Come il capitalismo uccise il West

Posso presentarvi la recensione di un libro che non ho ancora letto, di un autore, Bernard DeVoto, che non conoscevo? Un autore, scopro, di padre cattolico italiano, madre mormona dello Utah, esule ovunque.

Mi ha colpito la sensibilità del recensore, James Pogue, che da anche-americano sento molto vicina.

James Pogue è anche autore di Chosen Country: A Rebellion in the West, un libro dedicato a una di quelle bizzarre milizie americane che credono sul serio alla libertà.

Preso da Unherd.com, un sito sempre ricco di spunti a volte condivisibili, a volte no, ma mai noiosi.

Traduzione con DeepL, con relativi pregi e difetti.


Il capitalismo ha ucciso il West americano

di James Pogue

Ho passato molto tempo a sentirmi dire di leggere Bernard DeVoto prima di riuscire a farlo. Le persone che lo amavano spesso sembravano sorprese che non avessi già letto le sue storie. C’è un tipo di persona molto specifico che tende a leggere questi libri, e in generale si può dire che io sia uno di loro.

Le etichette improvvisate che queste persone si danno hanno spesso una nota implicita di autocompiacimento: “4Runner Environmentalists”, “Green-necks” o “literary Westerners”. I termini denotano un mix di tendenze culturali e politiche che attraversano alcune delle grandi divisioni dell’America. Tendono a essere favorevoli alle armi ma anche alle normative ambientali, ad avere una profonda fede nell’esperimento americano ma anche una profonda consapevolezza dei suoi difetti, a diffidare sia del grande governo sia delle grandi aziende e, soprattutto, a odiare il potere gemello del governo e delle imprese, che è la forza che più di tutte plasma l’Occidente come lo conosciamo.

DeVoto è il sommo sacerdote di questa setta. Nato nel 1897 a Ogden, nello Utah, ha trascorso la maggior parte della sua età adulta sulla costa orientale, scrivendo per Harper’s, insegnando a Harvard e occupando una tenue terra di mezzo nelle guerre politiche del suo tempo: è stato definito fascista sulle pagine di The Nation e del Daily Worker, e comunista dall’Associazione degli allevatori del Wyoming.

Era un cacciatore e un amante della vita all’aria aperta, ma anche un uomo urbano e smaccatamente sofisticato. Il suo monumentale saggio su Harper’s del 1947, “The West Against Itself”, è forse il pezzo più significativo della storia del movimento ambientalista americano. Ha smascherato e bloccato quasi da solo un vasto piano di svendita di centinaia di milioni di acri di terra pubblica. Inoltre, elaborò la tesi di DeVoto che vedeva l’Ovest come una “provincia saccheggiata”, una storia raccontata nel recente This America of Ours di Nate Schweber, una prima biografia di DeVoto attesa da tempo.

“Egli descrisse come la ricchezza delle risorse naturali dell’Ovest fosse stata sistematicamente dirottata verso l’Est”, scrive Schweber, a proposito del primo uso di questo termine da parte di DeVoto. “E come, contrariamente al mito popolare, furono i coloni del West che impararono a lavorare insieme a fermare la liquidazione”.

Questo è l’aspetto difficile e illuminante della lettura di DeVoto oggi, perché in tutti i suoi scritti egli si oppone all’idea che i coloni e i piccoli lavoratori del West siano stati i motori del genocidio e della spoliazione che si sono abbattuti sulla regione al loro seguito. Secondo DeVoto, queste persone erano agenti morali complicati e spesso vittime esse stesse, invischiate in una macchina di capitale e governo che, nel XX secolo, aveva creato un sistema occidentale definito da “capitalismo laissez-faire con socialismo, diritti di proprietà senza responsabilità, investimenti ma non regolamentazione”. Si trattava di un’immagine del corporativismo che oggi colora ogni singola parte della vita americana e che DeVoto vedeva emergere nella sua prima chiara forma nella protezione governativa delle potenti industrie estrattive del Mountain West.

Il resoconto più inquietante, toccante e ricco di DeVoto su come siamo arrivati a questo punto si trova in Across the Wide Missouri, la sua storia del commercio di pellicce sulle Montagne Rocciose, premiata con il Pulitzer nel 1947. Mi ci sono voluti diversi tentativi per riuscire a finire il libro. È lungo, frustrante e a volte confuso, difficile da seguire e da mettere giù una volta che si è entrati nel suo flusso.

