La Perdonanza dell’Aquila: come si inventa una tradizione

Leggo che la Festa della Perdonanza dell’Aquila ha avuto il riconoscimento di “Patrimonio d’Italia per la tradizione”:

“L’Italia ha un patrimonio unico e straordinario. E’ il Paese della tradizione, della cultura, dell’arte e dello stile. E’ la terra che incanta per la bellezza dei luoghi. E’ la nostra Magica Italia. Per questo il Ministro del Turismo ha voluto creare un nuovo marchio per includere e premiare tutte le eccellenze dell’Italia. “Patrimonio d’Italia” è il nuovo prestigioso brand, istituito per celebrare la parte migliore del Paese, premiarla e sostenerla nell’azione di promozione.

Il Ministro Brambilla per l’anno 2011 ha voluto premiare la Perdonanza Celestiniana come Patrimonio d’Italia per la Tradizione”.

Lo so, vi state godendo il Brand di Magica Italia. Al massimo, state pensando alla fantastica politica del paranormale dell’ex-Miss Romagna fissata con ciò che lei chiama “esoterismo, Vudù, Candomblé, Macumba”, Michela Vittoria Brambilla, di cui vi abbiamo dato un assaggio su questo blog.

Io invece mi piego in due dalla risate per un altro motivo.

Perché io c’ero quando fu inventata questa tradizione. E so anche chi l’ha inventata e perché.

Certo, la Festa della Perdonanza esisteva nel Medioevo, ma come dice anche Wikipedia:

“Con il passare dei secoli l’evento piombò tuttavia nel disinteresse generale tanto che nella seconda metà del XX secolo la cerimonia detta della Perdonanza, termine moderno derivante da un medievalismo di Gabriele d’Annunzio, era oramai limitata alla funzione religiosa e a poco altro.”

Insomma, la Perdonanza era morta. Proprio come i Celti, i Templari e tutti gli altri rispettabilissimi cadaveri che di tanto in tanto vediamo reinventare. E persino il suo nome non risaliva oltre D’Annunzio, se abbiamo capito bene il brano citato sopra.

All’inizio degli anni Ottanta, un notissimo politico democristiano dell’Aquila fece amicizia con alcuni dirigenti locali dell’organizzazione di cui anch’io facevo parte, che si chiamava Nuova Acropoli.

Nuova Acropoli era nata in Argentina, scissione della Società Teosofica, un movimento fondato a New York da un’aristocratica russa che, colpita dalla sua esperienza tra i buddhisti calmucchi, aveva un po’ esagerato raccontando anche di viaggi in Tibet, e si era trasferita infine in India. La globalizzazione non l’hanno inventata mica oggi.

Nuova Acropoli fu portata a Roma (dove vissero per un certo periodo ospiti di un campo Rom) da due argentini di origine italo-spagnola che erano vissuti a lungo in Perù.

La coppia (che un mio amico mi spacciò, ma non era colpa loro, per “gli ultimi discendenti degli Inca”), aveva quasi subito trovato alcuni entusiasti seguaci anche all’Aquila. In particolare, tre ragazze molto dinamiche, intelligenti e belle che erano uscite da poco  dal Liceo Classico.

Un gruppo di estremisti di destra della cittadina, vicini al disciolto movimento Terza Posizione, incendiò la loro prima sede, accusando gli acropolitani di essere massoni e, appunto, teosofi.

Le giovani acropolitane dell’Aquila, legate ad alcune famiglie piuttosto note della città, lavorarono con enorme impegno, mettendo in piedi una filiale quasi più importante della sede centrale a Roma, e stabilendo ogni sorta di legami sul posto, anche grazie a un anziano cardinale zio di una delle militanti.

Il politico democristiano, che le preoccupate e idealistiche amiche dell’Aquila descrivevano in sostanza come un porco con la tendenza ad allungare le mani, era contento di aver trovato un gruppo di persone capace di sobbarcarsi fatiche enormi più o meno gratuitamente; o meglio, in cambio di alcuni finanziamenti della Regione Abruzzo, di cui beneficiò tutta l’organizzazione neoteosofica. A differenza dei democristiani che elargivano, comunque, nessuno dei destinatari acropolitani di questi fondi si è messo una lira in tasca.

Così, il sindaco e i teosofi pervennero a un accordo. Per il politico democristiano, un’occasione in più per farsi vedere, facendo sgobbare gli altri.

