Vite parallele del Messico e dell’Egitto

Leggo un importante post di Sherif el-Sebaie su ciò che sta succedendo in Egitto.

E un commento, altrettanto importante, riguardante lo stesso post di Io Non Sto Con Oriana.

Qui non amiamo la cronaca, e siamo messicani; quindi ci viene in mente la svolta storica più importante del Messico, avvenuta un secolo fa, nel 1910, quando cadde il governo di Porfirio Díaz.

Io i parelleli tra questa vecchia storia messicana (ma per noi, sempre attualissima, quasi quanto la Conquista nel 1500) e ciò che sta succedendo in Egitto, ce li vedo, ma decidete voi.

Intanto, stendiamo una mano indietro nel tempo: la mia tata, Concepción Franklin detta Conchita, di Oaxaca, meravigliosa india mixteca o zapoteca, oggi non saprei, analfabeta dal misterioso cognome anglosassone, nacque in un anno a lei ignoto del governo di Porfirio Díaz; e Porfirio Díaz stesso nacque nel 1830.

Il padre di Porfirio Diaz era un fabbro e un albéitar militare. Dall’arabo, بيطار, veterinario; e quel termine viene a sua volta dal greco, ἱππιατρός, “medico dei cavalli”.

Questo mixteco di Jalisco scelse per il figlio quell’insolito nome, che potete immaginare sia quello di San Porfirio vescovo di Gaza, oppure dell’omonimo filosofo neoplatonico, nato nell’attuale Libano.

Così, giusto per ricordare quella particolarissima globalizzazione alternativa che abbiamo vissuto.

Porfirio Díaz studiò dapprima in un seminario, ma si convertì al liberalismo e iniziò a combattere come guerrigliero contro i conservatori clericali. Vinse battaglia dopo battaglia contro i francesi che sostenevano lo sfortunato imperatore Massimiliano.

Nel 1876, prese il potere e divenne presidente, nel grande rito messicano delle elezioni, fantastica truffa e simulacro con cui da quasi due secoli, chi è al potere celebra se stesso come fedele servitore della Repubblica.

Per 35 anni, Porfirio Díaz diresse il Messico: il capo di stato più longevo e significativo della storia del nostro paese. Il Malvagio Fondante, le cui ossa giacciono ancora oggi in esilio in una cappella a Montparnasse, a Parigi, dove migliaia di messicani si recano ogni anno.

Che Porfirio Díaz sia stato il migliore o il peggiore presidente del Messico, dipende dai giudizi; certamente è stato di gran lunga il più importante.

“Positivi”, “scientifici”, si dicevano i suoi consulenti, arrivati in parte dalla Francia, per redimere l’arretrato angolo di mondo, mentre Città del Messico si truccava per far finta di essere Parigi.

Massone, Porfirio Díaz evitò di litigare con la Chiesa, chiudendo semplicemente un occhio sulle leggi anticlericali ma guardandosi bene dall’abrogarle.

Pur preoccupato per l’indipendenza del Messico, aprì le frontiere agli investimenti stranieri – via, su, avanti nel progresso del mercato mondiale.

I contadini vennero cacciati dalle terre collettive possedute da millenni, per far entrare nel sistema-mondo la produzione dei campi; e Porfirio Díaz fece deportare nella giungla, a fare sacchi da vendere alla marina inglese, a migliaia di Yaqui che non vollero farsi messicani.

Porfirio Díaz, uomo di grande intelligenza, sapeva vincere quasi sempre; a volte con il terrore, più spesso portando dalla sua i propri nemici e persino inventandosi i propri oppositori.

Sotto di lui, un quarto delle terre coltivabili di tutto il paese finì in aziende statunitensi; ma quando incontrò il presidente degli Stati Uniti, William Taft, nel 1910, Don Porfirio non volle cedere alle richieste degli americani.

Che chiedevano il disarmo del porto di Salina Cruz e la preferenza alle ditte statunitensi nella ricerca del petrolio.

Forse non furono gli Stati Uniti a liquidare Porfirio Diaz, ma non fecero certo nulla per salvarlo.

Porfirio Diaz ebbe tre tipi di nemici.

Innanzitutto, i signori che si riunivano a casa del farmacista del paese, per distribuire insegne massoniche e leggere l’ultimo testo arrivato dall’estero. Sulla vita nell’aldilà, sull’anarchia, sull’evoluzione delle scimmie e delle razze, oppure sulle malefatte dei papi.

In secondo luogo, gli uomini d’affari che non erano raccomandati e inseriti nel giro presidenziale, eppure vedevano la ricchezza crescere impetuosa attorna a loro.

In terzo luogo, il Messico Profondo, i milioni di contadini ridotti sotto Porfirio Díaz in miseria e schiavitù per debiti.

Iniziarono i primi, ci provarono i terzi, trionfarono i secondi.

