Testi sulla Libia

Siamo in guerra, anche se la tecnologia moderna rende le guerre un po’ come i safari in Kenya, dove i cacciatori rischiano al massimo di slogarsi un dito a forza di tirare il grilletto.

In una guerra, si decide da che parte stare, o anche di non stare con nessuna parte. E per prendere delle decisioni, occorre informarsi.

Le informazioni a sostegno dell’ingresso in guerra sono reperibili ovunque. Noi cerchiamo di fornire qui le informazioni contrarie, in particolare quelle poche approfondite che si riescono a reperire: la Libia è davvero un paese di cui pochi si sono occupati.

Iniziamo segnalando un importante lavoro di Roseau sul blog di Falecius, una prima analisi del ruolo delle aziende petrolifere in questo conflitto.

Roseau ci presenta con uno studio del quadro generale che permette di capire il voltafaccia di Sarkozy, fino a poco tempo fa amico di Gheddafi (al punto, pare di aver ricevuto notevoli finanziamenti dalla Libia per la sua campagna elettorale).

Roseau poi ci presenta un’analisi, assai densa, del ruolo delle imprese canadesi.

Megachip ospita un saggio di Piero Pagliani sul contesto internazionale della guerra.

Su Stratfor, George Friedman offre un’analisi approfondita (in inglese) delle mistificazioni in questa guerra.

Su Civium Libertas, Alberto B. Mariantoni ci presenta un inedito quadro storico della questione tribale in Libia.

Marcello Sordo – nei giorni precedenti l’attacco – ha scritto uno studio sul ruolo dei media nel conflitto libico.

Da non perdere, poi, le riflessioni di Lorenzo Declich sull’interazione di “Occidente” e “Oriente” in questo conflitto; e i due articoli di Sherif el-Sebaie (prima e seconda parte) sullo stesso tema, anche se da una prospettiva diversa.

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5 risposte a Testi sulla Libia

  1. Antonello scrive:

    A proposito di Sherif el Sebaie, è sintomatico il suo spostamento a destra. Tra l’altro il suo preventivare che i popoli arabi sono di fatto degli impediti della democrazia gli sta facendo avere l’appoggio di coloro che prima lo sfottevano. Insomma, per ribadire lo status quo, per ribadire l’eterna e ormai insopportabile eccezione araba, si sfrangiano i precedenti assetti ideologici (ingerenze occidentali della mente?) e si arriva ad un determinismo pavloviano dei popoli (dei propri popoli). Interessante.

  2. Miguel Martinez scrive:

    Per Antonello,

    Mi sembra che tu confonda l’opposizione di destra italiana alla guerra della destra francese, con le questioni arabe.

    La critica di Sherif el-Sebaie non c’entra nulla.

    Io e lui siamo d’accordo nel dire che siamo di fronte a delle sommosse (intifada), che possono avere qualunque esito, anche il peggiore, almeno per alcuni paesi.

    Per me, il problema è che l’intifada resterà una Tangentopoli degli attuali “dittatori,” se non si cambieranno in maniera davvero rivoluzionaria sia il sistema socioeconomico interno, sia i rapporti internazionali. Non perché io ami le rivoluzioni, ma semplicemente perché è la situazione dei popoli arabi nel loro insieme a essere insopportabile, non solo questo o quel “dittatore”.

    Sherif guarda invece soprattutto gli effetti immediati delle intifada: si passa ovunque da una stabilità tremenda, all’instabilità; e questo ha effetti devastanti su popolazioni già stremate. Una cosa difficile da negare, poi qualcuno può sostenere che “comunque valga la pena”.

    Questo non c’entra affatto con un giudizio sulle potenzialità democratiche o meno degli arabi.

  3. Antonello scrive:

    Sono d’accordo con te, ma non riesco a vedere in Sherif solo una legittima preoccupazione per gli innegabili effetti destabilizzanti di queste sollevazioni. Non sto parlando della virtuosità delle rivoluzioni arabe (sia mai, ti beccherai di certo l’accusa di essere un rivoluzionario con il culo al caldo!), ma preferirei un’analisi seria e distaccata, mentre vedo un vecchio difetto arabo, cioè la soddisfazione dell’esistente e il ritorno ad esso. Insomma, per le conoscenze che ne ho e da quello che scrivete tu e Sherif, alla fine non mi pare che si possa glissare sul radicale conservatorismo di gran parte del mondo arabo, che solo in alcune occasioni si rivolge in integralismo (absit iniura verbis). Se dobbiamo parlare dei crimini occidentali non c’è problema, ma mi sembra ipocrita dire che mi piace lo stato generale (ideologico) del mondo arabo solo perché opposizione al monologo occidentalista (che rinconosco e disprezzo). Certo, poi il rischio è di disprezzare tutti, cosa ipocrita quando si è comunque appartanenti ad una parte (indovina quale?), ma sto lavorando per superare l’aporia!

  4. Miguel Martinez scrive:

    Per Antonello

    commento tuo di oggi:

    “vedo un vecchio difetto arabo”
    “non mi pare che si possa glissare sul radicale conservatorismo di gran parte del mondo arabo”

    commento di ieri:

    “il suo preventivare che i popoli arabi sono di fatto degli impediti della democrazia”

    🙂

    • Antonello scrive:

      Vero, hai ragione. Il mio ragionamento rivela un pregiudizio. Il problema semmai è che aspetto di essere smentito, cioè spero di sbagliarmi. Di fatto sto ancora aspettando. Però, una cosa è avere una moderata ambizione che il pattern si discosti dalle rivoluzione a cul de sac arabe, l’altra è che si difenda aprioristicamente lo stato delle cose perché in fondo spaventati di superare una supposta essenza (il riferimento è a Sherif, che comunque rimane competentissimo quando si tratta di immigrazione e cultura storica medio-orientale).

      Riformuliamo? Riformuliamo. “Vecchio difetto arabo” diventa “vecchio difetto dei nazionalisti e comunitaristi arabi”. Più specifico ma anche più arido.

      Per specificare ancora una volta sottolineo che, come giustamente scrivi, della Libia non sappiamo niente e un giudizio dovrebbe essere ponderato (il riferimento è anche a Fallisi), mentre della rivolta tunisina sono stato deciso sostenitore. L’Egitto, dalla situazione meno rosea, ha almeno alcune possibilità, sta al suo popolo decidere. Al netto delle immancabili e ineludibili influenze esterne. Sospendo il giudizio su Yemen, Bahrein e Siria.

      Sia ben chiaro che non ho nominato l’Islam perché è una realtà multiforme che non coincide con il mondo arabo completamente. Avendo vissuto per due anni in un paese musulmano come la slava Bosnia, lo posso dire tranquillamente.

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