È facile capire perché il libro sia oggi in gran parte dimenticato. Si legge come una storia nella vecchia tradizione americana di Francis Parkman o di William H. Prescott, con una prosa densa e di alta dizione, e con l’implicita aspettativa che il lettore conosca una serie di personaggi – John Jacob Astor, Jim Bridger – che potevano essere familiari agli americani nel 1947, ma che oggi lo sono molto meno.

Si snoda inoltre in un insieme confuso di narrazioni personali intrecciate, raccontando la storia di tutti, da un nobile scozzese ribelle che trovò la sua vocazione nel West alla leggendaria e bellissima missionaria Narcissa Whitman, una delle prime due donne bianche di cui si ha notizia ad aver attraversato le Montagne Rocciose, e che finì per vivere una vita così brutale e tragica che è sconvolgente che nessuno ne abbia ancora fatto un film.

Across the Wide Missouri è così complesso e iterativo che tentare di descriverne la “trama” è un’impresa da pazzi. Ma il libro prende forma attorno al conflitto tra l’American Fur Company di Astor e la Rocky Mountain Fur Company di Bridger, per la ricchezza di pellicce che cominciava ad affluire dai torrenti e dalle valli dell’interno West. Questo commercio fu la prima grande industria estrattiva dell’Ovest americano e fu il motore dell’esplorazione della regione. E in questa storia si può vedere l’intero futuro funesto della regione e, in qualche misura, dell’America.

I cacciatori di pellicce, sulla cui manodopera si basava l’industria, vivevano una delle vite più difficili che si siano mai viste, e quasi nessuno di loro guadagnava molto. Erano sempre uomini duri, spesso crudeli. Ma erano anche gioiosi, e le parti migliori del libro sono costituite da una serie di racconti dei rendez-vous annuali estivi, quando i trapper e le tribù native si riunivano in un’atmosfera di ubriachezza per commerciare, fare festa, fare sesso e sposarsi (il matrimonio tra bianchi e nativi era la struttura sociale che definiva il commercio di montagna), e caricare le provviste per l’inverno.

L’immagine che ne deriva è molto diversa da quella che si ha oggi della storia occidentale, che si concentra sui bianchi come agenti del genocidio e del “colonialismo”. DeVoto è invece interessato al breve periodo in cui i bianchi che giunsero nel West lo fecero senza un obiettivo di conquista o addirittura di insediamento. “Possiamo ritenere che sia stato detto abbastanza sulla liberazione e la dissolutezza del rendez-vous estivo?”, scrive a proposito di uno degli ultimi raduni di questo tipo.

“I trapper hanno bevuto tante pinte di alcol come mai a cinque dollari la pinta, hanno cantato tante canzoni, hanno fatto tante corse di cavalli, hanno comprato tante squaw…. Il Rendezvous era il Natale dei montanari, la fiera della contea, la festa del raccolto e il carnevale degli schiavi incoronati di Saturno, quest’anno come sempre”.

Ma non era destinato a durare. La rabbiosa concorrenza tra le compagnie di pellicce fece sì che i trapper si indebitassero e che le scorte di pellicce di castoro si esaurissero. E portò le tribù tra cui vivevano e commerciavano a un sistema di dipendenza dai manufatti e dall’alcol che le compagnie offrivano in cambio delle pellicce. L’epidemia di vaiolo del 1837 fu trasportata lungo il fiume Missouri su una nave di rifornimento dell’American Fur Company, e l’epidemia che ne seguì uccise il 90% di alcune delle tribù con cui i trapper erano più intimi e amichevoli, come i Mandan, e quasi altrettante tra le tribù che temevano e combattevano, come i Piedi Neri. Distruggendo la struttura di mercato da cui dipendeva la libera cultura dei trapper, e distruggendo le popolazioni native, pose le basi per la conquista e il saccheggio estrattivo del West da parte dei coloni che sarebbe avvenuto in seguito.

La forza duratura di DeVoto, che lo rende oggi vitale e non poco sovversivo, sta nella sua capacità di raccontare la storia della nascita della macchina estrattiva occidentale senza ammettere facili colpevoli:

“Questa narrazione non sarà sospettata di ammirare l’etica commerciale della Compagnia”, scrive, “ma deve protestare contro la tendenza degli storici del XX secolo a giudicare gli anni Trenta dell’Ottocento nella storia americana, con idee di cui gli anni Trenta dell’Ottocento non avevano mai sentito parlare, che non avrebbero capito, e che producono confusione o assurdità quando vengono loro imposte oggi”.

