Il mondo oscuro di Don Manuel

Jorge Santa Cruz  è un autore di narcorcorridos, un vasto genere musicale che affascina i giovani del Messico e – in misura crescente – anche del resto dell’America Latina.

Il genere presenta sotto nuova veste l’antichissima formula messicana del corrido, con cui i cantori portavano di villaggio in villaggio notizie di solito epiche e tragiche.

Condannati e ammirati, i narcocorridos hanno il merito di presentarci una dimensione diversa da quella mediatica della tremenda guerra civile che sta minando il Messico; una dimensione insieme più autentica e più falsa, fatta di emozioni e miti.

Emozioni e miti non vanno sottovalutati, visto che in un conflitto come quello messicano ognuno deve mettere in conto l’alta probabilità di morire giovani e in maniera atroce, e questo cambia di parecchio il semplice calcolo degli interessi in ballo: la ricchezza, più che accumulazione, diventa ostentazione intensa ma effimera, di potere e di generosità.

Il Don Manuel di cui parla questa canzone è Manuel Torres Félix, detto El Ondeado, del potente cártel di Sinaloa; ma credo che costituisca un ritratto affascinante di un certo tipo umano – il Signore di Baux non era poi tanto diverso. Che tanto più diventa inimmaginabile da noi (salvo nelle fantasie inconfessate delle palestre), tanto più detta legge altrove.

Dicono che sia un uomo malvagio
che non abbia sentimenti
che non gli tremi la mano
quando fa detonare il suo corno [fucile AK-47]

Dicono che sia un villano
ma non conoscono i suoi motivi
nessuno di coloro che lo ha giudicato
ha mai perso un figlio

Dicono che nella sua fodera
conservi sempre un’arma primaria
che sia un esperto di torture
e che non esiti ad adoperarle
dicono che vaghi nella sua mente
che coltivi la vendetta
che cerchi differenti luoghi
per usare il coltello

Dicono che abbia riportato in vita
gli stessi morti
che in succursale dell’inferno
si sia convertita la sua tana

Dicono che a volte non dorma
quando scava con il suo retro [1]
che passi molte lune seppellendo quei corpi

che siano mille anime in pena
che lo circondino in ginocchio
che abbia il ghiaccio nelle vene
e una mente assassina
che si svegli di notte
ricordando il suo passato
e che ancora si sentano le voci
di coloro che ha torturato

Dicono che non fosse un uomo di guerra
che vivesse sul sul suo rancho
contemplando le stelle
respirando aria di campo

Si godeva la cena
quando lavorava la sua terra
i fagioli a tavola
non gli mancavano mai

lo chiamarono per un incarico
perché avevano bisogno di lui
con i sandali incrociati sulle spalle
si mise un fucile in spalla

Non vogliono cambiare la storia
i suoi principi non sono racconti
non inventate tante cose
chi ha provato la paura

Dicono che lo vedano mentre pensa
lui solo conoscerà le ragioni
senza lacrime ha pianto
sono le lacrime di un uomo

Dicono che sia molto spietato
lo hanno accusato di tutto
forse hanno esagerato
oppure hanno detto troppo poco

Dicono che il suo stile sia crudele
che ecceda
così dissero di Manuel
e non hanno sbagliato
dicono che abbia un cane nero
che è diventato il suo guardiano
questo cane sputa fuoco
perché è un fucile automatico tedesco

Quelli che lo hanno visto
dicono che il signore continui a operare
io non nego né confermo
chiedetelo all’Ondeado

Nota:

[1] Mi posso sbagliare, ma presumo che sia una specie di escavatrice.

Questa voce è stata pubblicata in Messico, mundus imaginalis e contrassegnata con , , , , . Contrassegna il permalink.

Una risposta a Il mondo oscuro di Don Manuel

  1. nic scrive:

    La retroexcavadora sarebbe la ruspa.

    In piena matanza, il dark-corrido con look paraco è la nuova tendenza?

    Quelli di una volta, come le Tigres del norte, nonostante cantassero più o meno le stesse tematiche, si sarebbero potuti confondere con un allegro gruppo di liscio della festa dell’unità. Anni cupi, persino in México.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *