L’uomo della terra, l’uomo del suolo

Negli anni della mia vita, ho potuto conoscere su un treno una coppia di anziani siciliani, che mentre mi offrivano da mangiare, mi hanno raccontato la loro storia.

Lui girava a cavallo. Vide lei, che avrà avuto quattordici anni, affacciarsi a una finestra. E la chiese in sposa a suo padre.

E da allora si amarono.

E mi raccontarono come loro fossero cresciuti sani perché non sapevano quasi cosa fosse la carne, mangiavano solo alivi.

E c’era gente che mi raccontava dei ciarauli che parlavano con i serpenti nella notte del solstizio, e poi mi raccontavano degli affatusciati, che incontravano gli esseri invisibili (e ce n’erano uno, a Siracusa, che le fate gli facevano sempre il solletico ai piedi).

E’ successo tutto così velocemente, il passaggio dal Neolitico e dal cielo che si vedevano le stelle, dalle campagne del Messico dove non si sapeva in che anni si fosse nati…

alle fauci di Zuckerberg e alle telecamere in ogni casa e a una mente immateriale che spia ogni nostro pensiero,

dal tempo in cui attorno a noi c’erano fate, alla morte delle foreste e dei mari,

dalla gente che recitava il rosario ai miei coetanei che mascherano i capelli grigi con tatuaggi che mutilano le loro braccia e si chiudono in gabbia infuocate di acciaio che pesano una tonnellata per paura della pioggia, e hanno paura se manca la connessione,

e il fuoco si espanda dal Sahara, e non capiamo più cosa sia la terribile, soverchiante, stoffa delle nostre vite.

Pensare che quando ero ragazzo, credevo di essere nato in tempi noiosi, mi dicevano che la storia fossero la DC e il PCI e il Diritto, e che la cosa più interessante che fosse mai successo fosse un caporale austriaco che voleva conquistare un pezzo della Polonia.

Thomas Campion (567-1620) visse in tempi analoghi:

All is hassard that we have,
There is nothing biding;
Dayes of pleasure are like streames
Through faire meadowes gliding.
Weale and woe, time doth goe,
Time is ever turning:
Secret fates guide our states,
Both in mirth and mourning.

Tutto è caso, ciò che abbiamo: nulla perdura; i giorni di piacere sono come ruscelli che scorrono per bei prati. Il bene e il male, il tempo se ne va, il tempo gira sempre: un segreto destino guida i nostri stati, sia nella gioia che nel lutto.

Ma tra i frammenti di vita che si dissolvono, possiamo raccogliere i gioielli di cento mondi,

ne ricordo uno solo, quello che va dalla bisnonna dalla schiena incredibilmente dritta che raccoglie acqua al pozzo, alla pronipote che prende l’ultima briciola di sabbia rimasta e la trasforma in un nuovo mondo e si mette con imbarazzo quattro schizzi di verde sul viso, per protestare per il clima…

Dall’India, alla Toscana, all’Inghilterra.

Bernie Parry è un cantautore inglese nato nel Galles ma cresciuto nel nordest dell’Inghilterra.

Nel 1977 scrisse una canzone dedicata a suo padre.

Ora, io sono figlio e nipote di gente di città, di musicisti e carradori, ma so che attorno a me, quasi tutti erano men of the earth, men of the soil.

Nella memoria di una persona che vive oggi, al tempo dei droni, c’è un uomo che ha vissuto il passaggio dal neolitico al rigore della morte civiltà industriale: si ferma lì, ma andrebbe raccontata anche la dissoluzione di quel mondo, solo che è difficile cantare la disgregazione individuale.

E questa piccola storia di un angolo dell’Inghilterra, mi ricorda non solo la Toscana, ma il mondo intero.

Ogni giorno mentre passo per il quartiere,
dove stanno i capannoni e le case popolari,
vedo un uomo anziano sul suo terreno
con un rastrello e una zappa in mano.
Sta lì qualunque sia il tempo,
sotto il sole o sotto la pioggia, e io esito mentre passo.
E’ felice o triste del suo compito?
Ma non ho tempo per chiedere.

