Terra Futura, tra ecologia e spiritualismo

In questi giorni, Firenze ha ospitato un evento a modo suo importante: la fiera di Terra Futura.

“Terra Futura vuole far conoscere e promuovere tutte le iniziative che già sperimentano e utilizzano modelli di relazioni e reti sociali, di governo, di consumo, produzione, finanza, commercio sostenibili: pratiche che, se adottate e diffuse, contribuirebbero a garantire la salvaguardia dell’ambiente e del pianeta, e la tutela dei diritti delle persone e dei popoli.”

Insomma, una questione non da poco, forse la questione delle questioni.

Terra Futura offre un quadro interessante, nel bene e nel male, di come vanno le cose in questo campo.

Ci troviamo tre diversi tipi di realtà.

Innanzitutto, piccole imprese di vario tipo, da quella che costruisce casette in legno, all’erboristeria, all’organizzatore di viaggi a piedi.

Poi c’è il mondo delle organizzazioni, dalla Banca Etica (o le Assicurazioni Cattoliche) giù giù fino a cooperative che lavorano precariamente nelle carceri o con i disabili; oppure movimenti strutturati come Amnesty International e Greenpeace.

Infine, ma forse al primo posto come presenza e visibilità, i mercanti di spiritualità.

Sulle piccole imprese, nulla da ridire: Terra Futura è anche un evento commerciale, ed è giusto che un certo mondo imprenditoriale abbia un suo spazio.

Ci sarebbe da riflettere sul ruolo ambiguo delle organizzazioni.

Le organizzazioni vivono in rapporto intimo con lo Stato, dalla cui generosità in massima parte dipendono.

Il restringimento dello Stato significa innanzitutto tagli al superfluo, dove per superfluo si intende qualunque cosa che non siano treni ad alta velocità o bombardieri per l’Afghanistan.

Allo stesso tempo, lo Stato della società fluida e spettacolare, come preferirebbe occuparsi dei malati? Assumendo a vita nuovi infermieri, oppure affittando di tanto in tanto i servizi di una precaria cooperativa?

Il ruolo dei mercanti di spiritualità è invece di particolare interesse per questo blog, che – è facile dimenticare – è nato per occuparsi dello spiritualismo dei nostri tempi più che di politica in senso stretto.

A Terra Futura, trovi ovunque i mercanti di spiritualità.

Tra venditori di medicina spagirica e giovani dagli occhi azzurri che si dichiarano counselor in spiritualità indiana, troviamo  un ampio spazio dove i visitatori possono “ricevere la luce”: si tolgono le scarpe, si mettono seduti e un adepto pone loro le mani dietro la nuca. Una cosa dall’aspetto certamente rilassante, ma viene da chiedersi, cosa c’entra?

Si tratta dello stand di Sukyo Mahikari, un’efficiente organizzazione fondata da un ex-imprenditore giapponese nel settore militare che mise insieme insegnamenti scintoisti e teosofici, con un insolito nucleo di ultranazionalismo, sognando l’unificazione del mondo attorno all’imperatore del Giappone. Se non altro, per evitare che in futuro si ripetessero le guerre atomiche tra i continenti di Atlantide e di Mu, di cui parlano gli insegnamenti di Mahikari.

Tutto questo non ci scandalizza minimamente, e non vogliamo nemmeno ridurre le idee dei 750.000 militanti di Mahikari nel mondo a questi pochi elementi. Chi scrive non crede all’esistenza delle “sètte” come una misteriosa e tenebrosa realtà a parte.

Mahikari non è certamente peggio di Amway e sicuramente offre un senso alla vita di molte persone, un fatto che non va disprezzato. E probabilmente la vita al suo interno non è peggiore di quella che la maggior parte delle persone trascorre al servizio di aziende più laiche.

La domanda importante è, perché è perfettamente normale vedere lo stand di una simile organizzazione accanto a quello della CGIL o di un’associazione per il commercio equo e solidale? Non possiamo nemmeno parlare di affinità politica, visto che Mahikari ha finanziato i partiti sia di destra che di sinistra in Francia.

La risposta è evidente: senza l’apporto militante ed economico di simili organizzazioni, o delle piccole imprese dello spiritualismo contemporaneo, non si potrebbe nemmeno fare un evento come Terra Futura.

Anche se avevano solo uno stand relativamente piccolo a Terra Futura, non crediamo che esista un movimento animalista e vegetariano paragonabile per impegno e risorse al gruppo apocalittico tedesco Universelles Leben – “Vita Universale” – della profetessa Gabriele Wittek (in contatto diretto con Gesù Cristo), che in Germania gestisce ben 58 negozi “biologici”, scuole, cliniche e case editrici: e la cui struttura basata su comunità è in grado a sopravvivere a molti cambiamenti di moda.

So che esistono mille definizioni di “spiritualità“, tutte valide: qui, con questo termine, intendiamo un concetto elaborato dai sociologi inglesi Jeremy Carrette e Richard King per definire la singola ideologia più importante e diffusa dei nostri tempi.

In una prima fase, la religione viene ridotta da una visione generale del mondo e del proprio ruolo nella vita, a una serie di credenze private che non devono interferire con i meccanismi del capitalismo. Questa, secondo Carrette e King, ha costituito la fase dell’individualizzazione del religioso.[1]

Le credenze però partecipano ancora in qualche maniera di quelle che i greci avrebbero chiamato nous o “spirito”. Ma pian piano, spiritualità viene a coincidere con le semplici emozioni degli individui, come attesta tutto un linguaggio diffuso nel tremendo mondo dei critici d’arte e dei premi di poesia. Al posto della distinzione tra vero e falso, troviamo la distinzione tra gradevole e sgradevole.

Ora, stiamo vivendo la fase della radicale mercificazione del religioso, cioè l’ingresso violento del capitalismo nella sfera religiosa. Che subisce una rebranding, diciamo una “rietichettatura”, come “spiritualità”, un termine abbastanza vago da includere qualunque cosa.

“Per la prima volta nella storia dell’uomo, l’economia ha iniziato a dettare i termini di espressione per il resto del mondo sociale. Adesso, distaccatosi dal sociale in una maniera che non conosce precedenti, il mercato è in grado di dettare l’ordine del giorno culturale e politico, e di impossessarsi dei processi di socializzazione (come la coltivazione e la disciplina degli appetiti individuali) che venivano condotti da istituzioni statali e religiose”.[2]

A questo punto, non esiste più alcun motivo per tenere distinte le due sfere.

Quando tutto è diventato merce, lo spiritualismo può penetrare liberamente ovunque – lo spiritualismo permea il linguaggio aziendale, le chiacchiere dei parrucchieri, le pubblicazioni a larghissima diffusione, le terapie psicologiche, l’industria turistica e i programmi televisivi.

Questi gruppi però sfiorano anche la politica.

In qualche raro caso, fanno effettivamente politica: come il Partito Umanista, di cui qualcuno forse conosce il grandioso tempio ad Attigliano, e che è sempre presente nelle manifestazioni di sinistra nel nostro paese, con le sue bandiere color arancione.