Lontano dall’immaginario dei turisti della rivoluzione, i Batallones rojos degli operai sindacalizzati di Città del Messico avrebbero fatto strage dei campesinos che marciavano sotto lo stendardo della Virgen de Guadalupe. E sarebbe successo molto, troppo altro.

A far scoppiare la rivoluzione, nel 1910, fu Francisco Madero, che ancora oggi chiamano El Apóstol de la democracia. Le fantasie di ogni buon progressista d’Occidente in carne, ossa, baffi e cravatta.

Membro di una delle famiglie più ricche di tutto il Messico, bianco di pelle e innocente come chiunque non abbia dovuto arrangiarsi per campare: l’opposto in tutto di Porfirio Díaz.

Per anni, una pubblicistica imbarazzata ha tenuto nascosta, o ha glissato, sulla fonte più importante di ispirazione di Madero. Io, da ragazzo, non ne sapevo certo nulla.

I genitori lo mandarono che aveva appena 17 anni a Parigi, e lì scoprì Allan Kardec. Lo pseudonimo di un educatore francese, allievo di Pestalozzi, che nella sua serissima ricerca di metodi per migliorare questo mondo, aveva scoperto la prima grande invenzione che gli Stati Uniti erano riusciti a lanciare sul mercato planetario, lo spiritismo.

Liberale in tutto per tutto, terribilmente serio e buono, medico omeopata autodidatto che curava i contadini gratuitamente con fuffa, vegetariano, Madero, mentre fotografava fantasmi, si fece dettare un’enorme quantità di scritti dai suoi spiriti, come “Raúl” e “José Ramiro”.

Fu proprio “José”, nel 1908, a dettargli una raffiche di missive in cui gli spiegava la sua grande missione.

Madero insorse.

Vinse, perdonò tutti e sbagliò tutto, quando vide con spavento che persino i contadini volevano approfittare di una rivoluzione a cui nessuno li aveva invitati.

Una cosa Madero riuscì a fare: a smantellare i cannoni di Salina Cruz, come volevano gli americani. Vendette i cannoni all’Impero Ottomano; e siccome siamo in un mondo globale, quei cannoni messicani fecero la loro parte nel massacrare i neozelandesi che cercavano di conquistare Gallipoli.

Va da sé che Francisco Madero riuscì anche a farsi ammazzare a tradimento, consegnato dall’ambasciatore degli Stati Uniti ai suoi carnefici.

E così si scatenarono nove anni di inferno sul Messico. Dicono che i morti siano stati un milione, anche se nessuno li ha certo potuti contare; dei mutilati, degli impazziti, delle vite distrutte, nessuno tiene invece il conto. E soprattutto, nessuno sa, nemmeno oggi, esattamente per cosa siano morti.

I Madero, che avevano risvegliato il fondo del Messico, non si sono più visti.

Sono arrivati i capibanda, uomini crudeli, ma anche astuti, visto che hanno messo in piedi un regime che sarebbe durato più a lungo dell’Unione Sovietica. Capaci di tenere ferocemente chiusa la porta che nasconde il Messico a se stesso.

Nota:

Prima scrivere questo post, ho ridato una veloce occhiata a due classici – Fernando Orozco Linares, Porfirio Díaz y su tiempo, Panorama, 1985; e José Gil Olmos, Los brujos del poder. El ocultismo en la politica mexicana, Debolsillo, 2008.

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10 risposte a Vite parallele del Messico e dell’Egitto

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  2. Andrea Di Vita scrive:

    Per Martinez

    A mia vergogna, confesso che della storia del Messico degli ultimi due secoli conosco solamente la data dell’indipendenza (1821?) e le figure di Pancho Villa e Emiliiano Zapata (il film della cui vita con Marlon Brando è da sempre nella mia famiglia materna invocato per invocare grandi avvenimenti). Per il resto, l’ho sempre visto come un confuso susseguirsi di rivoluzioni tutte uguali fatte da uomini col sombrero contro ferocissimi ‘federali’ o ‘rurali’. Della cultura messicana so giusto i nomi di Siqueiros (per via dei murales che furono riprodotti in una grande mostra a Firenze trentacinque anni fa) e della Mercader, attrice moglie morganatica di De Sica e sorella dell’assassino di Trotskij (ragion per cui De Sica fu pedinato per anni dal Sifar). So che quando Orson Welles giro’ ”L’infernale Quinlan” dove il Buono è un poliziotto Mesiscano e il Cattivo (o apparentemente tale) un corrotto poliziotto Statunitense dovette prendere Charlton Heston a fare il Messicano, per cui se ti vedi quel capolavoro puoi per soprammercato goderti un Ben Hur con brillantina e baffetti.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  3. Peucezio scrive:

    “siamo messicani”

    Sei passato al plurale maiestatis? 🙂
    Sono sempre molto interessanti questi spaccati di storia di realtà di cui in Italia, anche fra persone di discreta cultura generale, non sappiano praticamente nulla.

