L’Evento (1)

Stamattina, abbiamo affrontato decine e decine di buste, contenenti bollette e resoconti delle banche.

Ciascuna con la sua finestrella incollata sulla carta.

A inventare questo oggetto fu un certo Americus Callahan, solo che lui ci metteva la carta di riso. L’anonimo signore che in seguiito avrebbe messo la finestrella di plastica attualmente sta mandando lettere a San Pietro, intimandogli di aprirgli le porte del Paradiso, ma per fortuna il Pescatore è analfabeta.

La plastica delle finestrelle è troppo sottile per andare negli imballaggi, quindi una volta che l’abbiamo pazientemente separata dalla carta, ci tocca metterla nell’indifferenziato.

Ma per quanto riguarda l’indifferenziato, Firenze è arrivata a un momento decisivo.

Le aziende dei rifiuti hanno chiesto infatti di dichiarare uno stato di emergenza, perché gli inceneritori esistenti si stanno scassando o vengono chiusi dalla magistratura, gli altri comuni d’Italia non accettano più rifiuti fiorentini. Come abbiamo già raccontato, avevano puntato tutto su un nuovo inceneritore, facendo poco per riciclare e nulla per ridurre la produzione di rifiuti in città. Ad esempio, mettendo una tassa di due euro su ogni busta con finestrella: so benissimo che qualcuno risponderà, non è competenza del Comune, ma lo Stato non è che la somma di oltre 8.000 comuni che dovrebbero avere lo stesso interesse.

Ora il Tar della Toscana ha da poco bocciato il nuovo inceneritore,  che avrebbe permesso all’amministrazione di non toccare la radice del problema per qualche anno ancora.

Piazza Santo Spirito, in una serata qualunque

Il primo gennaio, la Cina ha bloccato l’onda di rifiuti che la stava travolgendo; subito, il flusso è passato in Tailandia, dove però ha superato la capienza dei porti e portato il caos nel paese: così nel giro di sei mesi, anche i tailandesi si sono messi a cercare come arginare l’invasione.

Ora, noi leggiamo tutti i giorni degli africani sui barconi che si spostano, e ce ne preoccupiamo, in un senso o nell’altro. Ma gli esseri umani che migrano non sono che un sottoprodotto di questo movimento, molto più possente.

Leggo un post di qualche settimana fa, sul sito di AspoItalia.

Un ingegnere petrolifero italiano, che lavora in Iraq, si sfoga raccontando dell’usanza di bruciare il gas che fuoriesce insieme al petrolio dai pozzi. Per ogni metro cubo di petrolio, 800 metri cubi di gas, a pressione atmosferica.

Si incendia una risorsa preziosa e non rinnovabile, avvelenando l’atmosfera, e lo si fa da mezzo secolo – rispetto alla normalità, i famosi incendi dei pozzi  petroliferi compiuti da Saddam Hussein o dall’Isis sono una sciocchezza, ci assicura l’ingegnere:

So bene che il flaring (si chiama così la geniale idea di bruciare una risorsa preziosa e limitata come il gas naturale) è stato ampiamente praticato in Iraq come in molti altri paesi produttori di petrolio, fin dall’inizio dello sfruttamento dei giacimenti a partire dal secondo dopoguerra. Ma vederlo con i propri occhi tutti i giorni è tutta un’altra storia come potete forse immaginare dalle immagini allegate a questo mio sfogo di rabbia e frustrazione.

Le mie piccole bustine e i loro giganteschi roghi sono parte di uno stesso meccanismo: non sono incidenti di percorso. Cercheremo di rifletterci più a fondo.

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18 risposte a L’Evento (1)

  1. Francesco scrive:

    ricordo che il gas naturale ha un discreto valore di mercato … qualcuno dovrebbe studiare più economia, in certi paesi

    no?

