Storia sconosciuta di Pyotr Nikolayevich Krasnov. Un’esperienza di Roberto Giammanco

Pyotr Nikolayevich Krasnov, nella veste francesizzata o italianizzata di P.N. Krassnoff, è probabilmente noto a tutti coloro che frequentano bancarelle di libri usati, dove raramente mancano i due volumi della sua opera, Dall’aquila imperiale alla bandiera rossa. Qualcuno conosce anche le vicende di suo nipote, Miguel Krassnoff Martchenko, che divenne uno dei comandanti dei famigerati servizi segreti di Pinochet nel lontano Cile.

Ma P.N. Krasnov – le possibili traslitterazioni del suo nome sono tante – ebbe molte vite. Cosacco, fu nominato comandante dell’intero esercito russo da Kerenskij; fu uno dei principali ufficiali dell’esercito antisovietico di Denikin; in esilio, divenne romanziere; durante la Seconda guerra mondiale, guidò l’epica marcia dei cosacchi in Friuli – con tanto di dromedari -, fu consegnato dagli inglesi ai sovietici, che lo impiccarono.

Difficile capire come una carriera del genere si sia potuta conciliare con la scrittura di un’opera come Dall’aquila imperiale alla bandiera rossa. Che è un quadro straordinario del crollo dell’impero russo, della follia della guerra, dove un gran numero di personaggi incarna i ruoli e le idee più diverse. E in cui l’autore invita sempre a mettersi nel panno dell’altro. Mi avevano colpito in particolare i dialoghi in cui induceva i lettori a non accusare indiscriminatamente gli ebrei per aver scatenato la rivoluzione.

Roberto Giammanco, che abbiamo già presentato più volte ai nostri lettori, ci racconta come abbia scoperto per caso un altro aspetto, del tutto inatteso e sconosciuto, di questo straordinario personaggio.

ROBERTO GIAMMANCO

DALL’AQUILA IMPERIALE A CHICAGO

PASSANDO PER LA CARNIA

Chicago, anni ’60. Dopo il 1963, anno dell’assassinio del presidente J.F.Kennedy, si moltiplicavano le grandi manifestazioni contro la guerra del Vietnam che portava con sé anche la leva obbligatoria. Gli studenti cantavano: “Hey Hey, L.B.J., how many kids did you kill today?(L.B.J., Lyndon B. Johnson, quanti bambini hai ucciso oggi?).

A Detroit le manifestazioni degli studenti contro la guerra nel Vietnam erano spesso fronteggiate da centinaia di operai della Ford e della General Motors, che levavano cartelli con la scritta “more bombs, more overtime” (più bombe, più ore di straordinario). E ancora: “Let’s bomb them into the Stone Age,WITH BOMBS MADE IN DETROIT” (Rimandiamoli all’età della pietra con le bombe fatte qui a Detroit!). Esplicite testimonianze della scomoda verità che le crisi economiche si risolvono meglio con le guerre. Magari si rimandano a guerre successive, che sono implicitamente contenute nei risultati di quelle in corso.

Nel 1963 Malcolm X era stato sospeso dalla Nation of Islam per aver commentato l’assassinio di Kennedy con un secco e lucido “Chicken going home to roost”; una espressione del passato delle piantagioni che, in sostanza, stava ad indicare l’accoppiamento dei polli. Nella traduzione della sua Autobiografia, io mi dovetti limitare a renderla come “chi la fa, l’aspetti”. Quel suo commento scandalizzò più i “neri con la testa di bianco”, i Niggers with White Man’s head, che gli stessi bianchi liberal impegnati nella lotta per i diritti civili.

Uscito dalla Nation of Islam, Malcolm aveva fatto il pellegrinaggio alla Mecca, ed era stato ricevuto da diversi capi delle nazioni africane in cerca dei consensi per denunziare alle Nazioni Unite gli Stati Uniti per “crimini contro i diritti umani” contro gli afro-americani e le altre minoranze. Fu per quel progetto di internazionalizzare le lotte degli afro-americani che Malcolm fu assassinato il 22 febbraio 1965. Esecutori materiali: alcuni Black Muslims della Nation of Islam. Mandanti: ben riconoscibili, anche se mai riconosciuti, come era stato per Kennedy due anni prima.

Durante una di quelle entusiasmanti manifestazioni fui assalito da un forte mal di denti. Una collega mi dette un autorevole consiglio: “Il dentista su chiama Krassnov, ed è uno dei migliori… È ebreo”. “Perché me lo dici? – mi pare di averle risposto. – Che differenza fa se è ebreo o no?”. “Beh – ribatté lei – era solo un’informazione. Avrei fatto lo stesso se si fosse trattato di un italo-americano, di un ispano-americano, o magari di un cinese… Krassnov è un nome ebreo russo: tutto qui.”

Nella sala d’aspetto del dottor Krassnov ripensai a quella risposta, che sottintendeva il quadro esatto della società americana. Gli Stati Uniti sono il paese dei ghetti, delle svariate etnie disciolte nella cultura di massa e nella divisione di classe e del lavoro. Ognuna di quelle etnie e minoranze si è arroccata in zone in cui impera il folklore gastronomico, religioso, linguistico: tutto all’ombra del melting pot, il patriottismo oligarchico della Nazione sotto Dio.

Il dottor Krassnov era una persona gentile e, dopo l’estrazione del dente, ci fermammo a parlare del più e del meno. Fu allora che gli domandai se era di origine russa: lui rispose che i suoi genitori erano immigrati, non sapeva esattamente quando, ma certamente prima della Rivoluzione bolscevica.

La cosa cominciò a incuriosirmi. Mi ricordai di un Pyotr Nicolayevic Krassnov autore di un libro che, quando io ero ragazzo, ai tempi del fascismo, era considerato un testo canonico dell’anticomunismo: Dall’Aquila Imperiale alla Bandiera Rossa. Restava però un ragionevole dubbio. Pyotr Nicolayevic Krassnov era un capo cosacco, Ataman, e un generale dell’esercito zarista: cosa poteva avere in comune con un ebreo? Quel cognome mi incuriosiva, anche perché i miei studi erano tutti orientati ad analizzare i conflitti e le mescolanze di etnie sradicate, sottomesse, espropriate o assimilate nei deliri secolari della schiavitù, dei genocidi dei nativi americani e nel razzismo sanguinario, istituzionalizzato o strisciante.

Dal 1945, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale il melting pot, mitico crogiolo dell’immaginario americano, si era arricchito di ondate di profughi e criminali di guerra: nazisti, collaborazionisti russi, ucraini, tartari e cosacchi, lettoni, croci frecciate ungheresi, ustascia croati. Come è noto, tutti quei criminali erano stati convogliati attraverso il “corridoio italiano” gestito dal clero cattolico e avevano tutti trovato un posto nella galassia della mobilitazione anticomunista. Tra di essi c’erano scienziati e tecnici equamente distribuiti nei laboratori di ricerca e nella produzione militare. Gli altri, i non qualificati, ebbero la funzione di stemperare l’odio di classe sulle catene di montaggio delle industrie automobilistiche del Midwest. Innocenti e criminali insieme, all’ombra del corporativismo della nuova patria, nelle nuove trincee della Guerra Fredda.

Restava l’interrogativo: cosa ci poteva essere in comune tra i cosacchi e gli ebrei? La risposta la poteva dare soltanto la storia, e in biblioteca cercai di scoprire qualcosa attraverso le vicende dei popoli della Confederazione polacco-lituana, a partire dei secoli XVI e XVII. In quei tempi, Russia e Ucraina erano un vero e proprio mosaico etnico-religioso. Lituani e polacchi erano cattolici, gli ucraini greco-ortodossi, i tedeschi luterani. Le comunità ebraiche si estendevano a macchia di leopardo su quegli immensi territori.

Tra il XVI e il XVII secolo l’ungherese Stefano Batory, l’acerrimo nemico di Ivan il Terribile, aprì le porte ad uno stuolo di missionari della Compagnia di Gesù che imposero i dettami della Controriforma scatenando ondate ricorrenti di repressione contro i greco-ortodossi e, naturalmente, contro gli ebrei. Nel 1596, dopo una lunga serie di rivolte cosacche represse nel sangue dai re cattolici polacchi, fu costituita la Chiesa Uniate che pur conservando gran parte del rituale bizantino riconosceva ed esaltava il primato del papa. Fu sotto la guida dei Gesuiti che questa Chiesa funzionale praticò discriminazioni e repressioni sanguinose nei confronti dei greco-ortodossi e, sempre, degli ebrei. Sarà proprio la Chiesa Uniate, nel 1941, a collaborare con i nazisti contribuendo all’arruolamento di decine di migliaia di combattenti e di kapò per i campi di sterminio.