Per Nuova Acropoli, sempre sospettata di essere una stregonesca setta, un’occasione per legittimarsi di fronte allo Stato, al clero e al popolo dell’Aquila. E – siccome le motivazioni ideali non vanno mai sottovalutate – un’occasione per risvegliare l’antico spirito dormiente, il deva (in anglosanscrito, ma detto all’aquilana) della città. Che certamente, oltre a ricevere l’incenso che gli si offriva in sede, avrebbe gradito una grande processione.

Cattolicesimo e teosofia dovrebbe avere più o meno lo stesso rapporto che hanno tra di loro acqua e olio: il fondatore di Nuova Acropoli, Jorge Angel Livraga Rizzi, aveva scritto anche un rozzissimo pamphlet anticlericale, intitolato L’alchimista.

Ma, uno siamo nella provincia italica; e due, la Perdonanza era dedicata a Celestino V, che se non era proprio un eretico, poco ci mancava.

Facendo una fatica gratuita immane – cosa comunque abituale per gli acropolitani – il gruppo reinventò la Festa della Perdonanza, organizzando le prime sfilate del 1983, sfidando in qualche modo l’unica festa vera e tradizionale della città, quella di San Massimo.

Ovviamente, gli acropolitani non furono soli e coinvolsero molti altri; con il passare degli anni, credo che quegli altri abbiano preso ampiamente in mano l’iniziativa. La buona volontà non può fare concorrenza alla Cassa di Risparmio. Ma ciò non toglie che la Perdonanza sia stata in origine un’iniziativa acropolitana.

Oggi leggo:

“La festa di San Massimo viene celebrata ogni anno con una messa solenne nel duomo di San Massimo, ma l’evento più importante che si svolge a L’Aquila è la celebrazione della Perdonanza.”

Anche se non ve ne importerà molto delle feste religiose abruzzesi, forse capirete che il rovesciamento un po’ mi sconvolge.

In piccolo, ho partecipato anch’io all’invenzione di una tradizione, anche se sostanzialmente da spettatore (all’epoca dirigevo la sede in Sicilia di Nuova Acropoli).

Ho un bellissimo ricordo dell’Aquila. Anche della sua insuperabile provincialità, che constato ma non disprezzo. Del freddo, delle case di pietra, del dialetto molto musicale, delle persone, delle fantasie medievali che gli amici acropolitani mi raccontavano. Pure sui Templari, ma all’epoca nessuno ci aveva ancora fatto su un film, e non ci si poteva immaginare che sarebbero diventati una delle grandi merci dei nostri tempi.

Anche per questo, mi fa un certo effetto vedere certe cose belle, sebbene assai discutibili, passare dalle espressioni entusiaste di quei ragazzi, al circo mediatico.

Se seguite questo blog, probabilmente siete degli snob come me che non guardano il programma di Roberto Giacobbo, Voyager.

Ma faremmo male a sottovalutarlo, per il semplice motivo che Voyager rappresenta, per circa due milioni di italiani (cioè duemila volte il numero di lettori di questo blog) l’unica fonte di conoscenze storiche.

Leggo:

“Questa sera alle 21.00 su Raidue va in onda Voyager, con una serata interamente dedicate ai templari, alla loro storia e alla loro leggenda.

Roberto Giacobbo ci terrà compagnia facendoci addentrare nel mistero dei Cavalieri dell’Ordine dei templari, cosa dovevano nascondere o proteggere ed il loro tesoro.

All’interno della trasmissione ci sarà anche uno spazio dedicato a L’Aquila: dall’interno della Chiesa di santa Giulia si parlerà della leggenda in cui si afferma che la cittadina abruzzese sia custode di un prezioso tesoro, si cercherà di capire il perchè di alcune coincidenze e somiglianze marcate tra L’Aquila e Gerusalemme e perchè Papa Celestino V non voleva abbandonare il capoluogo abruzzese.”

Notate i due poli del discorso: il rullo compressore della macchina mediatica di Raidu da una parte, e L’Aquila, un centro quasi archetipico della provincia italiana.

Uniti dai Templari, raccontati alla maniera del tutto astorica di Roberto Giacobbo.

Per Giacobbo, L’Aquila è:

“Una città interamente costruita per proteggere un tesoro, un segreto più importante del Papato, antiche conoscenze da tramandare agli iniziati: cosa facevano i Templari in Italia? Cosa lega i Cavalieri del Tempio a Papa Celestino V? Perché la città di L’Aquila ha delle incredibili coincidenze con Gerusalemme?”

