La Libia immaginaria di Valerio Evangelisti

Una volta, praticamente tutti gli italiani erano contro le guerre: inconcepibile, anche ai tempi dei più grigi governi democristiani, l’idea di un uomo politico che offrisse cacciabombardieri italiani per la guerra nel Vietnam.

All’epoca, infatti, il potenziale nemico era l’Unione Sovietica, con tutto il suo arsenale nucleare. La sinistra era contro le guerre e la non-sinistra non sapeva nemmeno dove si trovasse il Vietnam, figuriamoci se aveva voglia di attaccarlo.

Poi siamo entrati nel nuovo mondo, in cui il nemico poteva avere migliaia di soldatini e fucili, ma non era in grado di abbattere un solo aereo. E quindi era a tutti gli effetti disarmato. Di fronte a un missile Tomahawk, non c’è differenza tra un militare di leva con un mitra e una vecchietta con una padella di ferro.

Così la guerra è diventata finalmente divertente. Certo, non la chiamano più così. Quando un padrone picchia il proprio schiavo, non si dice che “c’è stata una rissa”; e quando il governo degli Stati Uniti decide di bombardare qualcuno che non obbedisce, non si parla di “guerra”. Si usa piuttosto qualche variante della vecchia parola spagnola, Requerimiento.

Nel 2003, era al governo Silvio Berlusconi e Silvio Berlusconi voleva la guerra. Cosa che ha reso per un momento impopolare il concetto stesso di guerra tra coloro che ce l’avevano con Silvio Berlusconi.

Passa qualche anno, la sinistra torna per un po’ al potere, e la guerra diventa talmente un dovere anche per la sinistra, che nel 2006 un partito che si chiama comunista espelle i propri deputati che non la apprezzano. Da allora, tutto diventa possibile.

Il piccolo ambiente che comunque ha continuato ad opporsi al concetto di guerra si spacca di nuovo attorno alla questione dell’attacco franco-anglo-americano alla Libia.

Abbiamo già analizzato criticamente i motivi che inducono Gabriele Del Grande a sorvolare sul fatto maggiore – la guerra internazionale – in nome del fatto minore, cioè i conflitti interni della Libia.

In questi giorni girano però anche altri testi che affermano più o meno le stesse cose, ma si rivolgono in maniera più netta agli ambienti militanti: segnaliamo un intervento di Valerio Evangelisti, uno dei più noti autori fissi della Mondadori.

Commentando il blog En route!, Valerio Evangelisti scrive:

“l’intero blog andrebbe letto da cima a fondo. Ciò permetterebbe di cogliere la sostanza di classe, quanto mai moderna, della insurrezione libica. Paese in cui l’85% della popolazione vive in aree urbane e patisce i contraccolpi del neoliberismo, abbracciato con entusiasmo da Gheddafi.

Che dicono gli shebab dell’ingerenza straniera? Ovviamente ne sono contenti: fa loro comodo (Lenin stesso accettò gli aiuti della Germania). Sono perfettamente consapevoli che c’è chi vuole impadronirsi delle loro materie prima. Ma aggiungono: “Gli Occidentali si prendano il nostro petrolio: la rivoluzione vera la faremo dopo“. Rivendicano insomma la loro autonomia, sale di tutte le rivoluzioni.”

Stiamo parlando della stessa “rivoluzione” che Gabriele Del Grande descrive così, rispondendo alla domanda, chi fa parte del Consiglio Nazionale Libico?

“Sono personaggi di varia estrazione. Soprattutto avvocati, giudici, uomini d’affari e qualche faccia pulita del regime che ha abbandonato Gheddafi in tempo e che non ha le mani sporche di sangue.”

“Per quello che ho visto in questi giorni, io mi sento di appoggiare pienamente il popolo libico. Nella migliore delle ipotesi ne uscirà una repubblica costituzionale basata su un sistema economico liberista.”

E sulla “sostanza di classe”, è sempre Del Grande a chiarire:

“A differenza della Tunisia e dell’Egitto, la Libia è un paese ricco. Anche in questi giorni si vedono in giro fuoristrada nuovi di pacca e le case dove sono entrato sono case di classe media. I poveri in città sono soprattutto gli stranieri. Egiziani, sudanesi, chadiani, tunisini, marocchini, nigeriani, emigrati in Libia a cercare fortuna e finiti a fare i lavori più umili e meno pagati. Diverso è il discorso della campagna e del mondo rurale, che vive molto al di sotto del tenore di vita delle città. Ma di nuovo, qui non si protesta per i salari. Non ho mai sentito nominare la parola “salario” in piazza. Certo si grida allo scandalo per la corruzione, ma il punto principale è la libertà e la fine della dittatura e del terrorismo di Stato.”

E questi immigrati, che tengono in piedi il paese, dove li vediamo nella rivoluzione?

O tra gli sbarcanti di Lampedusa, o tra i presunti mercenari di Gheddafi, o tra le vittime dei pogrom dei primi giorni della rivolta.

Valerio Evangelisti sostiene che la “ingerenza straniera” (cioè i bombardamenti internazionali) “fa comodo” ai ribelli libici.

La cosa è possibile, certamente; ma sembrano sfuggirgli i rapporti di forza. La presenza di una base NATO a Pozzuoli fa comodo a migliaia di famiglie napoletane; ma sono i responsabili della base, e non i custodi dei parcheggi o gli operai edili o i contrabbandieri di sigarette ad avere il coltello dalla parte del manico.

Evangelisti ci presenta l’eccezione storica (o il precedente teologico) che giustifica i compromessi più strani: Lenin. Che fu un genio dell’organizzazione, capace di creare un partito spietato ma flessibile,  ancora più efficace di un esercito, con un progetto immenso e chiaro.

Francamente, non mi sembra che gli “avvocati, giudici, uomini d’affari e facce pulite del regime” siano dei Lenin. O forse il riferimento è al nuovo comandate militare dei ribelli, Khalifa Hiftar, che aveva diretto le sciagurate campagne militari di Gheddafi nel Ciad prima di trasferirsi negli Stati Uniti?

Ma ritorniamo al concetto di “repubblica costituzionale basata su un sistema economico liberista”. Anche se non sono d’accordo con Gabriele Del Grande, gli riconosco una notevole intelligenza e onestà. E non trovo affatto improbabile che venga fuori qualcosa di simile alla sua “migliore ipotesi” (quelle peggiori non ce le presenta).

Cioè, imprenditori francesi, americani e inglesi che “rinegoziano” i contratti, a danno dei propri compari italiani e a condizioni molto migliori per se stessi. Lasciando però abbastanza da mantenere un ceto medio di funzionari libici, che avranno più certezza dei propri diritti individuali di quanta ne abbiano attualmente.

Con due partiti, quello di Abu Bersani e quello di Ibn Berlusconi, che si contendono le elezioni.

Il ceto medio potrà mantenersi con il duro lavoro degli immigrati; e il paese sarà sostanzialmente chiuso verso i paesi arabi e africani, mentre – galoppiamo creativamente – produrrà imam moderati ed esperti per controllare le comunità islamiche in Europa, in stretta collaborazione con i servizi segreti occidentali.

E’ un obiettivo per cui vale la pena di combattere? Per molti giovani libici, forse sì. I guai nascono quando si attribuisce il termine “rivoluzione” a qualcosa di simile.

Siccome non è la prima volta che vedo un fenomeno del genere, posso ipotizzare che si tratti dell’eterna ricerca del Soggetto Rivoluzionario che caratterizza l’estrema sinistra, non solo quella rigorosamente marxista.

La visione di tanta gente che cammina per strada ha un curioso effetto obnubilante sull’intellighentsia di sinistra. Considerando che le stesse immagini di gente che cammina per strada sono un sottoprodotto del sistema spettacolare-mediatico: a destra il Grande Fratello, a sinistra le Masse in Marcia, sempre spettacolo è.

Non a caso, l’icona più significativa della sinistra italiana è il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, un quadro in cui si vede il Popolo Contadino che Cammina Verso il Futuro. Un futuro in cui i camminanti reali e i loro discendenti incontreranno non solo l’abbandono della terra che rivendicavano, ma anche due guerre mondiali, il fascismo, la piccola impresa padana e Lele Mora. Però il Futuro dei sognatori è sempre un’altra cosa.

quarto-statoLe folle di pakistani urlanti non fanno Camminanti Democratici; ma se i Camminanti si vestono più o meno come noi, si può sempre fantasticare che siano tanti Nannimoretti e Sabinaguzzanti, e che sia finalmente arrivata l’Ora della Rivoluzione. Che più la camminata è disorganizzata, più è confusionaria e saltellante o girotondante, meno è bolscevica o maoista.

Infatti, la damnatio memoriae delle poche rivoluzioni riuscite nella storia è ormai entrata in quasi tutti i cuori di sinistra. Senza che siano state liquidati gli aspetti peggiori di quelle rivoluzioni – la divisione del mondo in buoni e cattivi, la certezza della propria superiorità morale, le semplificazioni feroci, la rimozione di ogni ambiguità, le liste di proscrizione e la paranoia delle infiltrazioni.

Curioso il processo che si svolge ogni volta che i Camminanti deludono le aspettative dei loro spettatori: pensiamo al caso tragicomico di Carlo Panella, che pensava che gli iraniani in piazza nel 1979 fossero gente come lui. Quando lo hanno deluso, si è talmente arrabbiato da trasformarsi in uno degli islamofobi più rumorosi d’Italia.

I Carlo Panella prima versione ci tengono molto a negare che esistano “differenze culturali“: anche gli arabi, ci assicurano, possono essere milanesi. E quindi – come Evangelisti – corrono a sottolineare che i ribelli libici sono “quanto mai moderni“. Ipotizzare che un libico possa essere in qualche modo diverso da un italico medio viene definito “razzismo” (nei confronti del libico, non dell’italico). Che quello anormale potesse essere Carlo Panella, non può nemmeno entrare nell’anticamera del cervello di un occidentale.

Infatti, la stranezza che negano è sempre quella degli altri: nessuno si sorprende del fatto che il comunismo, impiantato tra gli esotici bolognesi, abbia dato frutti assai bizzarri rispetto al modello russo; o che la particolarità della Lucania abbia fatto sì che la sinistra locale sia composta sostanzialmente da cattolicissimi notabili ex-democristiani.

Non sono dentro il cervello del tipico apologeta bellico di sinistra, ma penso che siano speranze e proiezioni di questo tipo che fanno perdere di vista ciò che è maggiore e ciò che è minore.

Valerio Evangelisti non ci presenta il futuro Lenin della Libia, che resta nel mondo delle possibilità; ma ci parla degli shebab – normale parola araba, che indica “giovani”, come in “folla di giovani chiede autografi a Maria De Filippi“. Questi giovani, ci assicura Evangelisti, riusciranno a sfruttare e prendere in giro non solo i potentati locali, ma anche Nicolas Sarkozy, Barack Obama e David Cameron, nonché i loro promotori militari e imprenditoriali. Ci auguriamo vivamente che ciò sia vero, a riprova di tutti i luoghi comuni sull’astuzia araba.

Ma colpisce che questo sia l’unico accenno che Evangelisti faccia alla guerra internazionale in corso.

E’ un po’ come se uno storico vedesse in ciò che noi chiamiamo normalmente la Prima guerra mondiale una nota a piè di pagina in un testo sulla lotta di liberazione dei serbo-bosniaci contro l’impero austroungarico.

Non sarebbe esattamente sbagliato – in fondo, tutto inizia con l’attentato di Sarajevo. Potrebbe pure essere comprensibile in un libro di storia scritto per studenti serbo-bosniaci.

E si potrebbero probabilmente intavolare parecchie discussioni interessanti sui torti e sulle ragioni del nazionalismo serbo e del dominio austroungarico.

Però la Prima guerra mondiale è un’altra cosa; come l’attacco alla Libia è altra cosa dalle ragioni e dai torti di Gheddafi e degli insorti.

Detto tutto questo, vi invito a leggere il Dialogo tra un venditore di gazzette e un passeggiere a proposito della guerra di Cirenaica di Riccardo Venturi. Probabilmente non sono d’accordo sulle sue pur incerte conclusioni, ma è un’opera letteraria di prim’ordine.

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99 risposte a La Libia immaginaria di Valerio Evangelisti

  1. mirkhond scrive:

    L’atteggiamento di Panella ricorda anche quello dei giacobini francesi, i quali scandalizzati dall’insurrezione del POPOLO vandeano a FAVORE del decapitato Luigi XVI e del Cattolicesimo nel 1793-94, ordinarono il MASSACRO di gran parte della popolazione della Vandea. Giacobini che non potevano accettare che un’intera popolazione si schierasse CONTRO una rivoluzione “popolare” come era nelle menti dei dottrinari di Parigi.