Nel XVII secolo la monarchia permise agli ebrei immigrati nei territori polacchi, per un certo tempo, di esercitare attività produttive e mantenere scuole e tribunali rabbinici. In cambio, li assoldò come esattori e funzionari di medio livello per limitare i soprusi dei nobili e garantirsi la riscossione delle tasse. Ma, nel corso del tempo, i membri della Confederazione polacco-lituana tolsero agli ebrei tutte le franchigie, appoggiandosi ai Gesuiti che avevano aperto una vasta rete di collegi ed esercitavano grande influenza sui monarchi dei quali erano confessori e consiglieri spirituali. Accusati di furto di ostie e di omicidi rituali nei confronti dei bambini cristiani, gran parte degli ebrei dovettero emigrare nelle campagne dove si scontravano con l’odio dei contadini, dai quali dovevano riscuotere le tasse per conto del re e dei nobili.

I cosacchi vennero in conflitto con i polacchi quando questi invasero l’Ucraina spingendosi fino al Kanato tartaro della Crimea. Erano coltivatori guerrieri, e si definivano “liberi cavalieri”. Per due secoli erano stati al servizio della Confederazione polacco-lituana e dei russi, e avevano difeso i confini dei tartari dalle invasioni della steppa. Storia affascinante e insieme terribile, questa dei cosacchi. Un popolo-esercito amministrato da una Assemblea generale che eleggeva gli Ataman, i giudici e i tesorieri, tutti con poteri di vita e di morte di cui erano passibili loro stessi, se accusati di viltà o tradimento.

Il 1648 fu l’anno della grande svolta. Bohdan Chmelnyzky, nome improbabile per noi ma fondamentale per la storia di queste mescolanze sanguinose di popoli, fu eletto Ataman. Era figlio di un nobile polacco e di una cosacca che era stata allieva dei Gesuiti, ed era imbevuta della violenta propaganda anti-ebraica e antigreco-ortodossa cha la Compagnia di Gesù insegnava da sempre. Il nuovo Ataman era un sangue misto, e non avrebbe mai potuto essere accettato dai nobili polacchi.

Si mise perciò alla testa di tutti i cosacchi che si erano ribellati, e fu allora che venne perpetrato il più grande massacro nella storia dell’Ucraina, della Bielorussia e della stessa Polonia. Ci furono centinaio di migliaia di morti e intere comunità vennero cancellate dalla faccia della terra. Per spregio, i polacchi costringevano gli ebrei a battezzarsi secondo il rito greco-ortodosso; poi li uccidevano e profanavano i loro cimiteri. Un gran numero di ebrei furono venduti come schiavi a Costantinopoli. In quei traffici di carne umana slava ebbe una parte rilevante la Repubblica di Venezia, la Serenissima.

Negli anni seguiti al grande massacro del 1648 molti ebrei delle comunità distrutte si unirono ai combattenti e, in seguito ad un continuo rovesciamento di fronti, finirono per unirsi anche ai cosacchi, individualmente e a piccoli gruppi. Nel corso del tempo, la comunità cosacca si integrò anche con i tartari della Crimea e con gli ebrei superstiti dei continui pogrom. Dopo varie generazioni, gli ebrei cosacchi erano diventati greco-ortodossi.

Queste tormentate vicende testimoniano dell’immensa potenza dell’immaginario razzista che, in contesti diversi, crea identità esclusive. Per dirla con Primo Levi, la comunità dei “salvati”, e quella dei “sommersi”, ambedue funzionali ai rapporti di potere.

* * *

Sulla sua origine russa, il dottor Krassnov aveva ricordi incerti. Sembrava che suo padre fosse arrivato negli Stati Uniti dopo aver vagato in un imprecisato paese europeo, mentre lui era nato e vissuto sempre a Chicago. Il padre gli aveva insegnato un po’ di yiddish, e da ragazzo avevo frequentato saltuariamente la sinagoga. Della famiglia originaria sapeva solo che lo zio era stato ufficiale dell’esercito dello Zar, e che era morto durante la guerra civile in Russia.