E conclude:

“Se la leggenda dovesse essere vera, per L’Aquila ne deriverebbe un enorme vantaggio dal punto di vista economico».

Lascio a voi tirare fuori una morale da tutto ciò. Quando avete fatto, riprenderemo il discorso su Templari, neotemplari e altre fantasie.

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26 risposte a La Perdonanza dell’Aquila: come si inventa una tradizione

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  2. mirkhond scrive:

    “Se la leggenda dovesse essere vera, per L’Aquila ne deriverebbe un enorme vantaggio dal punto di vista economico».

    Beh, forse si aiuterebbe la ricostruzione della città. Le motivazioni economiche sono fondamentali in operazioni massmediatiche di questo tipo.
    Che poi la vicenda “storica” sia tutta una patacca, è cosa che può interessare solo una minoranza di studiosi seri, che però non hanno certo i mezzi per ricostruirla loro l’Aquila!
    Soldi derivanti dal turismo del resto, stanno dietro anche ad altre vicende rilette e reinventate come appunto i Celti e Federico II di Svevia, costruendo un immaginario pataccaro che ha molto poco in comune col soggetto storico a cui dice di richiamarsi.

  3. Non sarà miga il caso che sta “perdonansa” ghà portà un pocheto de sfiga a l’Aquila?

    Gioca coi fanti ma lasa star i Santi!

    • Be’, l’indulgenza vale ancora: finché non viene revocato il privilegio pontificio, quello resta.
      Mi domando, però, cosa c’entri il “deva” con quel biekissimo strumento di potere che erano le indulgenze.

  4. Miguel Martinez scrive:

    Per Maria

    🙂

    “Il più sconvolgente dei misteri, perché Giacobbo è vicedirettore di Rai2”?

    Che poi sarebbe un mistero solo per noi snob. Per le persone normali, no. Perché no? Giacobbo funziona.

  5. Miguel Martinez scrive:

    Per Mauricius

    “Mi domando, però, cosa c’entri il “deva” con quel biekissimo strumento di potere che erano le indulgenze.”

    Mi sa che non conosci L’Aquila 🙂

  6. daouda scrive:

    L’invenzione di una consuetudine oppure di un costume, non certo di una tradizione…

  7. Riccardo Giuliani scrive:

    Dunque anche a te devo l’aver visto per anni a L’Aquila, specialmente nella biblioteca “Salvatore Tommasi”, gli opuscoletti di Nuova Acropoli.
    Con le piccole notizie che mi hai dato adesso riesco a capire tante cose che vedevo accadere negli ultimi anni prima del sisma; un certo risveglio di interesse per la basilica di Collemaggio, come per la fontana delle 99 cannelle.

    Ad ogni buon conto, tolte le costruzioni mediatiche sopra il binomio L’Aquila-Gerusalemme, pare effettivamente che ci siano grosse somiglianze tra le piante delle due città (non so bene però in quali periodi di riferimento); poi la posizione delle chiese maggiori nonché la loro importanza rifletterebbero posizione e magnitudo delle stelle della costellazione dell’aquila.
    Le conoscenze astronomiche erano pure contemplate nella costruzione del rosone della suddetta basilica, per cui si conosceva senz’altro la precessione degli equinozi; e sulla facciata della piccola chiesa di san Flaviano – pieno centro – sopra il portone è raffigurato un uomo-pesce con in mano il grano: la chiesa è del XIII secolo.

    Ho un bellissimo ricordo dell’Aquila. Anche della sua insuperabile provincialità, che constato ma non disprezzo. Del freddo, delle case di pietra, del dialetto molto musicale, delle persone, delle fantasie medievali che gli amici acropolitani mi raccontavano.
    Il dialetto ha cadenze jazz: praticamente gioca sempre su 2 toni di riferimento con intermodulazioni; ma se non è ingentilito da un po’ di fiato tende a diventare acido perché concentra la pronuncia nella gola, strozzando e gracchiando le parole.
    Del freddo non ne parliamo nemmeno: Oslo gli fa un baffo.
    Quanto alle conoscenze storiche, credo che si oscillasse tra queste fantasie di un lontano glorioso passato e una ignoranza del proprio territorio come raramente si trova in giro: 2 facce della stessa medaglia.