  2. rosalux scrive:

    Eppure l’unica chance di avere ragione, per un marxista, si giocherebbe proprio lì: la rivoluzione borghese che porterà alla rivoluzione proletaria, tappe meccaniche di una storia inevitabile. Io non ci credo, a questa visione deterministica, ma ho la sensazione che anche tu stia combattendo contro un nemico già morto, in compagnia di amici altrettanto agonizzati. E poi, se ci pensi, in questo casino, neppure si capisce più se l’ebreo sionista è Sarkosi o Gheddafi signora mia…

  3. Miguel Martinez scrive:

    Per Mirkhond

    In genere, questo particolare tipo di giacobini dice che:

    1) le sommosse che piacciono a loro sono spontanee e solo un pazzo complottista può attribuirle a qualcos’altro

    2) le sommosse che non piacciono loro sono create ad arte con un complotto.

    Io taglio la testa al toro, dicendo che tutte le sommosse sono autentiche. Se la gente rischia la vita in massa, di solito c’è un valido motivo. I complotti e le manipolazioni arrivano dopo.

    In questo senso, ritengo che siano spontanee: la rivoluzione francese, la Vandea, la rivoluzione bolscevica, le insurrezioni antibolsceviche dell’Asia Centrale, la rivolta contro Somoza, la rivolta anti-sandinista dei Miskito, la rivoluzione cubana e la rivolta dei minatori cileni contro Salvador Allende.

    E che siano tutte cose che in qualche modo sono state manipolate, come è nella natura degli eventi umani.

    • Peucezio scrive:

      Articolo splendido!

      Venendo a queste ultime osservazioni, io distinguerei le rivolte dalle rivoluzioni. Credo che le prime siano spontanee (infatti non riescono mai), mentre le seconde meno e comunque, di solito, i protagonisti ne sono i ceti emergenti e non quelli che stanno peggio.
      Tutt’al più può accadere che, in un clima instabile di forte crisi degli assetti presenti, tale ceto egemone approfitti di una rivolta spontanea per cavalcarla e dirigerla secondo i suoi piani (come più o meno hai detto anche tu), ma in quel caso la rivolta popolare fa solo da detonatore inconsapevole di un progetto rivoluzionario di più ampio respiro e preparato da prima, anche se, come al solito, non dobbiamo pensare a in complotto organizzato nei dettagli, ma a un orientamento, a una tendenza rivoluzionaria delle parti più emergenti e dinamiche della società.
      Nel caso della Rivoluzione Francese comunque, una certa partecipazione popolare, soprattutto a Parigi e in altre realtà urbane, è difficile negarla. In quella bolscevica faccio proprio fatica a vedere una qualche componente popolare, per quel poco che ne so (non sono un esperto della rivoluzione russa).

      • Andrea Di Vita scrive:

        Per peucezio

        ”Venendo […] negarla.”

        Concordo. In ‘1984’ Orwell parla di rivolte sistematicamente sedate, mentre le rivoluzioni, ispirate da élites, hano come effetto finale l’instaurarsi del potere tirannico di nuove élites.

        ”In quella […] russa”

        Dimentichi le masse di reduci e disertori affascinati dal programma Bolscevico ‘pane e terra’ che sostennero i Rossi contro Kerenski prima e Denikin poi. Bisogna aspettare Kronstadt per assistere a una prima scollatura seria.

        Ciao!

        Andrea Di Vita

        • mirkhond scrive:

          Per non dimenticare i coloni russi in Asia Centrale che si schierarono con l’armata rossa di Frunze contro i Basmaci musulmani. Qui era più importante il potere russo, del bolscevismo.
          Del resto la rivolta era scoppiata nel 1916 e sarebbe continuata in modo decrescente fino al 1934, senza soluzione di continuità tra lo Zar e il Comunismo.
          ciao

  4. Miguel Martinez scrive:

    Per Rosalux

    “ma ho la sensazione che anche tu stia combattendo contro un nemico già morto, in compagnia di amici altrettanto agonizzati.”

    Sul primo punto, sono abbastanza d’accordo; sul secondo, non saprei – non credo di avere molti amici. Non nel senso che tutti ce l’hanno con me 🙂 ma nel senso che conto sulle dita di una mano persone che la pensano quasi sempre come me. E qualcuno è certamente agonizzante, altri non saprei.

    Per quanto riguarda chi è l’ebreo e sionista, veramente è un problema tuo, io non avevo nemmeno accennato al tema sionismo.

    • Francesco scrive:

      ecco, approfitto di questa tua affermazione per dire che forse siamo al record: sono in disaccordo con te a un buon 125% di quello che hai scritto!

      però rimango all’incirca un tuo amico

      😀

  5. p scrive:

    sei un po’ in ritardo rosalux. Non esistono più rivoluzioni borghesi da fare in nessuna parte del mondo. C’è capitalismo dappertutto. Avete una strana idea di marxismo.p

  6. Piero Pagliani scrive:

    E’ una analisi di grande raffinatezza che coglie con l’ironia che le compete la fine farsesca della sinistra e dei suoi intellettuali che riprendendo il giudizio di Pasolini si potrebbero definire “irresponsabili”.
    A Mirkhond vorrei dire che la nostra sinistra all’epoca della Vandea sarebbe stata coi vandeani. Di sicuro non si sarebbe fatta sfuggire l’occasione.
    Lì infatti il problema non era che una rivoluzione popolare andava contro la rivoluzione giacobina (che tra l’altro giacobina era solo in parte, dato che il Comitato di Salute Pubblica aveva la fiducia, democraticamente votata, anche dei Girondini e della Montagna, se non mi ricordo male). Il problema era che in Vandea il “popolo” si era sollevato dietro la direzione dei reazionari.
    Ora, la cosa non è una novità. Succedeva anche nel 1848 dato che Marx ed Engels nel “Manifesto del Partito Comunista” dovevano scrivere: “Per trascinare il popolo dalla loro parte, gli aristocratici sventolavano fra le mani, come una bandiera, il fagotto del mendicante. Ma ogni volta che la folla li seguiva, essa scorgeva sul loro deretano gli antichi stemmi feudali e si disperdeva tra fragorose e irriverenti risate”.
    E anche in tempi più vicini a noi, se Bertold Brecht chiudeva la poesia “Il monumento” con queste parole: “Quando è l’ora di marciare / molti non sanno / che il nemico marcia alla loro testa”.
    E’ la storia della sinistra italiana della cosiddetta Seconda Repubblica e dei suoi esausti leader, esausti intellettualmente, politicamente e umanamente.
    Solo che oggi siamo troppo depressi per scoppiare in fragorose risate. Ma i blasoni dei servi degli aristocratici sul loro deretano li abbiamo visti bene.

    Piotr

    • Peucezio scrive:

      Mah… Non ce la vedo proprio, in tutta franchezza, questa analogia fra la sinistra attuale e i vandeani.
      L’idea dei vandeani pilotati dagli aristocratici e dal clero è un vecchio slogan rivoluzionario. La realtà è che c’era una piena coincidenza d’intenti e di interessi.
      La sinistra attuale, nella misura in cui hanno senso simili parallelismi di classe in contesti storici diversi, è espressione di ceti e istanze analoghe a quelle, semmai, dei rivoluzionari, ma in una fase discendente, attardata, crepuscolare. Cioè, se i rivoluzionari francesi lottavano per rafforzare e istituzionalizzare i loro privilegi, essendo la classe in ascesa, la sinistra attuale rappresenta il ceto egemone in decadenza che lotta semmai per mantenere tali privilegi, progressivamente erosi non tanto da altre classi, ma da una più generale crisi degli assetti e delle basi economiche della società.

    • mirkhond scrive:

      Per Piero Pagliani

      A proposito, hai delle novità dalla Siria?
      ciao

      • Peucezio scrive:

        La cosa triste della fantastoria è il ritorno all’amara realtà.

      • mirkhond scrive:

        I Francia i giacobini furono i nazisti Andrea.
        Altrimenti perchè rimuovere certe pagine di storia imbarazzanti?
        ciao

        • Andrea Di Vita scrive:

          Per mirkhond

          Di questo passo come dovremo considerare gli Inglesi che aiutarono sottobanco gli Spagnoli lealisti ribelli contro il governo filoFrancese di Madrid all’epoca del Bonaparte? Dei commandos in azione umanitaria ante litteram? Goya ha ben descritto le smisurate atrocità di quella guerrilla e della sua repressione.

          Per quanto mi riguarda, non mi nascondo l’ambiguità della storia. Ogni causa, anche la più nobile, perde l’innocenza nel momento in cui provoca le atrocità che combatte: come dice De Andrè nel ‘Testamento di Tito’, ‘un ladro non muore di meno’ di un innocente, quale che sia il modo di designare l’innocente. Se qualcuno ha mai trovato il modo di garantire la convivenza umana senza ricorrere prima o poi al palo della tortura dell’innocente, non ne è rimasta traccia. (E’ il non avere rifiutato cio’ che rende profondamente vicina anche agli agnostici la figura di Cristo). L’attuale conflitto in Libia -e la perdurante ipocrisia di tutti con le vicende odierne di Lampedusa- è la conferma di questa fondamentale ambiguità. Nè la disponibilità selettiva, quella ad essere uccisi ma non ad uccidere, di un Gandhi o di un Terzani sono la soluzione: Hitler non fu fermato dalle preghiere, e la protesta di Formiggini che si butto’ dalla Torre degli Asinelli per protestare contro le leggi razziali del duce passo’ talmente sotto silenzio ce nemmeno nei 25 Aprile di oggi viene più ricordata. Di fronte a tutto cio’ solo gli ipocriti possono ancora postulare l’unità di fondo della morale e della politica. E’ più umanitario un Machiavelli di un Capitini. Ha allontanato di più gli orrori di una guerra un Oppenheimer di una Madre Teresa.

          Ciao!

          Andrea Di Vita

          • mirkhond scrive:

            Per Andrea Di Vita

            Non posso che parlare per me, naturalmente.
            Non ho simpatia per le rivoluzioni, e proprio perchè il prezzo da pagare è sempre troppo alto…
            Mi dirai, ma i miglioramenti che ci sono stati in vari campi della vita, non valevano l’ennesimo sacrificio umano?
            Il fatto è che quando il cancro e la depressione hanno distrutto la tua famiglia, chi amavi e chi ti amava davvero, con i tuoi difetti e i tuoi pochi pregi, e chi resta è solo, solo e cattivo, spaesato, in rotta con gli altri rimasti che non capiscono niente, che ti abbandonano perchè il dolore Andrea, il dolore NON unisce, anzi divide ancora di più, è allora che capisci che la vita un senso non ce l’ha, o se ce l’ha tu non riesci proprio a capirlo…
            Cosa fa la differenza tra le stragi giacobine e quelle naziste? Che le prime sono fatte a favore dell’umanità? Insomma è l’etichetta che rende il veleno meno velenoso?
            Che mi serve fare mille rivoluzioni, innalzare mille barricate, se poi, quando ho DAVVERO bisogno di aiuto, di una parola buona, di un incoraggiamento, il giacobbino non c’è, esattamente come il ciellino, il neocon o chi cappero volete.
            La rivoluzione non si può fermare su queste quisquilie borghesi, su questa roba decadente, protesa a conseguire il “bene” per un’umanità astratta e indefinita, mentre invece l’uomo concreto, quello con cui abbiamo a che fare quotidianamente, quello spesso è irrecuperabile…
            Sono proprio i dolori, le sofferenze della vita, ad aprirti gli occhi sull’inutilità di tante rivoluzioni umane seppure fatte con le migliori intenzioni…
            ciao

            • Andrea Di Vita scrive:

              Per mirkhond

              Credo che l’unico vero progresso in politica sia quello che porta a dare a ciascuno la possibilità di cercare un senso alle inconguenze e alle contraddizioni della propria vita come meglio riesce senza buttargli addosso vincoli dal’esterno. Così, la Rivoluzione Francese ha cominciato a liberare gli esseri umani dagli obblighi di una religione, fino a quel momento considerati altrettanto inevitabili di un temporale o un terremoto. Allo stesso modo, la Rivoluzione Bolscevica ha insegnato agli oppressi che la loro oppressione è artificiale e rimuovibile. Entrambe hano portato nella storia umana quello che fino ad allora era solo il frutto delle intuizioni di qualche saggio isolato. Cio’ non significa che il mondo futuro sarà Illuminista o Comunista: magari non sarebbe neppure desiderabile. Ma puo’ assere almeno un mondo in cui le persone sanno che fra i fardelli che appesantiscono la loro esistenza ce ne sono alcuni decisamente evitabili e superflui. Curare una carie non cura il mal di denti e magari non allontana la morte: ma la cura della carie è assai preferibile all’alternativa.

              Parole definitive sono quelle scritte da George Orwell ad epitafio di un poveraccio Italiano che lui conobbe in Spagna, dove era sfuggito agli stalinisti (‘Looking back on the Spanish war’, 1943). E’ una bella risposta a chi ripete che ‘non di solo pane vive l’uomo’ e a chi ciancia di Difesa Dei Valori. Soprattutto, non teme di affrontare il connubio fra disperazione dell’individuo e politica. Te ne faccio dono volentieri. A me hanno fatto solo bene.

