Gli occhiali di Emily Henochowicz

Il 31 maggio del 2006, un soldato israeliano ha sparato un lacrimogeno in faccia alla pittrice ventunenne statunitense, Emily Henochowicz, facendole perdere un occhio.

Come scrive Naomi Klein,

“Ha dedicato la sua vita al vedere, al testimoniare. E per questo ha perso l’occhio sinistro”.

Con la leggerezza del coraggio, oggi porta un paio di occhiali con una lente dipinta da lei stessa, per coprire l’occhio mancante.

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Gli occhiali di Emily Henochowicz

Adesso ha bisogno di aiuto, per pagare l’affitto e comprarsi un po’ di quaderni per disegnare. Potete acquistare i suoi disegni, o mandarle semplicemente un po’ di soldi, o magari un saluto e basta.

I dettagli li trovate sul blog di Emily Henochowicz, Thirsty Pixels.

Emily è certamente una vittima di un sistema criminale; ma siccome qui non siamo amanti della politica rancorosa, io la voglio vedere soprattutto come una splendida persona, con una grande creatività, che sa sorridere anche della propria catastrofe.

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12 risposte a Gli occhiali di Emily Henochowicz

  1. Miguel Martinez scrive:

    Lo scrivo tra i commenti, per non creare equivoci – qui non crediamo alle razze, e quindi le origini etniche delle persone sono irrilevanti: non abbiamo mai aderito alla tendenza di certi amici dei palestinesi che sottolineano che qualche sostenitore dei diritti palestinesi è “ebreo”. Ciò che conta è solo che sia un essere umano, qualità rara ma del tutto trasversale a tutte le etnie e religioni.

    Però il percorso personale di Emily Henochowicz è degno di particolare rispetto, perché rispecchia una presa di coscienza e una capacità di trasformazione straordinaria.

    Il padre di Emily è nato a Tel Aviv, figlio di ebrei polacchi sopravvissuti all’Olocausto; e lei è cresciuta, negli Stati Uniti, in una famiglia ebrea osservante, che l’ha voluta mandare in Israele.

    In Israele, non ha mai militato in organizzazioni particolari, ha semplicemente cominciato a vedere come andavano le cose. E la capacità di aderire alla verità, al di sopra dei propri pregiudizi, è una delle migliori capacità dell’essere umano.

    • Francesco scrive:

      >> la capacità di aderire alla verità, al di sopra dei propri pregiudizi, è una delle migliori capacità dell’essere umano.

      sottoscrivo in pieno

      ciao

  2. Miguel Martinez scrive:

    Qui c’è un video in cui Emily Henochowicz racconta la sua storia.

    In un inglese chiarissimo, credo che si capisca abbastanza bene.

  3. Miguel Martinez scrive:

    Per Francesco,

    Detto così, sembra inoppugnabile. Come sembra inoppugnabile il contrario, “essere sempre coerenti con se stessi”, una frase molto usata in certi ambienti altamente politicizzati/fossilizzati.

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Martinez

      Sdrammatizzo con un aneddoto in stile Esopo 🙂

      Il mio professore di Filosofia, durante l’interrogazione del secondo quadrimestre di Terza liceo classico della più bella ragazza della classe, le chiese a bruciapelo:

      ‘Ti piacerebbe avere un fidanzato dalle certezze salde, granitiche, che non cambia mai idea a dispetto dei santi oppure uno disposto al confronto, al dialogo, pronto a cambiare opinione sulle cose e sulla gente se qualcuno è in grado di convincerlo che ha torto?”

      Lei ovviamente rispose:

      ”Uno che sa cambiare idea, certo”.

      Al che lui, che pregustava il tranello dialettico:

      ”Allora non ti dispiacerà se ti pianta”.

      A questo punto, se io fossi Esopo concluderei così 🙂 :

      La storiella dimostra che nè la coerenza nè la flessibilità sono valori di per se stessi. La prima fa presto a degenerare in fede, la seconda in vigliaccheria.

      Ciao!

