Lierre Keith, il Mito vegetariano

Vedo nascere in questo blog una traccia di qualcosa: la raccolta di visioni il più possibile diverse della “questione ambientale”.

Sto leggendo un libro che vedo è stato tradotto in italiano, Il mito vegetariano di Lierre Keith, pubblicato dalla Sonzogno.

Non vi fidate del mio riassunto, perché la parte più ricca sta nell’approccio dell’autrice e in ciò che lei è.

Lei ha scelto una vita in coerenza con ciò che sentiva dentro di sé, e quindi è andata fino in fondo (contadina in condizioni non facili e sei arresti finora…).

Però coerenza non vuol dire rigidità. Lierre è lontana dal fanatismo di chi si tuffa a occhi chiusi.

Impara dall’esperienza diretta e vissuta, sa ascoltare opinioni lontane dalla propria e rifletterci e assorbirne qualcosa. Sa bilanciare una sensibilità mistico-romantica con scetticismo e amore per la scienza; e ha una spietata capacità di autocritica.

E come se non bastasse, scrive con uno stile  intenso e poetico eppure logico e comprensibile.

Il libro racconta sostanzialmente di come lei sia cresciuta, prima scegliendo un veganismo rigoroso, nell’illusione di “non uccidere mai”, per poi rendersi conto, combinando la pratica con gli studi scientifici, che senza morte non esiste vita.

E che abbiamo un sistema digerente che somiglia molto più a quello dei carnivori che a quello degli animali vegetariani.

Esiste una biosfera ricchissima di vita/morte che si fonda sui batteri (“un cucchiaio di terriccio fertile contiene più di un miliardo di forme di vita“), sulle piante perenni e sui ruminanti, che raccolgono l’indigeribile cellulosa con cui alimentano i batteri che hanno nel proprio corpo; divorano poi gli stessi batteri e infine donano di nuovo nutrimento al terreno.

Il principale nemico della vita diventa quindi, non la dieta carnivora, ma paradossalmente l’agricoltura: per fare posto alle piante annuali, l’uomo distrugge quelle perenni (che quindi non riescono più a tenere fermo il suolo con le loro radici), annienta gli animali, riempie il terreno di pesticidi e fertilizzanti chimici; e costringe i ruminanti a una dieta per loro malsana di grano.

Dopo nemmeno due secoli, i territori degli Stati Uniti, che una volta tenevano in vita 60 milioni di bisonti sani, riescono a stento a far vivere 40 milioni di mucche malate.

Lierre racconta di sé; e quindi queste riflessioni sono spesso legate a come lei abbia superato (non rinnegato) il veganismo. Io penso che siano molto più ampie e ci portino più lontano, ma molti vegani lo hanno preso come un attacco diretto a loro. Pazienza.

Perché la vera questione non è la dieta o il “verde”, è come permettere alla natura di ricreare se stessa. In fondo, come non fare qualcosa.

“La verità è che la vita non è possibile senza la morte, che qualunque cosa tu mangi, qualcuno deve morire per alimentarti.

Io voglio un rendiconto, un rendiconto che vada molto oltre ciò che si trova sul tuo piatto. Mi chiedo di tutto ciò che è morto nel processo, tutto ciò che è stato ucciso per portare quel cibo sul tuo piatto.

E’ una domanda più radicale, ed è l’unica in grado di far emergere la verità. Quanti fiumi sono stati sbarrati con dighe e prosciugati, quante praterie arate e foreste abbattute, quanto humus trasformato in polvere e soffiato via come un fantasma?

Voglio sapere di tutte le specie – non gli individui, ma la specie intera – il chinook, il bisonte, il passero cavalletta, i lupi grigi. E voglio qualcosa in più del semplice numero dei morti che non ci sono più: voglio vederle ritornare.

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80 risposte a Lierre Keith, il Mito vegetariano

  1. mirkhond scrive:

    “Il principale nemico della vita diventa quindi, non la dieta carnivora, ma paradossalmente l’agricoltura: per fare posto alle piante annuali, l’uomo distrugge quelle perenni (che quindi non riescono più a tenere fermo il suolo con le loro radici), annienta gli animali, riempie il terreno di pesticidi e fertilizzanti chimici; e costringe i ruminanti a una dieta per loro malsana di grano.”

    Alla luce di quanto scritto, acquisterebbe un significato la maledizione di Dio nei confronti di Caino, il primo agricoltore ricordato nella Bibbia, a cui Dio stesso preferisce il fratello pastore Abele.
    E Caino sempre nella Bibbia, è considerato il fondatore della civiltà.
    Del resto anche l’archeologia e la scienza sostengono che il passaggio della vita umana da uno stadio di cacciatori-raccoglitori nomadi a quello di agricoltori sedentari fu il primo trauma della storia umana, con l’inaridimento di territori un tempo paradisiaci (l’Eden) dovuto agli intensi disboscamenti per fare spazio alle colture.
    Insomma il passaggio all’agricoltura significò un indurimento delle condizioni di vita dei nostri antenati, una maggiore fatica per strappare a suoli diventati aridi il pane della vita, oltre a conflitti per conquistare nuove terre fertili.
    L’uomo diventando agricoltore scoprì il male, forse proprio perché uscì dallo stato di natura di cui era parte.
    Da qui forse, la predilezione biblica per il pastore, per il nomade.

    • Miguel Martinez scrive:

      Per Mirkhond

      bella l’intuizione su Caino e Abele.

