Lontano dal cielo

Arturo Meza è un eclettico e instancabile cantautore del Michoacán, una regione del Messico in cui ho passato una parte della mia infanzia, e dove oggi imperversa una guerra civile a tre, tra i Cavalieri Templari, l’esercito e la autodefensa armata dei contadini.

Arturo Meza è personaggio schivo, il cui blog dimostra una sana antipatia per la tecnologia, ma che riesce a fondere una quantità di ispirazioni diverse, che vanno dall’intenso cattolicesimo di quella regione (un giorno bisognerebbe raccontare le incredibili vite dei frati che la cristianizzarono) alle visioni di una suora argentina, passando per le lotte comunitarie indigene e – immancabilmente – il peyote.

Evidentissimo, poi, qualcosa che deriva dalla teosofia (sospetto tramite l’onnipresente avventuriero tedesco Arnold Krumm Heller, ma non so).

Siamo fatti di molti mondi, e tra i tanti che hanno segnato la mia vita c’è anche la teosofia.

La teosofia è un modo possibile di guardare l’esistenza.

Una possibilità resa impossibile dagli stessi teosofi e dai loro eredi, sembra sempre che si perdano in meandri bizzarri di storia inventata, in giochi di prestigio di persone infantili che sussurrano di improbabili poteri, per scivolare infine nelle terapie fasulle della New Age.

Per questo, la visione di fondo non la coglierete mai leggendo l’immensa quantità di fuffa che i teosofi hanno prodotto.

Eppure alla base c’è una grandissima narrazione, che sarà sbagliata, ma resta per me la meno orrenda di quelle prodotte dall’Otto/Novecento.

Si tratta del racconto dell’anima esiliata, scagliata fuori nell’illusione della propria falsa individualità, che vive infinite esperienze nel labirinto-carcere del mondo.

Solo gli attimi intensamente vissuti, nel bene o nel male, permettono all’esule di riconoscersi come minerale, vegetale, animale e angelo, per ritrovare l’unità di fondo di tutte le cose, e ridere di divina gioia, alla fine, in cima all’immensa montagna di dolore e follia.

Arturo Meza ha la capacità molto rara di cantarci di nuovo questa visione, senza i giochi intellettuali, per dire, di un Battiato, che ha qualcosa della stessa visione, ma non ha la stessa innocenza.

Questo non vuol dire che i testi di Meza siano semplici, è solo che non ci gioca, vuole solo trasmettere con drammatica intensità il suo messaggio.

Anche in questa canzone, le allusioni sono talmente tante che all’inizio ci si perde.

A partire dalla “mia amata“, che indica la scissione primordiale per generi degli esseri, la mezza realtà mutilata che ognuno di noi, uomo o donna che sia, è costretto a essere.

Oppure il fanciullo che cammina con il legno inclinato, che è certamente Gesù che si reca al Golgota con la croce appoggiata sulle spalle, ma nel contempo è il doppio interiore e senza età del cantante,  e ancora Lucifero (“el Ángel luce bello”), stella di mattino e portatore paradossale di redenzione attraverso la caduta nel mondo.

Altre allusioni si riferiscono poi a una particolare visione di Arturo Meza – come il costante riferimento al miedo (anche in altre canzoni), alla “paura”, come elemento essenziale del nostro pianeta: perché l’orrore della nostra esistenza in questo mondo-burla è davvero l’illusione della paura.

Lejos del cielo

Quando venne la condanna, vidi la mia amata in un angolo
non vi erano né ceri né scintille, solo veleno e timore
erano gocce lucenti e un angelo senza malvagità
mi misero un tridente in mezzo al cuore
dopo ebbi dodici armi e le feci detonare

L’Anziano del Cancello Azzurro tremò di orrore
vennero le battaglie e i miei occhi si nascosero
evitarono di guardare il proprio inferno nell’esilio
di guardare il mondo, le carceri e la paura
il delitto nel campo oscuro di battaglia,
lontano, molto lontano, lontano, molto lontano dal cielo.