    • Z. scrive:

      Aye, noi in Romagna abbiamo le piattaforme mica per niente…

      PS: due anni fa era costume chiamarle “trivelle” e pensare che vi si estraesse petrolio. Magara avessimo il petrolio! Avremmo già dichiarato l’indipendenza della Repubblica delle Romagne e saremmo impegnati in una sanguinosa guerra civile con Rimini per deciderne la capitale 😀

  2. Miguel Martinez scrive:

    Per Francesco

    “qualcuno dovrebbe studiare più economia, in certi paesi”

    Hai letto l’articolo linkato?

    Vedo da Wikipedia che comunque l’Iraq non è il peggiore paese:

    As of the end of 2011, 150 × 109 cubic meters (5.3 × 1012 cubic feet) of associated gas are flared annually. That is equivalent to about 25 per cent of the annual natural gas consumption in the United States or about 30 per cent of the annual gas consumption in the European Union.[11] If it were to reach market, this quantity of gas (at a nominal value of $5.62 per 1000 cubic feet) would be worth $29.8 billion USD.[12]

    Also as of the end of 2011, 10 countries accounted for 72 per cent of the flaring, and twenty for 86 per cent. The top ten leading contributors to world gas flaring at the end of 2011, were (in declining order): Russia (27%), Nigeria (11%), Iran (8%), Iraq (7%), United States (5%), Algeria (4%), Kazakhstan (3%), Angola (3%), Saudi Arabia (3%) and Venezuela (3%).

    • Roberto scrive:

      Quel che non dice l’articolo è perché bruciano una risorsa preziosa

      • Francesco scrive:

        30 miliardi di dollari di materia prima energetica bruciati ogni anno … oltre che un crimine ecologico, un delitto economico!

        Andrea De Vita, torna tra noi e spiegaci!

        🙂

        • Miguel Martinez scrive:

          Per Francesco

          “30 miliardi di dollari di materia prima energetica bruciati ogni anno … oltre che un crimine ecologico, un delitto economico!”

          Immagino di sì… ma a a commetterlo sono degli imprenditori alla ricerca del bottom line, per cui non so se sia così semplice.

          • Francesco scrive:

            ma io sono ligure prima di ogni altra cosa, lo spreco mi ripugna in sè anche se fosse economicamente giustificabile

            posso immaginare che recuperare, stoccare e trasportare quel gas per poi venderlo costi più di 30 miliardi di dollari l’anno … no, veramente non posso, mi pare impossibile

            ciao

  3. Roberto scrive:

    Una curiosità anzi due:
    1. Le banche italiane usano ancora la carta? Qui saranno un paio d’anni che tutto viene mandato via posta elettronica
    2. Ma a che servono le finestrelle? Qui mi stampano l’indirizzo su una normalissima busta di carta (riciclata)

    • paniscus scrive:

      1. Le banche italiane usano ancora la carta? Qui saranno un paio d’anni che tutto viene mandato via posta elettronica
      ————————-

      Al momento si può scegliere, si può chiedere di eliminare il cartaceo e mandarlo solo in digitale, ma personalmente ancora non mi fido. Banche, poste e istituzioni varie, compresi gli uffici pubblici, si divertono (si fa per dire) a modificare di continuo le modalità di comunicazione digitale… da un giorno all’altro sono capaci di dirti che l’email è disabilitata e che bisogna “scaricarsi la app”, poi la app cambia e viene sostituita da un’altra che gira solo su un sistema operativo diverso dal tuo, e amenità del genere…

    • werner scrive:

      1. Personalmente ricevo tutto via mail/app… Non solo la banca ma anche assicurazioni, bollette e simili. Nella cassetta fisica trovo la rivista a cui sono abbonato, alcune rare comunicazioni ufficiali e tanta tanta tanta pubblicità.
      2. In effetti mi sono sempre chiesto…

  4. Harmachis scrive:

    Le infrastrutture per trasportare e trattare il metano costano, soprattutto se il pozzo si trova in un’area remota. Il petrolio ha chiaramente una densità energetica maggiore, quindi è molto più conveniente rispetto ai costi logistici. Infatti una delle problematiche dello sfruttamento delle vastissime riserve di gas globali sono i campi piccoli e remoti, teoricamente sfruttabili ma di fatto marginali da un punto di vista economico.

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