In genere, il rapporto con la politica è piuttosto strumentale, come nel caso della Soka Gakkai (anch’essa presente a Terra Futura), dove troviamo Sabina Guzzanti e Vladimir Luxuria, ma il cui partito politico di riferimento, in Giappone, sostiene da sempre la destra.

Gran parte delle imprese e dei movimenti spiritualisti comunque partono da considerazioni critiche: questa società è alienante, inquinante, centrata sul profitto e disumana.

Critiche un po’ generiche, ma che molti potrebbero condividere. In particolare nella sinistra non marxista, visto che queste imprese lavorano con una certa abilità su alcuni luoghi comuni – vedete quanti bambini muoiono in Africa, quante guerre ci sono? I sentimenti suscitati da queste considerazioni, certamente eccellenti in sé, sono comunque inscindibili dallo spettacolo mediatico e dai suoi traumi e miracoli.

Sappiamo infatti dei bambini che muoiono in Africa grazie a fotografi a caccia di immagini scioccanti, che spesso lavorano in stretta simbiosi con ONG a caccia di fondi per i propri impiegati.

A questa critica dell’alienazione, si accompagna spesso una duplice ostilità verso le religioni “istituzionali”, in particolare quella cattolica e quella islamica; e verso lo “scientismo“. Sono o no dei chimici, e quindi degli scienziati, che inquinano il mondo?

Ora, la persona socialmente impegnata è molto spesso (non sempre) un autodidatta, che pretende di dire la sua in un mondo dove la parola sembra essere detenuta dal doppio clero, religioso e accademico; e quindi questa critica suscita simpatie immediate.

Ai problemi del mondo, le imprese e organizzazioni spiritualiste danno una risposta concreta: compra il mio misuratore di aure, recita per un quarto d’ora al giorno la frase che ti insegnerò quando mi avrai pagato, trova nuovi membri per la mia organizzazione.

E’ giusto dire che non è sempre così, e ci sono indubbiamente alcune belle, piccole realtà, che vivono secondo idee molto particolari, ma non cercano di vendersi sul mercato più di quanto occorra per la semplice sopravvivenza quotidiana. A una fiera come Terra Futura, li riconosci per i volantini poveri, fatti con la stampante del computer o fotocopiati.

Ma in linea di massima, una buona organizzazione, uno stand ben congegnato e sorrisi decisi e coinvolgenti rivelano la presenza di un interesse aziendale. E certo qualcuno che elenca nei depliant gli attestati mondani che ha ricevuto, come garanzia della propria spiritualità, è un impostore per definizione – se diamo a spiritualità non il senso di vaga emotività, ma di autentica e invisibile ricchezza interiore.

Le imprese spiritualiste beneficiano dell’immaginario mediatico che circonda la parola Natura. Istintivamente, qualunque essere umano ancora minimamente sano vuole sfuggire alla schiavitù e alla menzogna delle merci. Ma lo spaccio delle merci sfrutta ogni istinto umano, compreso il rigetto delle merci – ecco che nasce il Marchio Natura.  A volte, paradossalmente, reso autorevole con l’abuso di un linguaggio dal suono scientifico: così troviamo pubblicizzata, a Terra Futura, una conferenza sul tema “L’aura umana nei luoghi ad alta energia”.

Natura è un termine ambiguo quanto spiritualità. Alla fine, diventa sinonimo di piacevole, lieve, gentile, e peggio per terremoti e lupi se non sono d’accordo.[3]

Certamente, la maggior parte dei prodotti delle imprese spiritualiste sono “naturali”, nel senso che non si tratta di oggetti fabbricati con possenti macchine. Chiacchiere, massaggi, sentimenti, rimedi placebo, rapporti umani, soddisfazioni private, sono indubbiamente a basso contenuto tecnologico,  e possono venire quindi venduti tranquillamente in una fiera ecologica. Poi non capisco perché un’azienda possa vendere, a Terra Futura qualcosa che chiamano Responsability (a voi trovare l’errore), “l’abilità nel rispondere ai momenti della vita”, e io non possa vendere un puro e semplice corso di lingua inglese.

Questa è la fotografia di una situazione. Non è una denuncia, e non è una proposta.

Consiste solo nel riconoscere che esiste un ampio mondo di persone che cercano di trovare un’alternativa a un sistema così tremendamente distruttivo. Ma dentro quel mondo, un ruolo di grande importanza è esercitato, o da aziende che vendono fuffa per guadagno personale, o da grandi organizzazioni che hanno i propri interessi da portare avanti.

Nota:

[1] Carrette e King parlano di spirituality, perché in inglese spiritualism traduce il termine italiano “spiritismo”, dal significato molto più ristretto. In italiano, crediamo che la traduzione migliore del termine usato dai due studiosi sia spiritualismo.

[2] Jeremy Carrette, Richard King, Selling Spirituality. The Silent Takeover of Religion, pp. 44-45.

[3] Il parto con l’epidurale, chiaro esempio di interferenza tecnologica in un processo naturale, viene spesso definito naturale dei propri sostenitori, come semplice sinonimo di indolore.

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74 risposte a Terra Futura, tra ecologia e spiritualismo

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  2. Oberon scrive:

    Gran bel post, complimenti. Solo, non ho trovato tanto chiara l’allusione al non poter vendere il corso di inglese.

  3. Miguel Martinez scrive:

    Per Oberon

    In effetti, forse non era chiaro.

    1) C’è qualcuno che vende un corso psico che passa per ecobionaturale, semplicemente perché sono chiacchiere e non ci sono di mezzo diavolerie tecnologiche.

    2) Io, che insegno inglese, potrei fare un corso ugualmente “naturale”, in quanto privo di diavolerie tecnologiche.

    Qual è il motivo per cui il corso psico “ci sta” a Terra Futura, mentre il corso di inglese no?

  4. Oberon scrive:

    Ma secondo me se proponi un corso di inglese biologico, uno stand lo danno pure a te… 😀

  5. Stefania scrive:

    Ciao Miguel,

    prova qualcosa del genere, che lo stand te lo danno di sicuro 🙂

    http://www.inglesesenzasforzo.it/

  6. Miguel Martinez scrive:

    Per Stefania… favoloso, grazie!

    Ma la Tronconi in che rapporto sta con l’emilianissimo Sauro Tronconi, emilianissimo riciclatore di ogni Iniziazione Orientale-Imprenditoriale nota sotto il cielo padano?

    • Stefania scrive:

      Ciao Miguel,

      mi spiace ma non lo so.

      Io conosco poco alcuni di questi “ambienti” solo per aver frequentato vari corsi qualche hanno fa. Posso dire che le persone che ho incontrato mi sono sembrate in buona fede e che i corsi hanno avuto una loro utilità. Io poi non sono amante della “devozione” in generale nè delle troppo menate, e quindi ho deciso che quello che avevo avuto era abbastanza.

