Letanías del desterrado

Da qualche parte nel cimitero parigino Père Lachaise, si erge un’alta stele ricoperta di geroglifici Maya.

E’ la tomba di Miguel Ángel Asturias, il noto letterato del Guatemala, morto nel 1974; ed è una copia fedele della Stele 14 di Ceibal (Seibal) del Río La Pasión, con cui un sovrano si vantava, pare, di conquiste e massacri.[1] Ma la scrittura Maya, negli anni Settanta, non era ancora stata decifrata…

Miguel Ángel nacque nella famiglia degli Asturias, uno dei dieci “cognomi più potenti” del paese; eppure da giovane volle ascoltare il popolo-in-ombra del Guatemala, tanto da inventarsi una madre Maya e tradurre in spagnolo il Popol Vuh, nel contesto di un grandioso – e discutibilissimo – progetto di reinvenzione della nazione.

Letanías del desterrado  è una poesia dedicata al Grande Flusso planetario, e mi ha sempre colpito la semplice e meticolosa elencazione che fornisce dell’alienazione di un mondo di migranti.

Lascio in spagnolo il termine desterrado, perché è una parola che sicuramente capirete subito, anche se non ha un esatto equivalente in italiano: senza terra? Sradicato?

E tu, desterrado:
essere di passaggio, sempre di passaggio,
avere la terra come albergo,
contemplare cieli che non sono nostri,
vivere con gente che non è nostra,
ridere con un riso che non è nostro,
stringere mani che non sono nostre,
piangere con un pianto che non è nostro,
avere amori che non sono nostri,
provare cibi che non sono nostri,
pregare a dei che non sono nostri,
ascoltare un nome che non è nostro,
pensare a cose che non sono nostre,
usare moneta che non è nostra,
sentire cammini che non sono nostri…

E tu, desterrado:
essere di passaggio, sempre di passaggio,
avere tutto come se fosse in prestito,
baciare bambini che non sono nostri,
cucinare cose che non sono nostre,
ascoltare campane che non sono nostre,
assumere un  viso che non è nostro,
piangere per morti che non sono nostri,
vivere la vita che non è nostra,
giocare a giochi che non sono nostri,
dormire in un letto che non è nostro,
salire torri che non sono nostre,
leggere le notizie, ma non nostre,
soffrire per tutti e per il nostro,
ascoltare che piove con un’altra pioggia
e bere acqua che non è nostra…

E tu, desterrado:
essere di passaggio, sempre di passaggio,
non avere ombra, ma bagagli,
brindare in feste che non sono nostre,
condividere letti che non sono nostri,
letto e “pane nostro” che non è nostro,
raccontare storie che non sono nostre,
cambiare case che non sono nostre,
fare lavori che non sono nostri,
andare per città che non sono la nostra,
e in ospedali che non sono nostri
cura di mali che si possono curare,
sollievo almeno, ma non del nostro,
che si sana solo con il ritorno…

E tu, desterrado:
essere di passaggio, sempre di passaggio,
forse domani, domani o mai…
il falso tempo degli orologi
non racconta il tempo, racconta l’assenza,
invecchiarsi compiendo anni
che non sono anni ma sconti
sconti da un almanacco che non è nostro,
morire in terra che non è nostra,
udire che piangono senza essere dei nostri,
che altra bandiera, che non è la nostra,
copre legni che non sono nostri,
bara nostra che non è nostra,
fiori e croci che non sono nostre,
dormire in tombe che non sono nostre,
mescolarsi con ossa che non sono nostre,
che alla fine dei conti, uomo senza patria,
uomo senza nome, uomo senza nome…

E tu, desterrado:
essere di passaggio, sempre di passaggio,
avere la terra come albergo,
avere tutto come se fosse in prestito,
non avere ombra, ma bagagli.

Nota:

[1] Non sono riuscito a trovare in rete una traduzione dell’iscrizione, solo accenni vaghi al contenuto.

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139 risposte a Letanías del desterrado

  1. rosalux scrive:

    Che triste deve essere un uomo così scontento della propria natura. http://it.wikipedia.org/wiki/Migrazioni_dell%27uomo

    • PinoMamet scrive:

      Fantastico.