      Il libro della Lierre pone due problemi fondamentali per i vegani (che, ricordiamo, non solo non mangiano, ma nemmeno “usano” gli animali):

      1) se non si usa il concime naturale, tocca usare il concime chimico

      2) per tenere lontane le lumache, la Lierre ha rotto il proprio veganismo nel momento in cui ha dovuto scegliere tra:
      – antiparassitari chimici
      – farina fossile, che sembra tanto bioeco, poi si scopre che funziona infliggendo mille ferite alle lumache che poi muoiono disidratate
      – galline, che risolvono il problema subito

    • Francesco scrive:

      un indurimento delle condizioni di vita mi sembra un’ipotesi del tutto improbabile

      non si spiegherebbe, per esempio, perchè mai i nostri antenati avrebbero fatto quel passo

      nè perchè si siano moltiplicati

      per tornare a MM, quando le praterie del Nord America ospitavano 60 milioni di bisonti, ci vivevano pochi milioni di umani, molto pochi. e pure in grado di far estinguere i cavalli!

      ciao

    • Peucezio scrive:

      Mirkhond,
      è un tema molto interessante.
      Io sono sempre stato un po’ scettico circa l’idea di un paleolitici edenico, incontaminato e felice e di un neolitico che, violentando l’equilibrio naturale, avrebbe rotto l’incanto e rappresentato l’inizio dell’alienazione e dell’infelicità umana.
      La mia percezione – ma è un tema che andrebbe studiato e penetrato realmente nelle sue implicazioni simboliche e antropologiche – è che il mito biblico, che ha rispondenze in tante altre culture, sia il solito disprezzo guerriero dei parassiti distruttori nei confronti della civiltà: è lo stesso disprezzo dei Germani verso i Latini, ma anche degli Indoeuropei verso i Preindoeuropei e dei nordicisti iperborei alla Evola verso i mediterranei.
      Non saprei dire se all’origine ci sia una sorta d’invidia (noi siamo selvaggi e voi no e per compensare questo complesso invertiamo la realtà e vi chiamiamo selvaggi) o invece un meccanismo anarcoide per cui si ha un’insofferenza verso il vincolo (che però dà il pane) e si vagheggia un mondo libero e pre-civile (ma a farlo sono sempre quelli che sono liberi sfruttanto quegli altri che il vincolo se lo sono accollato).
      La civiltà è una conquista, mentre l’immaginario ama le strade facili: è più appagante pensare che il mondo sia bello potendo dare libero sfogo al proprio istinto.

      • Miguel Martinez scrive:

        Per Peucezio

        “Io sono sempre stato un po’ scettico circa l’idea di un paleolitici edenico, incontaminato e felice e di un neolitico che, violentando l’equilibrio naturale, avrebbe rotto l’incanto e rappresentato l’inizio dell’alienazione e dell’infelicità umana.”

        La tesi va affrontata su due piani, che è facile confondere: quello degli immaginari e quello biologico.

        Su quello degli immaginari, è affascinante discuterne e confrontarli, ci dicono molto sulle nostre sensibilità.

        Sul piano biologico, invece, la tesi di fondo della Keith (che credo provenga da Richard Manning) o è giusta o è sbagliata: l’agricoltura fondata sulle piante annuali dai grandi semi e dalle fragili radici distrugge la stessa biosfera, trasformandola velocemente in polvere, e per essere mantenuta ha bisogno di dosi sempre crescenti di sostanze distruttive.

        Per questo, la Keith dice che sono le piante annuali ad aver domesticato l’uomo: è un concetto strano a prima vista, ma finiamo tutti mangiati prima o poi, l’importante è riuscire a diffondersi. E le piante annuali ci sono riuscite. perfettamente.

        • Miguel Martinez scrive:

          La Keith cita alcuni biologi che sottolineano due cose:

          – tutte le piante, non potendosi spostare, sono maghi della chimica (odori, sapori, trucchi per farsi riprodurre da altri)

          – le piante annuali producono esorfine, oppiacei che hanno un effetto appagante sul cervello, inducendo l’uomo a cercarle continuamente: non a caso quando ci “strafoghiamo”, è sempre di cereali, non di frutta o di carne.

          E questa sarebbe l’arma con cui il grano avrebbe sedotto l’uomo.

          • Francesco scrive:

            parla per te, io mi sono strafogato sia di ciliege sia di bistecche, salsicce, spiedini, cotolette …

            🙂

            povere piante annuali, che senza l’uomo non camperebbero più, visto quello che sono le specie domesticate rispetto a quelle selvagge originarie!

            🙂

          • PinoMamet scrive:

            Devo dire che l’esempio di Francesco delle ciliegie mi convince…

            mentre non ricordo di aver visto nessuno strafogarsi di barrette ai cereali, per esempio

            (di solito le mangiano- è capitato anche a me- come surrogato di cibi più gustosi, perché non fanno ingrassare o perché in frigo non è rimasto altro… e spesso chi le produce ci sbatte dentro proprio la frutta per renderle più appetitose).

            • Oldboy scrive:

              PinoMamet

              Però è vero che la carne sazia molto più in fretta, rispetto ai cibi derivati dai cereali.
              (Magari zuccherati e salati, come spesso càpita.)