  7. Gino A. scrive:

    O.T. ma sono sicuro apprezzerai: EDF vs improbabili barbuti musulmani (tra cui un ragazzotto rosso con la barba):

    http://www.viceland.com/blogs/it/2011/05/18/vbs-la-festa-funebre-di-osama/

  8. Moi scrive:

    Il Corso d’ Inglese Biologico ?

    Eccolo :

    http://www.jacopofo.it/libri/estratti/ingl1.html

  9. Moi scrive:

    http://archiviostorico.corriere.it/1997/gennaio/13/Orde_cinesi_indiani_fanno_pezzi_co_0_9701133407.shtml

    un articolo del noto anglofilo Beppe Severgnini, articolo oramai entrato nella Storia 😉 per divenire Leggenda !

  10. Moi scrive:

    Notare che, stando, agli insegnamenti di Jacopo Fo, Miguel Martinez in fatto d’ Imperialismo Linguistico sta dalla stessa parte della barricata del Colonialismo Britannico Vittoriano e degli odierni NeoCon del NWO …

    😉 🙂 🙂 😉 😉 🙂 🙂 😉

  11. Moi scrive:

    Ad ogni buon merito, nel Nobile ed Eroico Jihad Planetario 😉 🙂 contro l’ Anglofonia da “Mummie Accademiche”, per dirla con Jacopo Fo … anche l’ Italia si dà da tempo da fare :

    ad esempio il “jogging” è stato a lungo chiamato “footing”, e qualche Umarèll-Sempre-Giovane dell’ ARCI Uisp ancora adesso informa la propria “zdàura” (o meglio “zdåura”) che prima dei tortellini in brodo “A vagh a fèr un poch ed fóttingh stramèz’ i prè (“tra i prati”) !”

    Negli 80’s i Gaudenti Giovani Borghesi Meneghini non esitavano a coniare neologismi come “ciulescion” o anche a grafia ibrida “ciulation” per indicare il rapporto sessuale occasionale in discoteca , allora ancora abbastanza una novità …

    — Chi mi aiuta in questo Jihad con altri esempi ? 😉 🙂

    • mirkhond scrive:

      Ma sei modenese o bolognese? E il bolognese è emiliano o romagnolo?
      Zdaura mi sembra romagnolo, almeno così mi disse una volta Pino Mamet.
      ciao

      • Moi scrive:

        Di Bologna, ma Modena non è così lontana da non capitarci mai 🙂 😉 … in Romagnolo è “zdora” o “arzdora” .

        Tieni conto che a Bologna il dialetto è stato massacrato-recuperato un po’ sempre “dagli stessi” … tipo se una lingua dei Pellerossa in USA venisse recuperata da un antropologo discendente del Generale Custer … 😉 🙂 😉 🙂

        • Moi scrive:

          Cmq, torando un po’ in tema, si segnalano pseudoanglismi soprattutto orali politicamente scorretti ma “simpatici” tipo cambiare “gay” in “bùson”, dal dialettale “busån” italianizzato in “busone” con esiti tipo “buson night”, “buson pride”, “buson friendly” ecc … lasciando volutamente in Inglese corretto la seconda parola per accrescere l’ effetto comico.

          Oppure, sempre scurrilmente “guzzer” [pronunciato così com’ è scritto, non “gazzer”] da “(a)guzèr”, italianizzato in “guzzare” per “chi ha rapporti sessuali intensi” 🙂 😉 … oppure sempre come “buson night”, ho sentito il giovanilese “rusk taker” (anche qui pronuncia “rusch”) da “rosch” , italianizzato in “rusco” e che alla fine “rusk taker” è l’ addetto alla raccolta rifiuti solidi urbani … secondo alcuni “al rosch” sarebbe voce gallo-italica avente chiaramente la stessa origine celtica di “bruscar” in Irlandese …

          http://ih0.redbubble.net/work.4112046.1.flat,550×550,075,f.bosca-bruscar.jpg

          … cmq quando un Emiliano dice di “sentire molto le origini celtiche” ciò significa la spensieratezza di Obelix, mica il cupore di Enya 😉 🙂

        • Peucezio scrive:

          Moi, chi sono “gli stessi”?

      • PinoMamet scrive:

        Moi
        va bene tutto, ma… le origini celtiche?
        Ma quando mai, via. E vabbé, i dialetti gallo-italici. Qualche toponimo. Qualche rarissimo vocabolo dialettale rimasto identico.
        Poi direi che di celtico non c’è proprio niente altro.

        Il resto mi sembra o controverso, o wishful thinking.
        Via, non è che per avere dei dialetti dal suono vagamente francofono, dobbiamo diventare gallesi o scozzesi… sarebbe un po’ eccessivo, non trovi?

        E poi, prima della Lega dagli anni Novanta, nessuno ne sentiva il bisogno o anche l’esistenza, di queste origini celtiche…

        • Moi scrive:

          Questa delle origini celtiche è una cosa “sbarcata” da questa “banda” (lato) del Po da poco; c’ è _ in termini di presunto (!) Risveglio Celtico almeno un decennio di ritardo circa fra Transpadani e Cispadani e … procede di pari passo “guardacaso” con una decadenza e un senso di disillusione, di ideali traditi.

          Ho cmq notato che in Emilia Romagna lo pseudo-ragionamento per passare dal Partitone alla Lega (Manes Bernardini oltre il 30% a Bologna !!!) è, è stato e sarà più o meno questo:

          “In tutto il mondo il Comunismo ha fallito, l’ unico “fazzoletto di terra” in cui esso abbia garantito pace sociale e benessere è stato proprio qui …

          E allora ? … E allora significa che da noi c’ è o comunque c’ era una superiorità morale (mito identitario che ancora oggi Bersani oppone a Berlusconi !) intrinseca !

          E intrinseca, ‘sa vol-el dir ? 🙂 … Genetica ! ”

          E quindi, se dapprima il senso identitario Cis-Padano era nell’ Ethos … adesso tende a spostarsi nell’ Ethnos come in territorio Trans-Padano … solo che mentre il razzismo Trans-Padano ha colpito sia Meridionali che ExtraComunitarii … il razzismo Cis-Padano ha per ragioni cronologiche risparmiato i Meridionali.

          Anche se già negli anni ottanta si sentiva bofonchiare :

          ” ‘Sti stronzi della Bass’Italia che vengono qua, li accogliamo a braccia aperte come figli con politiche sociali a loro favorevolissime e poi … ci pugnalano alle spalle votando DC anzicché PCI ! ”

          Insomma, era intuitivo che una volta esaurita la pazienza per lo sgarro di cui sopra …

        • Z. scrive:

          Davvero un successone, quello di Bernardini. Da leccarsi i verdi baffi.

          Doveva essere quello che strappava il comune agli ziganoislamostalinisti – o che, quanto meno, arrivava al secondo turno come Cazzola.

          Invece si è fermato al primo, e non c’era neppure un Guazzaloca al 12% a boicottarlo…

          Z.