              ”When one thinks of all the people who support or have supported Fascism, one stands amazed at their diversity. What a crew! Think of a programme which at any rate for a while could bring Hitler, Petain, Montagu Norman, Pavelitch, William Randolph Hearst, Streicher, Buchman, Ezra Pound, Juan March, Cocteau, Thyssen, Father Coughlin, the Mufti of Jerusalem, Arnold Lunn, Antonescu, Spengler, Beverley Nichols, Lady Houston, and Marinetti all into the same boat! But the clue is really very simple. They are all people with something to lose, or people who long for a hierarchical society and dread the prospect of a world of free and equal human beings. Behind all the ballyhoo that is talked about ‘godless’ Russia and the ‘materialism’ of the working class lies the simple intention of those with money or privileges to cling to them. Ditto, though it contains a partial truth, with all the talk about the worthlessness of social reconstruction not accompanied by a ‘change of heart’. The pious ones, from the Pope to the yogis of California, are great on the’ change of heart’, much more reassuring from their point of view than a change in the economic system. Petain attributes the fall of France to the common people’s ‘love of pleasure’. One sees this in its right perspective if one stops to wonder how much pleasure the ordinary French peasant’s or working-man’s life would contain compared with Petain’s own. The damned impertinence of these politicians, priests, literary men, and what-not who lecture the working-class socialist for his ‘materialism’! All that the working man demands is what these others would consider the indispensable minimum without which human life cannot be lived at all. Enough to eat, freedom from the haunting terror of unemployment, the knowledge that your children will get a fair chance, a bath once a day, clean linen reasonably often, a roof that doesn’t leak, and short enough working hours to leave you with a little energy when the day is done. Not one of those who preach against ‘materialism’ would consider life livable without these things. And how easily that minimum could be attained if we chose to set our minds to it for only twenty years! To raise the standard of living of the whole world to that of Britain would not be a greater undertaking than the war we have just fought. I don’t claim, and I don’t know who does, that that wouldn’t solve anything in itself. It is merely that privation and brute labour have to be abolished before the real problems of humanity can be tackled. The major problem of our time is the decay of the belief in personal immortality, and it cannot be dealt with while the average human being is either drudging like an ox or shivering in fear of the secret police. How right the working classes are in their ‘materialism’! How right they are to realize that the belly comes before the soul, not in the scale of values but in point of time! Understand that, and the long horror that we are enduring becomes at least intelligible. All the considerations are likely to make one falter—the siren voices of a Petain or of a Gandhi, the inescapable fact that in order to fight one has to degrade oneself, the equivocal moral position of Britain, with its democratic phrases and its coolie empire, the sinister development of Soviet Russia, the squalid farce of left-wing politics—all this fades away and one sees only the struggle of the gradually awakening common people against the lords of property and their hired liars and bumsuckers. The question is very simple. Shall people like that Italian soldier be allowed to live the decent, fully human life which is now technically achievable, or shan’t they? Shall the common man be pushed back into the mud, or shall he not? I myself believe, perhaps on insufficient grounds, that the common man will win his fight sooner or later, but I want it to be sooner and not later—some time within the next hundred years, say, and not some time within the next ten thousand years. That was the real issue of the Spanish war, and of the last war, and perhaps of other wars yet to come.”

              Ciao!

              Andrea Di Vita

              • mirkhond scrive:

                Non lo Andrea, ma avendo letto 1984, penso che Orwell volesse dirci che le rivoluzioni moderne ci hanno liberato da una tirannia per farcene cadere sotto un’altra peggiore, perchè più subdola e non riconosciuta come tale.
                Penso alla Russia sovietica, ad uno Stalin che ancora oggi viene osannato da gente come Canfora e Losurdo, persone di elevatissima cultura ma che, per lo fortuna, non hanno mai potuto gustare le dolcezze di un simile paradiso….
                E penso anche a Ignazio Silone, uno che di tragedie personali se ne intendeva eccome, il quale approdò ad una tormentata ispirazione cristiana, ad un Gesù che però NON ti libera dal male….
                Silone dicevo, dopo una vita di riflessione, dopo una dolorosa continuazione di una lotta solitaria, come egli la chiamava, pensava che la vera rivoluzione prima che farla sulle barricate, dovremmo farla dentro noi stessi. Il che, lo sappiamo benissimo, è la cosa più difficile del mondo, se non impossibile…
                ciao e grazie!

              • mirkhond scrive:

                errata corrige:
                non lo so Andrea

              • Andrea Di Vita scrive:

                Per mirkhond

                Orwell l’articolo che ho citato lo ha scritto cinque anni prima di ‘1984’ (che scrisse appunto nel 1948: il titolo lo ottenne invertendo le ulitme due cifre della data in cui scriveva il libro). Il succo che visto che alla fine tutte le lotte sono ugualmente ipocrite e cruente (quando leggo ‘squalid farce of left-wing politics’ mi viene in mente d’alema) Allora conta la direzione d quelle lotte (‘ostinata e contraria’, avrebbe detto De Andrè qualche decennio dopo).

                Direzione che non tende ad abolire il dolore e alla disperazione, ma a consentire a ciascuno di opporvisi come puo’, senza che alcuni lo debbano fare per forza nel fango (quello vero, intendo, non quello ‘del peccato’) per consentire a pochi altri di farlo nel velluto.

                Ecco che allora tutti i discorsi ”about the worthlessness of social reconstruction not accompanied by a ‘change of heart’. ” appaiono sbugiardati per quello che sono.

                E non vale citare Losurdo :-), visto che a causa degli stalinisti Orwell ha rischiato la pelle (come si vede inel suo ‘Omaggio alla Catalogna’).

                Ciao!

                Andrea Di Vita

              • Francesco scrive:

                credo sia un apocrifo, chi scrive simili idiozie non può essere lo stesso che compone capolavori come La fattori degli animali

                oppure dovrò cercare qualche teoria sulla “scrittura eterodiretta”

                se non altro sappiamo che Vendola ha dei precedenti

                e ho fatto la tara per l’epoca

  7. Carlo Maria Pellizzi scrive:

    Caro Miguel,

    credo che questo (onesto) giornalista RAI non farà molta carriera…

    http://www.megachip.info/tematiche/guerra-e-verita/5897-ecco-tutte-le-bugie-che-ci-hanno-raccontato-sulla-guerra-libica.html

    Ceffo.

  8. mirkhond scrive:

    “distinguerei le rivolte dalle rivoluzioni. Credo che le prime siano spontanee (infatti non riescono mai), mentre le seconde meno e comunque, di solito, i protagonisti ne sono i ceti emergenti e non quelli che stanno peggio.”

    Qui concordo con Peucezio. Penso alla rivoluzione siciliana del 1282, nata come una spontanea sollevazione anti-angioina (alcuni soldati francesi in libera uscita, avevano stuprato una giovane sposa a Palermo, scatenando un’ira a lungo repressa), ma poi diventata oggetto di manovra della vecchia aristocrazia normanno-sveva che si sentiva esclusa dal potere della nuova classe dirigente franco-provenzale, oltrechè dai maneggi di Pietro III d’Aragona e dell’imperatore Michele VIII di Romània, quest’ultimo minacciato da Carlo d’Angiò di restaurare il potere franco a Costantinopoli.
    Lo stesso imperatore romano-bizantino infatti,a rivolta scoppiata e avviata disse:
    ” Se volessi dire che Dio diede loro (ai Siciliani cioè) la libertà, e che lo fece attraverso le mie mani, direi la verità.” – Georg Ostrogorsky- Storia dell’Impero Bizantino p.422

  9. mirkhond scrive:

    Quanto alla Vandea, occorre ribadire che la sua rivolta fu un vero choc per i rivoluzionari francesi, e ciò anche per il seguito popolare che essi avevano a Parigi e non solo, come ha ricordato Peucezio.
    Abituati a considerarsi l’avanguardia del popolo, il Terzo Stato, e quindi autolegittimatosi interprete della volontà e delle necessità popolari, i giacobini non riuscivano proprio a capire come intere aree popolari, la Vandea soprattutto per maggior durata e virulenza, ma non solo (penso anche a Normandia e Bretagna, Lione e Tolone ecc.); intere aree popolari dicevo, fossero COL Re, i loro baroni e la Chiesa di Roma (non quella scismatica rivoluzionaria), CONTRO coloro che a Parigi appunto, si consideravano, in perfetta buona fede, i loro rappresentanti.
    Da qui la sanguinosissima repressione che, stando agli studi di Reynald Secher, avrebbe provocato quasi 120000 morti nel 1793-94.
    Repressione talmente efferata che, ancora oggi costituisce una delle pagine più oscure e vergognose di questa rivoluzione, tanto che in Francia non si ama parlarne molto e non mi risulta che vi siano stati fatti film o sceneggiati che ne parlino in maniera critica, come del resto per la rivoluzione in genere, tranne il Danton di Wajda.

  10. mirkhond scrive:

    per seguito popolare a Parigi e non solo, mi riferisco ai giacobini.

  11. rosalux scrive:

    Martinez: non mi riferivo specificamente a te, in questo caso: l’antisionismo militante stavolta rispecchia la confusione generale: è buffo che l’eterno ebreo prenda alternativamente le sembianze di sarkosy e quelle di gheddafi, no? quando mi pare evidente che si stia delineando una questione mediorientale che poco o nulla ha a che vedere con il (microscopico) problema israelo/palestinese.
    Lo trovo indicativo della confusione generale, tutto qua.
    (però il tentativo di israelopalestinizzare la faccenda tu e la Nierenstein l’avete fatto, eddai!)

    • Peucezio scrive:

      Miguel ha tentato di israelopalestinizzare la faccenda?
      Che brutto verbo comunque!

      • paniscus scrive:

        Più che altro, l’impressione è che rosalux, presa da un’ansia sempre più martellante per la preoccupazione che questo blog non stesse più nominando Israele da parecchie settimane di seguito…

        … si sia sentita persa e abbia sentito il bisogno viscerale di reintrodurre personalmente l’argomento, altrimenti non avrebbe più avuto alcun appiglio per replicare a nulla… 🙂

        Lisa

  12. mirkhond scrive:

    Valerio Evangelisti è lo stesso autore di romanzi e fumetti sullo spietato inquisitore catalano Nicolau Eymerich?

  13. rosalux scrive:

    p: premesso che non sono minimamente marxista , mi pare che un capitalismo maturo preveda un’incremento del ceto medio e dei potenziali consumatori. Ora, che piaccia o meno, è quello che sta accadendo ora. Sicuramente in Cina c’è più ceto medio di quanto non ce ne fosse prima, e così in India: il reddito medio aumenta, la popolazione urbana aumenta. Pur non essendo marxista, presumo che questo tipo di pressione tenda a far decrescere i paesi già industrializzati e a crescere quelli in via di sviluppo. Ritengo che questa tendenza al livellamento possa rinnovare le speranze di qualche marxista, posto che le differenze tra nazioni sono di fatto un impedimento al successo del socialismo, e anche alla socialdemocrazia.

  14. Miguel Martinez scrive:

    I commenti qui funzionano in maniera strana… Piero Pagliani ha scritto un commento che non solo non è stato pubblicato, ma non appare nemmeno tra i commenti da approvare. Me lo manda in privato, eccovelo

    Dopo Marx c’è stata la scienza politica di Lenin, che dovrebbe avere insegnato almeno due cose: 1) che nel capitalismo la maggioranza dei conflitti è inter-capitalistica e solo un numero ristrettissimo di conflitti sociali sono anticapitalistici, e per giunta sotto la condizione che segue: 2) che senza un’organizzazione che sappia capire e agire su tutti i livelli di complessità della società capitalistica e dei suoi meccanismi di riproduzione, dalle forme molecolari di accumulazione ai rapporti tra potenze, non si va da nessuna parte, anzi spesso da parti sbagliate, e quindi non esistono “rivolte popolari” di per sé progressiste o addirittura anticapitalistiche. Possono essere localmente (in senso temporale e spaziale) giuste, ma non è la stessa cosa. A meno di scambiare l’etica con la politica o di pensarle coincidenti, cosa che, ci piaccia o no, sta solo nel mondo dei sogni.
    Sogni che producono devastazione delle coscienze (poi ci si meraviglia che ad esempio ieri a Roma eravamo in 200 a protestare contro l’aggressione alla Libia,: invece è una conseguenza più che logica: eravamo noi l’eccezione della sinistra, la regola è il disinteresse o l’appoggio ai “bombardamenti umanitari”). Una devastazione alla quale hanno concorso anni e anni di buonismo, dal più raffinato e magari pseudo-marxista al più scaciato, come si dice qui; e hanno concorso anni e anni di ombelicocentrismo dei nostri intellettuali che pensano che i propri buoni sentimenti politicamente corretti siano i semi da cui germoglierebbe l’umanità nova, buona senza se e senza ma.
    L’internazionalismo proletario è diventato così il culto dei cosiddetti “diritti universali” e questi sono diventati transponder per i bombardieri umanitari. E le nostre coscienze linde, pulite e appiattite sono diventate le loro piste di lancio.

    Purtroppo non sono a Damasco e quindi ho le notizie (taroccate all’80%) che abbiamo tutti. Segnalo però, rispetto anche a quanto detto, l’interessante intervento di una signora di origine siriana ma che vive in Occidente, che dice di essere d’accordo coi bombardamenti sulla Libia ma seppure ella odi Asad, non vorrebbe assolutamente bombardamenti sulla Siria, perché lì ci sono opere d’arte, monumenti e reperti culturali. Forse la signora ignora che ce n’erano in abbondanza anche in Iraq.
    Ma è singolare il ragionamento: le opere d’arte non si toccano, gli esseri umani, se per loro sfortuna vivono in uno “scatolone pieno di sabbia” (come dicevamo noi Italiani brava gente che impiccava), possono anche essere massacrati. Umanesimo+umanitarismo= ?. Boh, forse a un tardo-femminismo semicolto o, come diceva Benni, con una “certa kual kultura”. Quel tanto che basta per indignarsi per Ruby Rubacuori ma poi stringerci a coorte col “pedofilo fascista” (sto condensando gli insulti della opposizione, riferisco solo), per andare a bombardare la Libia. Anzi, per incalzarlo, fosse mai che ci ripensasse.

    PS
    Posso dire la mia su Danton? Era veramente un mestatore populista che teneva i piedi in tutte le staffe possibili. Ma qui ovviamente i giudizi dipendono dalla scuola. Per la Rivoluzione Francese la mia è quella di Albert Mathiez e Georges Lefebvre.

  15. mirkhond scrive:

    Quanto alla sinistra, leggo nell’analisi di Piero Pagliani la conferma della sua dissoluzione nel megablocco liberal-liberista, ormai rimasto il Pensiero Unico a cui bisogna omologarsi con le buone e con le cattive, di cui parla Massimo Fini.

  16. Andrea B. scrive:

    Caro Martinez,
    grazie per questo eccellente pezzo, una delle poche cose sensate che abbia letto sull’argomento! Interessanti sopratutto le riflessioni sul mito del Soggetto Rivoluzionario che affliggono la sinistra europea (ed italiana in particolare), riflessioni nelle quali non è difficile rintracciare le categorie del prof Preve, ovviamente rielaborate autonomamente ed intelligentemente. Sono convinto che il delirio della sinistra italiana (e di Evangelisti) sia un delirio narcisistico, tipico di chi non possiede un pensiero di tipo dialettico, ed è quindi incapace di pensare la contraddizione e l’alterità all’interno dell’unità. Il narcisista (si vedano gli splendidi saggi di C. Lasch) guarda alla realtà esterna come ad uno specchio del proprio io psicologico e cerca disperatamente di ritrovarvi la proprie categorie, il proprio “punto di vista” individuale. Sfortunatamente la realtà è strutturata in maniera dialettica, ragion per cui il narcisista (anche quando si considera soggettivamente un “rivoluzionario”) è condannato ad una eterna frustrazione, che può sfociare in un manicheismo militante (“il mondo è diviso in buoni e cattivi, questi ultimi da annientare perchè mi ricordano la dolorosa autonomia della realtà rispetto al mio punto di vista”) o in utopismo sognante, per cui ci si auto-esilia in un mondo immaginario dove Io e Realtà finalmente coincidono.
    PS: il caso della Vandea è effettivamente interessante, perchè dimostra non solo che le “rivolte” popolari possono essere facilmente manipolate, ma anche che spesso in contesti simili i crimini peggiori (e in Vandea fu messa in atto una vera politica di sterminio, come già compreso da Babeuf) non li commettano i rivoluzionari esagitati ma i “moderati”: infatti i massacratori di Vandea furono per la maggior parte (penso ad esempio al generale Louis Marie Turreau, sciagurato ideatore delle “colonne infernali”), più che sanculotti con il berretto rosso in testa, futuri Termidoriani o Baroni dell’Impero e difensori della “gente per bene” (e dei relativi patrimoni economici). Teniamo a memoria questo precedente.

  17. p scrive:

    Io invece penso che i bombardatori se ne fregano bellamente delle opinioni dei marxisti di qualunque genere e tipo, e per una buonissima ragione: non hanno nessun ruolo da giocare in queste rivolte; nei fatti, dico: sia quelli che si scoprono mosche cocchiere dei bombardieri, sia quelli che vorrebbero fermarli (come?), sia quelli che ritengono che la guerra tra i moschettieri della democrazia e il “dittatore sanguinario” non è la loro guerra, perché se potessero combatterla dovrebbero fregare entrambi. Mi pare che nelle analisi sulle posizioni marxiste manchi sempre questa costatazione fondamentale: che ruolo possono avere? La cui risposta è: nessuno.p

  18. Miguel Martinez scrive:

    Per p.

    “Mi pare che nelle analisi sulle posizioni marxiste manchi sempre questa costatazione fondamentale: che ruolo possono avere? La cui risposta è: nessuno.”

    Come la mettiamo con la Magia Deambulatoria?

    Molto camminare, gridare ritmicamente, contare i presenti e moltiplicarli dopo per dieci, per affermare la Presa di Posizione?

    Per ora, la sinistra guerrafondaia non arriva a praticare la Magia Deambulatoria, che viene lasciata ancora a quella pacifista, ma chissa un giorno…

  19. Piero Pagliani scrive:

    A p. direi che la domanda che fa (“che ruolo posso avere”) dovrebbe avere almeno due punti di domanda e tre esclamativi e si applica a chiunque, non solo ai marxisti. Per quanto riguarda i marxisti, c’e ne è una sottocategoria molto vociante e anche coccolata dai media che non ne ha mai azzeccata una (è coccolata per questo). E’ trasversale, la trovi nel PD come nel manifesto. Capisco bene quindi il problema che ti poni. Ma guarda che c’è gente che non ne azzecca una pur essendo antimarxista o a-marxista.
    Mentre gli adepti della suddetta sottocategoria ci rintronavano le orecchie da sinistra sul mondo ormai globalizzato e sulla fine degli stati-nazione, nella stessa maniera che gli altri ci rintronavano l’orecchio destro sulla ineluttabilità e le meraviglie della globalizzazione, nel mio piccolo scrivevo che secondo me si andava invece verso un lungo periodo di conflitti tra stati-nazione (che col cavolo scomparivano), conflitti che si sarebbero combattuti un po’ con armamenti stellari e un po’ con armamenti primitivi (tipo kamikaze con la bomba o attentati stragisti di cui noi Italiani sappiamo qualcosa). Attenzione: la stessa parte avrebbe usato un mix di tutti e due. Non che c’erano i ricchi superarmati e i poveri che dovevano usare mezzi primitivi. Ci scrissi su anche un libro, pubblicato da una casa editrice di estrema sinistra e pressoché totalmente ignorato dalla estrema sinistra stessa. Diceva delle cose che rimettevano in dubbio quelle certezze che facevano sognare quella che il New York Times definì “La seconda potenza mondiale”, cioè il “popolo di Seattle”, il “popolo no-global”. Una fanfaronata che fece gongolare politici e leaderini vanitosi che la ripeterono ad ogni piè sospinto, senza capire che il NWT intendeva “seconda potenza mondiale a Paperopoli”.

    Per quanto riguarda le notizie dalla Siria indirizzate da Andrea confermo che riusciamo ad avere solo fritture predigerite dall’ideologia. Ma vorrei aggiungere un dettaglio. La rivolta di Hama fu repressa con un vero e proprio massacro. La rivolta di Hama iniziò perché Assad (padre) voleva togliere dalla costituzione siriana il vincolo che per diventare presidente bisognasse essere musulmano.
    Tutta la faccenda mi ricorda un po’ le parole conclusive di “Assassinio nella cattedrale “di Eliot.

    Infine, confesso a Mirkhond che a me Robespierre e Saint Just sono sempre piaciuti. Spero che non mi dia del nazista per questo 🙂

  20. mirkhond scrive:

    Per Piero Pagliani

    La mia era una risposta alla vignetta di Andrea. Non penso affatto che tu sia nazista, anzi ho trovato condivisibili le tue riflessioni sulla Siria di qualche giorno fa, soprattutto riguardo ai Cristiani.
    Riguardo al “nazismo” dei giacobini, mi riferisco alle stragi contro i vandeani da loro ordinate ed eseguite. Stragi che, purtroppo, non si limitarono ai combattenti catturati con le armi in pugno. Ma questa, naturalmente, non è una prerogativa solo giacobina…
    Del resto, il primo a denunciare quanto accaduto in Vandea fu proprio Gracco Babeuf, come testimoniato dallo studio di Reynald Secher.
    Con l’instaurazione del Direttorio anzi, giacobini e monarchici borbonici fecero un fronte comune alle elezioni del 1798, le uniche in cui il popolo francese potè davvero esprimersi. Fronte comune, reso possibile dal pretendente al trono Luigi XVIII che, dal suo esilio, nel 1795, aveva inviato in Francia il suo braccio destro, d’Andrè col nuovo programma monarchico che accettava le conquiste costituzionali della prima fase della Convenzione e la rinuncia ad una restaurazione del vecchio ordine sociale.
    Il d’Andrè in due anni riuscì talmente bene nell’impresa, che fu possibile quel fronte popolare che vinse le elezioni del 1798. Elezioni rese invalide dal Direttorio stesso che si servì dell’esercito per ristabilire la sua destabilita autorità. Tutto ciò dallo studio di Pierre Gaxotte.
    ciao

  21. mirkhond scrive:

    Del resto, persisto sempre più nella convinzione che oggi la dialettica destra-sinistra come era fino al crollo del comunismo, sia ormai superata da un nuovo bipolarismo, liberal-liberista da una parte e oppositori dall’altra.
    In quest’ultimo ci possono essere tradizionalisti, comunisti, fascisti, musulmani, alawiti ecc.
    Il tuo articolo è stato inserito anche nel blog Effedieffe, a dimostrazione del superamento di certi vecchi schemi ideologici, almeno nella situazione contingente.
    ciao

  22. Athanasius scrive:

    “Io taglio la testa al toro, dicendo che tutte le sommosse sono autentiche. Se la gente rischia la vita in massa, di solito c’è un valido motivo. I complotti e le manipolazioni arrivano dopo.”

    Amen. Miguel Martinez – santo subito.

    (no, non sto ironeggiando)

    • Antonello scrive:

      Non attribuirei i soli 200 manifestanti in piazza al semplice fatto che la sinistra si sia riscoperta guerrafondaia. Secondo me, e da quello che posso non solo leggere ma anche ascoltare di persona, la sinistra, in questa crisi, non ci capisce semplicemente una sega. Di qui il “non mi sbilancio”, di qui l’inattività e l’ “aspettiamo come si evolve”. Di qui, se volete, anche l’inerzia. La base (!) è molto più confusa dei suonatori del piffero della rivoluzione (altrui).

  23. Maria Şerban scrive:

    Miguel: “Evangelisti sostiene che l’«ingerenza straniera» (cioè i bombardamenti internazionali) «fa comodo» ai ribelli libici. La cosa è possibile, certamente; ma sembrano sfuggirgli i rapporti di forza. La presenza di una base NATO a Pozzu…oli fa comodo a migliaia di famiglie napoletane; ma sono i responsabili della base, e non i custodi dei parcheggi o gli operai edili o i contrabbandieri di sigarette ad avere il coltello dalla parte del manico.”
    Osservazione giusta, e che mi fa ricordare di quando io scrissi su Facebook tempo fa un commento riguardo a certi paesi – la Russia, la Cina e l’India – che sono attenti ai propri interessi nazionali prendendo le misure necessarie per proteggerli e perseguirli, ma che non hanno truppe stazionate oltremare o basi all’estero. Qualcuno mi replicò: „le ragioni storiche rispondono al motivo perché queste nazioni non hanno grandi basi all’estero e non so quanti in Italia (popolo e classi oppresse comprese) vorrebbero avere una base militare cinese, russa o indiana…”
    C’è solo da rassegnarsi. 🙂

    Miguel: “Evangelisti non ci presenta il futuro Lenin della Libia, che resta nel mondo delle possibilità; ma ci parla degli shebab – normale parola araba, che indica «giovani», come in «folla di giovani chiede autografi a Maria De Filippi». Questi giovani, ci assicura Evangelisti, riusciranno a sfruttare e prendere in giro non solo i potentati locali, ma anche Nicolas Sarkozy, Barack Obama e David Cameron, nonché i loro promotori militari e imprenditoriali. Ci auguriamo vivamente che ciò sia vero, a riprova di tutti i luoghi comuni sull’astuzia araba. Ma colpisce che questo sia l’unico accenno che Evangelisti faccia alla guerra internazionale in corso.”
    Colpisce anche me l’ottimismo prematuro di Evangelisti. Quindi meno ottimismo immotivato va bene anche per me.