              Per cui è molto più facile fare scorpacciate di questi ultimi, che di carne.
              Quanto alla frutta, dipende.
              Certo le ciliegie sono proverbiali, e anche le fragole non scherzano…

            • Z. scrive:

              Io adoro divorare quantità rilevanti di cozze alla tarantina, di lasagne, di salsicce, di frutta estiva e di torta sacher.

              Ci metteranno mica gli oppiacei dentro?

        • Peucezio scrive:

          Miguel,
          ma il succo sarebbe che anche se fossi continuata l’agricoltura tradizionale preindustriale (che, se fossimo rimasti, demograficamente, quanti eravano ancora nell”800, senza andare lontano, era perfettamente sostenibile) alla fine il pianeta sarebbe andato a farsi fottere con noi dentro?
          In quanto tempo, nell’ipotesi?

  2. Oldboy scrive:

    Lierre Keith, scrittrice ex vegana, spiega i danni causati dalla dieta vegana:

    ”Spossatezza, danni gastrici, depressione, ansia, perdita di mestruazioni.
    Non esistono fonti non animali di vitamina B12, che serve per vista e cervello.
    Ai bambini la carenza causa danni neurologici anche irreversibili”…

    E, soprattutto, racconta che cosa le hanno procurato anni di dieta vegana.

    «Dopo tre mesi (…) le mie mestruazioni cessarono», scrive.
    «Nello stesso periodo cominciò anche la spossatezza, e continuò a peggiorare insieme alla sempre presente sensazione di freddo (…)

    All’ età di 24 anni ho sviluppato la gastroparesi. (…) A tutto ciò si sommavano la depressione e l’ ansia».

    La Keith dice senza mezzi termini: «Ho distrutto il mio corpo».
    Si è sottoposta a un regime alimentare che le ha sottratto grassi, proteine e vitamine necessarie allo sviluppo e alla sopravvivenza.

    Poiché erano di origine animale, le ha rifiutate.
    Gli esempi sono tantissimi, prendiamo solo i principali, ad esempio la vitamina B12.

    «Non esistono fonti non animali di vitamina B12», spiega la saggista. «E senza di essa potete diventare ciechi o danneggiare il cervello.
    La carenza di B12 può portare anche all’ infertilità, all’ aborto e forse all’ Alzheimer». Ai bambini, invece, la mancanza di questa vitamina causa danni neurologici anche irreversibili.

    I vegani soffrono di spossatezza cronica, poiché non assumono proteine di buona qualità.
    Tendono alla depressione, perché non assumono abbastanza grassi e hanno il colesterolo troppo basso: «Bassi livelli di colesterolo comportano ridotte quantità di serotonina, e quindi la depressione».

    Come se non bastasse, ci sono i disturbi alimentari.
    «Un numero compreso fra il 30 e il 50% delle ragazze e delle donne che ricorrono a un trattamento per l’ anoressia e la bulimia sono vegetariane».
    Insomma, al corpo manca il nutrimento necessario, e la conseguenza è il disfacimento.

    La Keith non parla a vanvera, le fonti del suo libro sono sterminate, e piuttosto serie.

    Un dato in particolare taglia la testa al toro:
    «Anche accantonando tutte le differenze nello stile di vita che molti vegetariani attuano – non fumare e non bere, fare esercizio fisico – la percentuale di mortalità per tutte le cause dei maschi vegetariani (0,93%) è ancora un po’ più alta che tra gli onnivori (0,89%).

    Per le donne vegetariane è significativamente più elevata (0,86%) che tra le donne onnivore (0,54%)

    (https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/meglio-morire-salsiccia-che-sopravvivere-tofu-vegetarianesimo-111590.htm)

    • Miguel Martinez scrive:

      Per Oldboy

      “Lierre Keith, scrittrice ex vegana, spiega i danni causati dalla dieta vegana: ”

      Certo, sono tutte cose giuste, ma attenzione: l’Italia è divisa tra un 2% di vegani (se va bene) e un 98% di non vegani, e non voglio fare post troppo lunghi.

      La cosa affascinante di Lierre Keith è la critica all’agricoltura, che è la base della “civiltà” e, molto secondariamente, anche del vegetarianismo e del veganismo.

      Se non si coglie la critica alla coltivazione delle piante annuali, tutto il resto rimane privo di senso: Lierre non fa in alcun modo l’apologia degli allevamenti industriali, e non è giusto verso di lei fare finta che lo faccia.

      • Oldboy scrive:

        Miguel

        Hai fatto benissimo a parlare della Keith: nel clima attuale è davvero una “voce contro vento”, come si diceva una volta.
        (E lo testimonia il modo in cui la setta vegana ha reagito.)

        E’ una voce coraggiosa e controcorrente, e già solo per questo meriterebbe il plauso di coloro che conservano un po’ di senso critico.

        Non ho parlato di allevamenti industriali – finora.
        Ma li ritengo indispensabili in un pianeta purtroppo sovrappopolato.

        • Miguel Martinez scrive:

          Per Oldboy

          “Hai fatto benissimo a parlare della Keith: nel clima attuale è davvero una “voce contro vento”, come si diceva una volta.”

          E’ un po’ quello che sto cercando di fare adesso.

          Non tanto per essere “contro” – che di distruttivo mi basta il sistema in cui viviamo – ma perché ognuno può contribuire qualche riflessione utile.

          Per questo ho messo anche il post sui larouchiani, che sono la punta estrema che potremmo chiamare senza tema di smentita “l’antiambientalismo”.