          PS: Spiace che nessuno invece abbia notato la vera rivelazione delle comunali bolognesi: Michele Terra, un compagno di neanche quarant’anni che ne dimostra più di sessanta, un uomo di acciaio e ghisa: insomma, un uomo sovietico, nel più puro senso della parola. Che raddoppia letteralmente la propria percentuale passando dal 0,4 allo 0,8%, distanziando La Destra e Forza Nuova e piazzandosi primo tra i candidati minori 😀

  12. Miguel Martinez scrive:

    Per me, l’inglese non è la lingua della comunicazione globale, anche se sono ridotto a trattarla come tale quando lavoro.

    Peccato che sia difficile trasmettere la straordinaria ricchezza dell’inglese, le infinite sfumature di parole e di sottintesi, le delicatissime gradazioni di senso.

    • Peucezio scrive:

      Conosco pochissimo l’inglese. Ma immagino che questi aspetti siano proprio quelli estranei all’inglese “internazionale”, quello che imparano cani e porci in tutto il mondo e che i soliti moralisti coglioni italici esterofili si lamentano che in Italia parlano in pochi, mentre quello che facciamo, sia pure involontariamente, è solo evitare di storpiare una lingua che ha una sua dignità storica e letteraria.

    • astabada scrive:

      La mia opinione sull’Inglese e’ che si tratti di una lingua molto semplice e, come ogni altra lingua del resto, ha pochi punti di forza e molte debolezze.
      La semplicita` straordinaria ha sicuramente contribuito a farne una delle lingue piu` “parlate” al mondo. Dico “parlate” e non parlate proprio perche’ – vivendo a confronto con una moltitudine di Inglesi e non Inglesi – posso constatare come chi studi e parli questa lingua per questioni di lavoro non ha quasi mai la padronanza e la ricchezza di vocabolario dei madrelingua.
      Sai che novita`.
      Quello che forse non sapete pero` e` che molti madrelingua hanno problemi di comunicazione: conosco svariate persone, tutte in ambito accademico, tutte Inglesi doc, che hanno problemi a comunicare per telefono: devono farsi ripetere le parole 2 volte (la terza volta e` vietato dal bon ton). Spesso si leggono strafalcioni come “am free” inteso come “I’m free” ed altri grossolani
      errori di spelling (“health and safty”, per citarne un altro).

      Oltre che a un sistema educativo pessimo, questi problemi devono a mio avviso essere attribuiti a una lingua senza chiare regole di pronuncia, dove parole scritte in modo diverso si pronunciano in maniera pressoche` identica.

      Naturalmente se si ha ben presente cio` di cui si parla (come avviene spesso nel mondo degli affari e della scienza) allora non ci sono problemi. Ma basta appunto perdere il contatto visivo o le corrette inferenze cognitive che la comunicazione si fa` piu` incerta, piu` ambigua.

      Si tratta di un tesoro per i poeti, ma anche di una disgrazia per certi aspetti.

      Naturalmente mi guardo bene dall’andare a sondare quanti Italiani parlino l’Italiano.

  13. Moi scrive:

    Va bene Miguel , ma lo Spirito di questo Jihad dell’ Imam Jacopo Fo 🙂 😉 è :

    “Visto che ad affrontare sul piano militare queste Lobby Anglosassoni e Protestanti, questi Gringos degli USA soprattutto, non c’ è storia perché ci fanno vedere le stelle 😉 🙂 😉 🙂 e ci fanno il culo a strisce 😉 😉 😉 🙂 … allora :

    Vendetta !!! Tremenda Vendetta !!! … Tutti uniti nel resto del Pianeta massacriamogli la lingua !!! Resistenza Culturale Antagonista Antimperialista Alteromondialista ! Ista ! Ista ! Ista !”

    … chiaro no ?

  14. Moi scrive:

    A livello giovanilese più nazionale, altri esempi di Jihad Linguistico Planetario 🙂 Antimperialista ecc … sono “truzz” (pronunciato quasi come “truth” verità) e derivati secondo lo stesso meccanismo di cui sopra: “truzz car”, “truzz music”, “truzz movie” ecc … per indicare tutto ciò che è di gusto “truzzo” …

    Poi c’ è la parola “bimbiminkia”, ben presto “internazionalizzata” in “minkiakids” … naturalmente c’ è anche qualche Buontempone Italico esperto d’ informatica che studia come creare programmi software fatti apposta per taroccare con le bestemmie (alla faccia delle “Profondissime Radici Cattoliche dell’ Italia”) qualsiasi video o canzone … ovviamente, vista la materia prima 🙂 principale, non poteva chiamarsi che “Mosconizer” (da pronunciare “Mosconàizer”) …

  15. jam... scrive:

    …natura é un termine relativamente ambiguo.
    La natura più che ambigua é simbolica; ad essere ambiguo é lo sguardo ed il livello culturale o spirituale dell’uomo e dell’umanità…
    ciao

  16. astabada scrive:

    La mia opinione sull’Inglese e’ che si tratti di una lingua molto semplice e, come ogni altra lingua del resto, ha pochi punti di forza e molte debolezze.
    La semplicita` straordinaria ha sicuramente contribuito a farne una delle lingue piu` “parlate” al mondo. Dico “parlate” e non parlate proprio perche\’ – vivendo a confronto con una moltitudine di Inglesi e non Inglesi – posso constatare come chi studi e parli questa lingua per questioni di lavoro non ha quasi mai la padronanza e la ricchezza di vocabolario dei madrelingua.
    Sai che novita`.
    Quello che forse non sapete pero` e` che molti madrelingua hanno problemi di comunicazione: conosco svariate persone, tutte in ambito accademico, tutte Inglesi doc, che hanno problemi a comunicare per telefono: devono farsi ripetere le parole 2 volte (la terza volta e` vietato dal bon ton). Spesso si leggono strafalcioni come \"am free\" inteso come \"I\’m free\" ed altri grossolani
    errori di spelling (\"health and safty\", per citarne un altro).

    Oltre che a un sistema educativo pessimo, questi problemi devono a mio avviso essere attribuiti a una lingua senza chiare regole di pronuncia, dove parole scritte in modo diverso si pronunciano in maniera pressoche` identica.

    Naturalmente se si ha ben presente cio` di cui si parla (come avviene spesso nel mondo degli affari e della scienza) allora non ci sono problemi. Ma basta appunto perdere il contatto visivo o le corrette inferenze cognitive che la comunicazione si fa` piu` incerta, piu` ambigua.

    Si tratta di un tesoro per i poeti, ma anche di una disgrazia per certi aspetti.

    Naturalmente mi guardo bene dall\’andare a sondare quanti Italiani parlino l\’Italiano.