      Ehi tu, desterrado:
      ti manca casa? ma è la natura umana!
      i tuoi parenti? ma è la natura umana!
      i tuoi amici? che te lo dico a fare?
      Non capisci la lingua? ma allora sei proprio scemo, te lo ho detto che è la natura umana!
      Ti fa cagare il cibo? Ma allora sei proprio di coccio!
      Ti stanno sfruttando per cambiare pannolino al vecchio? è la natura umana, baby.
      Ti senti solo? Non ti capiscono? Non li capisci? Sei guardato male senza motivo? Ti insultano? Sei arrabbiato? Sei rassegnato? Sei triste? Sei depresso? Sei stanco?
      ma allora sei proprio un cretino, la natura umana prevede che sempre allegri bisogna stare!
      ma guarda un po’ questo! depresso! di direi di startene al tuo paese, ma sai, è la natura umana!!

      • rosalux scrive:

        Non mi pare che ci sia una equivalenza necessaria tra sfruttamento e migrazioni umane, ne’ – peraltro – mi pare che la poesia tratti della sofferenza dell’uomo sfruttato. Parla di cieli, profumi, cibi, divinità diverse: chi non sa che gioire del cielo della casa in cui sono nati i suoi avi, è condannato a molta tristezza. Chi vive ogni differenza come alienazione, e non è capace vedere ciò che unisce gli esseri umani ma solo ciò che li separa e li aliena è condannato a molta tristezza. Se invece volevi farmi notare la “natura” non è in se’ un ente morale cui dare troppa corda, qui ti posso anche dare ragione.

      • PinoMamet scrive:

        Ah meno male! 🙂

        ma anche limitandoci ai profumi ai cieli e via poetando, mizzica, ma un minimo di nostalgia al viaggiatore la volete perdonare, o no?

      • Francesco scrive:

        un minimo?

        ma se questo si è sparato una lagna terribile, e neppure il sole, le donne, i suoi figli gli vanno più bene!

        capisco la debolezza di un momento ma mi pare di vederci una esagerazione, che si sintonizzi su Sky e guardi qualche partita del campionato guatemalteco!

        😉

      • rosalux scrive:

        Peucezio: accolgo la provocazione e ti confermo che tutti i torti non ce li hai. Crescere fuori dalla cupola amniotica dei cielo dei tuoi padri, crescere in mezzo a divinità a te aliene (e vedere quanto sono il grembo amniotico di altri) crea nostalgia, difficoltà e alienazione. Ma il processo di individuazione passa attraverso l’alienazione, la auto-consapevolezza ne è fertilizzata. L’essere l’una e l’altra cosa, come necessariamente accade allo straniero, determina una necessità – per sfuggire alla follia – di armonizzare contraddizioni e di sviluppare un direttore d’orchestra più bravo (parlo dell’orchestrina che ci suona nella capa). Non è un caso che l’immigrato faccia tanta paura e che si cerchi di estraniarlo o omologarlo, e soprattutto di allontanarlo da qualsiasi forma di esercizio del potere politico: lo straniero è – potenzialmente – una forza. Conosce se’ stesso (e l’altro) con maggiore acume e proprietà, proprio grazie a quel processo di alienazione che a molti evoca lo spettro della perdita totale di se’.

    • Peucezio scrive:

      Come se si dovesse vivere secondo natura.
      Quando sento parlare di natura, acchiapperei l’incauto interlocutore e lo costringerei a vivere, non un anno o un mese, ma una sola settimana senza elettrcità, gas, riscaldamento e acqua corrente e a mangiare solo quello che riesce a raccogliere, cacciare o pescare con le sue mani e poi ne riparliamo.
      La natura… Che sciocchezze mi tocca leggere.

      • PinoMamet scrive:

        Ho letto di un tipo norvegese che c’ha provato.
        Il classico macho nordico.
        “Vado a vivere nei boschi per un anno, per seguir virtute e conoscenza, mica cazzi, dopo tutto sono un vero uomo del nord che vive di caccia pesca e sport, o no??”