Nel corso di un’altra visita gli dissi che quel suo zio poteva – o avrebbe potuto – essere il generale Pyotr Nicolayevic Krassnov, uno dei capi della Armata Bianca che aveva combattuto contro i bolscevichi fino al 1921-22, e poi era stato esule in Germania. Nel 1941, al seguito dell’offensiva tedesca, era ritornato in Russia e aveva radunato un grosso contingente di cosacchi che vennero arruolati in due divisioni agli ordini del generale tedesco Helmuth Von Pannwitz. L’amico dentista non mostrò grande interesse per queste vicende: quasi quasi non ci voleva credere, e soprattutto si mostrò infastidito dal seguito della mia ricerca.

Il massimo teorico nazista Alfred Rosenberg, autore del Mito del secolo XX e commissario per i territori orientali, aveva fatto condurre approfondite ricerche per arrivare a dimostrare che i cosacchi non erano slavi, ma un popolo ariano di origine tedesca, discendente dagli Ostrogoti che sarebbero arrivati fino al Caucaso dopo aver occupato l’Ucraina. Un altro esempio di come procede l’ideologia razzista: trova sempre le prove ancora prima ancora di cercarle.

Nell’ottobre del 1944 più di quarantamila cosacchi e tartari caucasici agli ordini dell’Ataman Pyotr Nicolayevic Krassnov, in ritirata con i tedeschi dalla Russia, furono trasportati con mogli, figli, masserizie e diecimila cavalli nell’Alto Friuli e nella Carnia. I nazisti chiamarono quella regione Kosakenland, la nuova patria cosacca, destinata a svolgere il ruolo di fascia protettiva contro i partigiani italiani e quelli di Tito.

Le cronache di allora ci dicono che l’Ataman Krassnov aveva costituito il suo quartier generale e, insieme alla giovane e bella moglie Lidia Feodorovna, riceveva i visitatori con rigorosa etichetta perché “riteneva suo compito far rivivere il mondo aristocratico russo, da troppi anni in esilio”. Al quartier generale di Krassnov si godeva di un lusso imperiale che contrastava con le miserevoli condizioni in cui erano ridotti i suoi cosacchi: una sorta di danza macabra sull’orlo dell’abisso. Per ispezionare i distaccamenti, l’Ataman si muoveva da un paese all’altro su di una grande carrozza nera con gli sportelli decorati da stemmi, tirata da due cavalli bianchi e scortata da due cavalieri che la precedevano, e due che la seguivano. Al suo fianco sedeva la giovane moglie, coperta di gioielli e vestita con un abito alla cosacca, con tanto di alamari d’oro e alti stivali arabescati.

L’illusione della Kosakenland durò non più di otto mesi. Nell’aprile del 1945 Krassnov e i suoi cosacchi dovettero ritirarsi in Austria nei pressi di Lienz dove erano già arrivati gli inglesi. Questi, in ossequio agli accordi stipulati a Yalta che li impegnavano a consegnare ai sovietici i collaborazionisti con il nazismo, li disarmarono e li consegnarono nelle mani della Armata Rossa. Dopo la resa molti cosacchi trovarono la morte gettandosi nel fiume Drava, alcuni con tutte le loro famiglie, in rifiuto del rimpatrio nell’URSS: la loro patria che, comunque si giudichi, avevano tradito e combattuto. L’Ataman Krassnov fu giustiziato a Mosca nel 1947, mentre gran parte dei tartari e dei cosacchi vennero deportati in Siberia.

Malgrado il suo quasi smarrito disinteresse per queste vicende, l’amico dentista mi mostrò alcune fotografie che suo padre aveva lasciato. In una si vedeva un gruppo di cosacchi e ufficiali zaristi, al centro dei quali spiccava un supergallonato comandante. Sul retro la data: 1918. Nell’altra foto, databile ai primi del Novecento, si vedeva una comunità ebraica ucraina ghettizzata: il padre del dentista era cresciuto in quella comunità.

Al figlio queste “connessioni” storiche che io cercavo di stabilire non interessavano un granché: lui era nato e cresciuto in una società che, nel suo immaginario collettivo, ha sempre rifiutato la storia reale sostituendola con premesse astratte e rassicuranti per definire il “diverso”, considerato una minaccia alle sue sef-evident truths, verità evidenti di per sé. In questa prospettiva delle due storie parallele – storia reale e storia dell’immaginario – quello che succede non avrebbe mai potuto succedere, né a livello collettivo si saprà mai perché è successo. La storia dell’immaginario collettivo è unilaterale e fuori di ogni vera discussione. Quella reale può e deveessere coperta da segreti e manipolazioni, da quella pia frode tipica del Dominio assoluto in tutte le sue forme.

