaramente nordafricano, e porta la keffiya al collo.

“Io sono Francesco”.

“Io sono Simo”, aggiunge il nordafricano.

Francesco mi racconta, “ho lavorato sulle impalcature, in giro per tutta l’Europa. Anche nei temporali. Poi la vita…”

“E comincia anche a fare freddo…”

“No, il freddo non mi fa paura. Tu non puoi immaginare come sia lavorare sulle impalcature sotto il sole d’estate.”

Simo guarda Francesco, e indicando me, dice, “questo ha gli occhi sinceri…”

Gli parlo un attimo in arabo, e mi racconta che viene dal Marocco. “E’ un momento nella vita. Ma sto leggendo un libro bellissimo, che dice tante cose vere!”

E mi porge Vera Slepoj, Le ferite degli uomini.

“C’è quello della pizzeria vicino al Penny Market che ci lascia dormire nel cortiletto, teniamo tutto perfettamente pulito!”

“Vi passo a trovare!”

“shukran b’zeff!”

Che b’zeff è quella parola solo marocchina, che ha dato all’italiano, bizzeffe.

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25 risposte a Le ferite degli uomini

  1. Ros scrive:

    se mi aspetto qualcosa ancora da questa società; da questo mondo…
    è da gente come questa.
    Quanti ne ho incontrati nei miei viaggi, quanti ne ho frequentati.
    Con quanti di loro ho passato giorni in cui non avevo nulla da perdere,
    e avevo quindi tutto.

    …quante volte sono stato io uno di loro due😄

    lo sono, e lo sarò, magari, ancora😀

    lo siamo tutti, piccoli teneri e illusi borghesucci miei😙❤

    Grazie Miguel

  2. Andrea Di Vita scrive:

    @ Martinez

    A 22 anni io e mia madre provavamo il nostro tedesco scolastico a Vienna. Dopo esserci irrimediabilmente smarriti, ci si avvicina un ambulante palesemente levantino, e ci chiede gentilmente se ci siamo amo smarriti. Ci indica la strada e se ne va. Non l’ho dimenticato.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  3. Moi scrive:

    @ MIGUEL

    Era da un bel pezzo che non sentivo nominare la Prof. Vera Slepoj : una Pioniera Passiva 😀 della Cancel Culture !

    Già a Fine Novecento si attirò parecchia ostilità per l’ ardire di attaccare l’ Anime in assoluto più famoso, oggi un “Cult”, della signora Naoko Takeuchi : Sailor Moon.

    In particolare sul Gender, quando ancora NON era main stream : accusandolo di far diventare gay , o almeno di “confondere” , i bambini maschietti !

    ………………………………………………………………………………………

    https://www.donnapop.it/2020/01/17/sailor-moon/

    Sailor Moon fa diventare femminucce: l’articolo shock di Vera Slepoj

    LUCREZIA CARNEVALE

    17/01/2020

    Sailor Moon rende femminucce i bambini maschi: ecco lo sconvolgente articolo della psicologa Vera Slepoj pubblicato su Oggi.

    L’articolo è del 1996, ma torna in auge proprio ora, in un periodo storico delicato, in cui ogni parola può essere potenzialmente violenta o fraintendibile. Ventiquattro anni fa, la psicologa Vera Selpoj ha dichiarato che l’iconico cartone Sailor Moon, se visto da bambini maschi, può indurli a diventare “femminucce” e ad avere bisogno di uno psicoterapeuta.

  4. Moi scrive:

    “shukran b’zeff!”

    ————–

    ” Shukran ” è “grazie”… no ?

  5. Francesco scrive:

    Moi,

    tu che ci informi dei dettagli delle cose più irrilevanti per spaventarci, quando ci spieghi Crèpol? dovrebbe essere pane per i tuoi denti.

    Di per me, mi impressiona come il morto lo trovo nei sottotitoli, come se contasse meno del resto. Non lo avessi visto, non ci crederei neppure a una cosa del genere.

  6. tomar scrive:

    Francesco a Moi: quando ci spieghi Crèpol?
    Te lo spiego io: gli assalitori di Crèpol sono, si parva licet, l’Hamas de noantri, stufi di restare esclusi dalla festa degli altri.

    • Francesco scrive:

      Cazzo vogliono, hanno diritto a farsi la loro festa ma non certo di venire a quella di altri. Con le lame invece dei soldi.

      Hamas con le feste cosa c’entra, esattamente?

      • PinoMamet scrive:

        A me sta già antipatico l’Hamas di loro-altri, figuriamoci quello di noialtri!

        Non vorrei pensare male, ma magari se si presentavano alla festa senza coltelli e accette nessuno li escludeva.

        Che poi è la festa paesana di un paesino, mica il ricevimento di ‘sto cazzo.

        Per cui, OMDAFfone

        • Francesco scrive:

          Ma anche li avessero esclusi perchè diversi da loro, è roba da andare a prendere i coltelli?