Io costruii l’inferno e i suoi nove labirinti
organizzai le schiere e le persi nell’infinito
feci le montagne, feci il cimitero
distrussi i sette templi e chiusi il Cancello del Cielo
dopo aver perso la luce mi ribellai all’inferno
persi la mia spada e mi tennero prigioniero per venti secoli

Dove stanno i miei occhi, dove sta la mia fonte
dove sta la mia amata dolce e trasparente?
lontano, molto lontano, lontano, molto lontano dal cielo.

I miei occhi si spensero nel cuore
il nuovo guardiano degli inferi si pavoneggiò del proprio splendore
tu incarcerato, mi mise al proprio fianco
mi fece firmare la morte, mi fece aborrire la mia sorte
mi fece godere della burla, mi fece perdere i denti
e uccidere i miei figli dal profondo del mio ventre
mi negarono la lucidità, mi imposero la follia
e mi divertii a fabbricare la paura a fianco a un demente
a darlo da bere al cieco, darlo da mordere al serpente
spruzzare profumo immondo dando da mangiare a quello del tridente

Sono solo un angelo vecchio e cieco nella grigia steppa dei caduti
che galoppa ferito, galoppa feroce
e il villaggio che si vede in lontananza alimenta la paura
lontano molto lontano dal cielo.

Le rocce sono oscure, le tane son così fredde
e sebbene il mio petto sia forte, ogni notte cado ferito
e voglio cadere e cado, e voglio continuare a cadere
fino a sentire la vita che palpita e rinasce dentro di me
e ricordare ciò che fui, ricordare chi sono
e sollevare infine il mio spirito abbattuto.

Ora vago di corpo in corpo naufragando senza posa
cercando il fanciullo azzurro in fondo all’abisso
lo vidi camminare di spalle, lo vidi camminare di fronte
lo vidi sollevare senza paura un paese intero
lo vidi disfare il cerchio nero della morte
avanzare sopra i vuoti crani immondi e ignoranti
e seminare semi d’acqua in tutti i deserti
lo vidi venirmi incontro con un legno inclinato

Nei suoi occhi vidi il fulgore del mio antico paradiso
un arcangelo dolce, tenero e bello
splendore etereo, amante eterno
e io sporco viandante del deserto
lontano molto lontano dal cielo.

L’angelo riluce bello in alto sulla torre
i suoi merli sono enormi, divoro affamato il fuoco
la battaglia è finita, l’inferno è vinto
dalle ceneri gli amanti del cielo hanno innalzato il volo.

Sono solo un angelo vecchio e cieco nella grigia steppa dei caduti
che galoppa ferito, galoppa feroce
e il villaggio che si vede in lontananza alimenta la paura
lontano molto lontano dal cielo.

Cuando vino la condena vi a mi amada en un rincón
no había cirios ni destellos, solo veneno y temor
eran gotas relucientes y un ángel sin maldad
me pusieron un tridente a la mitad del corazón
después tuve doce armas y las hice detonar
el anciano del portón azul se estremeció de horror
vinieron las batallas y mis ojos se esconderion
se guardaron de mirar su propio infierno en el destierro
de mirar el mundo, las cárceles y el miedo
el crimen en el campo oscuro de batalla
lejos muy ljos del cielo, lejos muy lejos del cielo.

Yo construí el infierno y sus nueve laberintos
organice a las huestes y las perdí en el infinito
yo hice las montañas, yo hice el cementerio
destruí los siete templos y cerré el portón del cielo
después de perder la luz me rebelé al infierno
perdí mi espada y me hicieron 20 siglos preso
donde están mis ojos, donde esta mi fuente
donde está mi amada dulce y trasparente
lejos muy lejos del cielo, lejos muy lejos del cielo.