      Andrea DiVita

  4. Ritvan scrive:

    —-Adesso ha bisogno di aiuto, per pagare l’affitto e comprarsi un po’ di quaderni per disegnare. Potete acquistare i suoi disegni, o mandarle semplicemente un po’ di soldi, o magari un saluto e basta.MM—-

    Beh, io le mando – tramite te, spero, caro Miguel – qualcosa di più utile di un saluto: un consiglio. Faccia causa (cosa che sarebbe stato meglio avesse fatto subito dopo i fatti, ma come si dice, meglio tardi che mai) e chieda un risarcimento adeguato.
    P.S. Miguel, ti prego non mi rispondere che sarebbe tempo (e denaro) perso, poiché i tribunali israeliani sono – come tutta “L’Entità Sionista”, del resto:-) – “razzisti”: ti ricordo che lei è ebrea:-)

  5. ettore scrive:

    Se non ti dispiace lo condivido su Fb

  6. Giancarlo scrive:

    Per la verità Emily, rappresentata dall’Avvocato Mishael Sfard, da subito ha provato a rivendicare le proprie ragioni. Ma l’inchiesta, per il momento, ha accertato la sua “sfortuna” per essere stata colpita di rimbalzo e la sua stessa “responsabilità” per essersi messa da sola in pericolo, partecipando a quella manifestazione.

    http://www.facebook.com/search.php?q=kelenek+blog&init=quick&tas=0.936292751811943#!/notes/giancarlo-ranaldi/emily-con-rabbia-per-la-pace/466956053805

  7. Giancarlo scrive:

    Emily… con rabbia per la pace.

    Emily Henochowiz, 22 anni da qualche giorno, allieva della prestigiosa School Art Cooper Union di Manhattan, era in Israele per frequentare un corso d’animazione alla Bezalel Academy di Gerusalemme, quando all’improvviso i suoi disegni cominciarono a raccontare, nella loro quotidianità, il lento scorrere della vita nei Territori Occupati.

    L’ultimo giorno di maggio Emily era in strada per una delle tante pacifiche manifestazioni spontanee organizzate nelle ore successive ai tragici fatti della “Freedom Flottiglia”, con il suo carico di umanità diretto Gaza e dove persero la vita nove persone. A Qalandyia, il grande posto di blocco che divide Ramallah da Gerusalemme, un lacrimogeno sparato dalla polizia israeliana la colpì in pieno volto, con effetti devastanti. Ricoverata all’ospedale di Hadassah di Gerusalemme, il giorno dopo Emily subì l’asportazione del bulbo oculare sinistro e nel tempo si sono resi necessari diversi e delicati interventi per ridurre le fratture facciali multiple, che pure aveva riportato.

    Oggi è più bella che mai…

    Le autorità Israeliane hanno aperto un’inchiesta sull’accaduto, conclusasi in tempi brevissimi per accertare che nessuna responsabilità poteva addebitarsi alla Polizia di Frontiera Israeliana, che Emily era stata sfortunata perché colpita da un colpo di rimbalzo e che, proprio a volerla dire tutta, la colpa era solo la sua “per essersi messa in pericolo, partecipando alla manifestazione”. Incredibile ma vero e di tanto dà notizia il quotidiano Israeliano “Ha’aretz”:

    http://www.haaretz.com/print-edition/news/police-exonerate-israeli-officers-who-shot-tear-gas-canister-into-u-s-activist-s-eye-1.327266

    L’avvocato Michael Sfard, nipote del famoso sociologo Zigmunt Bauman, specializzato in “International Human Rights Law”, condanna duramente l’indagine della polizia, a suo avviso viziata dalla tipica arroganza del Potere, disperatamente alla ricerca di una improbabile autoassoluzione. Una indagine frettolosa ed incoerente, che non ha avuto neanche la necessità di raccogliere le testimonianze del noto giornalista di Ha’aretz, Avi Issacharoff, e del fotografo, Daniel Bar-On, che erano presenti sulla scena. Per Sfard questa indagine può essere solo considerata come un ostacolo, una sorta di malcelata “confessione di mancanza d’interesse, nella ricerca della verità”.

    Emily, di origine Polacca (i nonni sopravvissuti alla Shoà), che solo incidentalmente ha la doppia cittadinanza Israeliana ed Americana è, soprattutto, una ragazza straordinaria capace di un grande amore che non conosce frontiere o diverse nazionalità, e dalla sua pagina di Facebook rilancia i suoi pensieri.

    Emily dice che in realtà in questo “processo” non ha mai creduto. Non riesce neanche ad incolpare il soldato che ha sparato. Vorrebbe solo sapere se realmente lui voleva colpirla, chiedendosi se un giorno potranno parlare senza fare a botte.

    Questa è Emily… “Stufa del sistema che ci divide, stufa di sentire che non può cambiare. Fermiamoci aspettando con rabbia per la pace. Può essere fatto. In questo io credo”.

    “Don’t tell me what’s the reality; I want the dream”.

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