  17. PinoMamet scrive:

    L’inglese ha senza dubbio il problema della pronuncia che ormai diverge quasi completamente dallo scritto
    (quasi, perché lo scritto qualche suggerimento sulla pronuncia lo dà… a patto di fare una specie di lavoro filologico di ricostruzione evolutiva della pronuncia, che è possibile solo a chi, di massima, conosce già la pronuncia stessa…)

    inoltre, mi pare (ma chiedo ai madrelingua), che a livello di pronuncia l’inglese sia meno strettamente definito dell’italiano.
    In italiano c’è qualche incertezza tipo pésca/pèsca, bòtte/botte ecc. (peraltro la varietà corretta è sempre definita normativamente, anche se ormai la conoscenza, docenti universitari a parte, è riservata agli attori di teatro e ai doppiatori; i giornalisti televisivi hanno definitivamente gettato la spugna);
    però in inglese, anche considerando solo le varietà standard, la pronuncia ad es. inglese, americana e australiana divergono fortemente, pur rimanendo tutte, credo, nell’ambito della norma.

    Conversando e leggendo in inglese adesso, mi sembra di notare una certa iper-semplificazione: gli americani specialmente danno a volte l’idea di parlare combinando formule preconfenzionate.
    La distanza con la lingua, splendida, degli scrittori inglesi e angloamericani fino a metà Novecento mi pare notevole.

    Naturalmente anche l’italiano mi sembra deteriorato, ma il fenomeno è meno evidente per alcuni motivi:
    da un lato l’aumento dell’istruzione di livello medio negli ultimi cinquant’anni e l’aumento generale della padronanza base dell’italiano a scapito dei dialetti rendono meno evidente il “declino culturale”, dall’altro proprio la presenza di una vasta base dialettale in cui pescare, e la maggiore complessità grammaticale e sintattica, rendono più difficile lo scivolamento nel “frasario formulare” dell’americano parlato.

    Ciao!!

    • Moi scrive:

      Qualche esempio pratico sarebbe d’uopo …

    • Peucezio scrive:

      In effetti il problema fonetico dell’inglese non è solo la parziale arbitrarietà del rapporto fra grafia e pronuncia, ma anche la pronuncia stessa. Se l’inglese cioè fosse solo una lingua orale, un dialetto, avrebbe comunque una pronuncia, in particolare un vocalismo, complicata, oltreché, come tu stesso rilevavi, molto variabile: diversa è non solo la pronuncia fra inglesi, americani ecc., main Inghilterra mi risulta cambi per ceti, classi di età ecc.
      E’ una situazione che, venendo dalla Puglia, ho ben presente ed è tipica degli idiomi con un forte accento espiratorio, che tendono a indebolire o sopprimere le vocali atone e a frangere e dittongare quelle toniche.
      Il toscano, come anche altri dialetti italiani (il romanesco, il calabro-siculo-salentino, anche se lì le vocali medie hanno un solo grado di apertura, anche il napoletano, almeno per le toniche) hanno un sistema vocalico pulito, definito: le sette vocali: i, é, è, a, ò, ó, u (5 in calabro-siculo-salentino: i, e, a, o, u, come in spagnuolo), che è il sistema vocalico più semplice e lineare, senza suoni turbati, palatalizzati, velarizzati (ö, ü…), semidittongati…
      Ci sono dialetti in Puglia (parlo sempre della Puglia linguistica, che esclude totalmente il Salento a sud della linea Taranto-Brindisi) in cui una volta esisteva, soprattutto nel vocalismo tonico, una rilevante variabilità cetuale (il dialetto dei signori diverso da quello dei contadini, magari a sua volta diverso da quello dei pescatori, se è un paese di costa) e in cui ancora oggi in molti casi c’è un’evidentissima differenza di genere sessuale, come avviene ancora nel dialetto del capoluogo nei ceti più bassi, legati prevalentemente la borgo antico.
      Questo pone complessi problemi di trascrizione ma, ancor più (poiché la trascrizione è una convenzione, per cui basta adottare un segno per un fonema che presenti opposizione funzionale con gli altri) di lettura, una volta stabilita la trascrizione, perché non si tratta di individuare suoni chiari ma una quantità di sfumature e di suoni ibridi, di non semplice definizione articolatoria (un conto è avere a che fare con un’anteriore semiaperta, come la ‘è’ italiana, un conto con un’anteriore un po’ più aperta di un suono intermedio fra ‘i’ e ‘e’, fortemente velarizzata, lievemente labializzata, con un accenno di semidittongazione che tende a farla terminare in ‘i’, però tenendo conto che i vecchi la dittongano di più, le donne la pronunciano più aperta ma più velarizzata ecc. ecc.).
      Per l’inglese mi sembra che la situazione sia abbastanza simile, con in più la difficoltà di una scrittura più storica che fonetica e con molte arbitrarietà.

  18. mirkhond scrive:

    Ascoltando in tivù la pronuncia americana, anche dei presidenti e delle personalità importanti, mi sembra un inglese molto cafonesco, mentre il fisioterapista da cui vado qui a Bari, pure lui americano, quando parla invece, ha un accento più simile all’inglese dell’Inghilterra, almeno dell’Inghilterra pure televisiva, insomma non ha un accento “cozzalo” come diciamo noi a Bari.
    ciao

  19. Miguel Martinez scrive:

    Per Astabada

    “La mia opinione sull’Inglese e’ che si tratti di una lingua molto semplice”

    Credo che il concetto di “lingua semplice” non sia facile da definire. Può infatti significare:

    1) lingua talmente simile alla nostra da richiedere poco sforzo per impararne almeno le basi. Come lo spagnolo per gli italiani, o l’ebraico per gli arabi.

    2) lingua con pochi elementi superflui.

    Il concetto di “elemento superfluo” si riferisce, ad esempio, ai generi grammaticali, ché se diciamo “il latte” o “la latte” (come in spagnolo, la leche) non cambia nulla. E’ un peso mentale in più, ed è più o meno imprevedibile.

    Comunque esistono lingue che riducono al minimo gli elementi imprevedibili, come il turco, che però è difficile perché è lontanissimo dall’italiano.

    Ancora di più, il cinese riduce tutto, eliminando categorie intere come verbo, sostantivo, aggettivo, caso, modo, tempo, numero oltre a genere… eppure è incredibilmente difficile proprio per questo.

    Ora, è interessante notare che il cinese pare che una volta fosse una lingua molto più “strutturata” e non basata sui toni. Ha percorso una strada analoga all’inglese, che è diventato sostanzialmente una lingua monosillabica e priva di chiare distinzioni tra verbo, sostantivo, aggettivo, priva di desinenze di caso o di genere.

    Ma se il cinese ha compensato introducendo i toni, l’inglese ha compensato con un vasto numero di suoni, con frasi intere che sostituiscono parole e con un vocabolario sterminato – e non mi riferisco al vocabolario tecnico.

    Credo che il problema principale per imparare davvero l’inglese sia costituito proprio da questo vasto mondo di modi di dire, dalla possibilità di scegliere tra parole che esprimono molte sfumature, e così via. Come immagino sia un po’ il caso nel cinese.