Mis ojos se perdieron extinguéndose en mi corazón
el nuevo guardián de los infiernos disfrutó de su esplendor
tu encarcelando, me tuvo de su lado
mi hizo firmar la muerte, me hizo aborrecer mi suerte
me hizo gozar la burla, mi hizo perder los dientes
y a mis hijos matarlos desde lo profundo de mi vientre
me negaron la cordura, me impusieron la locura
y me divertí fabricando miedo a costa de un mendrugo
darlo de beber al ciego darlo de moder a la serpiente
rociar perfume inmundo dando de comer al del tridente
sólo soy ángel viejo y ciego en la estepa gris de los caídos
galopando herido, galopando fiero
y el pueblo que se ve a lo lejos lo alimenta el miedo
lejos muy lejos del cielo.

Los peñascos son oascuros, las guaridas son tan frías
y aunque mi pecho es fuerte, cada noche caigo herido
y quiero caer y caigo, y quiero seguir cayendo
hasta sentir la vida palpitando y renaciendo en mi
y recordar que fui, recordar quien soy
y levantar por fin mi espíritu abatido.

Ahora voy de cuerpo en cuerpo naufragando sin cesar
buscando al niño azul en el fondo del abismo
lo vi caminar de espaldas, lo vi caminar de frente
lo vi deshacer el circulo negro de la muerte
lo vi levatar sin miedo a todo un pueblo entero
avanza sobre los huecos cráneos inmundos e ignorantes
y sembrar semillas de agua en todos los desiertos
lo vi venir a mí con un madero a cuestas
en sus ojos vi el fulgor de mi anciano paraíso
un arcángel dulce, tierno y bello
esplendor etèreo, amador eterno
y yo sucio caminante del desierto
lejos muy lejos del cielo.

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13 risposte a Lontano dal cielo

  1. Moi scrive:

    Non so gli altri lettori … NON visualizzo i video “embeddati” !

  2. Roberto scrive:

    Neanche io, e nemmeno quello di stamattina che pure avevo visto

  3. Miguel Martinez scrive:

    Per Moi…

    “Non so gli altri lettori … NON visualizzo i video “embeddati” !”

    Strano. Di solito Youtube su Firefox non mi funziona (vedo i video su un altro browser)… e invece stavolta lo vedo persino io!

    • Tortuga scrive:

      Io lo vedo bene.

      Per la minuscolizzazione … ci ho pensato io 🙂
      Ma controlla che non mi sia sfuggito qualche errore, accento, maiuscola …

      Cuando vino la condena vi a mi amada en un rincón
      no había cirios ni destellos, solo veneno y temor
      eran gotas relucientes y un ángel sin maldad
      me pusieron un tridente a la mitad del corazón
      después tuve doce armas y las hice detonar
      el anciano del portón azul se estremeció de horror
      vinieron las batallas y mis ojos se esconderion
      se guardaron de mirar su propio infierno en el destierro
      de mirar el mundo, las cárceles y el miedo
      el crimen en el campo oscuro de batalla
      lejos muy ljos del cielo, lejos muy lejos del cielo.

      Yo construí el infierno y sus nueve laberintos
      organice a las huestes y las perdí en el infinito
      yo hice las montañas, yo hice el cementerio
      destruí los siete templos y cerré el portón del cielo
      después de perder la luz me rebelé al infierno
      perdí mi espada y me hicieron 20 siglos preso
      donde están mis ojos, donde esta mi fuente
      donde está mi amada dulce y trasparente
      lejos muy lejos del cielo, lejos muy lejos del cielo.

