Ma a cosa sono serviti tutti gli intellettuali e scienziati di cui ci vantiamo, se già Ovidio aveva capito tutto? Qualcuno riesce a trovare qualcosa di veramente significativo da aggiungere a queste poche righe?
E’ la seconda volta che ce ne accorgiamo (e anche questa volta, il merito non va a quando dormivo al liceo classico, ma all’amico Caoimhghin Ó Croidheáin).
Contra te sollers, hominum natura, fuisti
quo tibi turritis incingere moenibus urbeset nimium damnis ingeniosa tuis.
quo tibi, discordes addere in arma manus?
quid tibi cum pelago — terra contenta fuisses!
cur non et caelum, tertia regna, petis?o si neclecti quisquam deus ultor amantis
tam male quaesitas pulvere mutet opes!
Torniamo alla nostra cara Professoressa Orrù (che l’ultima volta mi ha dato via libera):
“O natura umana, ti adoperasti contro te stessa e fosti troppo intelligente a tuo danno.
A che ti giovò circondare le città di mura e di torri, a che spingere alle armi mani nemiche?
Che cosa avevi a che fare col mare?
Avresti dovuto accontentarti della terraferma.
Perché non conquisti come terzo regno anche il cielo?
Per quanto ti è possibile, aspiri anche al cielo
[…]
Oh, se un dio, vendicatore degli amanti trascurati, riducesse in polvere ricchezze tanto malamente acquisite!”
Ah, e per l’Impresa del Terzo Millennio, c’è il TF-19 WASP
“l’aggiunta lanciafiamme per incendiare in remoto bersagli terrestri e aerei, portando u nuovo livello di efficienza e gestibilità nell’agricoltura”
#OntogeneticCrippling https://t.co/faIyxicBpF
— Rick Carp (@rick_carp) October 30, 2019
Questa storia del drone lanciafiamme mi sembra degna di ulteriori approfondimenti perché si presta senz’altro a un utilizzo costruttivo.
Come si chiama il partito di quelli che trovano insopportabili le stronzate di Ovidio?
Amici di Odisseo? Seguaci di Dante? Esseri umani?
😀
PS prof, eccellenza, ella mi preoccupa
Per Francesco
“Come si chiama il partito di quelli che trovano insopportabili le stronzate di Ovidio?”
“Friends of TF-19 Wasp”; “Pontemorandisti”; “Associazione per la Promozione della Democrazia in Libia”, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
“Meglio i compagni che sbagliano che i reazionari” (cit.)
😉
All’ipocrisia compiaciuta e decadente dei salotti patrizi di Roma preferiamo l’ode schietta e solare che il più celebre Poeta delle Romagne, Vincenzo Monti, compose per i fratelli Montgolfier.
Umano ardir, pacifica
Filosofia sicura,
Qual forza mai, qual limite
Il tuo poter misura?
Rapisti al ciel le folgori,
Che debellate innante
Con tronche ali ti caddero,
E ti lambîr le piante.
Frenò guidato il calcolo
Dal tuo pensiero ardito
Degli astri il moto e l’orbite,
L’olimpo e l’infinito.
Svelaro il volto incognito
Le piú rimote stelle,
Ed appressâr le timide
Lor vergini fiammelle.
Del sole i rai dividere,
Pesar quest’aria osasti
La terra, il foco, il pelago,
Le fere e l’uom domasti.
Oggi a calcar le nuvole
Giunse la tua virtute,
E di natura stettero
Le leggi inerti e mute.
Che piú ti resta? Infrangere
Anche alla morte il telo,
E della vita il nèttare
Libar con Giove in cielo.
(tra l’altro qui cita anche l’epitaffio di Franklin, mi sa)
Per Z
“Vincenzo Monti”
Affascinante…
A proposito di (cito):
“Oggi a calcar le nuvole
Giunse la tua virtute,
E di natura stettero
Le leggi inerti e mute.”
Leggo oggi che il vecchio laboratorio di Madame Curie in periferia a Parigi, ad Arcueil, è e sarà un pericolo per qualche migliaio di anni:
https://www.bloomberg.com/news/articles/2019-08-28/france-is-still-cleaning-up-marie-curie-s-nuclear-waste
In 1933 nuclear physicist Marie Curie had outgrown her lab in the Latin Quarter in central Paris. To give her the space needed for the messy task of extracting radioactive elements such as radium from truckloads of ore, the University of Paris built a research center in Arcueil, a village south of the city. Today it’s grown into a crowded working-class suburb. And the dilapidated lab, set in an overgrown garden near a 17th century aqueduct, is sometimes called Chernobyl on the Seine.
No major accidents occurred at the lab, which closed in 1978. But it’s brimming with radioactivity that will be a health threat for millennia, and France’s nuclear watchdog has barred access to anyone not wearing protective clothing. The lab is surrounded by a concrete wall topped by barbed wire and surveillance cameras. Monitors constantly assess radiation, and local officials regularly test the river. “We’re proof that France has a serious nuclear waste problem,” says Arcueil Mayor Christian Métairie. “Our situation raises questions about whether the country is really equipped to handle it”.
sembra mio zio, quello che si lamentava sempre perchè facendo l’arrosto abbiamo dato fuoco alla savana dal Kenia allo Zambia (cit.)
Siccome qui si finisce spesso per parlare di prostituzione, ecco un video in difesa delle “sex workers”: perché alla fine è di loro, e non dei maschi che ci vanno, che si parla.
E’ interessante nella sua durezza: alle donne tocca fare lavori di m… e servire gli altri, lo fanno anche perché hanno dei debiti da pagare, facciamogli fare un lavoro ingrato e pericoloso, con gente odiosa, in condizioni che non rovinino loro quello che resta della vita.
Il sito prostitutescollective.net dice “most sex workers are mothers trying to do their best for their children”, cosa che si dimentica facilmente.
Quello del Prostitutes’ Collective un ragionamento non privo di senso, ma per favore lasciamo perdere i discorsi sull’ “odio per il sesso e il piacere”.
Qualche altro dato interessante:
http://prostitutescollective.net/wp-content/uploads/2017/07/Facts-About-Sex-Work.pdf
“Most sex workers are mothers working to support families. 74% of off-street sex workers “cited the need to pay household expenses and support their children”.More than 70% of UK sex workers have previously worked in healthcare, education or the voluntary sector. Prostitution is increasing because of austerity. A 60% increase in street prostitution recorded in Doncaster is primarily attributed to destitution caused by benefit sanctions. A quarter of young homeless women have engaged in sex work to fund accommodation or in the hope of getting a bed for the night. 86% of austerity cuts have targeted women. The majority of sex workers are not trafficked or on drugs. A study of migrant sex workers found less than 6% had been trafficked, many said they prefer working in the sex industry rather than the “unrewarding and sometimes exploitative conditions they meet in non-sexual jobs”.
Questa, ricordo, è la difesa della prostituzione.
Non ha necessariamente ragione chi dice di metterla fuorilegge; ma in ballo non c’è certo l’allegria e la gioia della sensualità.
(quasi) tutto purtroppo vero, triste e abbastanza squallido..
però insisto che bisogna fare una differenza radicale fra la maggioranza (forse la stragrande maggioranza) delle sex workers, o prostitute da un lato, e le escort di alto livello dall’altro
le prime, quelle di cui si parla qui e si parla (e più spesso) straparla nei giornali, in TV, al bar sport ecc, evidentemente non fanno di solito una bella vita (eufemismo)
le seconde vivono benissimo, nel lusso più sfrenato e senza troppi pensieri, guadagnano a costo zero (tranne l’usura, ut ita dicam, di quella che nel romeno parlato è chiamata “pizda” :D), conoscono persone importanti…e magari alcune, se trovano il “pollo” giusto, pure si sistemano…fino al divorzio e allo spennamento totale 😀 già una volta lo chiesi, ma non ottenni risposta e dunque lo richiedo, non attendendomi replica “esiste una sola ragione, UNA, ma “laica” e “secolare” per cui una giovane donna, avendone le qualità fisiche [non tutte potrebbero, anche volendo], non dovrebbe dedicarsi, se non altro per un certo tempo, a questa “professione” ? nel mondo attuale, capitalistico e secolare, non ne vedo..e mi spiace !
dunque anche il mondo del meretricio é rigidamente gerarchizzato, diciamo che é diviso in classi 😀 bisognerebbe applicare Marx per studiarlo 😀
e anche in quel campo, chi più ha più ottiene…altro triste lascito del dominante modello capitalistico
o, per dirla in altre parole, la bellissima donna é un lusso 😀 per pochi…(con eccezioni, che confermano la regola)
la domanda, ovviamente, si riferisce solo al caso 2 (top escort)..dovrebbe essere chiaro, ma può giovare ribadirlo
La tua domanda non è scontata, ma le persone non sono macchine che agiscono solo sulla scorta dell’utilità immediata.
A molte, semplicemente, non piace l’idea di mettere in vendita la propria sessualità, ed è un a ragione sufficientemente laica…
Ecco, mentre io trovo la gratuità un valore, davvero non riesco a capire che senso abbia restringere questo principio alla sola sessualità.
Il mondo d’oggi è venale, tutto deve diventare vendibile, acquistabile; un po’ è sempre stato così, ma mai si è edificato un sistema che monetizza tutto come oggi. Si pensi ai diritti d’autore: prima del ‘700 sarebbe stato semplicemente inconcepibile che la creatività artistica potesse avere una proprietà e un valore economico al di là del vantaggio che può ricavarne l’artista stesso finché è in vita, recitandola, vendendone manoscritti, ecc. Il resto, le cose scritte dai morti, erano patrimonio collettivo e basta.
La conseguenza del voler sottrarre al sesso la possibilità di essere merce anch’esso non ha come conseguenza una sua liberalizzazione egratuità, ma l’esatto opposto, la mera repressione. Detto volgarmente: se l’alternativa alla prostituzione fosse figa libera per tutti, ben venga. Ma mai come in quest’epoca le donne hanno nevrotizzato e inibito la loro sessualità, sempre perché viene caricata di valori, di tabù, di interdizioni interiorizzate.
“Detto volgarmente: se l’alternativa alla prostituzione fosse figa libera per tutti, ben venga. “—-
La figa libera per tutti esiste già, basta che la proprietaria della figa stessa dia il consenso.
Oppure si vorrebbe che ci fosse il diritto alla disponibilità assoluta dell’ “obiettivo” in questione, anche se l’interessata non è d’accordo?
😀
“Il mondo d’oggi è venale, tutto deve diventare vendibile, acquistabile”
ma no, dai.
“Si pensi ai diritti d’autore: prima del ‘700 sarebbe stato semplicemente inconcepibile che la creatività artistica potesse avere una proprietà e un valore economico ”
La disciplina del diritto d’autore è abbastanza complessa e ne lascio la spiegazione agli specialisti, però l’idea che un’opera abbia una paternità ben precisa esiste da sempre
(leggo che questo diritto è tutelato già nel Diritto Romano).
I modi di acquisto della proprietà a titolo originario sono una domanda ricorrente in qualsiasi esame di istituzioni di diritto romano. Probabilmente è così almeno dall’epoca di Giustiniano 🙂
Pino,
“La disciplina del diritto d’autore è abbastanza complessa e ne lascio la spiegazione agli specialisti, però l’idea che un’opera abbia una paternità ben precisa esiste da sempre”
Sì e no.
Io noto già in persone di età avanzata e di ceto basso, soprattutto di aree rurali, che i modelli cognitivi sono meno individualizzanti, lo stesso autobiografismo è proprio più debole rispetto al senso di un patrimonio di saperi e anche di aneddotica condivisa e collettiva, ne abbiamo già parlato altre volte.
Colpisce proprio come vengano descritte, con elementi di mimica e modalità espressive emotivamente cariche, tipiche di un episodio autobiografico reale, situazioni che palesemente non possono esserlo, perché fanno parte di un’aneddotica popolare nota, che si ritrova pari pari altrove.
E così le forme di creatività artistica, musicale…
Matteo Salvatore componeva canzoni in albergo, poi il giorno dopo gli intellettuali che lo ascoltavano dicevano: “questa è una composizione del Seicento” e cose simili e lui se la rideva. Ma la sua produzione ha una fortissima impronta popolare e certi testi si ritrovano altrove quasi identici. Ma ciò non significa che lui fosse insincero: non era in grado di distinguere bene i due piani: riconduceva testi popolari a episodi concreti cui aveva assistito direttamente.
Poi vendeva i diritti della stessa canzone a più case discografiche con grande dinsinvoltura. Disonesto? A suo modo sì, ma probabilmente non aveva proprio una percezione piena di commettere qualcosa di ingiusto.
E così è anche in parte la cultura altra in certe epoche: nel Medioevo si attribuivano un sacco di cose ad autori antichi, per dare loro autorevolezza, ed erano cose che non avevano mai scritto, ma elaborate nel Medioevo stesso. Ed era normale che uno, riportando un testo, lo abbellisse, convinto di migliorarlo, senza sentire per questo di mancargli di fedeltà. Il senso dell’originalità in molte società e letterature non è un valore in sé, anzi, l’idea è che tanto più valgono le cose, quanto più attingono a un patrimonio di sapienza collettiva, quasi rivelata da Dio.
L’autore non è un signore che inventa in quanto individuo irripetibile, ma è qualcuno che aggiunge, etimologicamente, arricchisce, migliora, incrementa la completezza del mondo.
“Cultura alta”, non “altra”.
Ehm, a dire il vero nessuno degli esempi che mi porti mi pare che c’entri troppo…
vendere la stessa cosa a più persone è un atto di, chiamiamola, furberia, ben nota ai tribunali 😉 dai tempi che Berta filava;
se il tal trattato veniva attribuito nel Medioevo ad Aristotele, Aristotele, trovandosi nella scomoda eventualità di essere morto, non poteva smentirlo né attribuirselo falsamente
(ma credo lo avrebbe smentito, era un tipo preciso…);
e la scarsa memoria delle persone anziane è proverbiale, e riguarda assai più, temo, la sfera medica che quella antropologica, per non parlare del diritto…
invece quando un tale (che non ci mette neanche il suo nome vero) fa uscire un seguito spurio del Don Chisciotte, il Cervantes si incazza parecchio e si sente in dovere di scrivere un seguito autentico, in cui peraltro critica lo stile del falso e l’atto stesso della falsificazione…
Pino,
“e la scarsa memoria delle persone anziane è proverbiale, e riguarda assai più, temo, la sfera medica che quella antropologica, per non parlare del diritto…”
Non c’entra nulla l’anzianità, dai, ci conosciamo da tanto tempo, non banalizziamo le cose in questa misura.
Parlo di fenomeni che ho osservato direttamente con attenzione.
Ti assicuro che a un anziano borghese non capitano cose così, ha proprio altre strutture mentali.
La tutela economica fatta seriamente del diritto d’autore è strettamente legata all’individualismo borghese: non poteva non nascere in Inghilterra in quel momento storico.
Poi, vabbè, possiamo sostenere che tutte le epoche siano uguali, come i tizi di cui parla Miguel, che difendono la millenaria tradizione del regalo dello smartphone al nipotino.
Scusami, io talvolta ti irrito e mi spiace. Ma a volte anche tu sei un po’ provocatorio nel sostenere tesi indebitamente banalizzanti, non vedo bene a che pro.
Peucè, non si tratta di banalizzare: a volte un sigaro è solo un sigaro, e a volte i vecchietti, borghesi o non borghesi, hanno semplicemente poca memoria…
ho conosciuto abbastanza vecchi di ogni strato sociale, e direi che in genere quelli in buona salute sanno perfettamente distinguere le esperienze loro da quelle del vicino di casa!
a volte descrivi i non borghesi come delle bestie, Peucè!
Sulla tutela economica dei diritti d’autore, ripeto che ne so pochissimo (esiste la SIAE apposta) e non ho la minima idea se l’Inghilterra del diciassettesimo secolo c’entri qualcosa
(a naso, no; in Inghilterra c’è la Common Law, vale a dire “i precedenti”;
in Europa Continentale ci sono i Codici…)
comunque ribadisco che l’idea della proprietà intellettuale è invece antichissima
(sì, ci sono casi di scrittori che per veras o finta modestia attribuiscono le loro opere ad altri autori- di solito più famosi- in Cina o a Bisanzio;
un affascinante gioco intellettuale;
ma anche in Cina o a Bisanzio, quando Tizio si firmava Tizio, gli stava abbastanza sulle balle che la sua opera fosse attribuita a Sempronio…)
PS
non mi risulta che fosse particolarmente normale nel Medioevo abbellire testi altrui.
Però, visto che si copiava a mano, ci sono ovviamente errori, fraintendimenti, glosse scivolate nel testo ecc.
E ci sono naturalmente plagi e plagiatori.
Pino,
“ho conosciuto abbastanza vecchi di ogni strato sociale, e direi che in genere quelli in buona salute sanno perfettamente distinguere le esperienze loro da quelle del vicino di casa!”
Scusami, ma parli a sproposito.
Non per le esperienze cui fai riferimento tu, che hai sicuramente saputo interpretare con profondità e acume, ma perché in pratica mi dai dell’imbecille che non è in grado di interpretare le proprie.
E’ meglio che la chiudiamo qui, prima che la discussione degeneri.
Ti faccio solo un’esortazione.
Io, anche quando sono in totale dissenso da te, trovo sempre ci sia qualcosa da imparare, perché sei un fine osservatore e interprete della realtà.
T’invito a fare lo stesso: se ho osservato qualcosa e la riporto, evidentemente ho informazioni nuove che tu non hai.
Puoi proporre un’interpretazione diversa di ciò che dico, ma negarla e banalizzarla è un’operazione becera.
Se, in certe occasioni (e credo sia la prima volta che succede, almeno in questa misura) è l’unica cosa che sei capace di fare quando ti sottopongo delle osservazioni, allora piuttosto taci.
??
Scusami Peucè ma questa mi sfugge-
com’è che ti avrei dato dell’imbecille??
Tu hai scritto quello che sembra a te;
io ho scritto quello che sembra a me.
Punto.
Se ti ho dato dell’imbecille io (e ribadisco che è lontanissimo dalle mie intenzioni) vorrebbe dire che lo hai fatto tu prima con me…
e non credo proprio, perlomeno non lo ho mai pensato.
A me pare stessimo discutendo civilmente.
Mi permetto di farti notare che alcune tue osservazioni sulla classe popolare, osservate da un’altra angolazione, non sono proprio lusinghiere…
in ogni caso il fatto che io non sia d’accordo con le tue osservazioni non vuol dire che le banalizzi.
Permettimi, appena si è in disaccordo con te si diventa dei banalizzatori…
a me pare anzi che tentare di fare una storia del concetto di diritto d’autore, dei diritti morali ed economici (che sono due cose diverse) delle opere intellettuali, sia il contrario di banalizzare.
Tra l’altro io non nego- non lo ho mai fatto- le tue esperienze.
Penso invece che le esperienze, in generale, non siano un assoluto, proprio perché più di una volta persone diverse, negli stessi ambienti, ne hanno di diverse.
Inoltre di sicuro non è un assoluto l’interpretazione che se ne può dare.
C’è senz’altro molto da imparare dalla tua, ma io non credo che se ne possa trarre la conclusione che il mondo popolare non sapesse distinguere una poesia scritta da X da una scritta da Y suo compaesano.
Vero invece che il ceto popolare si muoveva in un universo di temi ed esperienze condivise e a spesso tradizionali, che non rendevano sempre facile il compito.
ma mi pare parecchio diverso dal dire che non sapessero distinguere il tuo dal mio…
inoltre il discorso era partito dal concetto di proprietà intellettuale prima del Settecento.
Ho fatto una ricerca, e in effetti bisogna distinguere tra paternità dell’opera (credo che il concetto nasca non appena il poeta comincia a dire “io”… ) e diritti di sfruttamento, e qui ho fatto una ricerca
(prima che si sviluppasse il concetto di diritti di sfruttamento, con una certa durata nel tempo, esisteva il sistema dei “privilegi”, più primitivo ma concettualmente non molto diverso).
Mi stavo chiedendo: da dove hanno preso questi dati?
Clicco sul link e trovo le note per ogni dato. Spesso addirittura i link per verificare le fonti.
Miguel, questa è l’informazione di qualità che ci aspettiamo da te!
(mica le fricchettonate tipo che l’uomo ha inventato l’agricoltura per soffrire la fame e sballarsi 🙂 )
Per Z
“(mica le fricchettonate tipo che l’uomo ha inventato l’agricoltura per soffrire la fame e sballarsi ”
Ho scritto poche righe per riassumere un libro di diverse centinaia di pagine, che ha una montagna di note a pià di pagina e una lunga bibliografia scientifica.
Questo non vuol dire che sia “vero” ciò che dice, magari la Keith tace di altre fonti che non sono d’accordo con lei.
Ma mette sicuramente “note per ogni dato”.
Quello non è (solo) un tuo riassunto. È proprio il pensiero dell’autrice. L’ho copincollato da un’intervista che ha rilasciato!
Oh, non è che non dica cose che condivido. È il voler far tornare tutti i conti della propria ideologia ad ogni costo, anche a costo di fricchettonate, che mi spiazza…
Per Z
“Quello non è (solo) un tuo riassunto. È proprio il pensiero dell’autrice. L’ho copincollato da un’intervista che ha rilasciato! ”
Dell’intervista, non saprei cosa dire.
Del libro, sì.
Se vuoi trovare le fonti, ce le trovi.
Per Z
“L’ho copincollato da un’intervista che ha rilasciato! ””
Credo che non abbiano ancora inventato le interviste con le note a piè di pagina.