        L’hanno beccato oltre in confine in Svezia: faceva spesa al supermercato…

      • rosalux scrive:

        Certamente non la natura come ente morale o modello cui è dovuta necessariamente fedeltà, come avevo già specificato. Tuttavia essa c’è, e ci determina, che ci piaccia o meno. In particolare poi, nel caso in discussione, l’avere una “natura” flessibile, diversa da quella dei panda che senza il bambù sono fottuti ma poter mangiare qualsiasi forma vegetale o animale cucinata in quasiasi modo e dormire in qualsiasi giaciglio a qualsiasi temperatura è qualcosa che possiamo anche – una volta tanto – celebrare con un po’ di allegria! Brindarci sopra! Mica me la prendo con la nostalgia del poeta, ci mancherebbe, e non ho nulla contro la tristezza come sentimento in se’: me la prendo con il fare del migrante (povero, ricco, sfruttato, sfruttatore, il migrante purchessia) il paradigma dell’alienazione: è quello che non mi piace.

      • Peucezio scrive:

        “L’hanno beccato oltre in confine in Svezia: faceva spesa al supermercato…”

        Ahahah! Meno male che non ha fatto la fine di quello del film “Into the wild”.

      • Peucezio scrive:

        “me la prendo con il fare del migrante (povero, ricco, sfruttato, sfruttatore, il migrante purchessia) il paradigma dell’alienazione: è quello che non mi piace.”

        Perché invece non ammetti che in fondo l’alienazione un po’ ti piace, l’approvi…? 😉

  2. Mondo cane scrive:

    Desterrado, guardati intorno, tutto questo ti è stato tolto e non ti sarà mai più restituito, neanche l’aria che respiri ti appartiene. Sai chi te l’ha preso e perchè, ma non ci puoi fare niente…

  3. Francesco scrive:

    Non sapevo che l’Homo Leghista sviluppasse una natura poetica quando abbandona la Val Seriana, la polenta, l’Atalanta e le sue altre radici.

    Ma quando torna dalla trasferta a Brescia si riprende?

    PS scusa ma metà della mia famiglia emigrò negli USA e parte di quella rimasta più o meno lo sta facendo di nuovo, mi commuovo poco poco

    • PinoMamet scrive:

      Ma certo, Francesco, sono tutti leghisti; arrivare a Milano dallo Sri Lanka è identico che arrivarci da Bergamo; e del resto, emigriamo dai tempi dell’homo erectus, no Rosa? Quindi niente commozione, lavate i culi dei vecchi, state chiusi nei CPT o come cazzo si chiamano, e prendete i calci in culo.
      Il fatto che li abbia presi anche mio zio in America non vuol mica dire che mi sento più vicino a voialtri emigrati, no, macchè. Mi sento più vicino agli americani che lo prendevano a calci in culo.
      Poi i leghisti siete voi migranti con nostalgia di casa…

      • Francesco scrive:

        dopo il clic mi ero sentito un pò … di aver scritto male

        ma non così tanto!

        PS il mio custode è dello Sri Lanka e più che depresso mi pare furbo e molto a suo agio. Assai molto.

      • PinoMamet scrive:

        E vabbè, e famme lamentà un po’, no?? 🙂

        Lo so che non sei un mostro (idem per Rosa) ma come tu fai le pulci a Miguel, ogni tanto te le faccio anche io 😉

  4. mirkhond scrive:

    Pino, è sempre la storia del forte che non crede al debole…
    Il depresso? E’ solo un piagnucoloso fancazzista che si lamenta di tutto e di tutti solo perché colpevole di non essere all’altezza nella competizione globale….

    • Francesco scrive:

      io di emigrati depressi non ne ho conosciuti, mi paiono uomini di un’altra pasta

      siamo noi che non abbiamo le palle per emigrare che ce la facciamo sotto solo all’idea

      mi sa tanto, che il campione statistico è ridotto

  5. mirkhond scrive:

    L’estero in questione è per caso lo stato d’Israele?
    ciao!