    Il nostro Giacobbo già da tempo tartassa L’Aquila, e su Celestino V ebbe modo di intervistare una notabile donna locale, tale Maria Grazia Lopardi: sono anni che promette di svelare misteri, e se continua ad imperversare allora il tuo avvertimento va preso sul serio.

    Ovviamente, gli acropolitani non furono soli e coinvolsero molti altri; con il passare degli anni, credo che quegli altri abbiano preso ampiamente in mano l’iniziativa. La buona volontà non può fare concorrenza alla Cassa di Risparmio.
    Dimentichi la curia aquilana: a mio giudizio una delle più ricche, più corrotte ed affariste al mondo (sempre in relazione all’estensione del territorio).
    Piccola chicca; un amico che aveva casa in centro a pochi passi da piazza duomo, la notte del sisma, recandosi in piazza, aveva assistito alla seguente scena (che per amore di prudenza imputo alla sua fantasia): il sacerdote della chiesa delle anime sante – per intenderci quella con la cupola crollata – da terra e salvo, rivolgendosi ai – credo – seminaristi rimasti bloccati nell’edificio accanto, avrebbe chiesto: “Come sta la cupola?” ricevendo in risposta almeno un “Vaffanculo!”.
    E questa fantasia ha partorito anche una scena nella quale l’arcivescovo Molinari si sarebbe chiuso in macchina a scaldarsi, mentre delle signore anziane erano fuori a prendersi un freddo che vi posso assicurare quella notte fu superato solo dalla situazione di emergenza.
    Attualmente, non si sa a che titolo (e qui risate a profusione), la curia starebbe in mezzo alla gestione degli alloggi per gli universitari, in una faccenda che vede la Lombardia di Formigoni-CL-Compagnia delle Opere a fare da donatrice per una nuova struttura universitaria:
    http://www.uduaq.org/2010/08/13/ludu-scrive-alla-diocesi-restituite-la-residenza-universitaria-alla-gestione-pubblica/
    http://www.dillinger.it/laquila-la-questione-curia-e-casa-dello-studente-40283.html

    Decisamente con queste notizie non si diventa vicedirettore di raidue; come di qualunque altra testata del libero giornalismo italiota.

  8. jam... scrive:

    ..la fontana delle 99 cannelle?
    99 cannelle x’ sono 99 i nomi di Allah?
    ogni cannella un nome?
    ciao

  9. mirkhond scrive:

    Le 99 cannelle simboleggiano i 99 villaggi, i cui abitanti furono inviati a popolare la nuova città, fondata nel 1254.
    ciao

    • Riccardo Giuliani scrive:

      Per non parlare delle 99 chiese aquilane, ammesso che sia queste che i villaggi fossero veramente 99.

      Gli spigoli della fontana sono disposti a formare, uniti gli opposti, una croce: mi pare a segnare est-ovest e nord-sud, piuttosto che la direzione di Gerusalemme.
      Una peculiarità è che solo piazzandosi su una di esse è possibile vedere tutte le altre: in qualunque altra posizione almeno una maschera/cannella delle altre è coperta.

  10. PinoMamet scrive:

    Intanto anche l’immondezza linguistica si rinnova, e in un secolo è passata dai “medievalismi di D’Annunzio” alla “Magica Italia” che c’ha i “brand”…

  11. Miguel Martinez scrive:

    Il Medioevo è stato un periodo fortemente simbolico, di questo non c’è dubbio. I simboli si trovano in ogni aspetto della vita medievale.

    Solo che non è detto che i suoi simboli fossero i nostri.

    I “nostri” simboli appartengono sostanzialmente a due categorie:

    1) un codice elaborato nel Sette/Ottocento in circoli massonici/occultistici, tutto incentrato su un presunto “simbolismo iniziatico primordiale e universale”

    2) l’idea di riferimenti criptati, tipo pi greco (che è una banalità geometrica), somiglianze a costellazioni (qualunque cosa somiglia a una costellazione), eccetera, con l’idea che il simbolo sia una specie di codice segreto che indica il nascondiglio di tesori.

    Detto questo, è possibilissimo che l’urbanistica dell’Aquila contenesse innumerevoli rimandi simbolici.

    Consiglio a tutti coloro che fossero interessati all’argomento a leggersi i meravigliosi libri di Michel Pastoureau, il primo ad avere studiato seriamente il simbolismo medievale, con rispetto profondo, ma cercando di capire ciò che il Medioevo aveva da dire, senza proiettarci sopra schemi preconfezionati nostri.