Ho controllato adesso sul libro, la bibliografia occupa 12 pagine, se vuoi cerco di copincollare e te la mando.
Mi fido, ci mancherebbe. Se mi dici che la tesi dell’agricoltura fondata per sballarsi ha fonti serie e autorevoli mi fido 🙂
Per Z
sullo sballo agricolo: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4809873/
Comunque di per sé non ci trovo nulla di strano: tutte le piante si difendono e sfruttano vettori in vari modi. Tanto più se devono farsi mangiare, pur di riprodursi. La questione casomai forse è se l’effetto delle esorfine prodotte dal grano siano tali da spingere i consumatori a fare scelte controproducenti per loro, come è il caso (certamente più eclatante) del tabacco.
Non ho letto i vari link, e parlo perciò un po’ a caso, ma trovo più facile credere che i cereali siano semplicemente una coltivazione conveniente dal punto di vista pratico e nutrizionale.
L’articolo è effettivamente interessante.
Detto questo, la tesi della scrittrice sembra ripresa da due ricercatori.
Secondo questa tesi, congiuntamente (stando a ciò che si legge e se ho capito bene):
– gli uomini sono diventati agricoltori per inebriarsi col grano;
– gli uomini hanno iniziato a inebriarsi col grano per tollerare la vita da agricoltori.
Va detto che gli A. sembrano mostrare una certa perplessità verso questa tesi.
Per Z
“stando a ciò che si legge”
Non ho capito se hai letto il libro, solo un’intervista.
Oltre all’aporia (che bello usare certi termini! chissà se è giusto, nel caso 😉 ) individuata da Z., mi permetto di far notare che ci sono altre sostanze che inebriano più e meglio del grano, e danno senz’altro più dipendenza…
Ho letto l’articolo (se è questo: Bread and Other Edible Agents of Mental Disease) e mi pare che sarebbe bene essere molto prudenti: gli autori sono glutinofobici. Comunque non dice e non mi pare che citi nessuno che dica che in Mesopotamia si coltivarono cereali e non meleti perché la gente fu spinta dallo sballo.
L’articolo, comunque, ha ben due citazioni, una delle quali presenta una ipotesi che sembra ridimensionare moltissimo quella del glutine sballante ( https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5237795/ ): in pratica sarebbe il risultato di condizioni patologiche.
Sull’adozione dell’agricoltura al fine di sballarsi:
Arguably, foodstuffs whose digestion releases exorphins are preferred exactly because of their drug-like properties. It has been speculated, in fact, that this chemical reward might have been one incentive for the initial adoption of agriculture (Wadley and Martin, 1993).
e sullo sballarsi con l’agricoltura per tollerare la vita nel nuovo regime stanziale e servile:
According to Wadley and Martin’s rather audacious hypothesis, daily opioid self-administration could have increased people’s tolerance of crowded sedentary conditions, of regular work, of subjugation by rulers.
Gli A. parlano di “congetture”(nel primo passo) e di “ipotesi piuttosto audace” (nel secondo), sicché – come dicevo – mantengono un certo distacco dalla Ganja Farming Theory in entrambe le sue formulazioni 🙂
Miguel,
“ma per favore lasciamo perdere i discorsi sull’ “odio per il sesso e il piacere”.”
E perché mai dovremmo lasciarli perdere?
Non lascio perdere un bel niente! 🙂
Comunque ti ho risposto in modo più articolato nell’altro post.
Non ho letto il documento che proponi a cuasa dell’ostacolo linguistico, ma sono pronto a dare il mio parere, se deciderai di fornirne una sintesi.
Grazie Miguel, però, mannaggia, manca il verso…quo tibi turritis ingingere moenibus urbes ?
Per Luca
” manca il verso…quo tibi turritis ingingere moenibus urbes ?”
E’ vero, la fretta! Ho corretto, grazie!
…incingere moenibus urbes ?
Miguel,
ti rispondo qui, per comodità di tutti.
“Poi mettiti nei panni di un genitore, anche un babbo, con una figlia.”
Capisco benissimo il tuo sentimento e lo rispetto molto. A maggior ragione per i fatto poi che conosco i tuoi ragazzi, che essendo oltretutto ragazzi speciali, si fanno voler bene anche più di quanto accada normalmente.
Effettivamente io non sono padre e certe cose non posso comprenderle appieno.
Benché, se lo fossi, da buon meridionale, probabilmente vivrei con disagio anche l’affettività più sana e normale di un’eventuale figlia (poi saprei gestire e filtrare tale disagio).
Non possiamo astrarci del tutto dalla nostra vita personale e affettiva, né forse sarebbe giusto farlo.
Però dobbiamo anche saper valutare i fenomeni con oggettività. Soprattutto in sede di interpretazione; poi sul giudizio morale ci si può dividere (anche se i due piani non sono nettamente distinti).
Qui ci sono in campo varie questioni.
Di per sé non è che la prostituzione sia indice di una disparità dei sessi: non ho nulla contro la prostituzione maschile.
Di fatto però lo è, perché la prostituzione maschile (sia omo che eterosessuale) è un fenomeno di entità marginale, rispetto a quella femminile.
In linea di principio, in un mondo ideale, non valuterei la prostituzione come un bene.
Peraltro mi è sporadicamente capitato, di soltio su spinta altrui, di essere fruitore di tale tipo di servizio, e l’ho trovato del tutto inappagante. Il fatto è che non riesco a scindere la gratificazione e il piacere dell’atto dal piacere altrui, cioè dalla soddisfazione e dall’eccitazione che deriva nel fatto di dare piacere all’altra persona e di esercitare un’attrazione fisica su di essa, quindi per me andare con una prostituta è poco più che andare con un bambolotto di plastica.
Tuttavia ho amici che sono friutori sporadici o abituali di tale tipo di prestazione e sono persone di grandissima sensibilità, lontanissimi da un atteggiamento freddo di uso consumistico e reificante delle donne.
Ma ciò non toglie che il probelam resta: per moltissimi uomini è invece così e l’esperienza quotidiana di una prostituta è sicuramente, mediamente piuttosto avvilente.
Quindi in una società ideale la gratuità, oltre a fondare la maggior parte dei rapporti e degli scambi, nei limiti del possibile (non so se possa esistere una società senza moneta; sicuramente però si vive meglio in una società in cui i gesti di liberalità fossero cosa comunissima e diffusa, rispetto a una società di gente gretta e venale in tutto), fondasse integralmente i rapporti affettivi e sessuali.
Ciò vale quindi sia per la prostituzione in senso proprio, che per tutte quelle situazioni asimmetriche di potere (tenendo però sempre conto del fatto che esiste un fascino intrinseco dell’uomo ricco e potente, spesso scevro da considerazioni di tipo utilitaristico – almeno se parliamo di uomini giovani o di mezza età, brillanti, magari non belli, ma, insomma, non di vecchi brutti, antipatici e impotenti).
Così come, in un mondo ideale (almeno nel MIO mondo ideale), c’è una parità assoluta fra i sessi, che non è annullamento delle differenze, ma totale parità di rapporti di forza, di prestigio, di mezzi, di rispetto.
Infine nel mio mondo ideale il sesso sarebbe molto più libero, gioioso e spensierato e molto meno caricato di valenze, rilevanze, rivendicazioni, inibizioni, tabù.
In sostanza non ci sarebbe bisogno della prostituzione perché le donne la darebbero gratis anche ai poveri. Peraltro già l’idea della donna che “la dà” è proprio la negazione di ciò che penso io, perché implica che il sesso sia un privilegio per l’uomo e una concessione da parte della donna, il che è tutt’altro che paritario e profondamente offensivo per noi ometti.
Bisogna vedere però le crociate moralistiche contro la prostituzione che segno hanno e da che sensibilità e tendenze sono espresse.
Io non trovo affatto che siano promosse in nome di una società basata sulla gratuità, sul sesso libero e gioioso. A parole magari sì. Ma dietro c’è tutt’altro.
In generale femminismo, repressione moralistica contemporanea e tutto il resto sono espressioni indirette ed esiti estremi (quantomeno in senso temporale) di una cultura patriarcale. Com’è patriarcale ogni atteggiamento valutativo verso il mondo, che vuole imporre, fare violenza alle tendenze spontanee, ai fenomeni sociali così come si manifestano. Nessuna società matriarcale avrebbe mai potuto concepire una cosa come il femminismo. Il femminismo è un’altra espressione dell’aggressività intrinseca delle società indoeuropee (e semitiche), del loro continuo bisogno di innovare, sovvertire, creare conflittualità.
Poi, certo, è chiaro che il vitalismo e la relativamente ampia libertà sessuale dei maschi delle vecchie generazioni era a discapito delle donne: mio nonno si divertiva, ne combinava di tutti i colori e mia nonna sopportava.
Ma a questo si sarebbe dovuto sostituire il vitalismo sessuale generalizzato, invece si è sostituita l’inibizione generalizzata, la nevrotizzazione del sesso, la repressione introiettata.
Posto che la parità è comunque un valore per un fatto di giustizia, meglio però comunque allora la libertà per un sesso solo: meglio alcuni tristi e altri allegri che tutti tristi.
Per questo anche la prostituzione femminile, che non è di per sé un bene, diventa un presidio di libertà da difendere.
Ecco perché comunque sarò sempre critico verso queste crociate moralistiche: ripeto, ciò che restringe anziché allargare gli spazi di libertà, mi vede critico.
Per Peucezio
“ti rispondo qui, per comodità di tutti.”
Grazie della lunga e dettagliata risposta!
Interessante Peucezio
Ho dovuto rileggere tre volte prima di riconoscere che sostanzialmente sono d’accordo su tutto.
Immagino che dal discorso “libertà” vadano escluse le schiave della prostituzione
Certo, ovviamente.
Tra l’altro se si facesse meno retorica generica contro la prostituzione, con multe ai clienti in modo indiscriminato, ma si intervenisse con energia verso i fenomeni odiosi come la schiavizzazione di ragazze, sarebbe molto meglio per tutti (tranne che per i ciminali che le schiavizzano).
Aggiungo un’osservazione che avevo dimenticato nella tastiera 🙂
E’ possibile che il femminismo, oltre ad aver manifestato certe sue tendenze aggressive e un po’ folcloristiche, abbia contribuito seriamente a riscattare le donne da una situazione di oggettiva subalternità (con esagerazioni dall’altra parte, come la disparità molto forte quando ci sono divorzi, separazioni, ecc. – su quelle cose il nostro Mauricius ha ragione – ma anche con forme di discriminazione che in qualche misura, in certi ambiti lavorativi e sociali ci sono ancora a discapito delle donne).
Ma il femminismo è una conseguenza, più che un motore: l’innalzamento del livello di vita, di istruzione e di consapevolezza per tutti non poteva non produrre una tendenziale parificazione dei sessi e il femminismo ne è il versante ideologico, ma poi la storia, più che le idee, la fanno le trasformazioni sociali ed economiche: se i grandi industriali non avessero avuto interesse a vendere i loro prodotti, probabilmente non avremmo avuto l’innalzamento di livello di benessere, di salari e di diritti (che in molta parte si sono nuovamente dissolti) degli operai; poi ci sono i sindacati, i partiti comunisti (ai tempi) e tutto il resto, ma non sono il fattore decisivo, al massimo sono il tramite.
Per cui, se è vero che nella sensibilità ideologica progressista c’è una forte carica repressiva (e più in generale il nostro modello di società è nevrotizzante e castrante, malgrado nominalmente siamo più liberi che mai nella storia), è probabile che, per le donne, ci sia stato invece un incremento di libertà effettiva, soprattutto in certi ceti: Freud descriveva e curava l’isteria; oggi l’isteria non esiste, almeno in Occidente: non più della lebbra o della tigna.
Ma nel complesso le tendenze repressive e puritane ci sono eccome: pensiamo al clima di oggi rispetto per esempio a quello degli anni Ottanta. E io me le ricordo le ragazze degli anni Ottanta, almeno qui a Milano (adesso hanno più di cinquant’anni): erano decise, libere, a tratti spregiudicate, molto disinibite!
Quindi non era solo Guido Nicheli che faceva il tipico godereccio maschile all’italiana: era già una liberazione di ambo i sessi, perché c’erano stati di mezzo gli anni Settanta, ma nel frattempo si era dissolto (per poco, ahimè) il cupo moralismo ideologico che avevano espresso, mentre era rimasta la componente libertaria.
>>> se i grandi industriali non avessero avuto interesse a vendere i loro prodotti, probabilmente non avremmo avuto l’innalzamento di livello di benessere, di salari e di diritti
diciamo che non sono molto d’accordo, questo mi pare un caso interessante di dialettica (industriali tirchi vs operai capaci e organizzati) che è servito a un effettivo progresso (industriali ancora ricchi e operai con “benessere, salari e diritti”)
dubito che gli industriali fossero molto consapevoli di aver bisogno di operai ben pagati, anche perchè quello è lo sguardo “macro” di un economista, non quello “micro” del singolo imprenditore
@ MIGUEL
E poi NON sottovalutare gli “Incels” … anche se in maniera molto minoritaria, hanno già colpito: emulando sia l’omicidio mirato in stile Brigate Rosse o Alqaeda sia l’eccidio “chi c’è c’è” in stile Brigate Nere o ISIS ! … Si tratta in assoluto del Prodotto Più Genuino in una Società HyperLiberal ove il sommo insulto è “Loser”, ove i problemi puoi cercare di risolverli SE E SOLO SE hai il carisma dato dal possedere ricchezza.
Be’, no … sia Alqaeda sia ISIS hanno agito sia in Stile Brigate Rosse sia in Stile Brigate Nere , ma NON è questo il punto.
Argentina… il Museo dell’Olocausto di Buenos Aires esibisce 83 oggetti dell’era nazista (busti di Hitler, ecc.), trovati nella stessa Argentina, segno quindi dell’intimo e terribile legame tra l’Argentina e il Passato che Non Passa.
Il problema è che sono tutti inequivocabilmente falsi: https://www.theguardian.com/world/2019/nov/01/nazi-artefacts-argentina-forgeries-art-historian
Quelli del museo ci sono cascati come polli, evidentemente, ma hanno deciso di metterli in mostra lo stesso per il loro “valore educativo”.
L’unico aspetto educativo che potrei vederci è l’insegnamento che l’etichetta “nazista” aiuta a vendere…
ma non è mica detto che chi compra del periodo nazista, vera o falsa, sia automaticamente un simpatizzante nazista…
Nerdata Macrabra , dulìa parodistica : Saint Elliot [sic]
https://www.yourtango.com/2018313651/what-is-saint-elliots-day-former-ucsb-student-on-elliot-rodger-mass-shooting-how-incel-rebellion-spreads-ideology-male-supremacy
23 Maggio
Macabra e.c.
In pratica, premesso che il Brodo di Coltura di ‘sta roba è l’ orribile (!) mondo delle High School e dei College … ha cambiato per primo _ Appellandosi al Second Amendment to the United States Constitution _ il detto “Alpha fucks, Beta bucks .. Omega sucks” in “Alpha fucks, Beta bucks .. Omega kills”
Pino,
scusami, non volevo litigare, ma cerca di comprendere che come tu a volte ti irriti in modo che a me pare francamente sproporzionato, ma che tu non ritieni tale, anch’io possa irritarmi se percepisco che si stia banalizzando in modo liquidatorio e semplificatorio una mia osservazione.
Tieni conto che tu spesso ti irriti per quelle che definisci provocazioni. Ma un conto è se io davvero mi divertissi a stuzzicarti per romperti le scatole e llevarte la contraria, come dicono gli spagnoli. Un conto è il fatto che io possa avere posizioni del tutto indipendenti da certe idee e certi tabù correnti, al punto da risultare molto anticonformista e che quindi certe affermazioni possano apparire una provocazione. Ma in uno spazio come questo ci mancherebbe che uno debba farsi lo scrupolo di offendere i sentimenti correnti per il fatto che ha posizioni molto originali e personali (che magari in altre epoche o culture erano invece del tutto scontate).
Con ciò, io non ho mai avuto la minima intenzione di irritarti. Ma posso capire che tu, al di là delle mie intenzioni, possa talvolta rimanere spiazzato da certe mie affermazioni. Lasciati dire che a volte sei davvero iper-reattivo e polemico (penso alla sparata minacciosa e violenta contro il povero Francesco), ma so che in fondo certe intemperanze esprimono una tua schiettezza di fondo, so che in realtà sei una persona per bene e rispettosa degli altri, quindi non ci faccio caso più di tanto, anche per la grandissima stima più generale che ho di te, sia intellettuale che, per quel poco che ti conosco, umana e morale.
In questo caso sei tu che hai irritato molto me.
Ammetterai che, al di là delle tue intenzioni, ciò che hai scritto suonava come banalizzante in modo, se non proprio offensivo, molto liquidatorio.
E siccome io parto dall’idea che nessuno qui dentro scriva cazzate e che anche le affermazioni più lontane dalle mie idee celino qualcosa che ha una sua ratio, una sua originalità e che non va banalizzato (e se a volte ho fatto io percepire l’idea contraria riferendomi ad altri, mi dispiace), ci sono rimasto male.
Capisci che per uno che ha interessi antropologici e una esperienza non grandissima ma nemmeno trascurabile di vero e proprio lavoro sul campo e comunque di contatto con realtà sociali altre rispetto alla borghesia urbana scolarizzata, ecc. e che ha percepito chiarissimamente certe differenze di modelli cognitivi, sentirsi dire: “eh, no, ma sono vecchi rimbambiti e quindi, come tutti i vecchi, fanno confusione” suona davvero antipatico e sgradevole: se non è un dare del deficiente, non siamo molto lontani.
Poi puoi provare a dare interpretazioni diverse dalla mia rispetto alle mie osservazioni, ma da qui a banalizzarle in modo così rozzo ce ne passa: l’osservazione è osservazione: se hai un minimo di stima di chi te la riporta, puoi correggerne l’intepretazione, ma non considerarla un abbaglio assoluto fondato su un equivoco così pedestre.
Peraltro il tutto si inserisce in un discorso in cui non ho fatto un’analisi puntuale della storia della percezione del concetto di autorialità, questo no, ma ho individuato, in modo argomentato (poi si può eccepire sui singoli argomenti e sul tema in sé) che tale percezione, se nella civiltà borghese è molto forte e definita in modo nettissimo, in società preborghesi è attentuata, sfumata, a volte si dissolve parzialmente (per inciso, non ho mai detto che gli antichi o i medievali non avessero per nulla il concetto di autore e di creazione individuale; ho detto appunto che era più debole e sfumato), così come più in generale l’attenzione all’individuo, al suo valore intrinseco, alla sua specificità e unicità è fortissima nella civiltà liberale borghese, molto più che in altre. Ma il fatto che l’individuo abbia meno peso, chessò, in Cina, rispetto all’Europa occidentale o nella società liberale rispetto a quella feudale, non significa che queste altre non abbiano la categoria concettuale dell’individuo. E’ una questione di gradi, che però struttura modelli cognitivi e sociali.
Per Peucezio
“cusami, non volevo litigare, ma cerca di comprendere che come tu a volte ti irriti in modo che a me pare francamente sproporzionato, ”
Ho notato anch’io, ogni tanto Pino reagisce in maniera sproporzionata. Peraltro mai su cose ovvie, è di solito su qualcosa che agli altri sembrerebbe secondaria.
Ma alla fine, ci ritroviamo sempre!
Ezio, posso dirtela una cosa?
Non solo sembra anche a me che tu giudichi rozzo bestiale il proletariato (è un termine un po’ desueto ma passamelo, non saprei trovarne uno migliore):
mi sembra pure che tu lo preferisca così come lo disegni: rozzo e bestiale.
Può darsi che mi sbagli, può darsi che sia frutto del mio pregiudizio. Anzi, ad essere sinceri è piuttosto probabile che sia proprio frutto del mio pregiudizio.
Ma alle volte l’impressione che ho è proprio quella.
Ora, penso che tu mi creda se ti assicuro che non lo dico per biasimarti né per sminuire il valore delle tue esperienze. E soprattutto non lo dico per mancarti di rispetto.
Quindi non prendertela – gli amici si prendono come vengono, coi loro pregiudizi. Al più si cerca di farglieli passare 🙂
Io invece proprio ultimamente riflettevo su come siano rozze e bestiali le generazioni immediatamente successive alla dissoluzione del mondo popolare e alla grazia intrinseca che hanno invece questi personaggi (ce ne sono molti ancora vivi, anche se fra vent’anni si saranno praticamente estinti del tutto) che tu e Pino sostenete che io riterrei rozzi e bestiali.
Comunque, se volete, ne parliamo in separata sede: non è cosa su cui entrare nei dettagli qui, coram populo.
Peraltro non vedo perché un senso meno forte dell’individualità dell’esperienza sarebbe rozzo e bestiale.
Perché sono gli animali quelli che non avrebbero coscienza di sè stessi come individui.
Comunque spesso mi pare (e non sono l’unico, direi) di notare nei tuoi interventi riguardo ai ceti popolari questa attitudine un po’ sminuente: aggraziati fin che vuoi, ma sempre inequivocabilmente incapaci di ragionare, incapaci di pensiero astratto, incapaci di pensare oltre i confini del proprio paesello…
poi dici che gli vuoi bene 😉
modalità scherzo: non prendertela, lo dico con affetto per te- sto esagerando a bella posta…
però, insomma, ricordi un po’ lo schiavista del Tennessee che parla di quanto sono vuol bene ai “suoi” negri…
Tornando al caso specifico, se ricordo bene l’esempio che facevi, credo che ci sia un fraintendimento.