    Poi, Miguel, scrivi che l’attacco alla Libia è altra cosa dalle ragioni e dai torti di Gheddafi e degli insorti così come i torti e le ragioni del nazionalismo serbo e del dominio austroungarico erano altra cosa rispetto alla Prima guerra mondiale.
    Qui penso ad un’altra interpretazione possibile. I libici di oggi lottano (dalla parte di Gheddafi) per mantenere la loro indipendenza dall’imperialismo, così come i serbi hanno lottato allora per la loro indipendenza (e lo hanno fatto anche i rumeni per l’unificazione della Transilvania con la Romania), e questa è tra l’altro una cosa che dovrebbe essere di interesse universale e di non minore importanza rispetto alla Prima guerra mondiale. L’indipendenza della Serbia, o della Libia, se ha basi scientifiche oggettive, è un obiettivo giusto, e dovrebbero parlarne anche altri libri seri di storia, oltre a quelli scritti per i studenti serbo-bosniaci o per i studenti libici, dimostrando senza dubbio dove sono i torti e dove sono le ragioni. I paesi che chiedono il riconoscimento dei propri diritti nazionali o che lottano per manterenere la loro indipendenza hanno sempre ragione. E penso che l’impegno per riavere o mantenere la propria indipendenza faccia parte sempre da ciò che è maggiore – anzi nulla gli sta sopra.
    Le lotte per l’indipendenza sono per me fenomeni di interesse universale, e non di interesse puramente nazionale, soprattutto se determinati dai rapporti di forza. Secondo me dire che non si deve nutrire interesse nei confronti delle cause nazionali dei paesi balcanici, africani eccetera è quanto di più strano si possa immaginare. Perché io nutro interesse per la storia dell’Italia, della Francia, dell’Austria, della Germania, e la approfondisco, per non commettere errori e inesattezze riguardo alle ragioni dei popoli per riavere la loro indipendenza.

    Miguel, visto che, come me, sei sensibile agli attuali rapporti di forza e alle ragioni per l’indipendenza della Libia (che sarebbe garantita da una vittoria delle forze armate di Gheddafi), penso si possa prendere in considerazione anche il fatto che nel ‘900 siano stati i rapporti di forza e di dominio ad aver indotto l’occupazione di certe zone balcaniche dalla parte dell’impero austroungarico. I serbi non avevano nessuna colpa del cinismo e dell’arroganza delle potenze europee che facevano a gara per la spartizione del mondo in imperi coloniali.
    Si può essere davvero sensibili alle dinamiche di potere nel mondo senza essere sensibili alle ragioni nazionali dei paesi che ne sono vittime, me lo chiedo?…

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per marie serban

      ”I paesi che chiedono il riconoscimento dei propri diritti nazionali o che lottano per manterenere la loro indipendenza hanno sempre ragione.”

      Forse hai ragione, ma mi perdonerai se d’istinto diffido di chiunque abbia ‘sempre ragione’. Furono le lotte per ‘il riconoscimento dei propri diritti nazionali’ a provocare direttamente o indirettamente sia gli orrori della Prima Guerra Mondiale sia quelli della disintegrazione della Jugoslavia.

      Se a ciascun individuo senza distinzione viene riconosciuto il diritto di parlare la propria lingua, vivere dignitosamente e pregare i propri Déi, non c’e’ bisogno di alcuna ‘indipedenza nazionale’.

      Fu il persistente antisemitismo di alcune società Europee a creare il Sionismo.

      Fu l’ostinato rifiuto Asburgico a riconoscere parità di diritti ai sudditi di tutte le nazionalità dell’Impero a innescare i vari irredentismi che lo portarono alla rovina.

      Fra tutti, il caso Italiano è paradigmatico: l’unità Nazionale di cui si è festeggiato il 150° anniversario si è resa necessaria precisamente perchè prima di essa ‘noi fummo da secoli calpesti e derisi perchè non siam popolo perchè siam divisi’. Se non fossimo stati ‘calpesti e derisi ‘ per secoli non ci sarebbe stato bisogno dell’unità d’Italia. E se lo siamo tuttora, derisi, è precisamente perchè non ci siamo ancora liberati di chi delle nostre permanenti dis-unità si approfitta.

      La controprova ci viene in questi anni dalla Palestina: senza la ‘legge del ritorno’ che obbliga lo Stato di Israele a trovare casa elavoro agli immigrati Ebrei non ci sarebbe bisogno di tenere gli Arabi sfrattati dalle case degli avi, e non sarebbe nata una nazione Palestinese.

      Se si volesse creare in Europa un autentico spirito Europeista basterebbe che un invasore esterno -Cinese, o Marziano- si mettesse a erseguitare gli Europei in quanto tali; così è nato il forte spirito nazionale Svizzero.

      Il rispetto integrale e universale dei diritti umani è la migliore cura preventiva contro lo sviluppo degli irredentismi. Viceversa, le stragi di legalità precedono le stragi dei popoli.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  24. sveglia scrive:

    State parlando da ore come se Evangelisti fosse favorevole all’intervento occidentale in Libia, basandovi su mezza frase (“agli insorti fa comodo”). Ma Evangelisti è contrario all’intervento.

  25. mirkhond scrive:

    Vorrei però capire in cosa i Serbi erano oppressi sotto gli Asburgo, visto che potevano seguire la loro fede ortodossa senza obbligo di convertirsi al Cattolicesimo.
    Del resto i Serbi fornirono agli Asburgo le truppe e comandanti tra i migliori dell’Impero, anche nel 1914-18, penso al felmaresciallo Svetozar Borojevič von Bojna (1856-1920), il Leone dell’ Isonzo, rimasto fedele a Carlo d’Asburgo anche dopo il NON spontaneo crollo dell’Austria-Ungheria nel 1918 (morì all’ospedale di Kagenfurt in solitudine, assistito solo da sua moglie).
    Diverso è il caso dei Serbi di Bosnia, la cui situazione tardo-ottomana negli anni alla vigilia dell’annessione austriaca del 1878 e in seguito ad essa, venne influenzata dalla capillare propaganda nazionalista di Belgrado, propaganda sviluppatasi a partire dalle guerre d’indipendenza antiottomane del 1804-1813, che portarono alla nascita del monolite nazionalista serbo ortodosso, costruitosi su feroci mattanze dei musulmani locali, non solo Albanesi, ma anche Serbi del Sangiaccato.
    Per cui questa “oppressione” asburgica si riduceva in realtà alla non indipendenza e riunificazione con la Serbia di Belgrado.
    Serbia che, a differenza della bieka Austria-Ungheria aveva un profondissimo rispetto (?) per le PROPRIE minoranze religiose…..
    SerbiDiola!

    • mirkhond scrive:

      errata corrige:
      Klagenfurt

      • Andrea Di Vita scrive:

        Per mirkhond

        I Serbi fecero senza dubbio più danni agli Ottomani che agli Asburgo, tant’e’ che alcuni di loro (vado a memoria: Karageogevic contro Djukanovic?) portarono appunto all’indipendenza Serba e di lì a quella imitazione del Piemonte che porto’ dapprima alle Guerre Balcaniche del ’12-’13 e poi al (giustificato) rifiuto dell’ultimatum Asburgico dopo l’attentato di Sarajevo.

        Ma che il rifiuto di Vienna ad ‘associare’ all’Impero altre etnìe dopo gli Ungheresi (vado a memoria: nel 1868?) fosse foriero di guai per la Corona lo aveva capito benissimo proprio l’Arciduca vittima dell’attentato di Sarajevo, in aperto contrasto con l’Inperatore suo augusto parente.

        Lasciami argomentare con alcune esperienze personali. Ho personalmente visto a Konopishte, non lontanto da Praga, un castello (che nulla a che invidiare coi set cimenatografici tipo quello Mediaset di Fantaghiro’) in cui interi corridoi e saloni hanno le pareti tappezzate dicentinaia e centinaia di trofei ottenuti dall’Arciduca in perenne competizione con l’Imperatore nelle gare di caccia al cervo, al cinghiale… La caccia era l’unico campo in cui l’autoritario Imperatore accettasse di farsi dare la baia dal pure amatissimo nipote Arciduca, che invano tentava di convincerlo a indirrizzare la politica dell’Impero verso un maggiore riconoscimento delle ‘identità locali’. C’era riuscita Sissi, che si era pure imparata l’Ungherese, ma l’Arciduca aveva evidentemente meno fascino.

        Nello stesso viaggio ho pure visto lo Spielberg, vicino Brno. In pieno agosto una visita di dieci minuti nei sotterranei gronfandti umidità è stata a far prendere a me, freddoloso come sono, un bel raffreddore. Mi sono così convinto della bontà delle descrizioni di Silvio Pellico, alla faccia del mito dell’Austria Felix. Gli Imperi si sono giocati la fedeltà dei sudditi con la debolezza del’autoritarismo, non con la multietnicità degli Stati sovranazionali.

        Un’altra esperienza personale. In un ormai lontano viaggio nei Balcani ho ripetutamente passato l’ex-confine fra gli Imeri Ottomano ed Asburgico. L’omogeneità culturale di quegliImperi al proprio interno ha dato a quelle regioni una omogeneità trasversale ai confini attuali. In un gramelot che -oggi lo so- aveva del paradisiaco mi facevo capire in Tedesco maccheronico a Skopije, in Russo maccheronico a Vukovar… e in Italiano a Salonicco. Ricordo tanti cevapcici e tanta slivovitza. A Osijek c’era un quartiere cattolico e uno musulmano, dove sembrava di stare rispettivamente a Salisburgo e ad Adrianopoli. L’evitabile miseria che ho visto in quel viaggio (la Cettigne ridotta liberty ad un ombra di Titograd/Podogorica, la Cattaro/Kotor in rovina, l’implverata ma grandiosa Edirne/Adrianopoli) faceva già allora -e ai tempi la Yugoslavia esisteva ancora- i danni dei nazionalismi.

        Ciao!

        Andrea Di Vita

        • mirkhond scrive:

          Per Andrea Di Vita

          Lo Spielberg, a quel che mi risulta fu chiuso nel 1855.
          Quanto alle nazionalità “oppresse”, mi sembra solo uno dei tanti pericolosissimi e sanguinosissimi miti nazional-risorgimentalisti. Leggendo “Requiem per un Impero Defunto” di François Fejtő, ungherese, ebreo, socialista, figlio e nipote di massoni, mi convinco sempre più del concetto di modernità e artificiosità di tante cosiddette “questioni nazionali”. L’autore, inoltre, afferma che la Massoneria e gli Ebrei della Monarchia NON ne volevano la sua dissoluzione, e ciò a prova che l’autoritarismo assolutista era morto con la caduta di Metternich nel 1848.
          Che poi Francesco Giuseppe abbia commesso degli errori come il non dare ascolto al nipote Francesco Ferdinando sull’evoluzione della Monarchia in una specie di grossa svizzera mitteleuropea, non posso che concordare, ma noi parliamo col senno di poi, e del resto le vicende del crollo delle due jugoslavie nel 1941 e 1991, testimoniano come ancora oggi sia difficile governare aree così complesse.
          Grazie infine per la preziosa testimonianza dei tuoi viaggi, che confermano quanto purtroppo, il veleno nazionalista sia duro a morire, anche in contrasto con l’evidenza di aree culturali che hanno molto in comune.
          ciao

  26. alessandro scrive:

    Evangelisti, vecchio arnese squalificato, rivoluzionario a forza di assegni di Papi e raccomandanzioni ministerial-accademici tipico del settantasettino, ora si ricicla da volenteroso ascaro di Sarkozy. Vabbè.
    Passiamo a cose più serie; credo che tu ne abbia trattato, e mi piacerebbe averne i link: ho scoperto che una delel fonti storiografiche di Paolo Barnard sia uno storico ‘antievoluzionista’ e anticonciliazionista, tale Roberto De Mattei. Trovo la cosa non più bizzarra del solito, solo che vorrei essere sicuro che ciò che dice il De Mattei sulla storia recente d’Italia, non siano fumisterie neovichiste, come quelle di Blondet.

    saluti
    Alessandro

  27. Miguel Martinez scrive:

    Per Sveglia

    “State parlando da ore come se Evangelisti fosse favorevole all’intervento occidentale in Libia, basandovi su mezza frase (“agli insorti fa comodo”). Ma Evangelisti è contrario all’intervento.”

    chiedo scusa se rispondo così tardi, magari non vedrai nemmeno il mio intervento.

    Non so gli altri, io non mi sono occupato della presa di posizione di Evangelisti rispetto all’intervento.

    Ciò che mi interessa è il meccanismo per cui alcune persone, in base a criteri di sinistra, possano essere indotte a rincorrere lo spettacolo mediatico alla ricerca di immaginari Soggetti Rivoluzionari, per poi magari tirarsi indietro all’ultimissimo momento sulle conseguenze di tali scelte.

  28. Maria Şerban scrive:

    Andrea Di Vita, io diffido di chiunque propugni l’annessione delle nazioni più piccole agli imperi. Soprattutto se vive in un paese con un lungo passato coloniale. Chi siete tu e Miguel Martinez per dire che le nazioni balcaniche avrebbero dovuto rimanere OCCUPATE, ubbidienti e fedeli ad un impero che le OCCUPAVA?! Non tutti sono disposti ad accettare passivamente l’occupazione e le scelte imposte dall’occupante. Io non ignoro le ragioni delle nazioni balcaniche che erano OCCUPATE dall’Impero austro-ungarico e aspiravano all’indipendenza, perché vivo in Romania e la Transilvania (storica regione rumena) era stata anch’essa occupata da quell’Impero, in cui i rumeni erano degli schiavi (anche se costituivano la maggior parte della popolazione). Non potrei mai essere solidale con gli imperi fondati su una politica di potenza e di conquista, penso invece che la solidarietà se la meritino le nazioni occupate dagli imperi. Diffido di chiunque abbia le palle di sostenere le ragioni del dominio austroungarico.