    • daouda scrive:

      Gli pseudo massoni semmai reintepratano i simboli antichi, provando a deviarne il senso.
      Ma pochissimi sanno quel che fanno, e se lo fanno, tradiscono la Massoneria stessa.
      Gli altri neanche sanno perché sono massoni , se non per motivi profani che non possono essere accostabili alla Massoneria, che fu vittima, come la Chiesa lo è da 60 anni, delle più bieche infiltrazioni.

      Ribadisco poi che quel di cui parliamo non è tradizione né c’entra con qualsivoglia rito, ma è solo cerimonialismo e consuetudine.

      saluti

  12. Miguel Martinez scrive:

    In questo senso, io sono un pentito 🙂

    In Nuova Acropoli, si applicava la griglia del simbolismo occultista a qualunque cosa, e funzionava sempre; così qualunque cosa dimostrava la correttezza della griglia stessa.

  13. Moi scrive:

    Purtroppo è oramai in(ri)trovabile, ma c’ è(ra) il Trovacorrispondenze del CICAP: un programma ove immettevi ad esempio come dato il tuo numero di scarpe e ti diceva a cosa poteva corrispondere ad esempio nella cabala … così potevi dire di essere il Messia Veramente Vero.

    … Secondo non pochi critici, qui e in iniziative affini, il CICAP si sarebbe dimostrato come il Braccio Inquisitorio e Sprezzante della UAAR ! 😉

  14. jam... scrive:

    .. villaggi o fontane, il numero 99 resta,
    99, quello a proposito del quale in un hadith tramandato da al’Boukhari il Profeta disse: “certo Allah ha 99 nomi, cento meno uno, chiunque li enumera entrerà in Paradiso. Lui é il Singolare(witr) ed ama che si scandiscano i suoi nomi uno ad uno.”

    Stranamente la Sura del Corano n.99, é proprio quella del terremoto, Sura az-Zalzalah.

    ciao

    • Moi scrive:

      @ JAM

      Ma non c’era la tradizione presunta sufi di un centesimo nome segreto che solo l’ Arcangelo Gabriele rivela ai prescelti (e avrebbe addirittura proibito al Profeta di riportarlo nel Corano perché troppo pericoloso se cade in mani sbagliate !) dano il potere di compiere miracoli ?

      … Ma secondo alcuni ciò sarebbe invece l’ inganno di un Djinn per conto di Satana.

      Ne hai mai sentito parlare ? Ovviamente è Islam “apocrifo”, “extracoranico” … che IN TEORIA esiste anch’esso.

      • Moi scrive:

        Secondo alcuni Salman Rushdie si sarebbe liberamente ispirato a questa tradizione per i “Versi Satanici” …

        • Daouda scrive:

          Mi sembra che i nomi di Allah siano 10000, di cui 100 dati agli homini e di cui 99 i soli pronunciabili.

          Jam saprà meglio ed ha fatto bene a ricordare questa affinità ( da non scordare i trovatori ed i francescani , oltre gli stessi templari, che ebbero intensi rapporti con il sufismo ).

          saluti a tutti

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  16. corrado (qualc1) scrive:

    Ho letto nella sua pagina su Nuova Acropoli il “mito” del Maghin, presunto avo del fondatore della setta. L’episodio è quasi identico ad una leggenda apocrifa riguardante Simon Mago:

    http://it.wikipedia.org/wiki/Simone_Mago

    «Durante una dimostrazione di levitazione al Foro Romano dinnanzi all’imperatore Nerone, per le preghiere dei suoi avversari [i santi Pietro e Paolo]; precipitò, rompendosi le gambe e venendo poi lapidato dalla piazza, spaventata dall’evento.»

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  18. Petra scrive:

    Hai ragione, l’indulgenza di un Papa canonizzato che è durata senza interruzioni per soli 8 secoli, cosa vuoi che sia una tradizione? Rimane “solo” la cerimonia religiosa.
    Che è tutto nella fattispecie, sebben ti sfugga.
    Poi che eventualmente ci si accrocchino sopra meccanismi consortili e speculativi,, questa è la storia del mondo.
    Ma se questo leva importanza alla prima indulgenza periodica non a pagamento dopo il Perdono di Assisi, a questo mondo niente ha più importanza, visto che si fanno i soldi con tutto.
    Magari evitare Jesus Christ superstar davanti a una basilica indulgenziata, farebbe fare meno la figura dei pidocchi cafoni agli aquilani, ma tant’è.

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