Per chiunque abbia la tenacia e il tempo di finirlo, Across the Wide Missouri finisce per essere quasi inesorabilmente gratificante e inesorabilmente oscuro: un ritratto di un momento in una parte dell’America che solo poche centinaia di americani hanno vissuto e di cui pochissimi americani oggi sanno molto, ma che più di ogni altro ha plasmato la nostra idea di una frontiera occidentale libera. Il libro comprende sia i trapper che i nativi che parteciparono al commercio di pellicce dell’Ovest nel contesto di un sistema che

“convertì la proprietà, manipolò il credito e spogliò la provincia saccheggiata al solo scopo di incanalare verso est qualsiasi ricchezza l’Ovest potesse produrre”.

Lo scopo di DeVoto non era quello di assolvere i trapper dalla loro complicità in un sistema che finì per distruggere il libero West che essi abitavano e amavano, ma di mostrare come i motori del capitale e del commercio li cooptarono in quella distruzione, contro i loro stessi desideri e interessi. DeVoto riconosceva e addirittura enfatizzava la violenza tra i trapper e le tribù native durante l’epoca del commercio delle pellicce. Ma egli intendeva questa violenza, che causò molte faide personali e sanguinose ma poche carneficine all’ingrosso, come qualcosa di diverso da ciò che sarebbe accaduto in seguito: “la violenza meno assassina [e più diretta dallo Stato] che era una condizione della società bianca nel West”.

Questo era il regime estrattivo creato dallo Stato contro il quale DeVoto ha passato la sua carriera a inveire, ed è la forza che ha portato tanti americani negli ultimi anni a concludere che la colonizzazione del West è un’unica storia di atti malvagi commessi da uomini malvagi. Ma c’è un’altra storia, quella della strana realtà intermedia rappresentata dall’epoca del commercio delle pellicce, che non è stata quasi più raccontata dopo la difficile, fastidiosa e brillante opera magna di DeVoto.

“Questa narrazione richiama l’attenzione sul fatto che i giudizi storici devono essere periferici o inani”, scriveva DeVoto, anticipando in modo inaspettato i dibattiti storico-politici del nostro tempo, “finché non sono stati fatti i preliminari della dichiarazione storica”. E ora si sente libero di tornare al suo lavoro”. Possiamo solo sperare che oggi emergano altri storici di questo tipo.

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15 risposte a Come il capitalismo uccise il West

  1. Andrea Di Vita scrive:

    @ Martinez

    Ma è l’equivalente USA del siberiano Dersu Uzala.

    La Siberia fu colonizzata solo da cacciatori di pellicce, che coi pochi indigeni andavano d’accordissimo. I cacciatori di pellicce arrivarono fino in Alaska, per l’enorme richiesta a occidente. Solo dopo arrivarono i mercanti di legname prima e gli ingegneri minerari poi, la ferrovia e l’etnocidio di gran parte delle popolazioni indigene. La storia di Dersu Uzala, i.mortalata dal bel film di Kurosawa, riasdu.e tutto.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  2. roberto scrive:

    Interessante!

    Hai mai letto qualcosa sulla storia delle sequoie giganti?

    In due parole, il primo europeo a documentare l’esistenza di una sequoia risale al 1850 (ci sono tracce di contatti anteriori, tra i quali un tizio che una ventina di anni prima vede una sequoia ed incide il suo nome sulla corteccia), in quello che poi diventerà il calaveras state park (California). L’albero viene battezzato “discovery tree”.
    Dopo la “scoperta” della sequoia che si fa? Una bella spedizione per tagliarla e così una cosa che aveva vissuto 1500 anni, grazie a due settimane di sforzo di 5 persone viene abbattuto.
    Il moncherino rimasto al suolo verrà usato come dance floor….

    Inizia l’epoca del taglio sistematico delle sequoie che, lo dico per chi non lo sapesse, commercialmente hanno un valore scarsissimo. Il legno non lo puoi usare per costruire perché si sbriciola e venivano quindi usate per fare paletti, o recinzioni (effimere visto appunto la qualità del legno)

    L’epoca della distruzione delle sequoie finisce con la creazione (grazie allo scozzese John muir) dei primi parchi nazionali (1890 viene istituito Yosemite) e poi definitivamente negli anni 20

    Ci saranno voluti una cinquantina d’anni mal contati per ridurre drasticamente le sequoie tant’è che adesso sono una specie in pericolo…ed il tutto per…costruire recinti!

    • Andrea Di Vita scrive:

      @ roberto

      “paletti”

      Un po’ come col marmo bianco di Carrara, che oggi al 90% finisce come polvere sbiancante nei dentifrici.

      https://www.linkiesta.it/blog/2012/06/il-marmo-della-pieta-di-michelangelo-finisce-nel-dentifricio/

      (anche se, per onestà intellettuale, va detto che la veridicità della notizia è contestata:

      https://www.abc-cosmetici.it/sotto-i-riflettori/i-dentifrici-e-le-cave-di-marmo-pregiato-di-carrara/ )

      Ciao!