    • Francesco scrive:

      c’è solo un piccolo problema.

      chi sono le “nazioni”? nel caso della storia d’Italia, nazione parzialmente occupata dall’Impero Austriaco, ci fu un moto di ribellione ma quanto rappresentativo delle persone che vivevano nel Lombardo-Veneto?

      e perchè mai il Regno delle Due Sicilie non dovrebbe essere considerato una nazione occupata invece che “liberata” dai Borboni?

      insomma, non mi pare che le cose siano così semplici, come si diceva nel 1800

      • PinoMamet scrive:

        Questa deve essere l’occasione mensile nella quale concordo con Francesco.

      • Andrea Di Vita scrive:

        Per Francesco

        Come scrivo anche nalla mia risposta a Maria Serban, la Nazione non è un idolo. E’ uno strumento che consente ad un certo gruppo di vivere liberamente con la propria lingua i propri costumi ecc. Non è necessariamente quindi migliore di un impero multietnico. Al limite ci sono Stati multinazionali che funzionano benissimo, come la Svizzera, ed altri meno bene, come il Belgio.

        E’ una prova significativa a favore di quanto ho scritto sulla Nazione che a differenza del Belgio -nato come cuscinetto in funzione antiFrancese- la Svizzera sia nata come unione antiAsburgo e antiBorgogna: sulle Alpi montanari di lingua diversa hanno trovato convenienete confederarsi per difendere ciascuno la libertà di tutti da prepotenti vicini. E nonostante secoli di guerre intestine di religione e non solo, oggi la Svizzera non è sull’orlo della secessione – a differenza del Belgio.

        Dal che si deduce che una Nazione trae la propria legittimità ad esistere dal consenso sulla sua funzione di difesa della libertà che esprimono le persone che vi abitano.

        A questo modo ad esempio i coloni d’oltremare riconobbero se stessi come Stratunitensi e non più come sudditi Inglesi. Certo non tutti: ci furono fior di combattenti proInglesi fra i compaesani di Washington e Franklin. Erano forse dei traditori? La domanda evidentemente non ha senso, perchè se lo erano per la nazione che sarebbe nata non lo erano per quella sotto cui erano nati.

        E’ indubbio che molti Italiani del Sud fossero filoBorbonici nel primo Ottocento, tant’e’ che Pisacane fu fatto a pezzi. resta il fatto che nessuno si mosse a favore di Francesco II quando arrivo’ Garibaldi.

        E’ indubbio che molti Italiani del Nord fossero filoAsburgo quando arrivo’ Carlo Alberto (il quale tra l’altro col suo proverbiale amletismo si alieno’ molte simpatie iniziali), tanto che molti combatterono i Savoia e i rivoluzionari delle Cinque Giornate di Milano. Resta il fatto che nessuno si mosse a favore degli Asburgo quando i Savoia pur sconfitti sul campo si impadronirono del Veneto nel 1866. E’ verosimile che tanto a Napoli quanto a Venezia la forca abia fatto tanto per cambiare le motivzioni dell’opinione pubblica.

        Ciao!

        Andrea Di Vita

        • mirkhond scrive:

          Anche la forca sabauda non ha scherzato nelle Due Sicilie “liberate”. Anzi il boia tricolorato ha agito così bene che solo oggi, finalmente, se ne può parlare.
          ciao

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Maria Serban

      Come si dice a Genova, ‘vieni nel mio carrugio’ 🙂 cioè di fatto siamo d’accordo anche se non sembra. Da esimatore del Risorgimento Italiano (pur con tutte le sue pecche) io sono d’accordissimo che l’Impero Asburgico la legittimità se la sia giocata con la Belva di Brescia. Quello che ho cercao di dire è che non ci sarebe stato bisogno di nessun Risorgimento se gli Asburgo avessero rispettato il diritto degli Italiani a studiare, parlare, lavorare ecc. come tutti gli altri. Ancora nel 1914 a Trento si negava l’Università Italiana. Se la Nazione serve a consentire a un gruppo di vivere liberamente con la propria lingua e i propri costumi, ben venga la Nazione. Da qui alla ‘nazionolatria’ ad esempio di un Salazar (‘todo por a nacao, nada sem a nacao’) ce ne corre. Ci corre la stessa differenza che passa fra un Mazzini e un Mussolini.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  29. mirkhond scrive:

    E non dimentichiamo che nel 1848 i contadini lombardi allagarono le pianure per ostacolare l’avanzata dei piemontesi, come si accorse il maresciallo Radetzky mentre si ritirava nel Quadrilatero e reggimenti austriaci composti da lombardi e veneti contribuirono a schiacciare la rivoluzione tricolorata, rivoluzione che, per questi contadini era roba di sciuri e studenti.
    Ancora nel 1859, nelle battaglie di Magenta e di Solferino, i reggimenti austriaci Arciduca Sigismondo e Barone Vernbart erano composti interamente di giovani lombardi e veneti che si batterono per la loro patria CONTRO i franco-piemontesi.
    Ancora Gramsci, nei suoi noti Quaderni, fra i quali quelli pubblicati da Einaudi nel 1949, sotto il titolo “Risorgimento”, alle pp. 90-91 scrive:
    ” i contadini lombardi e veneti arruolati dall’Austria furono uno degli strumenti più efficaci per soffocare la rivoluzione di Vienna e quindi anche italiana; per i contadini il moto del Lombardo-Veneto era una cosa di signori e di studenti, come il moto viennese.”

  30. mirkhond scrive:

    “Resta il fatto che nessuno si mosse a favore degli Asburgo quando i Savoia pur sconfitti sul campo si impadronirono del Veneto nel 1866.”

    Il fatto è che ci si era già messi d’accordo che il Veneto sarebbe stato ceduto all’Italia, PRIMA di Custoza e Lissa.
    Era facile per i Savoia ottenere con Londra e Parigi alle spalle. Così sono bravi a vincere tutti. Garibaldi si lamentò della diffidenza, se non dell’ostilità delle popolazioni venete e trentine durante la sua marcia su Trento. Per non parlare dei soliti plebisciti truccati…
    Certo non c’è stata una guerriglia partigiana antipiemontese come da noi, ma le unità militari dell’esercito e della marina austriaca, composte anche da gente lombarda e veneta, oltrechè dai venetofoni del litorale da Trieste a Cattaro non mi sembra che disertassero in massa a favore dell’Italia sabaudo-piemontese….
    ciao

  31. mirkhond scrive:

    “nessuno si mosse a favore di Francesco II quando arrivo’ Garibaldi.”

    A Caiazzo (19-21 settembre 1860), le truppe napoletane furono supportate attivamente dalla popolazione nel respingere i garibaldini. A Carpinone, in Molise, i garibaldini di Nullo furono fatti a pezzi dalla popolazione accorsa in appoggio all’esercito (17 ottobre 1860). Lo stesso Nullo si salvò a stento fuggendo. E l’esercito regolare piemontese ufficiale, era già calato da nord da un paio di giorni.
    Lo stesso Garibaldi senza i rinforzi da Torino, difficilmente avrebbe potuto mantenersi, viste le insurrezioni esplose in Abruzzo, Molise, Capitanata, Irpinia, Basilicata, Calabria, visto che in molti, passato lo stordimento, si stavano accorgendo che razza di ladroni erano entrati nel Regno.
    ciao

  32. mirkhond scrive:

    “Quello che ho cercato di dire è che non ci sarebe stato bisogno di nessun Risorgimento se gli Asburgo avessero rispettato il diritto degli Italiani a studiare, parlare, lavorare ecc. come tutti gli altri.”

    Non mi risulta che l’Italiano non fosse una delle lingue dell’Impero, nè che agli “italiani” fossero precluse le professioni e gli studi.

    “Ancora nel 1914 a Trento si negava l’Università Italiana.”

    Non mi sembra che la cosa fosse sentita come una così grave mancanza visto che il 90% dei Trentini erano filoasburgici, come dovette riconoscere lo stesso Sergio Romano in una risposta ad un lettore del Corriere della Sera.
    Quest'”Università Italiana”, doveva essere piuttosto un mezzo per rimarcare beceri nazionalismi e minare l’Impero, in linea col pensiero risorgimentalista, senza il quale il fascismo non sarebbe stato possibile, ne in Italia, ne nei paesi Balcanici.
    E’ nella Giovine Italia la premessa delle foibe e dei massacri balcanici.
    ciao

    • Claudio Martini scrive:

      Lascia stare Mazzini.

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per mirkhond

      Quanto agli Italiani sotto gli Asburgo, ricordo che stando a uno degli stucchevolissimi film Austriaci sulla vita di Sissi (yawn…) con Romy Schneider protagonista (certamente bellissima, ma mai quanto l’originale), l’unico episodio in cui la Sissi/Schneider fatica a conquistare il favore della popolazione che va a visitare è quello ambientato nel Lombardo/Veneto. Al gelo con cui viene accolta la Sissi riesce a rispondere creativamente (nell’unica scena cinematograficamente degna di tutta la serie) mostrando al popolo il figlio appena nato. Al che gli Italiani, che anche gli Austriaci evidentemente considerano un popolo di mammoni, finalmente applaudono. Aneddoti a parte (anche se come in questo caso di parte ‘nemica’) , mi sa che gli Austriaci sapessero benissimo di essere odiati: tant’e’ che si premunivano di mandare da noi in servizio di guarnigione militari di origine Croata -come sapidamente ci ricorda il Giusti. La censura Austriaca arrivo’ a metter becco persino nel libretto del ‘Rigoletto’ (che in origine si chiamava ‘Triboletto’), cosa che fece infuriare Verdi e contribuì a spingerlo su posizioni patriottiche.

      Quanto a Garibaldi, se Francesco II era tanto amato resta un mistero come abbia fatto a scamparla appena sbarcato coi Mille, quando i trecento di Pisacane hanno fatto tutt’altra fine.

      In generale, un corpo di spedizione puo’ benissimo invadere un grande Paese ingannando la popolazione con la sua propaganda, ma non puo’ tenerlo a lungo se la maggioranza della popolazione si oppone attivamente -a meno di non adottare tecniche di sterminio alla Gengis Khan: ma nemmeno il più fantasioso degli storici puo’ confondere Cialdini con Tamerlano.

      Probabilmente i Meridionali hanno cominciato a considerarsi tali giusto quando venivano disprezzati dai razzisti Settentrionali, ma dubito molto che ardessero d’amore patriottico per Franceschiello.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

      • Francesco scrive:

        basta avere comprato l’appoggio delle elite, che del parere della popolazione te ne puoi strafottere

        e ti ricordo i decenni di guerra interna, per “convincere” la popolazione a accettare l’Italia

        non sono un particolare estimatore degli starelli pre-unitari, compreso quello della Chiesa, ma dovremmo depurare la storiografia dalle bubbole risorgimentali

  33. mirkhond scrive:

    Per Andrea Di Vita

    I Napoletani (o i Meridionali se vuoi), NON sono i Pashtun, altrimenti non avremmo subito tante invasioni dalla notte dei tempi.
    La gente da noi dimentica, è ciò è positivo, altrimenti saremmo come nei Balcani, ma dall’altro ciò ha favorito predoni di ogni risma.
    Il fatto che OGGI l’unità d’Italia DEVE essere preservata (che ridicolaggine sti eserciti regionali), ciò non significa per me santificare il male che fu fatto IERI nell’unirla.
    Quanto al film di Sissi, quelle scene furono girate in Italia (il film mi sembra che sia del 1958). Si usciva dalla guerra, e gli Austriaci erano in qualche modo associati al Terzo Reich nella propaganda dell’epoca e il revisionismo sul risorgimento era ancora da venire Per cui sospetto che gli sceneggiatori austriaci abbiano introdotto queste scene, proprio per avere i permessi dallo stato italiano, per girare il film a Venezia.
    ciao

  34. mirkhond scrive:

    “si premunivano di mandare da noi in servizio di guarnigione militari di origine Croata”

    Mentre i piemontesi mandavano da noi guarnigioni del Nord Italia, e ciò almeno fino ai primi del’900. Evidentemente non erano poi così certi dell’amore dei Napoletani nei loro confronti. Nel 1887-88, contadini della Basilicata si dichiararono NAPOLETANI al loro intervistatore e conterraneo Giustino Fortunato (1848-1932), convinto unitarista, dichiarando inoltre che essere governati dai francesi o dai piemontesi per loro era la STESSA COSA.
    Ciò dovrebbe far riflettere sul nostro nazionalismo debole, debole anche nei confronti di un ordine politico panitaliano.