* * *

Per congedarmi dal mio amico Krassnov, dentista di Chicago, non trovo modo migliore che citare una pagina da quella grande riflessione sulla “vita offesa” che è I sommersi e i salvati di Primo Levi (Torino, Einaudi, 1985, p. 134).

NICHT SEIN KANN, WAS NICHT SEIN DARF”

Famoso e densissimo verso di Christian Morgenstern, bizzarro poeta bavarese, non ebreo nonostante il suo cognome. Un verso talmente pregnante che è passato in proverbio e che non può essere tradotto in italiano se non attraverso una goffa perifrasi. È il sigillo di una poesiola emblematica scritta nel 1910, Phalaström.

Un cittadino tedesco ligio ad oltranza viene investito da un’auto dove la circolazione è vietata. Si rialza malconcio, e ci pensa su. Se la circolazione è vietata, i veicoli non possono circolare, cioènon circolano. Ergo, l’investimento non può essere avvenuto: è una realtà impossibile, una unmögliche Tatsache. Lui deve averlo solo sognato, perché appunto non possono esistere le cose di cui non è moralmente lecita l’esistenza”.

Il presente del ligio cittadino tedesco Phalaström era la sua storia, unica “storia oggettiva”. Non troppo diversa da quella del mio dentista di Chicago, presunto nipote dell’Ataman Pyotr Nicolayevic Krassnov (1869-1947), persona reale, presente nel suo tempo con un importante ruolo storico. Ma completamente assente dall’immaginario americano del suo discendente.

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19 risposte a Storia sconosciuta di Pyotr Nikolayevich Krasnov. Un’esperienza di Roberto Giammanco

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  2. rossana scrive:

    Bellissima storia, un “imparare” continuo, qui da te.
    Grazie.

  3. Francesco scrive:

    lo ho letto, scovato in fondo a una biblioteca di famiglia

    bellissimo, anche se ricco di ingenuo sentimentalismo russo sulla figura dello zar

    trovo ingiusto il tuo amico col suo dentista: si va in America per farsi una vita nuova, non per restare schiacciati da quella vecchia. e si riparte dal dato di base, l’uomo.

  4. PinoMamet scrive:

    Mah Francesco

    anch’io tendevo a credere che negli USA si ripartisse dall’uomo, ma mi pare di rendermi conto che invece anche là si riparta da qualche tribù; solo diversa dalle nostre, forse El Pollo Loco o McDonald’s sono diversi dalle trattorie, o come le varie Chiese americane in libera concorrenza capitalista (fino a far perdere senso alla distinzione tra chiesa e Chiesa) sono diverse dalle Chiese europee, non solo quella cattolica.

    Il dentista era semplicemente contento della sua tribù nuova americana, con tanto di copyright, e non si fidava di andare ad arravugliarsi le radici col rischio di trovare la realtà: che è sempre qualcosa di ben diverso da un’etichetta.

    Magari adesso un certo numero di persone si sono trovate nella sua condizione, e dai e dai hanno inventato la nuova tribù, il nuovo gruppo etnico americano degli Ebrei Cosacchi, e stanno iniziando alacremente a comporne la storia, che presto diventerà storia ufficiale e “autoevidente”, guai a dubitarne.
    Vedrai.
    Non sarebbe il primo gruppo etnico che nasce in questo modo, negli Stati Uniti.

    Ciao!

    • Francesco scrive:

      l’uomo astratto non esiste, con tutta la buona volontà abbiamo dei genitori, degli antenati, una foggia di vestiti, una lingua, una cucina, una religione

      credo che quello che ci si lascia indietro sia il resto, forse possiamo definirlo come “la situazione politica contingente”, l’elenco dei torti e delle ragioni

      che tanto poi basta la vita a darcene uno nuovo, e gli irlandesi invece di odiarsi con gli inglesi lo fanno con gli italiani

      e quando si torna alle radici (nessuno lo fa quanto gli americani) lo si fa con lo spirito descritto da Borges: “se ti dicono che tua madre è una puttana, li sbudelli; se ti dicono che tua bisnonna era una puttana, sei incuriosito”

      ciao

    • PinoMamet scrive:

      ” con tutta la buona volontà abbiamo dei genitori, degli antenati, una foggia di vestiti, una lingua, una cucina, una religione”

      cerrtamente Francesco
      ma se c’è un posto dove la foggia dei vestiti, la lingua, la cucina, e anche la religione in buona parte, sono diversi da quelli dagli antenati, e sostanzialmente identici tra tutti i viventi, quello è proprio l’America.
      (e ormai in parte anche da noi, ma meno).