      Andrea Di Vita

    • Miguel Martinez scrive:

      Per roberto

      “Ci saranno voluti una cinquantina d’anni mal contati per ridurre drasticamente le sequoie tant’è che adesso sono una specie in pericolo…ed il tutto per…costruire recinti!”

      🙁

      • Francesco scrive:

        strano però … tutta quella fatica solo per dimostrare di poterlo fare e non per soldi veri?

        fortuna che ci sono anche gli yankees fondatori di parchi

        • roberto scrive:

          francesco

          “strano però … ”

          si è la ragione per la quale quella storia mi ha compito molto. pensavo che con le forste di sequoia ci avessero costruito le prime città californiane ed invece….ma credo anche che le sequoie che si sono salvate si sono salvate fondamentalmente perché costa troppo tagliarle rispetto a quanto se ne ricava…altimenti il buon john muir i suoi parchi nazionali non li avrebbe mai visti

          comunque la storia della colonizzazione del nord america è veramente una storia di cavallette che arrivano distruggono e se ne vanno 🙁

        • PinoMamet scrive:

          Una sequoia, o un paio, sono anche nel parco botanico cittadino.
          Una volta nella cittadina dove risiedo c’era infatti l’orgoglio di essere bravi botanici, coltivatori e fioristi.

          Oggi, appena una pianta è malata o presunta tale (anche un comunissimo pioppo o pino) la tagliano e si giustificano biecamente dicendo “non era adatta al clima, verrà sostituita con un’altra…”

          Campa cavallo. Intanto nei giardini privati decine di palme e centinaia di abeti prosperano… Quelli sarebbero adatti al clima??

          (Va detto che il nostro sindaco è un coglione)

          • roberto scrive:

            ce ne hanno regalata una per il nostro matrimonio, è in un bosco nei pirenei….un bell’alberone che farà almeno una decina di metri

            • Andrea Di Vita scrive:

              @ roberto

              “bosco”

              Bellissimo!!

              La andate mai a trovare?

              Ne avessi una io ci metterei una webcam alimentata a celle solari solamente per non perdermi lo spettacolo.

              Non scherzo. La cosa di cui vado più orgoglioso di quando ero boy scout (la mia buona azione preferita) fu lo scavare (qualche metro di) un sentiero tagliafuoco per proteggere un bosco.

              Invidiaaaa…!!

              Ciao!

              Andrea Di Vita

            • roberto scrive:

              Andrea

              “La andate mai a trovare?”

              si certo, ci andiamo ogni anno !
              è a 2-3 km dalla casa pirenaica di mia moglie ed è la nostra passeggiata per sgranchirsi le gambe (tra l’altro ci riposano le ceneri di mia suocera)

  3. Moi scrive:

    Anche il Bisonte Americano, spesso taxonomicamente definito erroneamente “Buffalo” nonché noto come “Tatanka” ai tempi dei Film Western … ha subito un drastico “overkill” da parte del Kapitali$mo BianKo.

  4. Miguel Martinez scrive:

    Per tutti quelli che per la posta usano gmail.com (anch’io ne ho uno, sto cercando di liberarmene passando sempre più a questo o altri) o adoperano Google Cloud e affini.

    Ogni cosa che passa per le loro mani, la controllano. Ovviamente la giustificazione a breve termine è sempre la salute, la lotta alla pedofilia, ecc. ecc.

    Traduco con DeepL…

    https://www.theguardian.com/technology/2022/aug/22/google-csam-account-blocked

    Google rifiuta di ripristinare l’account di un uomo che ha scattato immagini mediche dell’inguine del figlio

    Secondo gli esperti, il caso evidenzia i noti pericoli del rilevamento automatico di immagini di abusi sessuali su minori
    google logo on phoneLe aziende tecnologiche come Google hanno accesso a un’enorme quantità di dati, ma non hanno un contesto per farlo, afferma un tecnologo dell’ACLU. Fotografia: Avishek Das/SOPA Images/Rex/Shutterstock
    mar 23 ago 2022 00.32 BST

    Google ha rifiutato di ripristinare l’account di un uomo dopo aver erroneamente segnalato le immagini mediche scattate all’inguine di suo figlio come materiale di abuso sessuale su minori (CSAM), come ha riportato per primo il New York Times. Secondo gli esperti, si tratta di un’inevitabile insidia nel tentativo di applicare una soluzione tecnologica a un problema sociale.