  35. mirkhond scrive:

    “In generale, un corpo di spedizione puo’ benissimo invadere un grande Paese ingannando la popolazione con la sua propaganda, ma non puo’ tenerlo a lungo se la maggioranza della popolazione si oppone attivamente -a meno di non adottare tecniche di sterminio alla Gengis Khan: ma nemmeno il più fantasioso degli storici puo’ confondere Cialdini con Tamerlano.”

    Beh, la Francia come fu unita? I re franchi occidentali di Parigi, intrapresero una lunga serie di campagne militari per sottomettere la ricca Occitania, dalla Guascogna a Marsiglia. Non mi sembra che usassero le maniere dolci, e non solo al tempo della sanguinosissima crociata anticatara del 1209-1229.
    La rivoluzione e il centralismo napoleonico non fecero che dare il colpo finale ad un processo iniziato nel Medioevo di francesizzazione forzata delle ricche, belle, colte e raffinatissime terre occitaniche. Tale sentimento francesizzante fu imposto con tale durezza che certo non ha provocato un genocidio, ma soltanto in anni recenti, come reazione alla globalizzazione forse, anche qui è rinato un sentimento occitanico che si batte se non per la secessione da Parigi (almeno ciò non mi risulta), sicuramente per far riemergere un’identità culturale.
    In sostanza un’identità “nazionale” può riemergere anche secoli dopo essere stata soffocata e data per estinta.
    ciao

  36. mirkhond scrive:

    “Quanto a Garibaldi, se Francesco II era tanto amato resta un mistero come abbia fatto a scamparla appena sbarcato coi Mille, quando i trecento di Pisacane hanno fatto tutt’altra fine.”

    Garibaldi sbarcò in Sicilia. Inoltre, a differenza di Pisacane, era a capo di una grossa armata, parzialmente composta da mercenari con alle spalle la potenza britannica che aveva pianificato tutto. Insomma il Regno era stato condannato a morte da almeno un anno, e cioè dal rifiuto di Francesco II di abbandonare la politica paterna e di spartire lo Stato Pontificio col Piemonte.
    Se poi aggiungi la nostra posizione geografica, il nostro animo non simile ai Pashtun, e l’abbandono degli altri paesi europei, Austria e Russia in testa, che per varie ragioni, NON potevano mettersi contro l’Inghilterra, la spiegazione salta fuori.
    Del resto non mi sembra che l’Italia unita abbia dato una prova diversa con l’invasione americana del 1943, invasione che ancora oggi comporta 35000 uomini e 113 basi nato.
    Uomini e basi che non mi sembra che riscuotano l’astio degli italiani tutti da nord a sud.
    Ciò conferma il carattere di nazionalismo debole e la conseguente propensione al vassallaggio verso il potente straniero di turno.
    ciao

    • Francesco scrive:

      non vorrai paragonare i piemontesi agli yankees?

      la pitocchieria dei primi divenne immediatamente leggendaria, quanto la magnificenza “risorigmentale” dei secondi

      non tutti gli invasori sono uguali!

      🙂

      • Andrea Di Vita scrive:

        Per Francesco e Mirkhond

        vedo solo oggi le vostre risposte, mi scuso quindi per il ritardo nelle mie.

        E’ certo vero che al confronto dei Borbone -e ancora più degli Statunitensi- i Savoia furono dei pidocchi. Forse anche perchè i soldi dello Stato Borbonico erano tenuti in cassaforte e spesi in appannaggi vari (Francesco II aveva undici milioni di franchi oro come patrimonio personale). Mentre Cavour aveva alimentato l’industria e sviluppato le infrastrutture Piemontesi abbandonando la linea di rigore finanziario dei suoi predecessori e aumentando il debito pubblico.

        A Portici la prima ferrovia Italiana si arresto’ dopo una dozzina di chilometri, e le filande modello Calabresi rimasero un esempio isolato. Nel 1850 il Piemonte aveva già ottocentocinquanta chilometri di ferrovie.

        Menre a Bari la prima filiale dell’equivalente Borbonico del Banco di Napoli fu aperta dieci anni prima di Garibaldi, i Savoia sviluppavano l’irrigazione.

        Mentre l’economia Borbonica prosperava di solo protezionismo doganale, Cavour sosteneva i consumi a prezzo di una inflazione strisciante e anticipando -lui liberale- il supply side keynesiano.

        L’unico strumento usato da Filangieri per sostenere la competitività delle Due Sicilie era ridurre il costo del lavoro, ossia rendere ancora più miserabile la condizione di un contadino già sfruttato all’osso.

        L’unico nerbo degno di questo nome dell’esercito Borbonico erano i mercenari svizzeri, che furono congedati poco prima dell’arrivo di Garibaldi per motivi di bilancio ma che avevano assorbito gran parte del bilancio della Difesa: tant’e’ che non si trovo’ di meglio contro i Mille che un generale ottantaduenne. Negli stessi anni Cavour faceva costruire il porto di La Spezia, con quello che per l’epoca era un capolavoro di ingegneria miitare.

        Mentre le leggi Siccardi abolivano i privilegi ecclesiastici a Torino, il Meridione languiva nel latifondo, e il barone Siciliano lottava contro il Borbone per non avere rivali nel succhiar sangue ai suoi contadini, cui dava ad intendere che era tutta colpa di Napoli.

        Al Sud le tasse arricchivano una corte improduttiva, a Torino e a Genova nasceva la Borsa.

        I Savoia rimasero a un certo punto l’unico Stato Italiano con una Costituzione, mentre Ferdinando serviva i maccheroni alla tavola della sua Corte per mantenere la sua popolarità da guappo.

        Non a caso i primi Piemontesi arrivati a Napoli scrivevano a casa lettere raggelanti, dove confidavano di sentirsi non fra compatrioti, ma fra Africani. Non era solamente un’impressione che oggi bolleremmo di razzismo.

        Alle prime elezioni su scala nazionale non valeva il suffragio universale (per quello avremmo dovuto aspettare la Resistenza, cioè il secondo Risorgimento): votavano solo i maschi che pagavano più di quaranta lire di tasse l’anno, cioè il 2% della popolazione. In percentuale, il contributo Merdionale all’elettorato era minimo, proprio per la disperante povertà relativa del Sud rispetto il Nord -povertà di cui non i Savoia, ma i Borbone portavano la massima responsabilità.

        Poi per carità, siamo tutti d’accordo che il Risorgimento fu voluto da una minoranza illuminata. E vorrei ben vedere: tutte le rivoluzioni lo sono.

        Esso fu possibile grazie a manovre e interventi di potenze straniere: anche qui, gli esempi nella Storia non mancano (a cominciare dalla Resistenza). E allora?

        Non certo l’Inghilterra, ma l’ottusa repressione dei vari Re Bomba, di Francesco IV di Modena, dei papalini a Perugia ecc. arrivo’ a favorire la causa Italiana e a promuovere i Savoia come alfieri di quella causa.

        Le componenti popolari e democratiche ci furono -ad esempio nel 1849 a Roma- ma proprio il loro carattere di rivoluzione sociale spinse i moderati, i borghesi, e gli stessi latifondisti d’Italia a fare fronte comune per prevenire una rivoluzione democratica.

        (L’aver risolutamente negato il carattere di rivendicazione sociale alla sua idea di rivoluzione patriottica e popolare, errore criticato all’epoca da Marx, costo’ a Mazzini tutta una riga di insuccessi che spinsero i suoi alla fine nelle braccia dei Savoia)

        Persino che pure Pio IX si atteggio’ a rivoluzionario (non che dopo Gregorio XVI fosse difficile). E soprattutto le intuizioni federaliste di un Gioberti e di un Cattaneo vennero rapidamente messe da parte di fronte alla prospettiva di uno Stato che coi suoi prefetti e coi suoi Carabinieri poteva garantire gli interessi dei ricchi contro i poveri meglio di qualunque Radetzky.

        Come tutti i fenomeni della Storia, il Risorgimento è un episodio di lotta di classe.

        Ma questo non toglie nulla alla validità di fondo dell’intuizione d Manzoni e di Mameli: ‘noi fummo da secoli calpesti e derisi perchè non siam popolo perchè siam divisi’.

        Come ha giustamente detto Napolitano, se fossimo rimasti divisi saremmo stati spazzati via dalla Storia.

        Al più saremmo finiti come i Curdi.

        Ciao!

        Andrea Di Vita

        • Francesco scrive:

          mi pare che da “calpesti e divisi” abbiamo campato, spesso molto bene, per mill’anni

          mi pari Antonio Martino, che se si parla di Patria spegne il cervello

          PS ma il Borbone non era liberoscambista in quanto esportatore agricolo, e il Savoia protezionista per sostenere le sue industrie nascenti, secondo una nefasta tradizione ancora viva?

          • Andrea Di Vita scrive:

            Per Francesco

            Dai Turchi a Otranto a Ludovico il Moro ai lanzichenecchi a Napoleone non è che ci possiamo vantare dei secoli di dominazione straniera post rinascimentale.

            Quanto al protezionismo e alle infrastrutture: ‘Il settore industriale […] venne decisamente sostenuto dal governo borbonico[28] con politiche protezionistiche. […] In particolare nell’ultimo decennio del regno di Ferdinando II, dopo i tragici fatti del ’49, vi fu una riduzione drastica della costruzione di nuove strade ferrate, la cui realizzazione si infrangeva davanti allo scetticismo acuto del Re nei confronti di questo mezzo di trasporto. Questo scetticismo era provocato dal fatto che Ferdinando II, con l’intenzione di limitare il propagarsi delle idee rivoluzionarie, giudicò i collegamenti ferroviari un fattore di rischio per la stabilità politica dello stato’ (http://it.wikipedia.org/wiki/Regno_delle_due_sicilie). Inoltre ‘Il Piemonte costruiva ferrovie per ottocentocinquanta chilometri […] sostenute soltanto da un ferreo regime doganale, che le teneva al riparo da qualsisa concorrenza, le industrie meridionali sarebbero state spazzate cvia da quelle piemontesi che, grazie al regime competitivo instaurato da Cavoir col libero scambio, fornivano prodotti molto migliori e più a buon mercato’ (I. Montanelli, ”L’Italia del Risorgimento” p. 405).

            Per finire: ‘A partire dal 1850, il Piemonte di Cavour era guidato da un élite liberale che impresse una radicale accelerazione, con lo scopo dichiarato di confrontarsi con le maggiori potenze europee. Il codice venne riformato sul modello di quello francese, più avanzato ma decisamente centralista. Venne fondata una nuova banca per fornire credito alle imprese industriali e vennero ridotti significativamente i dazi, in media del 10%, da confrontare con anche il 100% presente nel Sud. Vennero inviati tecnici in Inghilterra per studiare lo sviluppo bellico, e venne dato un forte sviluppo alle infrastrutture: il Canale Cavour, iniziato nel 1857, rese fertilissima la regione di Vercelli e Novara, le ferrovie vennero ampliate tanto che nel 1859 il Piemonte possedeva metà del chilometraggio dell’intera penisola, e la galleria del Moncenisio permise presto di raggiungere Parigi in un solo giorno di viaggio. Al contrario il governo borbonico ricalcava un modello aristocratico, basato su livelli inferiori di tasse e basse spese per le infrastrutture [da qui il superiore debito pubblico Sabaudo, n.d.r.]. La politica economica era paternalista: la produzione interna era protetta da alti dazi per l’importazione delle merci e il prezzo degli alimenti era tenuto basso dalla proibizione di esportare il grano, mentre la proprietà della terra era concentrata tra pochi possidenti che la tenevano a latifondo, o tenuta a Manomorta dalla Chiesa, mentre valevano ancora diritti feudali di decima e di fruizione pubblica di terreni comunali.’ (http://it.wikipedia.org/wiki/Questione_meridionale)

            Ciao!