      Impossibile che questo non influenzi anche “i genitori e gli antenati”: da un lato, l’omologazione attuale spinge gli americani a una ricerca ossessiva delle radici, dall’altro li costringe spessissimo al fraintedimento di queste e alla loro sostituzione con un’immagine “mitica”
      (magari in negativo, perché no).

      ciao!

    • PinoMamet scrive:

      Mi spiego:

      secondo me l’immigrato negli Stati Uniti, come ovunque, deve integrarsi. Quindi deve accettare il complesso delle norme e delle abitudini americane; che ufficialmente è assai elastico, ma nella pratica è assai pervasivo.
      Nessuno ti rompe il cazzo in America se hai un cognome uzbeko: ma quanto a vivere da uzbeko, non se ne parla.

      Però l’uomo, che come dici non è un essere astratto, ha delle radici, delle idee, delle abitudini, ha bisogno di legami.
      Ecco che sorgono queste organizzazioni (all’inizio del tutto informali) di gruppi etnici che fungono da mediatore tra il neo-immigrato e il mondo USA.

      Gli italian-americans hanno ben poco di italiano; hanno però il giusto grado di esotismo da renderli simpatici al mondo USA, la giusta dose di italianità residua per fungere da ponte (vabbè, ormai non ce n’è più bisogno, ma facciamo conto di essere quarant’anni fa) con il nuovo arrivato dall’Italy, e sono però sostanzialmente americani, e quindi culturalmente innocui (ho detto culturalmente! peraltro, la Mafia in America ce l’hanno un po’ tutti i gruppi etnici) e perfettamente interscambiabili con altri gruppi.

      Risulta perciò sempre possibile, all’immigrato con un po’ di ingegno che non si trovi bene nel suo gruppo, crearne un altro o passare in un altro con cui teoricamente c’entra poco.
      C’è un cantatutore quasi mio omonimo, ad esempio, che è passato al gruppo “Ebrei”, mentre ricordo un altro italo-americano e un inglese-americano (o canadese) che si sono fatti passare per anni per Nativi Americani, fino a diventarli i nqualche modo davvero, e così via
      (per non parlare dell’argomento simile dei Neri che “passavano” per Bianchi).

      ciao!!

    • PinoMamet scrive:

      Vedasi coso, come si chiama, quello di Comma 22 e di Yossarian: mica era armeno! Ma si identificava col protagonista armeno-americano.

    • PinoMamet scrive:

      Poi mi spiegherò anche su “quanto a vivere da uzbeko, non se ne parla”

      in realtà se ne parla eccome; se ti va di farlo; anche senza essere uzbeko per niente; e poiché la cosa non vada contro i sacri dettati americani “niente a carico degli altri”, “questo è il posto migliore del mondo, l’America è il numero uno”, “io sono tanto speciale e ho diritto a realizzarmi- nel mio giardino”

      cioè, se vivi da perfetto americano!
      Alcuni miei amici conoscono un tale, negli USA, che vive in una grossa yurta. Non è uzbeko nè mongolo o altro; semplicemente gli piaceva e gli andava di farlo.

      • PinoMamet scrive:

        Poi se mette la giacca e la cravatta e va a lavorà in ufficio, che non è esattamente la vita delle grandi praterie centroasiatiche…

        • Francesco scrive:

          infatti se avesse voluto fare veramente QUELLA vita starebbe là, non negli USA

          io credo che sia impossibile immaginarsi la forza ideologica della convinzione “siamo una nazione di immigrati, sono qui perchè me la sono cercata (o il mi’ babbo o l’avo) e quindi devo cavarmela”

          forse c’è speranza per gli Stati Uniti

  5. PinoMamet scrive:

    Eccoli qua:

    http://en.wikipedia.org/wiki/Jewish_Cossacks

    la cosa si presenta ancora più semplice, visto che questi esistevano, e ed erano più reali delle radici Cherokee di tante star americane: ci vuole solo qualcuno che si metta a fondare l’organizzazione, e il nostro dentista è servito 🙂

  6. Riccardo Giuliani scrive:

    La storiella del tedesco ligio la uso pure io, in maniera diversa e senza averne conosciuto prima d’ora l’originale.