Prima hai parlato di persone anziane, e vabbè, lasciamo perdere il discorso.
Ma riguardo al raccontare le proprie esperienze in quel modo confuso che dici tu, mescolandole a quelle di altri o a elementi tradizionali, ingigantendole ecc. …
beh, è il modo normale di farlo per fare spettacolo ;
quando c’è un pubblico, anche quello ristretto di amici.
Generazioni di comici hanno raccontato storie sulle suocere senza essere nemmeno sposati… e anche le esperienze autobiografiche, su cui moltissimi “stand up comedians” basano le loro routine sul palco, per metà sono rielaborazioni di un repertorio tradizionale…
il che non significa che non siano perfettamente consci (a volte, direi, dolorosamente, fisicamente consci- se hai recitato puoi capire) di dove passi la linea precisa tra la rielaborazione libera e il plagio o il furto.
E i loro legali anche…
Direi anzi che questo è uno di quei casi in cui il popolo e una parte della popolazione “colta” sono più simili…
di moltissimi personaggi dello spettacolo si dice che fossero dei bugiardi professionisti, quasi patologici;
e non per guadagnarci qualcosa, ma per il semplice gusto di raccontare;
e per alcuni di quelli che ho conosciuto, posso testimoniare che è vero.
È una specie di deformazione professionale, che sicuramente invece non riguarda i medici o i notai o qualunque altra categoria possa definirsi borghese.
Poni varie questioni degne di attenzione.
Appena ho tempo ti rispondo.
(prima che si sviluppasse il concetto di diritti di sfruttamento, con una certa durata nel tempo, esisteva il sistema dei “privilegi”, più primitivo ma concettualmente non molto diverso)
[cit.]
—————
Già… “priviliegio”, parola ritornata fuori in grancassa con significato totalmente sputtanato a causa de’ soliti SJWs !
In che senso?
Maschio+Bianco+Cis+Etero ? … per i SJWs, sei un privilegiato: sallo 😉 !
Per Moi
Come fai a sapere che Z è:
1) Maschio
2) Bianco
3) Cis
4) Etero
Pino,
“Perché sono gli animali quelli che non avrebbero coscienza di sè stessi come individui.
Comunque spesso mi pare (e non sono l’unico, direi) di notare nei tuoi interventi riguardo ai ceti popolari questa attitudine un po’ sminuente: aggraziati fin che vuoi, ma sempre inequivocabilmente incapaci di ragionare, incapaci di pensiero astratto, incapaci di pensare oltre i confini del proprio paesello…
poi dici che gli vuoi bene ? ”
Vabbè, ma tu vedi una contraddizione fra il fatto che io dico di amare il mndo tradizionale (e fin qui d’accordo) e il fatto che lo disprezzerei, ma secondo la… tua scala di valori!
Per me il principium individuationis non è un valore in sé, lo è purché contemperato con quella che Lévy-Bruhl chiama la “partecipazione mistica”.
In sostanza io sono critico verso l’Io come ipostasi razionalistica, cartesiana e moderna.
Ripeto per l’ennesima volta: non ho mai detto che il mondo premoderno non abbia la percezione dell’individualità; dico solo che ce l’ha molto meno netta e molto più sfumata.
Per gli animali la questione non si pone: non so se abbiano il senso della loro individualità (non son mai stato un animale, almeno a mia memoria, né ne ho mai intervistato alcuno), ma in ogni caso, anche quanco costituiscono strutture comunitarie (come le formiche, ma anche tanti mammiferi superiori), sono aggregata da un meccanismo puramente istintuale e biologico, quindi materiale. In un certo senso trovo più simili le società animali alle nostre moderne, vincolate in modo puramente meccanico e funzionale, che non a quelle tradizionali, in cui i vincoli sono simbolici e magici. Poi a te queste possono parere fumosità poco comprensibili e poco convincenti, legittimamente, ma qui parliamo della mia scala di valori, che quindi si dispone secondo le mie convinzioni e interpretazioni.
Tieni conto che quello sulle società basate sull’oralità (alla fine di questo si tratta, anche se in forma graduale e non netta: in genere le persone che ho conosciuto non erano proprio analfabeti, ma risentivano palesemente di una cultura più basata sull’oralità della nostra contemporanea) è un filone di studi piuttosto fecondo e consolidato. Ed è dimostrato che produce un modo di ragionare non basato su astrazione e generalizzazione, ma su concretezza e specificità.
Cioè (e questo l’ho proprio letto): tu fai vedere un tavolo quadrato a un alfabetizzato e ti dice che è quadrato e che corrisponde alla figura geometrica del quadrato; fai vedere mille oggetti diversi a un uomo appartenente a una cultura dell’oralità, continuerà a dirti che quello è un tavolo, quell’altra è una mattonella, ecc., e se gli fai vedere il disegno di un quadrato su un foglio, lo assimilerà sempre e com unque all’oggetto di forma quadrata che gli è più familiare.
E queste strutture logiche e cognitive non sono affatto più rozze.
Questa gente si muoveva in un universo complicatissimo e conosceva una marea di cose. Non escludo che in una certa fase l’incontro fra la scrittura e le culture orali possa aver prodotto un incremento di complessità, creando sintesi felici, ma è una situazione di passaggio. Un mio amico docente mi raccontava come rilevava nelle generazioni dei suoi studenti l’incapacità di parlare di cose e la tendenza sempre a utilizzare concetti genericissimi, vaghi e astratti, con un uso sempre più polisemico e impreciso delle parole e una conseguente riduzione del lessico, oltre che di ogni forma di chiarezza concettuale. Se questa non è semplificazione , disarticolamento di strutture, insomma, imbarbarimento cognitivo…!
Prima o popi dovrei fare uno studio sul linguaggio delle generazioni prima e dopo il ’68 e su come quelle dopo tendano (con tutti i distinguo del caso) a indulgere moltissimo nell’uso di poche parole che non vogliono dir nulla o al massimo hanno un mero potere evocativo. Che è poi la differenza fra il linguaggio pre e postconciliare: razionale, preciso, sillogistico il primo, vago, emotivo, confuso, generico il secondo.
Tutto ciò se parliamo dei modelli cognitivi.
Se parliamo dell’espressività, che nella mia scala di valori è estremamente importante, lì lasciamo perdere: c’è stato una specie di darwinismo alla rovescia, che ha prodotto davvero atteggiamenti di bestialità pura, di regressione ferina, subumana.
Ti ripeto, puoi non condividere le mie analisi e le mie descrizioni della realtà, ma i miei giudizi di valori sono coerenti con esse.
Per Peucezio
“Per me il principium individuationis non è un valore in sé, lo è purché contemperato con quella che Lévy-Bruhl chiama la “partecipazione mistica”.
In sostanza io sono critico verso l’Io come ipostasi razionalistica, cartesiana e moderna.”
Condivido in pieno, anche se non arriviamo necessariamente sempre alle stesse conclusioni (forse perché abbiamo una diversa visione dell’animale, cui accenni dopo).
Esiste e non esiste l’individuo: da una parte esiste una sorta di “punto di percezione” che presumo sia uguale per un essere umano e per una zanzara, e forse anche per un albero. E questo è sicuramente “individuale”.
Dall’altra, gli individui non esistono: siamo miliardi di neuroni, batteri, cellule che sfumano senza alcun confine preciso nell’aria e nella vita/morte che ci circonda, siamo la conseguenza di innumerevoli miliardi di cose e con ogni respiro creiamo conseguenze per altre cose, ogni volta che io dico “in-dividuo”, parlano attraverso la mia voce tutte le madri e le nonne che si sono trasmesse le radici delle parole (prefisso privativo indoeuropeo + “div-” che immagino sia “due”); e trasmetterò qualche frammento di tutto questo ad altri.
Mmmmh … se quel “div” derivasse da “Deva”, quei “vitalismi mistico-filosofici” che si è tutti scintille (e tutte scintilli e tutt* scintill* 😉 …) d’un unico fuocone inesausto divino, tipo il (pochissimo conosciuto in Occidente) Jainismo ?
cmq per “individuo” intendo “esemplare di una specie” … senza chissà quale ideologismo volitivo.
No, non c’entra nulla con deva, che semmai è legato a divus e a deus.
“Dividere” pare abbia connessioni con “vedova”, d’altronde la vedova viene divisa dalla morte dal marito.
Miguel,
sì, direi che la differenza fondamentale è che tu descrivi un mondo come se lo osservassi dall’esterno (ma forse no), mentre io, più che di realtà (cui non credo), parlo di percezione.
Infatti, dal punto di vista di uno scienziato moderno o di un liberale (ma anche di un teologo cristiano) il principio di individualità inteso in senso nettissimo è reale e non gli si può dare torto, perché nel suo mondo culturale effettivamente è così (però siamo sempre lì: per lui esiste un individuo dai contorni netti paradossalmente perché la sua comunità e il suo retaggio culturale gli impone di pensarlo, quindi torniamo alle madri e alle nonne di cui hai parlato 🙂 ).
“e se gli fai vedere il disegno di un quadrato su un foglio, lo assimilerà sempre e com unque all’oggetto di forma quadrata che gli è più familiare.”
sarà, ma a sembra piuttosto il contrario, e parlo di esperienza vissuta.
Cioè, fai vedere un quadrato con delle misure a un artigiano con la quinta elementare, e gli dici guarda questa è la lunghezza del tavolo, questa è la larghezza, e lui ti dice ma no, questo qui è un quadrato…
poi magari ti fa un tavolo bellissimo, ma di testa sua.
immagino che se chiedessi a un aborigeno australiano di un paio di secoli fa di riconoscere una figura geometrica in astratto avrei avuto dei risultato diversi…
e comunque continuo a non vedere cosa c’entri col senso dell’individualità, che a me pare ugualmente sviluppato in tutti.
Le uniche persone a cui ho sentito contestare il senso di invidiualità ci arrivano anzi attraverso un processo del tutto conscio e intellettuale e talvolta dopo un lungo “apprendistato mentale” (parlo dei monaci zen), proprio perché per l’essere umano è intuitivo pensare di essere un individuo (credo fin dai primi mesi di vita), e controintuitivo il contrario…
Per PinoMamet
“proprio perché per l’essere umano è intuitivo pensare di essere un individuo (credo fin dai primi mesi di vita), e controintuitivo il contrario…”
E’ una questione molto interessante. Sarebbe interessante vedere quali ricerche serie siano state fatte in materia: non tanto intellettuali come noi che teorizzano.
Esattamente “che cosa è” che “vede il mondo”?
Beh, c’è Lévy-Bruhl, ma anche cose meno datate sicuramente.
Ma esattamente, perché mai un essere umano non dovrebbe pensare di essere un individuo, se non dopo avere intrapreso – appunto – un percorso spirituale di un certo tipo?
non capisco!