          Mi sembrano gli omosessuali che vogliono sposarsi in chiesa – o un appassionato di cotolette di maiale che vuole diventare ebreo senza cambiare gusti.

          Io mica pretendo di partecipare al carnevale cinese di via Sarpi, tanto meno di capirci qualcosa.

          Che pezzo mi manca?

      • tomar scrive:

        Francesco: “Hamas con le feste cosa c’entra esattamente”

        A parte che Hamas con le feste un po’ c’entra, visto la rabbia con cui si sono comportati a una festa che si svolgeva a 5 km dalla loro gabbia, il mio voleva essere solo un banale rilievo antropologico, riguardo alla rabbia e alla ribellione naturalmente provata da ogni essere umano nel sentirsi escluso: l’esempio parallelo poteva anche essere quello di un bambino di 5-6 anni che chiuso nella sua stanza per una punizione ingiusta (o, non cambia, che lui sente come tale) che lo esclude da una festa di famiglia, si mette a spaccare tutto quel che gli riesce di spaccare.

        • Francesco scrive:

          Ma un bambino non si sente escluso dalla festa che fanno i vicini, a meno di essere patologicamente narcisista e molto piccolo.

          Ha imparato il noi e loro. E’ una delle primissime cose che si imparano.

    • Miguel Martinez scrive:

      Per Francesco

      “Te lo spiego io: gli assalitori di Crèpol sono, si parva licet, l’Hamas de noantri, stufi di restare esclusi dalla festa degli altri.”

      Mi ricordo da ragazzo scene analoghe – senza spargimento di sangue – in una casa borghese dove mi avevano invitato per la festa, e fuori una cinquantina di soggetti da borgata pronti a fare la festa a noi.

      Poi in fondo si era italiani, e io sono ancora qui a raccontarvelo…

      • Francesco scrive:

        Bella gente, sono felice di non aver mai avuto esperienze del genere.

        E la razza non mi interessa minimamente: l’uso della MG42 è lecito a prescindere, in questi casi.

        • Miguel Martinez scrive:

          Per Francesco

          “Bella gente, sono felice di non aver mai avuto esperienze del genere.”

          Hai mai visto Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola?

          Descrive perfettamente un mondo che ho visto da vicino nella mia adolescenza romana.

          E’ il punto zero dell’urbanistica contemporanea.

          In Brutti, sporchi e cattivi, c’è il sostrato: quello che succede quando non c’è né la Legge Zingara, né il prete, né la Shariah, né il predicatore pentecostale, né il Partito Comunista.

          Lo zero assoluto delle periferie.

          E’ un capolavoro di antropologia.

          • Francesco scrive:

            Quello con Manfredi che mena alla moglie e le dice che deve puzzare solo di lui?

            Insopportabile. Però lo ho trovato, quel che ne ho visto, molto lezioso.

            • PinoMamet scrive:

              Beh, direi che fa parte di un collaudatissimo filone artistico che parte da Lazarillo de Tormes in letteratura e dal Pitocchetto in pittura…

              la poverografia, la pornografia del povero, appunto, brutto sporco e cattivo.

              Mai stato il mio genere, ma non direi che si tratti di una novità dovuta alla globalizzazione, al capitalismo o che so io…

    • Io mi limito a notare come l’esecutivo in carica nello stato che occupa la penisola italiana (sì, quello dove fanno fare il primo ministro a una madre non sposata recentemente retrocessa a mammina sola, con tanti saluti ai valori cattolici e particolare riguardo al VI comandamento) abbia letteralmente esordito varando una norma contro chi organizza un rave party.
      Hamas invece il 7 ottobre ha letteralmente impartito una lezione su come si sbaracca un rave, senza nemmeno disturbare i giudici.
      A Roma devono essere schiattati di invidiosa rabbia.

      Più seriamente, lo stato sionista ha da decenni il “colpire per primi” come componente essenziale della propria dottrina di “difesa” ed è comprensibile che non ami farsi anticipare. Se poi -come scrive Crooke citando fonti sioniste- è vero che il suo attuale ministro delle finanze Bezazel Smotrich aveva già sei anni or sono la chiara e pianificata intenzione di imporre ai palestinesi lo aut aut del “rinunciare alle loro aspirazioni nazionali e continuare a vivere sulla loro terra in condizioni di inferiorità, oppure emigrare all’estero”, è comprensibile che Hamas abbia avuto un motivo in più per anticipare i vari Ari, Bibi, Eli, Gad e via dicendo.

  7. Miguel Martinez scrive:

    per Francesco

    “Cazzo vogliono, hanno diritto a farsi la loro festa ma non certo di venire a quella di altri. Con le lame invece dei soldi.”

    Premesso che se io fossi il giudice che dovessi giudicare gli assalitori, la vedrei come te.