    Io: “Una macchina può imboccare un senso contrario?”
    L’altro: “No!”

    Di solito sorrido beffardamente.

  7. mirkhond scrive:

    Diceva lo storico trentino-istriano Ernesto Sestan che ognuno è quel che crede di essere…

    • Moi scrive:

      Entro certi limiti però !

      Provasse lui a buttarsi da un burrone dolomitico cerdendosi un’ aquila !

      😉 🙂 😉 🙂

      • mirkhond scrive:

        Credo si riferisse all’identità etnica piuttosto che a quel tizio che pensando tante volte di essere un bue, aspetta che gli crescano le corna…
        ciao

  8. mirkhond scrive:

    Conosco anch’io a grandi linee la storia tormentata dell’atamano Krasnov, per aver letto il misconosciuto libro di Pier Arrigo Carnier sulla dominazione nazista nel Litorale adriatico e in Friuli nel 1943-45.
    Non mi meraviglierebbe affatto se fosse di origine ashkhenazita; del resto pare che lo fosse Heydrich, lo spietato governatore della Boemia annessa al Reich, e secondo alcuni, lo stesso Hitler.
    Ciò dimostra appunto quanto complessa e articolata sia la storia degli uomini e di come il tanto vituperato meticciato sia una costante, seppur più o meno volutamente misconosciuta, della vicenda umana.
    Proprio in questi giorni mi sto leggendo articoli e testi su un argomento a me caro, anche per via della mia tesi di laurea, e cioè sull’affascinante ed inquietante storia della Dalmazia, un’area di frontiera fra più mondi, e per questo duramente contesa tra ‘800 e prima metà del’900.
    Osservando come il virus nazionalista infettasse purtroppo anche queste contrade, a partire dalla rivoluzione del 1848-49, e soprattutto dopo il 1866, non posso notare come nello spaccarsi in due poli ostilissimi tra loro, gli aderenti al partito italiano e a quello croato, avessero gli stessi cognomi e parlassero la stessa lingua, ossia fossero dei bilingui che utilizzavano l’Italiano come lingua dotta e il locale vernacolo Croato come lingua colloquiale. I capi del partito “croato” nel rivendicare la Dalmazia alla Croazia, per decenni, si esprimevano in Italiano, anche quando esprimevano la loro ostilità all’Italia…
    Il loro giornale a Zara, si chiamava Il Nazionale (uscito tra il 1863 e il 1876), ed era diretto e composto da uno staff di laureati all’Università di Padova, e in ITALIANO esprimeva le ragioni dell’identità croata nella fedeltà alla Corona Asburgica.
    Alcuni di questi esponenti “Croati” si chiamavano Bianchini, Monti, Tartaglia ecc., mentre tra gli “Italiani” non erano affatto rari i Ghiglianovich, Garcovich, Vukasina, De Vidovich ecc., e ciò a dimostrazione di come in questi paesi l’etnia fosse prima di tutto un fatto culturale e soprattutto sentimentale, oltre che politico.
    Solo col formarsi di una classe di letterati in lingua croata, questa lingua cominciò ad imporsi sempre più e nel 1909 finì per essere adottata come lingua della pubblica amministrazione e della pubblica istruzione, in sostituzione dell’Italiano, declassato a lingua d’uso privato. In ciò si può vedere il timore del governo austriaco, allora signore della Dalmazia, di alimentare l’irredentismo italiano e le mire del Regno d’Italia, nonostante allora fosse alleato, su queste terre.
    Eppure ancora nel 1918, col crollo dell’Austria-Ungheria, un ammiraglio americano che, con una flotta dell’Intesa, pattugliava l’Adriatico, in attesa di risolvere il contenzioso sui nuovi confini politici dell’area, affermò che in Dalmazia erano tutti bilingui, e il riconoscersi nel gruppo italiano o croato era appunto un fatto ideologico e sentimentale, considerando ciò che abbiamo riferito.
    Ognuno è quel che crede di essere….

  9. mirkhond scrive:

    Errata corrige: non posso NON notare

  10. Claudio Martini scrive:

    Gran bel pezzo

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