    • Moi scrive:

      A proposito di “Cininglese” 😉 … ricordo una ragazza che parlava Inglese ma ragionando alla cinese : ad esempio non usando conugazione verbale ma tutti verbi più o meno modali seguiti da infiniti senza “to”, del tipo :

      ” Yesterday she did go ” , oppure “I want not eat now” … e per enfatizzare raddoppiava il verbo del tipo “I remember remember” invece di “I do remember” …

    • Peucezio scrive:

      Miguel, non mi ricordo dov’è che ultimamente ho sentito che in molti casi (ci si riferiva al linguaggio politico o a un più generico linguaggio oratorio) in inglese c’è una sola parola per indicare un concetto che in italiano viene espresso da diversi sinonimi con significati non identici. Mi immaginavo uno stile un po’ pomposo e astruso a un tempo, da politico della I repubblica, sul genere delle convergenze parallele ecc.
      Mi pare di capire che tu in generale sostieni l’esatto contrario.
      Ma ti riferisci alla lingua letteraria, formale, comunque standard, rispetto alla quale la lingua di tutti i giorni è più povera o magari invece proprio alla lingua colloquiale coi suoi modismi, allusioni, sfumature appunto, che la lingua pura, scritta ignora… a cosa insomma?

    • astabada scrive:

      Nel senso 2, ovviamente. Ho usato volutamente la parola “semplice”, preferendola a “facile”. Ad esempio alcuni miei colleghi coreani non la trovano affatto facile, ma riconoscono che sia grammaticalmente semplice.

      Ecco, avrei dovuto aggiungere grammaticalmente.

      Non ho scritto altri commenti per la presenza evidente di persone piu` competenti in materia. Il mio era solo un contributo dovuto all’esperienza personale ed ho riportato prevalentemente le idee che gli stessi Inglesi (che frequento) hanno o mostrano della loro lingua.

  20. Claudio Martini scrive:

    Il filosofo Massimo Bontempelli spiega l’irrazionalismo tipico della cultura fascista (sto usando una terminologia di grana grossa, perdonatemi) sottolineando come la base di classe di quel movimento, ossia i ceti piccolo-borghesi del secolo scorso, fossero estranei alla realtà dei cicli produttivi del capitalismo. Così sia proletariato sia borghesia basavano la loro retorica su solide basi materiali, mentre i fascisiti su sogni e suggestioni.
    Forse la storia si ripete.

  21. Moi scrive:

    Segnalo una parola che partendi dall’ àmbito “Politiche Sociali” si è notevolmente diffusa: “vivibility” … chi non la gradisce è una Mummia Accademica ! 😉 🙂

  22. Moi scrive:

    Questa l’ ho sentita a Milano, il Primo Maggio due bauscia che probabilmente girano senza interprete (se non per affari delicatissimi) perché tanto “l’ Inglese lo so già” …

    Parlando con due donne il cui pessimo gusto nel vestire tradiva origini albioniche:
    a – “Do you speak English ?”
    b- “Yes that I speak it ! … Today Italy no work beacuse it’s the party of the first may !” [sic]

  23. Miguel Martinez scrive:

    Sulla diversa pronuncia statunitense… direi che la base fondamentale è la parlata degli ulsteriani, la spina dorsale, o la bestia da soma, della società americana.

    E talvolta, l’inglese degli Stati Uniti conserva forme andate quasi perdute in Inghilterra.

    Io condivido con i buzzurri americani e i docenti di Cambridge una netta distinzione di pronuncia tra “which” e “witch” che la maggior parte dei britannici non possiede più.

    • PinoMamet scrive:

      Beato te, per me suonano entrambe “uìcc”, da perfetto… buzzurro italiano;
      e confesso che avrei serie difficoltà a differenziare tra “war” e “whore”, e anche “warm” e “worm”, pronunciati da me, suonano pericolosamente simili;
      in compenso riesco a differenziare tranquillamente “shit” e “sheet”, “ship” e “sheep” ecc.

      ciao!

  24. Miguel Martinez scrive:

    Noto che la distinzione o mancata distinzione tra “w” e “wh” negli Stati Uniti segue un andamento geografico assai singolare:

    http://www.ling.upenn.edu/phono_atlas/maps/Map8.html

    Comunque la distinzione è più marcata, mi sembra, nelle regioni con radici ulsteriane.

  25. Miguel Martinez scrive:

    Per PinoMamet

    “Beato te, per me suonano entrambe “uìcc”, da perfetto… buzzurro italiano;
    e confesso che avrei serie difficoltà a differenziare tra “war” e “whore”, e anche “warm” e “worm””

    1) which/witch, dipende da chi l’hai sentito. Se l’hai sentito da qualcuno che non li distingue, è logico che ti suonino entrambi uguali.

    2) per me, “war” e “whore” hanno la stessa vocale (una /o/ aperta), ma una consonante completamente diversa: /w/ nel primo caso, /h/ nel secondo. Per me è parallelo a “word” e “heard”, che hanno una vocale identica, ma la stessa differenza di consonante che passa tra “war” e “whore”.

    3) “warm” e “worm”, nella mia pronuncia, sono /warm/e /wurm/ rispettivamente, due vocali nettamente diverse (all’incirca una “a” e una “u” italiana, rispettivamente)

    • PinoMamet scrive:

      Questa distinzione tra w e wh mi mancava, e ne terrò conto in futurO; ti ringrazio 😉
      per warm/worm, sono contento che la mia pronuncia approssimativa “pe ffamme capì” cogliesse pressapoco nel segno, almeno per quanto riguarda “warm”

      grazie!

  26. Miguel Martinez scrive:

    Per Claudio Martini

    “Scusa, ma chi sono gli ulsteriani? Discendenti di immigrati irlandesi?”

    Sì, ma protestanti, apocalittici, poveri, ubriaconi, armati, sfruttati e arrabbiati 🙂

    Sono il gruppo etnico più diffuso, deriso e ignorato dalla società statunitense.

  27. Barney scrive:

    Essendo stato in Fortezza, domenica scorsa, ho potuto verificare che la situazione era esattamente quella descritta. E mi ha dato parecchio noia vedere queste ragazze/donne vestite di bianco che armeggiavano con le mani sulle teste di persone prese a caso tra i visitatori, a -probabilmente- saggiare qualche meridiano energetico o auscultare chissa’ quale lamento dello spirito.
    Non so se posso osare, ma quelle robe li’ io le chiamo FUFFA.

    Barney

  28. Miguel Martinez scrive:

    Per Pino Mamet

    “Questa distinzione tra w e wh mi mancava”

    E’ l’ultimo residuo della /kw/ indoeuropea – infatti la /wh/ è caratteristica di parole come “why, which, where, when”, cui corrispondono “quis, qualis” etc. del latino.

    Tra l’altro, qui a Firenze, si usa normalmente la /wh/ in parole/espressioni come “sequestro” o “di quale”.

    • Peucezio scrive:

      Sì, nel caso dell’inglese l’aspirazione è dovuta alla prima rotazione consonantica (la prima Lautverschiebung, nota come legge di Grimm).
      Ma quindi l’aspirazione nella lingua standard, normativa, si sente?

  29. Miguel Martinez scrive:

    Sugli ulsteriani d’America, consiglio la lettura di questo fondamentale articolo http://www.kelebekler.com/occ/stangoff.htm dal sottotitolo “Le colonie interne” in poi

  30. Miguel Martinez scrive:

    Per Peucezio

    “Ma quindi l’aspirazione nella lingua standard, normativa, si sente?”