  6. mirkhond scrive:

    Quanto all’emigrato depresso, l’articolo si riferisce ad un letterato di famiglia benestante esule, verosimilmente per motivi politici, dal suo paese.
    E che soffre di nostalgia, e per la sua posizione sociale trova estremamente disagevole vivere in un altro paese con tutte le conseguenze del caso…
    Non c’è povertà (e sradicamento) peggiore di quella di chi è stato benestante ed allevato come un principino, e poi di botto, si ritrova col culo a terra in tutti i sensi….
    Riguardo invece alla tipologia di migrante più diffusa, e prevalentemente di origine proletaria, concordo con Francesco…
    In “America” ci vanno i più forti…..

    • Francesco scrive:

      x Mirkhond

      in effetti mi sono sempre chiesto quanto influisca sullo “spirito americano” il tipo umano del migrante proletario, sicuro di sè, incazzato, aspirante al successo/miglioramento delle sue condizioni di vita, proiettato al futuro per sè e si suoi figli con un ottimismo patologico,

      e quanto spieghi anche della (non) considerazione per il resto del mondo

      ciao

  7. mirkhond scrive:

    Per Francesco

    I miei parenti emigrati in America sia da parte paterna che materna erano tutto, tranne che dei letterati benestanti. Uno era di famiglia di origine “nobile” ma decaduta.
    Comunque erano tutti dei tecnici, dei pratici, dal pugile all’elettricista, insomma gente che non faceva difficoltà a trapiantarsi in ambienti dove tutto interessa tranne che i concorsi letterari o le poesie, mentre interessa moltissimo il ring, l’installazione di impianti elettrici, la progettazione e costruzione di villini residenziali, bar e ristoranti italiani…
    Insomma niente di intellettuale, di umanistico, ma di dura e soda praticità materiale, e questo penso, in sintonia con l’umanità statunitense con quel suo rifiuto, allergia alla dimensione umanistica.
    Cosa di cui risente molto il loro cinema quando si cimentano col mondo classico (vedi 300 o Troy), oppure con storie della Vecchia Europa, tipo le vicende della corte di Francia coi Tre Moschettieri ecc.
    ciao

    • Francesco scrive:

      x Mirkhond

      insomma, pare che i rivoluzionari del ’76 potessero conversare tra loro in greco antico e che in nessun paese come negli USA i classici siano presi alla lettera, quasi fossero vivi e contemporanei

      maneggiati senza le cure e le destrezze da vecchia zia con cui li trattiamo noi

      però non ho esperienza diretta alcuna

      ciao

      • PinoMamet scrive:

        Se intendi i rivoluzionari del 1776, beh, non stento a credere che conoscessero il greco antico alla perfezione.

        Di filologi americani moderni, mi imbattei durante i corsi di letteratura e storia della lingua greca all’università in qualche ipotesi.
        Non è che non sapessero il greco: lo sapevano, per carità, che c’entra. Ma di solito (non solo impressione mia, anche del docente, che era di lungo corso…) le ipotesi più fantasiose e meno probabili erano le loro. Non ho più gli appunti sotto mano e non saprei farti esempi. Ma insomma, scontavano una certa lontananza della materia; intendo proprio lontananza, come dire, fisica, concreta, e perciò anche culturale.

        Insomma, voglio dire, se io imparassi il thailandese e facessi delle ipotesi su qualche passo poco chiaro della letteratura thailandese, sarebbe la stessa cosa; in fondo, cosa ne so io? Mentre un thailandese, un laotiano, un cambogiano… quello che ti pare, insomma, che sta “vicino alla materia”, che vede gli stessi posti, le stesse facce, che sente gli stessi racconti e gli stessi modi di dire, o molto simili, che oltre al testo stesso dispone di quegli altri mille riferimenti culturali che servono a capirlo appieno, dirà quasi sicuramente cose più sensate di me.