          E ho avuto il piacere di ricevere un messaggio di complimenti da uno dei dirigenti dei larouchiani italiani.

          • Miguel Martinez scrive:

            Sempre per Oldboy

            Sia con i larouchiani che con Lierre Keith, ho cercato di rappresentare l’essenza della loro visione. Che peraltro sono due visioni esattamente, totalmente, radicalmente opposte della vita e dell’universo.

            Per questo non ho insistito sull’aspetto “anti anthropogenic global warming” dei larouchiani, o “anti-vegan” della Keith, perché preferisco far capire cosa c’è dietro i messaggi di entrambi.

        • Francesco scrive:

          Dear mr. Oldboy,

          non capisco il nesso tra allevamenti industriali e popolazione umana. Almeno in teoria, una dieta vegetariana, integrata con poca carne da allevamenti non industriali, non dovrebbe essere sia sufficiente sia migliore per l’ambiente?

          F o’bisteccaro rassegnato

          • Oldboy scrive:

            Per Francesco

            Senza gli allevamenti industriali, solo i ricchi potrebbero permettersi la carne e i latticini.

            Poiché l’uomo è onnivoro di natura, ciò sarebbe un gravissimo danno per gran parte dell’umanità.
            (Per i motivi spiegati dalla coraggiosa Lierre Keith.)

            I problemi veri sono due: il pianeta è sovrappopolato e le risorse, che sono limitate, non vengono distribuite equamente.

            Per risolvere – o almeno affrontare – il primo bisognerebbe smettere di riprodursi.
            (Cosa per me auspicabilissima.)

            • Francesco scrive:

              (prego faccia pure)

              io parlo di una dieta vegetariana (in gran parte), che non dovrebbe dare seri problemi di salute

              giusto?

              poi senza qualche privilegio, a che pro sbattersi per diventare ricchi?

              😀

              • Oldboy scrive:

                Francesco

                1) Oggi la carne e i latticini sono accessibili a tutte le tasche grazie agli allevamenti industriali.

                Senza di loro, gran parte dell’umanità sarebbe costretta a una dieta povera, carente di proteine di alta qualità.
                (Come accadeva fino a qualche decennio fa anche qui in Italia.)

                Con tutte le conseguenze descritte fra l’altro dalla stessa Lierre Keith, nel mio primo commento a questa discussione.

                2) Riprodursi è profondamente sbagliato, a mio avviso, e la questione ecologica non è il motivo principale.

                Ma ovviamente questo argomento ci porterebbe troppo lontano dal tema dell’articolo.
                Magari ne parleremo un’altra volta.

              • Miguel Martinez scrive:

                Per Oldboy

                “Oggi la carne e i latticini sono accessibili a tutte le tasche grazie agli allevamenti industriali.”

                Gli allevamenti industriali dipendono dall’agricoltura, che sono l’oggetto principale della critica di Lierre Keith.

              • Francesco scrive:

                ma la tipa non ce l’aveva con i vegani?

  3. Moi scrive:

    In effetti l’ambìto titolo di Specie Più Onnivora del Pianeta è da sempre conteso, praticamente alla pari senza vincenti, fra Specie Umana e Specie Suina !

  4. Moi scrive:

    °°° MANGINA MODE ON °°°

    Caino e Abele sono espressione del medesimo errore di fondo : abbandonare un Culto Geotropico Matriarcale per seguirne uno Uranotropico Patriarcale; l’ esito tragico della vicenda è una delle prime memorie storiche, tramandate via mito, collettive dei danni causati dalle primordiali Politiche del Testosterone … a oggi ininterrotte !

    E … meno male che c’è il Libro (di Frau Gruber) a illuminarci !

    *** MANGINA MODE OFF ***

  5. Moi scrive:

    Malthus delle odierne BioTecnologie del Settore AgroAlimentare non sapeva un cazzo … e credeva che il massimo della Fonte di Energia fosse il vapore !

    … Andé mò bàn a fèr un squass ed pugnàtt, vuèter insàma a lò ! 😉

  6. Moi scrive:

    Donne, sappiatelo: l’ecosostenibilità dipende da come gestite le mestruazioni

    A spararla grossa è il Capogruppo alla Camera del M5s, secondo cui le donne dovrebbero usare coppette e assorbenti lavabili. Che sono comunque tassati al 22%

    https://www.wired.it/attualita/ambiente/2019/05/17/assorbenti-iva-coppette-francesco-duva/

    … beccatevi questa ! 😉

    • Z. scrive:

      Che mi risulti:

      – i tartufi non sono tassati al 4% ma al 5%;
      – per le ostriche non è prevista una tassazione agevolata;
      – i “beni di lusso” non sono una categoria IVA.

      Detto questo, tassare al 4% gli assorbenti non mi sembra una cattiva idea. Quelli lavabili, se non altro.

    • Roberto scrive:

      Sta boiata circola periodicamente da anni….

  7. Miguel Martinez scrive:

    Segnalo che Trump ha tolto la protezione ai kurdi, ma i soldati americani restano in Siria per impedire ai siriani di accedere al proprio petrolio.

    E Trump ha dichiarato che vuole dare il petrolio a qualche multinazionale americana:

    ” President Donald Trump on Sunday said he’s interested in making a deal with ExxonMobil or another energy company to tap Syrian oil reserves.

    “What I intend to do, perhaps, is make a deal with an ExxonMobil or one of our great companies to go in there and do it properly…and spread out the wealth,” he said.”

    https://www.theamericanconservative.com/larison/the-cartoon-imperialist-president/

  8. Guido scrive:

    Chiedo scusa ma ho l’impressione che quando si affrontano argomenti come il vegetarianismo si finisca di parlare solo di dieta venendo puntualmente rimossa la principale questione: l’etica. Vale a dire il nostro essere nel mondo e dunque il nostro rapporto con gli altri esseri viventi. Sfugge ad esempio la differenza tra uccidere per capriccio del palato e uccidere per necessità. E poi, quanti di noi mangiano un pollo senza assumersi l’onere di ucciderlo in prima persona, senza delegare a qualcun’altro losgradevole compito? Questa banale osservazione significa qualcosa?
    Ciò detto confesso di non avere affatto idea di come ci si debba alimentare e io stesso non faccio a meno di proteine animali. Non ho soluzioni ma mi limito a osservare che il problema resta aperto e che forse ci sprona a un dover fare i conti con ciò che siamo e con ciò che potremmo essere piuttosto che con scivolose definizioni di cosa sia la natura umana (quasi sempre ignorata nel suo percorso storico e dunque assolutizzata)

    • Miguel Martinez scrive:

      Per Guido

      “Chiedo scusa ma ho l’impressione che quando si affrontano argomenti come il vegetarianismo si finisca di parlare solo di dieta venendo puntualmente rimossa la principale questione: l’etica.”

      Vero, tra l’altro nel mio brevissimo riassunto di un libro di diverse centinaia di pagine, ho sorvolato su quanto la Keith scrive a proposito proprio di etica.

  9. mirkhond scrive:

    “La mia percezione – ma è un tema che andrebbe studiato e penetrato realmente nelle sue implicazioni simboliche e antropologiche – è che il mito biblico, che ha rispondenze in tante altre culture, sia il solito disprezzo guerriero dei parassiti distruttori nei confronti della civiltà: è lo stesso disprezzo dei Germani verso i Latini, ma anche degli Indoeuropei verso i Preindoeuropei e dei nordicisti iperborei alla Evola verso i mediterranei.”

    Non saprei. L’elite giudaica deportata a Babilonia da Nabucodonosor (605-562 a.C.), a contatto con una civiltà tre volte millenaria e più prestigiosa, anzi la più prestigiosa del Medio Oriente antico, cercarono (sia pure alla luce del verbo monoteista) di farla propria, adattandone (e rielaborandone) i miti fondanti, l’elite giudaica dicevo, proveniva da una cultura sedentaria, quella cananea, sia pure in una variante più rozza e provinciale.
    E anche la cultura mesopotamica, discendeva da quella dei Sumeri, che furono la prima civiltà a noi nota. Ed anch’essi erano una società stanziale.
    Lo stesso mito dell’Eden, probailmente si fonda su uno spostamento di località e tradizioni.
    Mi spiego meglio. Se togliamo Genesi, le più antiche menzioni all’Eden biblico si trovano nel proto Isaia, profeta giudeo vissuto nell’VIII secolo a.C., ma le cui profezie su Babilonia possono riflettere una rielaborazione di epoca esilica (anche se originariamente poterono essere rivolte contro i re Assiri Sargon e Senacherib, e dunque risalire al periodo 720-700 a.C. circa), e in Ezechiele 31,9 profeta giudeo attivo in Babilonia nel primo periodo esilico tra 593 e 571 a.C. circa, menzionano il Libano e la Foresta dei Cedri come luogo dell’Eden.
    Però già in Ezechiele 28,13, nella profezia contro il re di Tiro (e siamo ancora in Libano), si fa riferimento ad una montagna in cui il re fenicio cammina su pietre di fuoco, dunque su un vulcano. E in Libano non mi risulta ci fossero vulcani, nemmeno in epoche antiche.
    Mentre invece ve ne erano nell’altopiano armeno a nord della Mesopotamia ( vulcani come L’Agri Dagi, l’armeno Masis o Ararat, e il Tendurek Dagi furono attivi fino al 1840 e 1855 ciascuno).
    Probabilmente già in Ezecheiele si assiste allo spostamento della localizzazione dell’Eden bilico dal Libano alle sorgenti del Tigri e dell’Eufrate sull’altopiano armeno; dunque ricollegandosi già alla tradizione mesopotamica.
    Che trovò forma compiuta con Genesi, redatto probabilmente a Babilonia nella prima età persiana nel VI-V secolo a.C., e in cui al mito mesopotamico si possono affiancare suggestioni iraniche, come il termine Paradiso, in origine denominante i parchi reali delle regge persiane e l’idea del fiume da cui si irradiano 4 fiumi.
    Dunque, a parte l’influenza iranica (che poi sarà decisiva nella futura escatologia giudaica), mi sembra che le basi del mito del Giardino Primordiale biblico, sia in Libano che verosilmente sull’Altopiano Armeno, affondino in civiltà sedentarie come appunto quella cananea e quella molto più antica sumerico-babilonese.

    • Miguel Martinez scrive:

      Per Mirkhond

      “Dunque, a parte l’influenza iranica (che poi sarà decisiva nella futura escatologia giudaica), mi sembra che le basi del mito del Giardino Primordiale biblico, sia in Libano che verosilmente sull’Altopiano Armeno, affondino in civiltà sedentarie come appunto quella cananea e quella molto più antica sumerico-babilonese.”