Per Z
“Ma esattamente, perché mai un essere umano non dovrebbe pensare di essere un individuo”
Ritorno lì: esiste sicuramente quella strana cosa per cui “io” posso vedere il mondo solo da questa prospettiva, e da nessun’altra.
E che immagino sia comune a tutti gli esseri viventi, di qualunque tipo.
Allo stesso tempo, questa certezza – che esiste – è anche una finzione, perché non corrisponde a nulla di afferrabile.
Se “a me” qualcuno dovesse amputare il piede, non cesserei di essere “io”. E se qualcuno mi tagliasse la testa, cesserei solo perché tutta la macchina cesserebbe di funzionare, ma non perché la testa è “io”.
Io credo che sia qualcosa di molto più antico della mente: il mio sistema immunitario distingue me dal non-me, quindi perché l’immagine mentale di me dovrebbe difettare di questa capacità?
I serpenti che mangiano se stessi sono serpenti in condizioni di stress che perdono la capacità di distinguere se stessi dall’altro, in fin dei conti.
Il problema del sé a livello biologico, comunque, è stato studiato (ne ho letto in Altre Menti di Godfrey-Smith).
Però a livello ontogenetico è stradimostrato che la coscienza dell’individualità è un traguardo, non un dato originario.
Ci sono proprio fasi in cui i bambini parlano in terza persona di sé e altri mille riscontri, su cui non sono edotto non essendo uno psicologo infantile.
Per Peucezio
“Ci sono proprio fasi in cui i bambini parlano in terza persona”
Verissimo 🙂
Questa la ricordo anch’io, Miguel. E dire che sembra ieri 🙂
Ma non potrebbe, più banalmente, essere collegato al fatto che il bimbo – o nel caso di specie, la bimba – sente dire “tu” e chiama se stessa “tu”?
Per Z
“Ma non potrebbe, più banalmente, essere collegato al fatto che il bimbo – o nel caso di specie, la bimba – sente dire “tu” e chiama se stessa “tu”?”
In effetti, credo che anch’io che sia così.
Ci sono anche fasi dello sviluppo embrionale in cui sembriamo girini, il neonato non è proprio in grado di parlare e dubito che un bambino di tre anni sarebbe in grado di addomesticare da solo il fuoco, il fuoco “artificiale” sembra precedere di un bel po’ la nostra specie.
“Ma non potrebbe, più banalmente, essere collegato al fatto che il bimbo – o nel caso di specie, la bimba – sente dire “tu” e chiama se stessa “tu”?”
—
quindi parla in SECONDA persone, non in terza.
giusto 🙂
Lisa,
infatti. Qui si parlava di III, non di II.
Ma in generale è proprio l’io che è una costruzione successiva.
Se non ricordo male mi pare di aver letto anche che in una certa fase il bambino non ha neanche chiaro che la sua mano fa parte di lui e gli oggetti (o le mani o il corpo dei genitori o di altri) no.
Ma d’altronde è logico: noi siamo un fascio di percezioni. L’individualità è già il risultato di un processo di astrazione intellettuale, per quanto apparentemente semplice: significa che io astraggo, a partire da queste percezioni, un’entità che ne è il destinatario, che io percepisco (mi vedo le mani, se me le pungono sento male io, mi posso guardare allo specchio, sento che gli altri si rivolgono a me), così come percepisco ciò che è altro da me.
Cioè è l’alterità che configura l’identità: l’alterità viene prima.
Peraltro anche sul piano filosofico l’identità del soggetto e l’alterità del mondo non sono affatto cose pacifiche.
Un empirista potrebbe dirti che ci sono solo percezioni e che l’individualità è una costruzione indebita e non dimostrabile.
Un idealista ti direbbe che il mondo è una proiezione dell’io e che non esiste una vera, invalicabile, alterità ontologica del mondo esterno rispetto all’io.
E con buona pace di Pino, i filosofi idealisti non sono né rozzi e bestiali, né sono come cuochi che fanno un solo piatto :-), ma parliamo di alcune delle menti più raffinate della storia della civiltà umana.
Insomma… non idolatro gli idealisti, che (scusami) mi sono sempre parsi i più ottusi di tutti i filosofi.
a parte questo, proprio il fatto che i filosofi idealisti non siano rozzi e bestiali (soffrono semmai del male contrario, cioè di un certo nubicucculismo parolaio) dimostra che è la negazione dell’individualità a essere un traguardo, non viceversa.
Se parliamo di biologia o di fasi dello sviluppo puoi anche avere ragione tu, se parliamo di esseri umani compiuti, adulti, direi di no.
Pino,
sai che non ho proprio capito il tuo argomento stavolta?
Io semmai concepirei la cosa in senso circolare: esiste un’unità originaria che si spezza e si ricompone.
Ad ogni modo io ho un’antipatia profondissima per il principium individuationis, mi sembra proprio un cascame intellettualistico della modernità.
E non nego che il cristianesimo in questo abbia una responsabilità piuttosto seria: la stessa salvezza è individuale e l’anima individuale è una categoria fortissima del cristianesimo.
Poi come al solito ciò viene un po’ temperato dalla Chiesa Cattolica: proprio in questi giorni ho sentito parlare molto a messa di indulgenze lucrabili grazie a determinate pratiche, ecc.: cioè noi possiamo diminuire gli anni di purgatorio dei nostri cari estinti. Non è tantissimo, ma meglio di niente…
Cioè, tu che sei cattolico tradizionalista (in senso lato) questa cosa la scopri oggi?
Mah, ok.
🙂
(Non vedo cosa c’entri col principio di individuazione, però).
(Non vedo neanche cosa abbia di tanto brutto, ma non voglio continuare la discussione all’infinito).
Tra l’altro anche la repressione anti-sessista contemporanea trova una sua giustificazione forte proprio nell’astrazione liberale e illuminista dell’autonomia e consapevolezza assoluta dell’individuo.
La sessualità è unione per definizione, ovvio che non piaccia in un’ottica individualista, che crede in un principio di autonomia assoluta.
L’idea stessa che una cosa così sottile e complessa come il sesso sia vincolata a una sorta di contrattualità fra adulti consenzienti, come se non ci fossero mille sfumature, riserve, adesioni, pulsioni, repulsioni, ecc., ma tutto soggiacesse a un mero atto volitivo è una mortificazione del sesso.
Eh, ti darei ragione, se non fosse che la stessa cosa si può dire di qualunque atto umano.
Pino,
“(Non vedo neanche cosa abbia di tanto brutto, ma non voglio continuare la discussione all’infinito).”
Vabbè, diciamo che so’ gusti 🙂
“Eh, ti darei ragione, se non fosse che la stessa cosa si può dire di qualunque atto umano.”
Il fatto che ci siano sfumature, ecc., intendi?
Beh, no: se sottoscrivi un contratto, per la compravendita di un immobile per esempio, possono esserci dietro mille spinte psicologiche, ma, stringi stringi, fai o dovresti fare una valutazione razionale di vantaggi e svantaggi: non ha esattamente le stesse implicazioni emotive di un atto sessuale.
Non sono sicuro di seguirti…
Intendo dire, parafrasando Alizée: se ti tagli sanguini tu. Se mi tagli, sanguino io!
Per PinoMamet
“Le uniche persone a cui ho sentito contestare il senso di invidiualità”
Forse il problema sta nel verbo “contestare”.
La formica che corre al posto più rischioso per salvare il formicaio, la mamma gatta affamata che dà il latte ai gattini, il combattente dell’Isis che si fa saltare in aria (mica dobbiamo pensare solo ad esempi “simpatici”) non “contesta”, come non contesta la domestica filippina a Firenze che manda a casa tutti i risparmi per far curare il proprio babbo affetto da tumore.
Il “sacrificio” (cioè il perdersi in qualcosa di più grande del “punto di vista”) è universale; e non è “altruismo”, perché in tutti questi casi, chi si sacrifica, si sente parte di ciò a cui si dona.
Formiche e gatti funzionano in maniera molto diversa. Ma anche gatti e raganelle.
È stato condotto questo esperimento su una specie di rane: gli sono stati invertiti dei nervi collegati alla vista in modo che la rana vedesse a sinistra ciò che stava a destra e viceversa. Saltò fuori che per alcuni comportamenti effettivamente c’era questa inversione (pericolo a destra e la rana saltava a destra, perché vedeva il pericolo a siniatra)… ma per altro comportamenti no (insetto a destra e la rana sparava la lingua a destra, correttamente!). Questo vuol dire che non tutti gli animali hanno una rappresentazione mentale della realtà, come sicuramente ce l’abbiamo noi mammiferi.
Comunque questa è una bella obiezione a Pino e Z. 🙂
Uno come Miguel ha una tale capacità di empatizzare in modo profondo col mondo (persone di ogni tipo, animali, cose, luoghi, fiiumi, alberi, libri, popoli, mondi) che è un ottimo esempio di superamento dei confini dell’individualità, quindi, se valesse lo schema di Pino e Z., io dovrei considerare Miguel rozzo e bestiale, anziché una persona di una finezza e profondità che configura semmai un’evoluzione a un gradino superiore dell’umanità, un trascendimento di molti limiti e grettezze tipiche della persona media.
Ovviamente sto ragionando in termini paradossali (e un po’ scherzosi): è un modo per far capire che, tenendo conto di quanto la mia ottica sia legata a un radicale relativismo, stabilire arbitrariamente una scala di valori che mi è estranea e interpretare i miei giudizi in base ad essa è un’operazione a dir poco molto forzata e, giocando un po’ coi concetti, può arrivare alla conclusione folle che ho esposto nell’esempio su Miguel.
Ma questo non vuol dire niente, Peucè.
Prendiamo l’esempio dello schiavista dell’Alabama che “ama i suoi negri”:
tu gli dici, beh, se li amassi magari non li frusteresti e li lasceresti liberi, e lui ti risponderebbe come fai tu: lo saprò ben io cosa vuol dire amarli nella mia personale scala di valori, no?
😉
Per PinoMamet
” lo saprò ben io cosa vuol dire amarli nella mia personale scala di valori, no?”
Peraltro è una delle obiezioni che Lierre Keith muove ad animalisti e vegetariani
Pino,
fammi capire, io tratto male i vecchi di ceto basso?
Mmm un po’ sì.
Davvero, senza offesa, ma credo che se leggessero certe cose che scrivi di loro, si incazzerebbero un po’.
Senza offesa…
E io invece mi offendo! 🙂
Oh!
Per Peucezio
“individualità”
Ti ringrazio delle belle parole, che accetto volentieri: perché hai colto, non ciò che sono, ma ciò che vorrei essere.
E credo che sarebbe un bel modo di guardare tutti.