    Gli esperti hanno da tempo messo in guardia sui limiti dei sistemi automatici di rilevamento delle immagini di abusi sessuali su minori, in particolare quando le aziende si trovano ad affrontare pressioni normative e pubbliche per contribuire ad affrontare l’esistenza di materiale di abusi sessuali.

    “Queste aziende hanno accesso a una quantità tremendamente invasiva di dati sulla vita delle persone. E tuttavia non hanno il contesto di ciò che è la vita delle persone”, ha dichiarato Daniel Kahn Gillmor, tecnologo senior dell’ACLU. “Ci sono tutti i tipi di cose in cui il solo fatto della tua vita non è leggibile per questi giganti dell’informazione”. Ha aggiunto che l’uso di questi sistemi da parte di aziende tecnologiche che “agiscono come proxy” per le forze dell’ordine mette le persone a rischio di essere “travolte” dal “potere dello Stato”.

    L’uomo, identificato solo come Mark dal New York Times, ha scattato delle foto dell’inguine del figlio per inviarle a un medico dopo essersi accorto che era infiammato. Il medico ha usato l’immagine per diagnosticare il figlio di Mark e prescrivere antibiotici. Quando le foto sono state caricate automaticamente sul cloud, il sistema di Google le ha identificate come CSAM. Due giorni dopo, gli account Gmail e altri account Google di Mark, compreso Google Fi, che fornisce il servizio telefonico, sono stati disattivati per “contenuti dannosi” che costituivano “una grave violazione delle politiche aziendali e potevano essere illegali”, come riporta il Times, citando un messaggio sul suo telefono. In seguito ha scoperto che Google aveva segnalato un altro video che aveva sul telefono e che il dipartimento di polizia di San Francisco aveva aperto un’indagine su di lui.

    Mark è stato scagionato da qualsiasi illecito penale, ma Google ha dichiarato che manterrà la sua decisione.

    “Seguiamo la legge degli Stati Uniti nel definire ciò che costituisce CSAM e utilizziamo una combinazione di tecnologia di corrispondenza hash e intelligenza artificiale per identificarlo e rimuoverlo dalle nostre piattaforme”, ha dichiarato Christa Muldoon, portavoce di Google.

    Muldoon ha aggiunto che il personale di Google che esamina il CSAM è stato addestrato da esperti medici per cercare eruzioni cutanee o altri problemi. Tuttavia, non sono esperti di medicina e non sono stati consultati esperti di medicina quando hanno esaminato ogni caso, ha detto.
    Una donna è seduta con lo smartphone in mano. Su un tavolino basso di fronte a lei c’è un piccolo cesto di prodotti per l’igiene femminile.

    Secondo Gillmor, questo è solo uno dei modi in cui questi sistemi possono causare danni. Per ovviare, ad esempio, alle limitazioni che gli algoritmi potrebbero avere nel distinguere tra immagini dannose di abusi sessuali e immagini mediche, le aziende spesso coinvolgono un umano. Ma questi esseri umani sono di per sé limitati nelle loro competenze, e per ottenere il contesto adeguato per ogni caso è necessario un ulteriore accesso ai dati degli utenti. Gillmor ha affermato che si tratta di un processo molto più invasivo che potrebbe essere ancora un metodo inefficace per individuare le CSAM.

    “Questi sistemi possono causare problemi reali alle persone”, ha detto. “E non si tratta solo del fatto che non credo che questi sistemi possano individuare tutti i casi di abuso su minori, ma anche che hanno conseguenze davvero terribili in termini di falsi positivi per le persone. La vita delle persone può essere davvero sconvolta dal macchinario e dagli esseri umani che ne fanno parte, che prendono semplicemente una decisione sbagliata perché non hanno alcun motivo per cercare di risolverla”.

    Gillmor sostiene che la tecnologia non è la soluzione a questo problema. Anzi, potrebbe introdurre molti nuovi problemi, tra cui la creazione di un robusto sistema di sorveglianza che potrebbe danneggiare in modo sproporzionato chi è ai margini.

    “C’è il sogno di una sorta di tecno-soluzionismo, [in cui la gente dice]: ‘Oh, beh, sai, c’è un’applicazione per trovare un pranzo a buon mercato, perché non ci può essere un’applicazione per trovare una soluzione a un problema sociale spinoso, come l’abuso sessuale sui minori? “Beh, sai, potrebbero non essere risolvibili con lo stesso tipo di tecnologia o di competenze”.

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