      Per quel poco che possiamo sapere, concordo.

    • PinoMamet scrive:

      A grandi linee trovo convincente l’ipotesi che il monoteismo ebraico sia nato o perlomeno si sia sviluppato in modo decisivo in ambiente iranico, dopo la fine dei regni antichi e l'”esilio babilonese”.

      Non escludo affatto che l’idea (magari in forma enoteista o non compiuta) fosse già presente prima;
      ma tutta la storia biblica precedente all’esilio a Babilonia ha troppi riferimenti a questa o quella “caduta” nel paganesimo, anche degli stessi re legittimi, che per non destare sospetti;

      ma quella dopo l’esilio appare a tratti quasi come una storia di “talebani” monoteisti convintissimi, pronti a immolarsi sotto gli elefanti da guerra dei Seleucidi pur di non diventare pagani.

      Si spiegherebbe bene anche così il disprezzo ebraico per il “popolo della terra”, un termine che designa sia gli incolti che i semi-pagani, quasi non ebrei;
      normalmente i popoli, al contrario, esaltano gli autoctoni come esempio di purezza tradizionale!

      C’è da ammirare, nel racconto biblico, la sapiente opera di composizione che riesce a dare un senso a vicende di popoli semitici forse imparentati, ma forse anche diversi
      (l’arrivo da Ur- l’esilio egiziano- il ritorno della terra di Canaan), e a trasformare un complesso di leggende e genealogie in una vicenda sensata, finalistica, di etnogenesi religiosi.

      • mirkhond scrive:

        “C’è da ammirare, nel racconto biblico, la sapiente opera di composizione che riesce a dare un senso a vicende di popoli semitici forse imparentati, ma forse anche diversi”

        Ma anche non semitici come i Sumeri, sia pure attraverso il filtro millenario semitico accadico-babilonese.

      • Peucezio scrive:

        Non entro nello specifico, perché ne sapete molto più di me e avete illustrato il tema molto bene.

        In generale credo ci sia un po’ di tutto.
        I Germani hanno prestissimo sentito il bisogno di fondare un impero romano e così un po’ tutti, compresi i selgiuchidi e gli stessi ottomani (non parliamo degli Slavi).
        Insomma, c’è un senso di inferiorità-superiorità.
        Credo però che in ambito indoeuropeo sia molto più forte il sentimento di superiorità rispetto agli autoctoni: non ci sono arrivate storie o tradizioni in cui traspare un’ammirazione per popoli conquistati o comunque trovati lì.
        E’ anche vero che gli indoeuropei sono arrivati in tante ondate e quelli storici, di cui conosciamo lingua e storia, in molti luoghi, forse nella maggior parte dell’Europa, sono stati solo l’ultimo strato.
        Però è anche vero che ancora in epoca storica in giro per l’Europa sopravviveva molta preindoeuropeità: iberi, baschi, sicani, sardi, rezi, finni, pitti (non cito i liguri, perché sappiamo che si sono celtizzati, ma non sappiamo quasi nulla sulla loro lingua originaria) e i baschi ci sono ancora oggi.

        • PinoMamet scrive:

          “Credo però che in ambito indoeuropeo sia molto più forte il sentimento di superiorità rispetto agli autoctoni: non ci sono arrivate storie o tradizioni in cui traspare un’ammirazione per popoli conquistati o comunque trovati lì.”

          ma neanche il contrario…
          non ci sono arrivate storie proprio 😉 perché i popoli indoeuropei arrivano tardi, imparano a scrivere a tardi, e non puliscono il water
          (ammazza quanto sono vecchio… chissà se ricordate la pubblicità)

          ci sono arrivate storie molto successive: sappiamo che i Greci storici ritenevano di aver imparato molto dai Pelasgi (e moltissimo dagli Egizi)…

          da vaghi indizi (Omero che parla dei Feaci, oppure il mito di Atlantide…) traspare una certa ammirazione per quella che forse poteva essere una trasfigurazione mitica della civiltà minoica/cicladica…

          certi indizi fanno pensare che gli indoeuropei più puri abbiano formato le classi più alte del mondo iranico e nord indiano, almeno agli inizi, con una distinzione di classe più netta che altrove (tant’è che in seguito sono nate le caste, che in parte possono avere a che fare con questo).

          Gli Spartiati invece opprimono gli Iloti, che sono greci e indoeuropei quanto loro (secondo la teoria più tradizionale, addirittura più antichi e discendenti dagli Achei omerici, mentre gli Spartiati sono dei Dori appena scesa dai monti, per così dire; ma io credo che si trattasse di una specie di distinzione patrizi/plebei all’interno dello stesso popolo e della stessa stirpe, poi degenerata…)
          quindi non valgono tanto come esempio.

          Si ipotizza che forse la popolazione pre-indoeuropea possa aver costituito lo strato più basso delle società galliche (ma all’epoca di Cesare era giù tutto un casino, e comunque è un’ipotesi tutta da dimostrare).

          In genere non sono troppo convinto, diciamo.

        • PinoMamet scrive:

          Comunque concordo con te: c’è un po’ di tutto.

  10. PinoMamet scrive:

    “è lo stesso disprezzo dei Germani verso i Latini, ma anche degli Indoeuropei verso i Preindoeuropei e dei nordicisti iperborei alla Evola verso i mediterranei.”