Se n’era già parlato qui, citando Robin Williamson:
http://kelebeklerblog.com/2019/06/28/e-gli-dei-veri/
voi che create la diversità delle forme
apritevi alle mie parole
voi che lo dividete e moltiplicate
ascoltate i miei suoni
mi alleo con voi
antichi amici
e compagni di viaggio
voi che muovete il cuore
in pelo e scaglie
io mi associo a voi
che cantate luminosi e sottili
creando forme che la mia gola non sa raccontare
Il motivo per cui ho tirato fuori la biologia, giocando un po’ sporco, è che non sono sicuro che ciò che vediamo come espressione di culture “arcaiche” siano effettivamente le “impostazioni di fabbrica” della nostra specie e non il frutto di un lunghissimo cammino culturale: abbiamo un buco di milioni di anni di storia umana per poter dire “in origine eravamo così”. Anzi, io non credo che abbiamo delle impostazioni di fabbrica: i nostri antenati avevano una cultura prima di differenziarsi come specie. Le orche forse sono un buon esempio di un processo analogo oggi: animali “culturali” che si sono differenziati nei comportamenti acquisiti e che ora stanno subendo una selezione (con relativa differenziazione) conseguente.
Mauricius,
pienamente d’accordo.
Poi, vabbè, le culture animali, in quelle poche specie in cui ci sono, sono infinitamente più semplici, quindi non minimizzerei la cesura uomo/altre specie, però per il resto anch’io penso sempre a dati culturali.
Sono il più scettico di tutti quando sento assimilare le capacità culturale umane con quelle delle altre specie esistenti (“la differenza è solo quantitativa” esattamente come quantitativa è la differenza tra elio e oro…), però qui abbiamo a che fare con i nostri “nonni” che ci hanno lasciato molte cose (utensili, fuoco ecc.), tutte conquiste culturali. La nostra cultura, quindi, precede la nostra specie (sicuramente è un’espressione impropria, ma i biologi fanno cagare quando si tratta di fare divulgazione sul modo corretto di esprimere i concetti).
Sì, mi pare plausibile.
Peggio, molto peggio
Miguel soffre di derive mistiche … altro che rozzezza e bestialità!
😀
PS bello l’accenno al trascendimento dei limiti della persona media, solo che noi medi siamo tanti, cattivi e resilienti. 😉
Pino,
“sarà, ma a sembra piuttosto il contrario, e parlo di esperienza vissuta.
Cioè, fai vedere un quadrato con delle misure a un artigiano con la quinta elementare, e gli dici guarda questa è la lunghezza del tavolo, questa è la larghezza, e lui ti dice ma no, questo qui è un quadrato…
poi magari ti fa un tavolo bellissimo, ma di testa sua.”
Sì, quello senz’altro e non mi sorprende.
Perché sono proprio uomini che hanno un’osservazione più acuta e d’altra parte hanno comunque un retroterra culturale evoluto (se non individuale, come retaggio sociale e culturale) tale per cui sanno benissimo cosa sia un quadrato.
Credo che quelle osservazioni si riferissero appunto proprio a società come gli aborigeni australiani.
Tra l’altro mi viene in mente, sempre a proposito di legami fra modelli di pensiero e complessità culturale, che ci sono lingue in cui si conta sì e no fino a 3 o 4. Eppure non sono affatto lingue semplici espressione di popoli dalla cultura rozza e povera: possono avere forme di estrema complessità ad altri livelli.
E così quelle lingue in cui la terminologia cromatica si limita al bianco e al nero.
In pratica tu mi stai dicendo: hai detto che quel ristorante ha come specialità la trippa, quindi vuol dire che lo disprezzi. Che ne sai tu se a me piace o no la trippa? Se ti dico che è il mio piatto preferito, mica puoi sindacare questo dato pretendendo di conoscere meglio di me i miei gusti!
O stabilendo arbitrariamente una scala di valori assoluta (“la trippa non è buona”) e quindi dicendo: “eh, Peucezio, hai un bel dire che tu apprezzi le culture arcaiche, ma si sa che quelle caratteristiche che vi individui sono deteriori”. E chi cazzo lo decide che sono deteriori? E comunque conta che non lo siano per me!
…mmm non so se è l’esempio, come lo formuli tu, sia proprio giusto…
Io direi così:
a me pare che tu dica “quel cuoco sa fare un piatto solo, che è la trippa; ma, oh, a me la trippa piace tantissimo!”
O addirittura “a me piace il fatto che quel cuoco sappia fare solo la trippa”.
Nuove frontiere della scienza 🙂
Non ci ho capito niente.
Oltretutto non essendo testo selezionabile, ma immagine, non si può neanche sottoporre al traduttore di google.
“le prove aneddotiche sono affidabili?
Un (solo) uomo dice: “sì”
Uno studio condotto ieri da un uomo su stesso ha concluso che l’evidenza aneddotica riportata a sè stesso è, in effetti, sia affidabile che rilevante.
[… ]
Frequentatore di forum su internet, sezioni dei commenti e social media, il signor Mattingly afferma che è stato inspirato a intraprendere lo studio quando qualcuno ha insistito a chiedergli prove per le sue affermazioni…”
“Uno studio condotto ieri da un uomo su stesso ”
😀
ma è una pagina satirica?
Per roberto
“ma è una pagina satirica?”
Penso di sì, ma ormai è difficile distinguere
Pino,
in tutta questa discussione sono impressionato da come tu non riesca a relativizzare i valori.
E nemmeno, scusami, a compiere l’elementare operazione logica per cui ognuno stabilisce i suoi parametri di valori: se io considero un pregio il fatto che un cuoco sa fare una sola pietanza, non puoi attribuirmi il disprezzo verso quel cuoco.
E comunque mi pare di aver spiegato fin troppo distesamente che io attribuisco al mondo tradizionale molto maggiore complessità e ricchezza, non il contrario.
Quindi non riesco a vedere la pertinenza delle tue obiezioni da nessun punto di vista.
Senza polemica, ma mi suonano francamente molto oziose.
Peucè, ti piaccia o meno noi viviamo in una società con dei valori comuni, più o meno condivisi da tutti.
Possiamo anche discutere sul grado di comprensione che possiamo avere delle leggende degli Yanomami o dell’epos nazionale ceceno;
ma che io (nato in Emilia Romagna, di lingua madre italiano, laureato in Lettere) e te (milanese di origine pugliese, di lingua madre italiana, laureato ecc.) abbiamo dei valori così diversi e addirittura incomunicabili permettimi di dubitare.
Al limite puoi dirmi che entrambi possiamo avere dei valori diversi dal contadino pugliese degli anni Cinquanta, e (in parte) posso accettarlo.
Ritengo però che il contadino pugliese degli anni Cinquanta, tutto sommato, si incazzerebbe comunque per come parli di lui, anche se tu sei convintissimo di dirne bene.
Immagino che moltissime persone fossero convinte di dir bene dei negri dicendo che erano tanto bravi a cantare, avevano il senso del ritmo e sapevano godersi la vita… e che perciò in fondo stavano bene come stavano.
Pino,
“Peucè, ti piaccia o meno noi viviamo in una società con dei valori comuni, più o meno condivisi da tutti.”
Scusami, ma c’è molta arroganza in questa affermazione. O, meglio, più che arroganza, prepotenza (probabilmente in buona fede, non deliberata).
Un’affermazione così puoi farla del tutto legittimamente come analisi sociologica, riferendoti a terzi, alla società italiana o occidentale attuale in genere. Ed è probabilmente relativamente vera (relativamente, perché siamo in una società talmente complessa che c’è veramente di tutto).
Ma non puoi permetterti di riferirti all’interlocutore, di fronte a una sua professione contraria.
Perché io sono l’unico al mondo titolato a stabilire come la penso.
Non mettere in bocca agli altri le idee che non hanno espresso e non pretendere di fare da interpreti non autorizzati del pensiero altrui mi pare la base minima di correttezza in qualsiasi tipo di dialogo.
Confido che d’ora in avanti ti ci atterrai, altrimenti, scusami, ma devo lasciarti solo in un’attività che risulterebbe surreale e delirante (oltre che decisamente ridicola).
Peraltro non capisco il tuo terrore per il pluralismo: non appena si esce da un seminato, magari anche abbastanza largo, ma di cui tu stabilisci i confini, posizioni molto libere e anticonfirmiste o ti scandalizzano, ti indignano e devi liquidarle come provocazioni, oppure addirittura devi negare che l’interlocutore le stia sostenendo davvero.
Eppure proprio uno spazio come questo dovrebbe averti insegnato a non dare per scontato nulla. Ma proprio nulla. Almeno sul piano intellettuale. Se poi tu venissi a sapere che io vado in giro a uccidere la gente e espiantarle gli organi per andarli a vendere, faresti bene a correre subito a denunciarmi.
E anche a spararmi un colpo di pistola, se ne fossi in grado, se ciò servisse nell’immediato a prevenire l’uccisione e successivo espianto di un malcapitato.
Ma sul piano intellettuale tutto è lecito (almeno finché c’è il rispetto della persona dell’interlocutore).
Circa il contadino pugliese degli anni ’50, credo avesse ben altre preoccupazioni e penso che avrebbe seguito a fatica questi ragionamenti, che gli sarebbero parsi tutti aria fritta incomprensibile e vacua.
Adesso non ho tempo, ma ti faccio notare che, semplicemente, esageri nella misura. Arroganza, prepotenza… ma dai.
Se leggi le cose così, per forza ti ci incazzi.
Peraltro, Peucè, ti invito a rileggere il tuo tono (“confido che ti ci atterrai..
“).
Davvero, senza che ti arrabbi; ma rileggi gli aggettivi che scrivi riferiti a me e le affermazioni che fa su di me
(“arroganza”, “prepotenza”, “terrore”, “ridicolo”, “non mi devo permettere”, questo spazio “dovrebbe avermi insegnato”… solo nell’intervento precedente, evito tutti gli altri)
poi ti arrabbi se ti faccio notare che proveniamo dalla stessa cultura e quindi condividiamo lo stesso sistema di valori, che mi sembra un’affermazione tanto lampante da essere del tutto innocua. Mah.
Dici che “io sono l’unico al mondo titolato a stabilire come la penso”, che, scusami, è come dire “ho ragione perché sì”, ed è anche, semplicemente, falso.
Perché chiunque può mentire (e sono sicuro che non è il tuo caso), può sostenere tesi provocatorie per un motivo o per l’altro (e questo, a volte- non questa – ma altre sì- ritengo che un po’ sì, sia il tuo caso) o può semplicemente non avere le idee chiare su se stesso o sulle sue idee.
esattamente a questo servono da un lato la psicanalisi, dall’altro il dialogo.
“Ci sono proprio fasi in cui i bambini parlano in terza persona”
[cit.]
…………………………….