    Non c’è esattamente una lingua standard normativa inglese, non esistendo nulla di simile alle Accademie dei paesi latini.

    Esiste una pronuncia britannica, a vari livelli – universitario “alto”, giornalistico, popolare – una pronuncia scozzese, una australiana, una statunitense; e quest’ultima è praticamente priva di norme univoche, al di là di ciò che stabiliscono i dizionari.

    A quanto mi è dato capire (ma non sono certo), noi /wh/ofoni siamo attivi in:

    – Scozia
    – sud degli Stati Uniti
    – Nuova Zelanda
    – Irlanda
    – circoli accademici britannici

    Altrove prevale la muta feccia.

  31. Miguel Martinez scrive:

    Direi Stati Uniti del Nordest, variante colta, con conservazione di /wh/a volte scambiato per britannico, ma con precise differenze rispetto al britannico (ad esempio la conservazione della /r/ postvocalica, la “ae” e non la “a” davanti a sibilante o th, come “bath”, “class”). Varianti che sono peraltro arcaiche rispetto alla “received pronunciation” britannica.

    Inoltre, rispetto al britannico, un timbro più aperto, basso e leggermente più gutturale.

    • Peucezio scrive:

      New York più o meno? O a New York di scambiano per forestiero?
      Divertente comunque ‘sta cosa dello straniero (anche se tu sei per metà statunitense) che, avendo un’ottima competenza linguistica, ha un accento localizzato, legato a una variante geografica individuale.

      Mi ricorda un po’ il mio spagnolo madrileno, che viene immediatamente riconosciuto come tale da latino-americani, ma anche andalusi, canarî… anche se io una punta di accento italiano ce l’ho e comunque non ho un dominio completo della lingua, mi mancano espressioni, vocaboli, però siccome l’ho imparato con la pratica e in contesto pienamente castigliano, conosco i gergalismi tipici e il linguaggio colloquiale abbastanza bene.

      Miguel, ma tu, alla fine, quante lingue sai? Italiano, spagnolo e inglese come madrelingue, più una miriade sia pure meno perfettamente… no?

  32. Moi scrive:

    Miguel, e quando parli Spagnolo ?

    … Ti scambiano per Don Diego de La Vega 🙂 😉 🙂 😉 ???

  33. Miguel Martinez scrive:

    Per Peucezio

    “New York più o meno? “

    Ci sono due categorie di newyorkesi, quelli che si vedono in giro e quelli che se ne stanno nascosti nelle limousine, ai piani alti dei grattacieli e nelle ville.

    I primi parlano arabo, spagnolo, cinese, greco, napoletano e panjabi e tra di loro comunicano a gesti.

    Gli altri so vagamente che parlano in maniera assai diversa da me, ad esempio non pronunciano la /r/ postvocalica: dicono New Yok, per capirci.

  34. Miguel Martinez scrive:

    Per Moi

    “Miguel, e quando parli Spagnolo ?”

    Quando mi sentono parlare in spagnolo, mi scambiano per un turista italiano. La feccia, insomma 🙂

    Il mio spagnolo è infatti fortemente italianizzato, temo.

  35. PinoMamet scrive:

    “Quando mi sentono parlare in spagnolo, mi scambiano per un turista italiano. La feccia, insomma ”

    Una cosa che non capisco degli spagnoli è il diffuso sentimento di rivalità verso gli italiani
    (che altri italiani ti potranno confermare… e che a me è stato spesso confermato da italiani colà residenti).
    Nulla di grave, per carità, ma dagli spagnoli capita sovente di sentir fare paragoni con “noi”, paragoni da cui ovviamente (visto che l’occhio del padrone ecc. ecc.) “loro” devono emergere vincitori.
    La cosa è altrettanto frequente quanto sentire parlare di psicologia dagli argentini, cioè, abbastanza frequente (qualcuno un giorno dovrà spiegarmi la fissazione argentina per psicologia e psicanalisi).
    Gli italiani, dal canto loro, hanno la rara virtù di essere poco patriottici (in compenso, i sentimenti di patriottismo che gli altri hanno per la loro nazione, gli italiani li riservano, identici, per la loro città o al massimo regione di origine… che poi è la loro “nazione” in senso etimologico), quindi lasciano volentieri che gli spagnoli si prendano tutte le vittorie che credono; anzi, li assecondano, spesso.

    Quasi tutti i miei conoscenti con cui ho affrontato l’argomento, del resto, considerano il patriottismo e le vanterie nazionali (“abbiamo vinto la guerra del vaffancucco, inventato l’autoscontro e l’orologio a sbattimento…”) come una cosa da paese di serie B, e a me viene abbastanza da dargli ragione.

    • Peucezio scrive:

      Pino,
      gli spagnoli hanno molto forte il senso di rivalità verso gli italiani, per il fatto che, anche se non lo ammettono, capiscono che non possono mettersi sullo stesso piano di potenze economiche e politico-militari quali Francia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti, mentre noi saremmo simili, secondo loro, in quanto latini e mediterranei, solo che loro notano che noi facciamo parte del G8, che siamo presentissimi in Spagna e nel mondo con la moda, la cunica il design, ecc. e non capiscono come mai. Quindi s’incazzano. Fanno finta di esserci amici, dicendo che siamo simili, che siamo cugini, ma hanno un sentimento di rivalsa molto forte. Più gli uomini che le donne.
      Infatti alle spagnole piacciono gli uomini italiani e l’apprezzamento è ricambiato, mentre gli uomini spagnoli suscitano scarso interesse nelle nostre donne, così come uno spagnolo (ma, penso, uno straniero in genere) non saprebbe che farsene di una donna italiana.
      Infatti, tanto sono tronfi, grossolani e dozzinali gli uomini spagnoli (tranne una piccola élite che si distingue moltissimo dagli altri), tanto sono forti, intelligenti e con una spiccata personalità le donne, anche se a volte non incontrano il gusto di certi italiani, perché sono molto mascoline, al punto da sembrare delle scaricatrici di porto e l’italiano tipico, si sa, è molto maschilista e in fondo vuole un’ameba come fidanzata.
      Tornando alla rivalità, va riconosciuto agli spagnoli che il loro forte senso di opsitalità e la loro innata estroversione e propensione alla calorosità dei rapporti, compensa questo aspetto e fa sì che comunque lo straniero non senta affatto un ambiente ostile in Spagna, tutt’altro. Poi però, se si comincia a parlare di nazioni, abitudini ecc. ci si sente assicurare che Cristoforo Colombo era spagnolo, che la Spagna ha dato il maggiore contributo alla civiltà mondiale in tutti i campi, che la cucina spagnola è la migliore del mondo, che la lingua spagnola è la più ricca in assoluto ecc., al che l’unica reazione sensata è fare un sorrisino di indulgente compiacenza di fronte a tanto ignaro e beato provincialismo.