    Non posso dire nulla dei sentimenti degli Indoeuropei verso i Pre-Indoeuropei, ma non mi risulta che i Germani disprezzassero i Latini- non li confonderei con Evola, insomma 😉

    A differenza dei Celti, i Germani non sono mai stati conquistati completamente da Roma;
    ma in parte anche sì.

    In realtà, prima delle “invasioni barbariche”, i Germani non fanno altro che chiedere ai Romani di potersi spostare o stabilire all’interno del limes per coltivare terreni e fare da soldati per Roma;
    e in effetti molti popoli germanici, che compaiono sulla scena descritti come brutali massacratori ferini, li troviamo un secolo dopo regolarmente descritti come una società già raffinata, di validi artigiani e artisti capaci di raccontare in buon latino le imprese dei nonni e bisnonni (Beda il Venerabile, Paolo Diacono, la Storia dei Franchi ecc.).

    • Miguel Martinez scrive:

      Per PinoMamet

      “In realtà, prima delle “invasioni barbariche”, i Germani non fanno altro che chiedere ai Romani di potersi spostare o stabilire all’interno del limes per coltivare terreni e fare da soldati per Roma;”

      Esatto. E’ proprio così.

      Nel peggiore dei casi erano come i narcotrafficanti messicani, che ci campano con i bisogni degli usani.

    • mirkhond scrive:

      “non mi risulta che i Germani disprezzassero i Latini”

      Nei regni germanico-romani tra V e VIII secolo dopo Cristo, l’elite dominante germanica disprezzava i latini sottomessi da un punto di vista militare, perché visti come ignavi e inadatti alla guerra.
      Secondo Henri Pirenne l’aver mantenuto a lungo l’Arianesimo in alcuni regni germanico-romani, può spiegarsi proprio col timore dei re germanici di veder scomparire le virtù militari degli herrenvolker nell’inevitabile assimilazione con le masse latine cattoliche sottomesse.
      E tuttavia, ancora nell’VIII secolo, nel prologo alla codificazione della Legge Salica, al tempo di Pipino il Breve (751-768 d.C.), si assiste ad una rinascita dell’orgoglio germanico, franco in particolare nei confronti dei Romani, nei cui confronti i Franchi sono visti come moralmente superiori perché cristiani cattolici e non eretici e perché vittoriosi sui Romani stessi.
      Questa rinascita identitaria franca con punte di disprezzo antiromano, che a prima vista possono sorprendere proprio perché riemerse dopo quasi tre secoli di dominio franco sulla Gallia latina, e che il Cattolicesimo che i Franchi adottarono per primi tra i popoli germanici, avrebbe dovuto ormai smussare nella comune fusione etno-religiosa tra conquistatori e conquistati, può forse spiegarsi con la vittoria di Pipino di Heristal nel 687 d.C. sui Franchi di Neustria (l’area occidentale del Regno dei Franchi e quella a prevalenza latinofona), da parte dei Franchi di Austrasia, area più compattamente germanica e cattolicizzata più gradualmente e dove il sentimento identitario franco non o scarsamente romanizzato dovette essere più forte.
      Del resto la vittoria degli austrasiani Pipinidi immise una nuova ondata di nobili franchi nella Neustria, contribuendo a mantenervi a lungo non solo la memoria identitaria ma perfino la lingua francona (il “Tedesco” della Sequenza di Sant’Eulalia del IX secolo dopo Cristo), accanto a quella latina gallica da cui sarebbe nato il Francese.
      Del resto ancora nel IX secolo dopo Cristo, l’aristocrazia neustriana mandava i propri figli all’abbazia di Prüm, in Renania, perché vi imparasse e perpetuasse l’avita parlata germanica francona, uno dei dialetti del Tedesco.

      • Mauricius Tarvisii scrive:

        Pirenne, però, doveva dimostrare una tesi, quella della discontinuità forte tra il mondo romano e quello medievale.
        Prendiamo dei germani a caso, gli ultimi arrivati, che rimasero ariani più di molti altri: i Longobardi. Disprezzavano i latini? Nulla ce lo lascia credere. Ovvio che vedevano se stessi come la casta guerriera, ma prima si mescolarono, poi presero lingua e religione e, alla fine, cominciarono ad utilizzare l’onomastico romana.
        Anzi, la conversione al cattolicesimo dimostra proprio una sudditanza culturale, mentre un mantenimento dell’arianesimo (che era la loro religione, in fin dei conti) non sarebbe stata prova di disprezzo: non è che il cattolicesimo fosse la versione di default e ci volesse uno sforzo di volontà a non abbracciarlo, semmai lo sforzo serviva ad abbracciarlo!

        • mirkhond scrive:

          Pirenne era convinto che la vera cesura tra mondo romano tardo antico e medioevo fosse avvenuta con l’avvento dell’Islam e l’espansione araba, che avrebbe rotto l’unità romana del Mediterraneo, facendolo decadere da centro della civiltà a vantaggio del mondo transapino da cui sarebbe emerso il Sacro Romano Impero di Carlo Magno.

          • mirkhond scrive:

            In sostanza Pirenne era convinto della continuità della civiltà romana anche sotto i regni romano-germanici, fino all’espansione arabo-musulmana dei VII-VIII secolo dopo Cristo.
            E alla luce di questa convinzione riteneva che l’Arianesimo venisse mantenuto a lungo al fine di tutelare le virtù militari degli herrenvolker, per il resto sedotti in tutto e per tutto dalla civiltà (e di conseguenza anche dalla religione) delle popolazioni latine sottomesse.