Mah … io l’ ho udito fare solo da megalomani adulti ! 😉
a parte la questione “pecezione del sé”, sulla quale mi sembra evidente che i bambini non nascono sapendo di esistere, credo che il parlare in terza persona derivi dal modo che spesso hanno i genitori di parlare con i bambini (chi mangia adesso la pappa buona? osvaldo! osvaldo è un bravo bambino….Eccetera)
Per roberto
“a parte la questione “pecezione del sé””
In realtà la bambina cui pensavo io parlava in seconda persona, non terza: “tu vuoi mangiare?”, “sì, tu vuoi!”
i miei hano fatto poco questo, ma credo che dipenda dal fatto che come tutti i bilingui (trilingui nel loro caso) hanno iniziato a parlare molto tardi, ma subito bene
comunque in effetti per mia figlia una delle prime frasi è stata “ça c’est à laura” che è venuta prima di “ça c’est à moi”
a proposito di Νεφελοκοκκυγία, Nephelokokkygía idealista :
https://www.youtube.com/watch?v=LYapBgeD314
😉
Pino,
allora, ammetto di essere diventato un po’ aggressivo.
Ma bisogna avere un minimo il senso dei confini e della correttezza reciproca.
Qui discutiamo sempre abbastanza civilmente, poi capita che c’irritiamo.
Ma resta il fatto che, finché ognuno esprime le sue idee e formula obiezioni a quelle altrui, finché non manca di rispetto alla persona dell’interlocutore, siamo in un ambito di correttezza appunto.
Ma capisci che dire a un interlocutore: “tu non sai cosa pensi, te lo devo dire io” va nettamente oltre quella linea: è un comportamento del tutto improprio, anzi, al di là delle intenzioni di chi lo fa, oggettivamente offensivo.
Perché tu puoi pensare anche che tutto ciò che l’interlocutore pensa e dice sia una montagna di idiozie, puoi non dirlo magari in questi termini, ma contestarglielo anche con molta veemenza, ma non puoi pretendere di insegnare all’interlocutore… il suo pensiero!
Perché allora
1) o lo consideri in buona fede, il che rompe quel patto di fiducia e onestà intellettuale che si presuppone anche nel più veemente degli scambi e allora non ci sono margini per continuare il dialogo e l’altro ha tutto il diritto di risentirsi, oppure
2) pensi che sia pazzo, demente o schizofrenico;
nell’un caso e nell’altro non lo stai trattando da interlocutore, perché non gli riconosci nemmeno la dignità e il diritto di avere un’opinione sua, per quanto a te paia sballata, anzi, glie ne disconosci la stessa capacità.
Ora, mi dispiace davvero che a te sfugga la carica profondissimamente offensiva che c’è in questo atteggiamento: mi spiace se te l’ho fatto notare in un modo che ti è suonato aggressivo, ma la sostanza rimane.
Per cui ti devo chiedere, se vuoi avere con me un’interlocuzione franca, anche conflittuale finché vuoi con me, ma basata su un patto minimo di rispetto di base, di semtterla con questa pretesa, altrimenti amici come prima, possiamo discutere su altro (se lo fai in modo corretto), ma su questo non chiedermi di interloquire ulteriormente, perché sarebbe ridicolo, surreale e lesivo della dignità mia, ma in un certo senso anche tua, che hai bisogno di negare a un interlocutore la capacità di avere idee sue.
Scusa, correzione:
1) o NON lo consideri…
Allora, premesso che ti chiedo di NON OFFENDERMI, perché sai com’è, anch’io ritengo di essere un essere umano, e venir definito ridicolo, terrorizzati, “incapace del semplice ragionamento” ecc. mi sembra leggermente più grave di sentirmi spiegare le mie idee (cosa che si fa continuamente e che di solito non scandalizza nessuno)
Premesso questo, per la terza (?) volta ti ripeto che sono sicurissimo che a te piaccia il ceto popolare e che tu sia convinto di descriverlo in modo lusinghiero;
Ma la tua descrizione a me (e vedo anche ad altri) fa l’effetto contrario.
PS
Continuo a credere che il modo migliore di esprimere un concetto sia quello più breve e semplice possibile.
Pino,
non escludo di aver potuto eccedere nei termini e ti assicuro in tutta sincerità che se ti sei sentito offeso, mi dispiace davvero e te ne chiedo scusa.
Ti chiedo però anche di comprendere che se ho trasceso un po’ col linguaggio è perché io, a mia volta, mi sono sentito gravemente offeso da tutto il tuo atteggiamento e dalle tue frasi in questa discussione.
Altrimenti – non sono mica pazzo – non vedo perché mai, in un rapporto di cordialità reciproca di anni, pur nelle diverse posizioni su tanti temi, avrei dovuto usare termini forti e aggressivi nei tuoi confronti.
“Ma la tua descrizione a me (e vedo anche ad altri) fa l’effetto contrario.”
Questo è tutt’altro discorso rispetto a dire che io dico di pensare una cosa ma ne penso un’altra: questo si può dire tranquillamente.
La risposta nel merito che ti posso dare è che ormai dovreste essere abituati ai miei parametri di giudizio o comunque al fatto che le mie categorie di valori non sono quelle correnti: io sono uno che dice che in Iran sia un bene che non c’è la libertà di stampa, perché un diffamatore mistificatore sistematico alla Travaglio o alla Scanzi lì l’avrebbero messo in gattabuia se non peggio. Per la sensibilità di un occidentale moderno dire che in Iran non c’è libertà di stampa dovrebbe essere una critica all’Iran, ma se io sono uno che ama una teocrazia autoritaria e antiliberale, chi mi conosce sa che non c’è niente di contraddittorio nel mio approvare il regime iraniano e constatare la sua mancanza di libertà di stampa.
A quel punto uno può dire: “certo che hai dei gusti particolari”, ma non avrebbe molto senso che continuasse a dire: “eh, ma tu disprezzi l’Iran”; “credi di apprezzarlo, ma in realtà lo disprezzi”, “vuoi difenderlo, main realtà lo stai offendendo” e cose simili.
Lasciami dire inoltre che le idee correnti non sono dogmi, sono idee legate a un contesto storico e siamo oltretutto in un’epoca in cui su tanti temi possono addirittura ribaltarsi nel giro di un paio di generazioni o poco più (prova a leggere il Manifesto sulla razza), per cui benissimo tenersi le proprie, ma non c’è motivo di scnandalizzarsi, scomporsi e vivere come un evento lunare, inaudito, incomprensibile il fatto che uno ne abbia altre. Al massimo può sorprendere un po’ all’inizio.
Pino,
“mi sembra leggermente più grave di sentirmi spiegare le mie idee (cosa che si fa continuamente e che di solito non scandalizza nessuno)”
Dipende. Se il senso è: “vediamo se ho capito: vuoi dire A, B, C e D?” va benissimo e uno aspetta una conferma o una smentita.
Se lo intendi in senso letterale, cioè “tu dici di pensare A, ma io ti spiego che tu pensi B e ho ragione io”, beh, se io ti dicessi che “stronzo, vaffanculo, sei un coglione” non sono insulti, che diresti?
Mi ha sempre sorpreso, per dire, la tua adesione all’ebraismo, perché l’ho sempre vista poco in consonanza con molti altri aspetti che conosco di te. Ma non mi sono mai permesso di dire che tu credi di essere di religione ebraica ma non lo sei, né mi permetterei mai.
Quindi se pensi che operazioni come queste non siano offensive, evita comunque di farle con me. O quantomeno di insistere.
Ma io non penso che tu dica A ma intendi dire B!
All’inizio pensavo che tu avessi una certa forma di affettuoso snobismo verso i popolani;
invece mi hai spiegato che a te piacciono
(scusa, uso termini alla buona per capirci e fare prima) e per me va benissimo:
mi fido assolutamente di quello che dici e non vedo perché non dovrei.
Solo faccio notare che a me le tue affermazioni ecc. ecc. ma questo l’ho già detto.
Fine incidente diplomatico.
D’accordo.
Scusa se mi sono irritato.
D’altronde in altre occasioni l’hai fatto tu: siamo fatti un po’ così 🙂
Per inciso, sopporto che Z. mi venga a dire che non sono cattolico, perché Z. si diverte a fare il cazzone e a paraculare tutti da quando scrive qui dentro e non voglio passare per suscettibile, ma non è che non mi irriti anche quello e prima o poi lo manderò amichevolmente e fraternamente affanculo.
Ma tu lo fai seriamente, il che è decisamente più grave.
Ma io ti voglio bene comunque, anche se non sei cattolico.
😛
Per Z
“Ma io ti voglio bene comunque”
E invece noi siamo tutti qui in paziente attesa delle tue NOIOSE RIFLESSIONI.
Non hai torto, Miguel. Spero di mantenere l’impegno col minor ritardo possibile; per ora, devo scusarmi sia con Peucezio che con voi 🙁
A me invece càpita di sentire persone straniere in Italia da non tanto tempo (o poco interattive oltre la propria “comunità” …) dire robe tipo “Adesso Io FAI / VAI / VUOI” … probabilmente perché “FACCIO/VADO/VOGLIO” non l’ hanno mai sentito (o poco sentito), imparando sul lavoro … magari a “caporalato”, suppongo.
… a voialtri/e/* , no/a/* 🙂 ?
Oppure, il fatto più strano , anche usare l’ articolo determinativo “LA ” a mo’ di “THE” Inglese … a voi no ?
come se fosse l’ unico , intendo … perché proprio “la” ? Forse perché il più facile sillabicamente ? …Boh !
la madre di Julian Assange esprime sinteticamente la critica peuceziana alla “sinistra”:
wt … f ?! 😉
scusa, si vedeva solo “f”
In Italy, le Reginette di Coattonia [sic] passano alcontrattacco :
https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/la-meloni-querela-repubblica-sinistra-alla-frutta-contro-di-me-diffamazioni-134728/
in USA ci vorrebbe la “Woke” (come dicono i SJW quando ci fanno sapere che un cinno maschio travestito da pirata per Halloween sdogana lo stupro) di una “Redneckland Queeny” … nessuna delle figlie di Trump ricalca lo sterotipo, anzi: sono tutte quelle che i Rednecks dovrebbero definire “Fuckin’ Prissy Princess” !
Per Moi
“coattonia”
leggo solo il contrattacco che segnali, direi che un po’ di ragione la Meloni ce l’ha.
Ma mi incuriosisce: ““Oggi Repubblica mi ‘regala’ un paginone pieno di insulti, con un articolo che trasuda idrofobia da tutti i pori.”
Anch’io voglio un safe space per difendermi dall’idrofobia! #SiamoTutt*Arno #i’MugnoneUnSiTocca!
… icché è successo ?! … ‘unn trovo miha nulla !
leggermente generica … a quel livello mi è difficile essere d’accordo o in disaccordo
mah
alcuni “ipercorrettismi” sono uguali, fra ” bimbini autoctoni ” e “oriundi adulti alloctoni”, tipo “aprito” , “scoprito” anziché “aperto” , “scoperto” …
… solo a me ‘sto post fa un “saltello in giù dopo il click” (non conosco abbastanza la terminologia specifica ) ?