L’uomo della terra, l’uomo del suolo,
sul suo solitario terreno si affatica.
Non ha molto da fare da quando ha compiuto i sessantacinque anni.
E quindi si è dedicato al suo giardino per restare vivo
e credo che sia la sua gioia e orgoglio.

Cinquant’anni nelle acciaiere gli hanno spezzato la volontà
schiena e spalle si sono piegate
in città, non c’era altro lavoro
e così lo misero in catene e lo legarono.

Poi tutt’a un tratto, compì ssesantacinque anni
e i padroni gli dissero, “grazie, ragazzo!”
e gli misero in mano un orologio d’oro
e sentì veloce la porta sbattergli alle spalle.

Ogni sabato lo trovi al pub
se ne sta da solo,
beve lentamente dal bicchiere solitario
perché con la pensione non puoi andare lontano.

E così vende alcune cose a vicini e amici
alcune delle cose che coltiva
ma deve stare attento a ciò che fa
altrimenti gli taglieranno la pensione, e lui lo sa.

Ogni giorno mentre passo per il quartiere,
dove stanno i capannoni e le case popolari,
vedo un uomo anziano sul suo terreno
con un rastrello e una zappa in mano.

Ma non posso perdere tempo, devo andare,
perché lavoro anch’io nell’acciaieria, ho cominciato cinque anni fa,
mi mancano solo quarantacinque anni.

Every day as I go through the old shanty town
Where the sheds and allotments all stand,
I see an old man on his land
With a rake or a spade in his hands.
And he’s there in all weather,
In sunshine or rain and I hesitate as I go past.
Is he happy or sad with his task?
Oh, I haven’t the time for to ask.

Chorus (after each verse):
The man of the earth, the man of the soil,
In his lonely allotment he labours and toils.
There’s not much to do since he turned sixty-five.
So he took to his garden to keep him alive
And I think it’s his joy and his pride.

Fifty years in the ironworks broke his will
And his back and his shoulders are round.
There was no other work in the town
So they had him both fettered and bound.
Then all of a sudden he turned sixty-five
And his bosses said, “Thank you my man.”
And they stuck a gold watch in his hand
And behind him the door quickly slammed.

Every Saturday evening he’s down at the pub
And he stands by himself at the bar,
Slowly sipping a solitary jar
For the pension won’t go very far.
So he sells a few things to his neighbours and friends,
A few of the things that he grows.
But he’s got to watch out how he goes
Or they’ll stop all his pension, he knows.

Every day as I go through the old shanty town
Where the sheds and allotments all stand
I see the old man of the land
With a rake or a spade in his hand
For I cannot linger, I must be gone,
For I work in the iron works too
I started there five years ago,
Only forty-five more years to go,

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9 risposte a L’uomo della terra, l’uomo del suolo

  1. Francesco scrive:

    Diciamo che mi trovo a mio agio se tra me e la terra c’è una certa distanza, antropizzata.

    Anche in legno, volendo.

  2. Peucezio scrive:

    Bellissimo!
    La cosa che mi colpisce sempre di queste canzoni anglosassoni un po’ folk è che sembrano proprio ballate popolari, quasi canti narrativi medievali.
    Questo poi è un testo piuttosto semplice, ma sono sempre fra l’immaginifico e il poetico, tendono sempre a liricizzare gli aspetti più minuti e banali della vita, e anche i più crudi.
    Un po’ al rovescio di quanto si faccia qui nel nord Italia (ma c’è in comune una certa assenza di retorica).
    Ma mi riferisco alla musica anglosassone in genere, anche di altri generi. Ha proprio uno stile testuale inconfondibile, che non ho presente in altre tradizioni, almeno romanze o slave (quelle germaniche le conosco davvero troppo poco).

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