            • Mauricius Tarvisii scrive:

              E’ che non mi convince questa idea per cui si manterrebbe una religione per identitarismo: non è che gli ariani dovessero per forza convertirsi al cattolicesimo e che esisteva una forza che gli impediva di farlo, ma semmai è il contrario, cioè un attrattore culturale ha fatto sì che in materia religiosa, dove si tende ad essere conservativi, sia avvenuto un salto che non era affatto scontato.

              • mirkhond scrive:

                Infatti non era scontata la conversione al Cattolicesimo.
                Però alla lunga la forza attrattiva della civiltà romana, di cui il Cattolicesimo era ormai diventata la religione, prese il sopravvento.
                Pirenne era convinto che il mantenimento dell’Arianesimo fosse dovuto a ragioni militari più che identitarie.

        • Peucezio scrive:

          Mauricius,
          però non mi è chiaro:
          da una parte dici che non sono diventati cattolici per ragioni identitarie, però la consideri una scelta non scontata in sé.
          Ma quindi perché sono diventati cattolici, se non era una scelta scontata in sé, ma nemmeno identitaria (legata cioè al prestigio dei popoli che professavano il cattolicesimo)?

    • PinoMamet scrive:

      “Nei regni germanico-romani tra V e VIII secolo dopo Cristo, l’elite dominante germanica disprezzava i latini sottomessi da un punto di vista militare…”

      certamente, e credo che molto verosimilmente i capitribù germanici dell’epoca di Augusto e seguenti avranno disprezzato i Romani sconfitti a Teutoburgo, ma si parla di situazioni ben chiare e comprensibili nella loro dinamica, non del disprezzo generalizzato dei “nordici” verso i “mediterranei”.

      (A dire il vero, credo che questo sia spesso, più che altro, un complesso dei “mediterranei”. Il mondo germanico o nordico fornisce sì esempi di fieri e rudi conquistatori, ma anche esempi di appassionatissimi innamorati e difensori della cultura latina, dal barbaro che sceglie di difendere Ravenna fino alle “romantiche donne inglesi” del vecchio sketch di Montesano 😉 – di quelle vere ci parla spesso Miguel- passando per un po’ tutta la latinità medievale…)

      • PinoMamet scrive:

        Lessi per esempio che Rommel, che combattè contro gli italiani nella prima, e a fianco degli italiani nella seconda guerra mondiale, avesse molti dubbi sulla loro abilità guerriera (con notevoli eccezioni) ma ammirasse moltissimo la cultura e il modo di fare degli italiani.

      • Mauricius Tarvisii scrive:

        Caio Giulio Arminio disprezzava davvero i romani? Anche perché lui era romano.

    • PinoMamet scrive:

      In Italia non mi pare lettissimo, ma non disprezzerei il Venerabile Beda, prima di tutto per il nome, che è fighissimo, e poi uno che comincia la Storia degli Angli dicendo che in Britannia “si parlano cinque lingue, come i libri della Bibbia”, ci dice già tanto della mentalità medievale…

  11. Miguel Martinez scrive:

    OT

    In Canada, una femminista fa una conferenza in cui parla delle problematicità che riguardano il movimento transessualista (mamme che castrano e tagliano le tette ai bambini, atleti barbuti che competono le donne nelle gare sportive, la soluzione “chimica” all’omosessualità e altro).

    Ecco la risposta:

    • Francesco scrive:

      ma è una folla di trans incazzati o sono supporters?

      • Miguel Martinez scrive:

        Per Francesco

        “ma è una folla di trans incazzati o sono supporters?”

        Credo che una buona parte dei trans cerchino di “passare”, come si dice in inglese: cioè di scomparire tra gli uomini e le donne cui vogliono assomigliare.

        E penso che quelli che manifestano siano una parte molto settaria di “credenti”, più i loro sostenitori “non trans”.

  12. Per quanto concerne il paleolitico, era tutt’altro che un eden, ma perlomeno era un mondo sostenibile. Ora stiamo indubbiamente meglio, per molti versi (leggi: appagamento dei desideri individuali), ma in un modo insostenibile che sta distruggendo il futuro di quelli che verranno dopo di noi.

  13. Moi scrive:

    @ OLDBOY

    Per curiosità … il “nick” l’hai preso dal film Coreano 올드보이 (il titolo è una traslitterazione in Hangul dell’ Inglese, ndr ) di Park Chan Wook (2003) , ispirato a manga Giapponesi ?

  14. Moi scrive:

    l’ Amico di Habs 😉 ci mette in guardia dalla Balcanizzazione [sic] dell’ Italia :

    https://www.youtube.com/watch?v=70Zlsy-jfBI

  15. Z. scrive:

    Secondo la scrittrice citata da Miguel, l’agricoltura è stata inventata dall’uomo al fine di sballarsi.

    Perché mai, dunque, è stata inventata l’agricoltura? Una delle ipotesi che secondo me ha più senso è che alcune piante danno dipendenza. Quello che sappiamo è che in particolare la marijuana, ma anche la maggior parte dei cereali, contengono sostanze chiamate esorfine che nel nostro corpo funzionano come la morfina. Si attaccano ai recettori della morfina nel cervello e danno un senso di euforia e benessere. Questa secondo me è la possibile spiegazione.

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