    Il guaio è che come al solito il nostro giudizio morale non serve a molto, di fronte a meccanismi antropologici potentissimi, che operano su giovani in situazioni di sbando sociale che vivono in ghetti paranoici.

  8. Miguel Martinez scrive:

    “Il guaio è che come al solito il nostro giudizio morale non serve a molto”

    Semplificando: accoltellare la gente è una brutta cosa, che possiamo “condannare” pensando all’individuo.

    Ma se nel Comune “A” di mille abitanti, nessuno viene mai accoltellato, mentre nel Comune “B” sempre di mille abitanti, ci sono dieci accoltellamenti al giorno, non serve molto la “condanna” del singolo accoltellatore.

    Perché evidentemente ci devono essere circostanze diverse.

    E forse il Comune “A” dove sembrano tutti tanto buoni, è un covo di potenziali accoltellatori che non trovano le circostanze per rivelare la loro vera natura.

    • PinoMamet scrive:

      Forse nel Comune “A” quando hanno voglia di accoltellare qualcuno si trattengono e lo mandano a quel paese, dove è già andata tanta gente e nessuno ci è morto, per esserci stato mandato…

      • Miguel Martinez scrive:

        per PinoMamet

        “Forse nel Comune “A” quando hanno voglia di accoltellare qualcuno si trattengono e lo mandano a quel paese”

        Sicuramente, ma perché avviene? Cosa crea la differenza?

        Qualsiasi ipotesi è per me legittima.

      • PinoMamet scrive:

        Provo a rispondere.

        Perché si preferisca al “vaffa” al coltello, prima di tutto ci deve essere una cultura dell’oralità.
        Non solo, ma una cultura nella quale la “vera” vittoria è quella che si consegue con la lingua, mentre le mani o le armi sono una cosa da buzzurri.

        In Europa questa cultura si è sviluppata piano piano e per gradi: e ancora nel 1926 Ungaretti (al quale l’esperienza della trincea avrebbe dovuto dare miglior consiglio) e Bontempelli si sfidavano a duello a casa di Pirandello, in realtà senza troppa convinzione.

        Ma un po’ alla volta si è pur sviluppata, in Italia andando di pari passo con lo svilimento post-sessantottino di tutto quello che puzzava di viriloide e di militare.

        Poi appunto ci sono zone dove è più o meno diffusa la cultura dell’offesa, dell’insulto: ho assistito a bellissime gare di insulti in un bel paesino toscano nel quale accompagnavo mio fratello per una scuola estiva di musica;

        e trasferitomi a Roma, ho notato subito come il minimo intoppo stradale veniva commentato da urla e insulti che, fossero successi dalle mie parti, avrebbero portato immediatamente alla rissa;
        e infatti succedono di rado; mentre a Roma erano molto più frequenti, proprio perché, imparai, il loro scopo era solo quello: insultare, dire una bella battuta colorita, e basta.
        L’insulto non era il mezzo per venire alla mani: era il mezzo e lo scopo insieme, i romani insultavano per il gusto di insultare.

        E qui credo che ci sia la chiave vera di tutto:

        due gemelli algerini, ai quali facevo “italiano seconda lingua per stranieri”, mi dicevano che secondo loro gli italiani guidavano male.
        Male?? Io sto in Emilia Romagna, figurarsi: qua i motori sono una religione.
        Tutti in famiglia si vantavano di guidare bene, e anche io modestamente non sono male, ma…
        gli chiedo “perché male?”
        “perché non sorpassate mai”

        E in effetti, ci penso, e quand’è l’ultima volta che ho visto un sorpasso imprudente, di quelli che una si chiamavano “sportivi”?
        Molto tempo fa, e se l’ho visto ho immediatamente pensato “ecco il marocchino… che non sa guidare!”

        Perché? Perché ci sono stati troppi incidenti, certo. Ma soprattutto perchè si sono troppi autovelox , troppi vigili, troppa Stradale e carabinieri.
        Per cui, chi vuol fare Nuvolari o Valentino Rossi va a farlo in circuito a Varano.

        Stessa cosa per coltelli e fucili.
        Ai tempi di mio trisnonno, poteva gridare ai carabinieri (prima, probabilmente, alla gendarmeria ducale e ai Dragoni di Piacenza): “se volete il fucile, venitelo a prendere!”
        come in effetti faceva;
        e farla franca.

        Adesso no. Non potrebbe, mi sa. E quindi, prima di tirare fuori il coltello- anzi, prima di portarsi in tasca un coltello; un italiano un minimo avvertito ci pensa dieci volte; e poi non lo fa.

        Invece un bel “vaffa”, non costa niente, e passa la paura.
        Sì, si può rimediare una denuncia anche per un vaffanculo e un figlio di puttana;
        ma è un caso su un milione, più la spesa che l’impresa, e poi cosa rischi? di pagare un’ammenda monetaria?

        Invece se cacci il coltello sono guai grossi.
        Per cui…

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