      Invece spiegami meglio la faccenda degli argentini…

      Miguel,
      alla fine non ho ancora ben capito se il tuo inglese è ascrivibile a qualche area georgrafica o sociale oppure è una variante tua, tale per cui qualunque anglofono ti percepirebbe come anglofono a tua volta e non come straniero, ma nessun anglofono ti prenderebbe per uno della sua città o del suo ambiente.

      E un’altra cosa: ci saranno pure bianchi anglosassoni di ceto medio-basso a New York, se non presenti lì da qualche generazione, almeno venuti dai dintorni, o non ce n’è proprio? E poi possibile che non ci siano in giro, per le strade, negri, figli o nipoti di italiani, irlandesi ecc. nati e cresciuti lì, che parlano un inglese tipico del luogo?
      Sono mere curiosità, se ti va raccontami…

      • PinoMamet scrive:

        Sugli argentini, ne so quanto te: quei pochi con cui ho parlato avevano un po’ la fissa dell’argomento, e mie amiche ex fidanzate di argentini (una ha anche vissuto là per un annetto), senza che io glielo chiedessi, mi hanno parlato di questa fissazione nazionale per la psicanalisi: boh!

        New York: so che gli italoamericani (che da qualche decennio preferiscono farsi chiamare italiani-americani: una fisima loro, in effetti molto “americana”) hanno un accento inglese particolare e distintivo, altre minoranze avranno i loro?
        (a parte gli indiani: quelli conosciuti da me erano studenti arrivati dall’India e convinti di essere inglese madrelingua, intrisi- almeno dal punto di vista italiano- di mentalità britannica, e sicuri che nel loro inglese “non ci fosse nulla di strano”; incapaci di pronunciare la w, con o senza acca, sostituita dalla “v”: “ver ver you?”=”dove eri, dove sei stato?”)

        ciao!

      • PinoMamet scrive:

        Confermo, almeno a stima nasometrica, la mascolinità delle spagnole (e ci metto sopra anche le acconciature particolarmente brutte delle ragazze… almeno qualche anno fa la più diffusa era “cespuglio disordinato+singolo dread posizionato a cazzo+un paio di perline”)
        però sono tutte impressioni così, da prendere a beneficio di inventario.

        • Peucezio scrive:

          Quanto al vestire e al gusto su spagnoli e spagnole stendiamo un velo pietoso.
          Su psicanalisi e Argentina: boh, sarà per la quantità di ebrei che vive da quelle parti.

  36. Miguel Martinez scrive:

    Per Peucezio

    “alla fine non ho ancora ben capito se il tuo inglese è ascrivibile a qualche area georgrafica o sociale oppure è una variante tua, tale per cui qualunque anglofono ti percepirebbe come anglofono a tua volta e non come straniero, ma nessun anglofono ti prenderebbe per uno della sua città o del suo ambiente.”

    Una riflessione molto interessante, anzi hai colto esattamente il quadro: “non è straniero, ma non è del mio ambiente”.

    Spesso gli americani mi prendono per inglese, gli inglesi per americano. Nessuno mi prende per “non anglofono”, però.

    Ma credo che anche il mio italiano siculo-romano-piacentino- imolee-veronese-fiorentino sia così.

    • PinoMamet scrive:

      Mmm
      per un italiano è più raro, ma ho conosciuto in effetti una persona che mi dava più o meno la stessa impressione “non straniera, ma non saprei bene di dove”:
      era una ragazza italo-brasiliana-americana, nel senso di nata in Brasile da genitori di origine italiana, e poi stabilita negli USA; che parlava italiano piuttosto bene, senza accento straniero (non “da brasiliana” o “da statunitense” per esempio) ma anche senza tracce di un qualche accento italiano definibile. Aveva un accento suo, ecco.

      • Peucezio scrive:

        Curioso. In effetti in Italia è decisamente rara una cosa del genere. In genere ognuno ha il suo accento, che può essere quello del luogo dov’è cresciuto o, se è uno con molto orecchio che tende inconsciamente a mimetizzarsi (nel senso etimologico di imitare), dove vive e gli stranieri che parlano piuttosto bene hanno in genere l’accento del posto dove hanno imparato l’italiano, di solito mescolato col loro accento straniero. Una volta conobbi a Milano un catalano che si sentiva lontano un miglio che era vissuto in Toscana.
        Magari non è così, ma credo che se sentissi parlare Miguel, gli attribuirei un accento quantomeno molto prevalente, anche se non escludo che nel luogo ove si parla con quell’accento lo sentano come forestiero perché il suo non è puro.
        Di solito il proprio accento è quello di dove si è vissuta la preadolescenza e l’adolescenza, diciamo dai 12-13 ai 18 anni più o meno.

  37. Miguel Martinez scrive:

    Per PinoMamet

    Non ho presente una variante specifica italo-americana.

    Invece, è immediatamente riconoscibile la variante nera.

  38. serpe scrive:

    Insomma hai scritto un post bellissimo e poi siete finiti a parlare d’altro.
    Sei molto acuto, Miguel, complimenti.
    Hai capito che non c’è nessuna Terra Futura. E’ tutto spettacolo. Perchè ormai siamo così: facciamo spettacolo. Siamo talmente lontani dai fatti, da noi stessi che non “facciamo ” più nulla. Lasciamo che gli altri ci “facciano”. Nessuno pensa più.
    E per fortuna non hai parlato dell'”equo e solidale”, altro pacco clamoroso. Quelli sono tremendi. Stanno lì a vendere cioccolata equo e solidale e tutti contenti….ce ne fosse uno che si rendesse conto che il vero “equo e solidale” sarebbe di non consumare cioccolata, caffè, ecc.

  39. Moi scrive:

    Miguel … perché la retorica della pidginizzazione come epica vendetta dei dominati sui dominanti non ti trova d’ accordo ?

  40. Miguel Martinez scrive:

    Per Serpe

    Grazie, scusami del ritardo con cui ho approvato il tuo commento. Dovresti adesso essere un commentatore “autorizzato”, senza ulteriore bisogno di approvazioni.

  41. Miguel Martinez scrive:

    Per Moi

    “Miguel … perché la retorica della pidginizzazione come epica vendetta dei dominati sui dominanti non ti trova d’ accordo ?”

    Ma la pidginizzazione ha certamente un suo fascino – penso a tutti i linguaggi che usano i Rom.

    Dubito invece che l’anglobale del mercato planetario sia una “vendetta dei dominati”.

    Ci sarebbe da valutare il ruolo della lingua “alta” inglese nel dominio: certamente, un gran numero di viaggiatori inglesi dell’Ottocento erano anche eccellenti autori, che scrivevano in un bellissimo inglese, molto ricco e carico di ironia.

    E alcuni di questi autori – non tutti – erano del genere, diplomatico-con-seguito-di-servitori-negri-a-caccia-di-elefanti.

    Ma non credo che la lingua “alta” abbia svolto alcun ruolo nella diffusione del dominio statunitense; anzi, la lingua è spesso stata strumento di critica.

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