    E grazie dell’articolo precedente: leggere Preve è sempre un’esperienza intellettualmente coinvolgente, che fa respirare finalmente un’aria salubre e fa dimenticare per un attimo la miriade di pennivendoli che con la loro miseria intellettuale e morale appestano il nostro paese.

  4. Miguel Martinez scrive:

    Per Andrea Di Vita

    “della Mercader, attrice moglie morganatica di De Sica e sorella dell’assassino di Trotskij (ragion per cui De Sica fu pedinato per anni dal Sifar)”

    Da piccolo, abitavo di fronte a quella che era stata la fortezza di Trotzky (uso la grafia latina voluta da lui stesso, anche se meno corretto della tua).

    Mentre in Italia pedivano il cognato di Mercader, in Messico facevano finta di non sapere chi fosse. Lo stesso medico di Mercader, poi, in Cuba, lo conosceva sotto un altro nome e venne a scoprire solo per caso – durante un viaggio in Argentina, che coincise con la morte del suo paziente – che si chiamava così.

    Siqueiros tra l’altro organizzò un tentativo di assassinio di Trotzky, che solo per caso non si trasformò in una strage: la magistratura messicana fece in modo da non condannarlo.

  5. Miguel Martinez scrive:

    Per Andrea Di Vita

    “della storia del Messico degli ultimi due secoli conosco solamente la data dell’indipendenza “

    Cioè quando il Messico si dichiarò “Impero”, mettendo d’accordo indipendentisti radicali e ispanici ultraconservatori, attorno all’idea di staccarsi dalla Spagna diventata liberale e anticlericale 🙂

  6. Miguel Martinez scrive:

    Per Andrea

    “Per il resto, l’ho sempre visto come un confuso susseguirsi di rivoluzioni tutte uguali fatte da uomini col sombrero contro ferocissimi ‘federali’ o ‘rurali’. “

    La ferocia c’era, c’è e ci sarà.

    Però quella che descrivi è un’immagine che si riferisce a un periodo specifico, cioè gli anni della “Rivoluzione” (1910-1920), e rimuove anche la complessità di quegli anni. Dove i cattivi non erano solo i latifondisti oziosi; a sparare sui contadini furono anche, e alla fine soprattutto, gli eserciti rivoluzionari, guidati da politici e imprenditori.

    Diciamo che l’idea di latifondista-contro-povero-contadino ha una sua parte di verità, ma è l’unica parte che il cervello di un “occidentale” riesce a capire senza approfonditi studi 🙂

    Comunque i film di Sergio Leone sono bellissimi.

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Martinez

      DUE chicche!

      Prima chicca: in una vecchissima avventura di Paperino, che si perde dietro la solita caccia al tesoro fra piramidi, Tenochtitlàn e simili, il Nostro si aggirava fra strade polverose affollate di persone scalze vestite di bianco integrale sotto giganteschi sombreri e un sole accecante, con cartelli stradali dal nome ‘Calle de la XXVII Revoluciòn’ e ‘Calle de la XXVIII Revoluciòn’.

      Seconda chicca: leggo su La Repubblica che la neodirettrice del FMI, la Francese Lagarde, di fronte al prevedibile rifiuto masticabibbie di sostenere il Fondo in un eventuale sostegno all’euro, avrebbe preso il primo aereo per le capitali di due Nazioni evidentemente pronte alla bisogna al posto degli USA: Brasile e Messico…

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  7. Ale scrive:

    A volte quello che racconti sembra tratto da un racconto di Borges 🙂

  8. Miguel Martinez scrive:

    Per Ale

    “A volte quello che racconti sembra tratto da un racconto di Borges :)”

    Da qualche parte, Isaac Bashevis Singer scrisse che Dio aveva creato il mondo perché gli piacevano le storie.

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Martinez

      In un grande racconto di fantascienza degli anni ’50, dove un biologo troppo in anticipo sui tempi scappa in Messico per nascondersi dalla polizia USA e viene scambiato per un criminale nazista dalla polizia Messicana (*), si dice che il Messico ha ereditato dagli Spagnoli il gusto per il segreto; solo che gli Spagnoli lo nascondono nei bizantinismi dei ragionamenti gesuitici e nel gongorismo affettato, mentre in Messico è la stessa vastità della natura a fornire tutto il labirinto necessario. La stessa cosa fa dire Borges al protagonista di un suo racconto con riferimento al Sahara, mentre sul fatto che siamo stati creati per fornire gli Dei di che raccontare si era già espresso, credo, lo stesso Omero.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

      (*) E’ poco noto che nella prima edizione del suo ‘Cibernetica’, il fondatore della medesima, Norbert Wiener, parla degli esperimenti condotti sulla trasmissione dell’impulso nervoso nei laboratori dell’Istituto di Cardiologia dell’Università di Città del Messico nel 1940.

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