      Mis ojos se perdieron extinguéndose en mi corazón
      el nuevo guardián de los infiernos disfrutó de su esplendor
      tu encarcelando, me tuvo de su lado
      mi hizo firmar la muerte, me hizo aborrecer mi suerte
      me hizo gozar la burla, mi hizo perder los dientes
      y a mis hijos matarlos desde lo profundo de mi vientre
      me negaron la cordura, me impusieron la locura
      y me divertí fabricando miedo a costa de un mendrugo
      darlo de beber al ciego darlo de moder a la serpiente
      rociar perfume inmundo dando de comer al del tridente
      sólo soy ángel viejo y ciego en la estepa gris de los caídos
      galopando herido, galopando fiero
      y el pueblo que se ve a lo lejos lo alimenta el miedo
      lejos muy lejos del cielo.

      Los peñascos son oascuros, las guaridas son tan frías
      y aunque mi pecho es fuerte, cada noche caigo herido
      y quiero caer y caigo, y quiero seguir cayendo
      hasta sentir la vida palpitando y renaciendo en mi
      y recordar que fui, recordar quien soy
      y levantar por fin mi espíritu abatido.

      Ahora voy de cuerpo en cuerpo naufragando sin cesar
      buscando al niño azul en el fondo del abismo
      lo vi caminar de espaldas, lo vi caminar de frente
      lo vi deshacer el circulo negro de la muerte
      lo vi levatar sin miedo a todo un pueblo entero
      avanza sobre los huecos cráneos inmundos e ignorantes
      y sembrar semillas de agua en todos los desiertos
      lo vi venir a mí con un madero a cuestas
      en sus ojos vi el fulgor de mi anciano paraíso
      un arcángel dulce, tierno y bello
      esplendor etèreo, amador eterno
      y yo sucio caminante del desierto
      lejos muy lejos del cielo.

      .

  4. roberto scrive:

    adesso funziona

  5. Miguel Martinez scrive:

    Per Tortuga

    “Per la minuscolizzazione … ci ho pensato io”

    Grazie, splendido lavoro!

    • Tortuga scrive:

      Musicalmente e come “recitar cantando” è davvero molto molto bella, il testo è intessuto su un immaginario e sentimenti in realtà complessi e niente affatto così semplici ed immediati da comprendere.
      Ancora ci sto pensando su …

  6. nic scrive:

    “Si tratta del racconto dell’anima esiliata, scagliata fuori nell’illusione della propria falsa individualità, che vive infinite esperienze nel labirinto-carcere del mondo.
    Solo gli attimi intensamente vissuti, nel bene o nel male, permettono all’esule di riconoscersi come minerale, vegetale, animale e angelo, per ritrovare l’unità di fondo di tutte le cose, e ridere di divina gioia, alla fine, in cima all’immensa montagna di dolore e follia”.

    Bellissimo.
    (e una descrizione perfetta dell’esperienza del peyote nel deserto).

    PS: perché il sitio ufficiale di Meza è .it?
    PS2: Sei sprecato a parlare di tasse 🙂

  7. Miguel Martinez scrive:

    Per Nic

    ” perché il sitio ufficiale di Meza è .it”

    No, è che blogspot.com ti rimanda, in Italia, a blogspot.it, e quindi per chi ha la fortuna di abitare qui e non la sfiga di camminare a testa in giù agli antipodi, è più semplice arrivarci così.

  8. Miguel Martinez scrive:

    Per Nic

    “(e una descrizione perfetta dell’esperienza del peyote nel deserto)”

    Un commento interessante, perché indica che questa narrazione non sarebbe solo una costruzione intellettuale, ma corrisponderebbe almeno a qualcosa che il nostro cervello “sente”.

    Anche se ovviamente le reazioni al peyote potrebbero a loro volte essere indotte culturalmente – con ogni probabilità, l’europeo che prova il peyote è già stato ampiamente esposto a forme di narrazione teosofica, e forse il Huichol che non ha letto Castaneda fa esperienze completamente diverse.

  9. Moi scrive:

    Ah, no la teosofia è di qua …

  10. Moi scrive:

    I video embeddati i vedevo, poi sono tornati in una dimensione parallela niùéig’g’ ! 🙂

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