            Andrea Di Vita

        • mirkhond scrive:

          Tutto il solito corollario di menzogne dei vincitori di 150 anni fa, dure a morire…..
          Che cosa ha fatto la tua rivoluzione di ricchi snob privilegiati per migliorare le cose in 150? E’ da 150 che i biekissimi Borbone non regnano più….
          Innanzitutto ha esteso a tutta Italia la miseria endemica del tuo caro Piemonte Sabaudo. Ai 2000000 (DUE MILIONI) di emigranti piemontesi e liguri nel 1840-1861, se ne sono aggiunti 20000000 (VENTI MILIONI) dall’invasione piemontese ad oggi, solo nel retrogrado Regno delle Due Sicilie.
          Se è così, preferisco tenermi la MIA imperfezione borbonica, piuttosto che la tua pseudo-perfezione straniera, buona solo a soddisfare gli interessi di una ristretta casta di ricchi…
          Sempre la stessa manfrina, che palle!
          Quali prove di forza ha dato la tua italia?
          Tutte le guerre che ha fatto glilele hanno vinte i potenti protettori stranieri, cioè l’Inghilterra, e quando doveva dimostrare DAVVERO di che pasta era fatta, nel 1940-43, abbiamo visto com’è andata a finire.
          Rassegnatevi il vostro staterello unitario ha la stessa forza di quelli preunitari.
          Siamo un paese debole e ruffiano.
          ciao

  37. mirkhond scrive:

    Si tende infine, a non considerare, da una parte e dall’altra, il ruolo svolto dalla Santa Sede nei confronti del nuovo stato unitario. Dopo averlo apertamente avversato, già nel 1865 il papato mollò la resistenza borbonica, accettando DE FACTO, il nuovo ordine piemontese. Nel marzo 1871, a pochi mesi dalla breccia di Porta Pia e alla vigilia dell’insediamento di corte e governo sabaudi nella nuova e definitiva capitale, giunsero a Vittorio Emanuele II, notizie (per lui) preoccupanti. Si era sparsa la voce che Pio IX stesse per fuggire in Corsica. Si trattava però di voci infondate in quanto il papa era anziano e malandato e gli aerei non esistevano ancora….
    Scherzi a parte, Pio IX aveva capito ormai che il clima politico era cambiato dal 1848-49, e un papa fuggito, che so, in Francia no, perchè travolta dalla feroce guerra civile intorno alla Comune di Parigi, strascico della fallimentare guerra franco-prussiana. In Francia, no dicevo, ma in Austria o Baviera forse. Solo che se si allontanava da Roma, il vecchio pontefice non vi avrebbe fatto più ritorno.
    Per cui rassegnato, cercò nei fatti, di lottare non per un’ormai impossibile restaurazione della carta politica preunitaria, quanto piuttosto per sopravvivere, per poi, gradualmente, tentare di riconquistare almeno parte delle posizioni perdute nell’influenza politica e sociale sull’Italia.
    Per cui se da un lato ribadì l’intransigenza ideologica col Non Expedit del 1874, dall’altro favorì la creazione di un movimento cattolico unitario, i Congressi mi sembra che si chiamasse, allontanando i nostalgici delle dinastie cattoliche preunitarie.
    Per cui i parroci non fecero che indirizzare le popolazioni italiane a sostenere sì il Papa, ma rispettando il nuovo ordine.
    Questa politica, gradualmente avrebbe cominciato a dare i suoi frutti al tempo delle guerre coloniali africane. Già nel 1888-89, Crispi voleva fare un concordato, ma i tempi non erano ancora maturi. Nel 1911-12, nonostante la condanna di Pio X, il clero italiano appoggiò la conquista della Tripolitania e Cirenaica ottomane, considerandola alla stregua di una crociata per convertire e “civilizzare” gli infedeli.
    E poi ancora coi cappellani militari nel 1915-18, in una guerra contro l’ultimo impero cattolico, e infine i Patti Lateranensi del 1929, fino ad oggi, con la Chiesa che si considera parte integrante ed essenziale dell’ordine tricolorato, coi festeggiamenti dei famosi 150 anni.
    In sostanza la Chiesa favorì i suoi interessi, tradendo l’ennesimo gruppo cattolico, e ciò in linea con una millenaria e tradizionale politica serpentina, messa in pratica ogni volta che veniva minacciata.
    Per cui una popolazione non eccessivamente animosa, una conformazione geografica, classi dirigenti politiche e religiose votate all’opportunismo, spiegano benissimo l’enigma della fine della “nazione” napoletana.
    ciao

    • Se non ci fossero stati i preti a far sollevare i contadini contro l’Italia e a favore della Sacra Monarchia di Franceschiello col cavolo che adesso qualcuno potrebbe stare a ripetere che il popolo vero (al contrario di quello finto…) fosse con Franceschiello e i suoi generali corrotti…

  38. mirkhond scrive:

    E gli stessi preti che scaricarono Franceschiello per sopravvivere nel nuovo ordine massonico!
    ciao

  39. mirkhond scrive:

    Mentre se non ci fosse stata l’Inghilterra, col cavolo che qualcun altro ci starebbe a rompere i c…. co stà manfrina dell’unità d’italia che tutti (?) bramavano da nord a sud…

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per mirkhond

      Per una volta lo dico anch’io: God save the Queen!

      Trovo questo interessante brano in http://it.wikipedia.org/wiki/Questione_meridionale#cite_note-12:

      ”L’inaugurazione nel 1839 degli 8 km della Napoli-Portici, prima ferrovia italiana, aveva suscito grande entusiasmo. Tuttavia, solo 20 anni dopo le ferrovie settentrionali si estendevano per 2035 km, mentre Napoli era collegato soltanto con Capua e Salerno, totalizzando un 98 km di linea ferrata.[12] Analogamente, secondo Nicola Nisco, nel 1860 erano privi di strade e quindi di fatto irraggiungibili ben 1621 paesi su 1848. Così de Cesare descrive il viaggio di re Ferdinando II in Calabria e Sicilia, nel 1852:
      « Cosi ebbe termine quel viaggio, che fu l’ultimo compiuto da Ferdinando II nelle Calabrie e in Sicilia. Esso non arrecò alcun reale vantaggio alle provincie calabresi, le quali seguitarono ad essere divise dal mondo e separate fra loro da distanze assurde. Il compassionevole abbandono, in cui il Re ritrovava, dopo otto anni, quelle provincie, prive di strade, di ponti, di telegrafi e di cimiteri, non lo commosse e assai meno lo turbò. Gli stessi pericoli, ai quali egli fu esposto per il pessimo stato delle vie, e i lamenti, per quanto umili e rispettosi, delle deputazioni che corsero a ossequiarlo, gli strapparono soltanto risposte sarcastiche, o promesse burlesche, ma non gli aprirono la mente sui bisogni di quelle contrade. La malaria fu fatale alle truppe, anche perchè vennero male alloggiate e mal nutrite, e non erano avvezze a marcie lunghe e disastrose. Morirono parecchi soldati e due ufficiali della Guardia Reale, molti gl’infermi e moltissimo il malcontento che quel viaggio lasciò nei soldati. Il generale Garofalo diceva, con ingenua tristezza ai fratelli Alcalà dei quali era ospite a Pizzo : “Ma non valeva la pena per una passeggiata sacrificare tanta gente; se si fosse trattato di una campagna di guerra ci saremmo rassegnati”. »”

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  40. mirkhond scrive:

    Riguardo alla ferrovia, torni sempre su argomenti triti e ritriti. Lo storico Tommaso Pedio affermò che nel settembre 1860 la tratta Napoli-Brindisi era in procinto di essere terminata. Se i lavori procedevano più lentamente che nel Piemonte (e non nel Nord generico) pseudo tutto lumi&progresso, era perchè Cavour SALASSO’ DI TASSE la popolazione, riempiendo il suo paese di DEBITI fino al collo, a differenza del retrogrado Ferdinando, cosa che certi non vogliono capire per ODIO PRECONCETTO, frutto di pregiudizi DURI A MORIRE.
    De Cesare poi, il principe dell’obiettività storica…..
    Già ma tanto che interessa tutto questo a chi vuol continuare a credere alla propaganda dei vincitori di allora?
    VIVA O RRE’
    Abbasso, abbasso, abbasso l’Inghilterra….

    • Francesco scrive:

      cosa mi fai dire!

      che uno Stato si indebiti per costruire strade, ferrovie, ponti, trafori, aeroporti, centrali nucleari, l’alta velocità, non è sbagliato

      un pò peggio che lo faccia per costruirsi la potenza militare con cui invadere i vicini … un disastro che lo faccia per pagare pensioni e prebende

      perchè è ben vero che il mondo industriale portava un netto miglioramento nelle condizioni materiali di vita dei popoli, come avrebbero mostrato le statistiche sulla durata della vita media e sulla crescita della statura

      certo, nel Regno delle Due Sicilie non c’era la coscrizione, e questo mostra un grande bene del mondo vecchio rispetto a quello nuovo

      ciao

      • mirkhond scrive:

        La coscrizione c’era anche da noi, solo che era più limitata e teneva conto delle necessità familiari e sociali. Con la riforma del marzo 1834, ne erano esonerati i figli unici maschi di madre vedova, gli abitanti di comunità con meno di 500 abitanti, i seminaristi, oltrechè gli invalidi. In una famiglia con più figli maschi, era sufficiente che il servizio militare lo svolgesse solo uno.
        Venivano richiamati i giovani tra i 18 e i 25 anni, e sorteggiati con un bussolotto.
        I siciliani erano esonerati, tranne i volontari per i due reggimenti Messina e Palermo.
        Nel 1860 su una popolazione di 9000000 di abitanti, l’esercito contava sulla carta 93000 uomini, 70000 come effettivi.
        I reggimenti svizzeri non furono sciolti per motivi fiscali, ma in seguito ad una legge svizzera del 1859 che proibiva ai suoi militari operanti all’estero, di utilizzare le bandiere cantonali come stendardi al di fuori della Confederazione.
        Non tutti gli svizzeri però accettarono questa legge, e sciolti i reggimenti, costoro furono poi inquadrati nei reggimenti nazionali, nei quali si batterono con onore contro i garibaldini/piemontesi.
        ciao

  41. mirkhond scrive:

    “Cavour aveva alimentato l’industria e sviluppato le infrastrutture Piemontesi abbandonando la linea di rigore finanziario dei suoi predecessori e aumentando il debito pubblico. ”

    E infatti nel 1859-60, era alla bancarotta e con una popolazione stremata e dissanguata dai sogni e dalle manie di grandezza. I nostri soldi e le nostre fatiche, furono davvero provvidenziali per risanare quelle piemontesi….

    “il Meridione languiva nel latifondo”

    Nel 1855 Ferdinando II aveva promulgato una legge agraria per sviluppare i terreni incolti, solo che la tua rivoluzione pseudoumanitaria nel 1860 mandò tutto a bagasce, per lasciare tutto nelle mani dei soliti privilegiati.

    “Alle prime elezioni su scala nazionale non valeva il suffragio universale (per quello avremmo dovuto aspettare la Resistenza, cioè il secondo Risorgimento): votavano solo i maschi che pagavano più di quaranta lire di tasse l’anno, cioè il 2% della popolazione. In percentuale, il contributo Merdionale all’elettorato era minimo, proprio per la disperante povertà relativa del Sud rispetto il Nord -povertà di cui non i Savoia, ma i Borbone portavano la massima responsabilità.”

    Il contributo napoletano fu minimo esattamente come negli altri ex stati preunitari, proprio per il carattere ELITARIO e CENSITARIO della tua rivoluzione di ricchi-snob.
    Ancora la popolazione votava per il ritorno dei sovrani preunitari, che orrore!
    Non vedo di cosa i Borbone avessero responsabilità, visto che si trattava di elezioni volute dal Piemonte a suo uso e consumo per CONFERMARE e dare una parvenza di legalità ad un’illegalità bell’e buona. Ma tanto ogni cosa è buona per denigrare chi non piace….

    • Però i primi censimenti dimostrano che effettivamente il numero degli analfabeti al Sud era molto maggiore rispetto di quelli degli altri stati preunitari, Stato Pontificio incluso. E serviva saper leggere e scrivere per votare, per ragioni abbastanza ovvie 😉

      • mirkhond scrive:

        Votavano i ricchi, non i poveri, nemmeno nei più “colti” ex stati del Centro-Nord.
        ciao

        • Le condizioni erano due: la ricchezza e l’alfabetizzazione. Ovviamente le due cose erano all’epoca strettamente collegate, ma eventuali arrichiti analfabeti non avevano comunque il diritto di voto.

          • PinoMamet scrive:

            “eventuali arrichiti analfabeti non avevano comunque il diritto di voto.”

            Aridatece il Regno delle Due Sicilie!!
            😉

          • mirkhond scrive:

            Per Mauricius

            A Tarvisio, annessa all’Italia nel 1918, che ne pensa davvero la gente dell’unità d’Italia? Una parte della popolazione è ancora germanofona? E nella Val Canale?
            ciao

  42. mirkhond scrive:

    “Non certo l’Inghilterra, ma l’ottusa repressione dei vari Re Bomba, di Francesco IV di Modena, dei papalini a Perugia ecc. arrivo’ a favorire la causa Italiana e a promuovere i Savoia come alfieri di quella causa.”

    Se Re “Bomba” non avesse toccato gli interessi britannici sugli zolfi siciliani, la tua italia poteva andarsi a fare benedire…..

    “Poi per carità, siamo tutti d’accordo che il Risorgimento fu voluto da una minoranza illuminata. E vorrei ben vedere: tutte le rivoluzioni lo sono.”

    E proprio questo per me le SQUALIFICA.

    “Come tutti i fenomeni della Storia, il Risorgimento è un episodio di lotta di classe.”

    Si della lotta della classe ricca per diventare ancora più ricca.

    “Come ha giustamente detto Napolitano, se fossimo rimasti divisi saremmo stati spazzati via dalla Storia.”

    Napolitano dovrebbe anche spiegarci come mai questo stato unitario è tanto forte e influente che è riuscito perfino a farsi scippare il cortile di casa libico dalla Francia….
    O che non è riuscito ad evitare di farsi coinvolgere nella lontana guerra afghana…
    Eh l’ideologia, l’ideologia…..

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