        Non c’entra solo la geografia: britannici e tedeschi anche stanno lontanuccia da Samo e Lesbo, eppure hanno mantenuto una sorta di filo (di Arianna, visto che siamo in tema 😉 ) o di cordone ombelicale, di legame insomma, con quella parte delle nostre radici;
        che per qualche motivo gli statunitensi hanno invece allentato a tal punto da staccarsene, così che la loro Grecia antica e la loro Roma sono sempre di più dei regni “fantasy”, da ricostruire magari minuziosamente, ma freddamente.

        Naturalmente un po’ esagero, sono sfumature, e magari neanche in tutti, ma sfumature che si notano.

      • Francesco scrive:

        credo abbia a che fare con l’origine “proletaria” e “democratica” degli USA

        le classi sociali europee che hanno mantenuto (o forse recuperato) il rapporto con la cultura classica NON sono partite per i nuovi mondi

        chi è partito, conosceva Omero e Platone quanto oggi lo conoscono i concorrenti del Grande Fratello o i parlamentari leghisti

        quindi, quando lo studiano, gli americani partono da zero (e dai propri pregiudizi generali): con effetti che possono essere anche molto interessanti

        ciao

  8. mirkhond scrive:

    Gli unici umanisti statunitensi che ho avuto il piacere di conoscere sono un frate e sacerdote francescano della Custodia di Terrasanta e Ebreo convertito al Cattolicesimo a 17 anni, e il nostro Colonnello Proprietario di questo blog (anche se quest’ultimo solo telematicamente…)
    ciao

  9. Karakitap scrive:

    Una cosa è andarsene dal proprio paese per legittima necessità (o anche solo per avere condizione lavorative migliori, ho un ramo materno emigrato dagli anni ’60 a Milano e quando gli chiesi se se n’era andato a causa della disoccupazione, mio zio mi disse: “ho sempre lavorato sia a nord che a sud, ma a sud trovi i furbi che ti pagano poco, in nero e senza limiti di orario, a nord, sarò stato fortunato, queste cose non le ho mai trovate”) e chi deve andarsene perché magari sotto casa lo aspettano i mazzieri della fazione avversa, ma in entrambi i casi la nostalgia debba essere la stessa, acuita nel caso dell’esule se il regime da cui è scappato non crolla, impedendogli il ritorno.

    Sugli emigrati in genere, si dice che emigrino o i migliori o i peggiori di un paese, forse è vero, in America c’è stato sia Al Capone che Enrico Fermi.

    Ciao

  10. mirkhond scrive:

    Per Karakitap

    Parlando per esperienze familiari, i meridionali emigrati in “Padania” si ambientano meglio se trovano l’amore nel luogo dove sono emigrati. In questo caso non tornano più e danno vita a storie e famiglie nuove….
    Purtroppo non è per tutti così e allora, tecnico o umanista, la nostalgia ti assale e la nebbia diventa più insopportabile e deprimente di ciò che è….
    ciao

  11. Karakitap scrive:

    Per Mirkhond,

    hai ragione, è quello che è capitato a me, che sono tornato a sud del Garigliano dopo aver trascorso un semestre a Milano, vinto dalla nostalgia (anche se personalmente trovo che Milano sia una bellissima città, e sovente penso che avrei dovuto “resistere” di più, ma all’epoca la pensavo diversamente) invece mio zio e sua moglie, entrambi campani, vivono ancora nella metropoli lombarda, e non hanno alcuna voglia di tornare, anche perché, come molti altri loro coetanei del Bel paese, stanno facendo gil contrario gli “Anchise al contrario” ovvero aiutano i figli alle prese con problemi di mutuo e mercato del lavoro, mi hanno detto che se non fosse per questo sarebbero tornati da un pezzo, ma in queste condizioni non se la sentono.

    Ciao

  12. mirkhond scrive:

    A Milano ci sono stato sempre di passaggio, e mi ha sempre dato l’impressione di un luogo in cui ti senti smarrito, una goccia nell’oceano, il simbolo ruggente del terziario avanzato, insomma tutto ciò che mi spaventa, lento e pigro come sono….
    Mentre mi è piaciuta molto di più Varese e dintorni, dove ho soggiornato per alcuni corsi di studio. Bellissimo poi il Lago Maggiore….
    Come città grande, mi piace più Torino (e da biekissimo borboniko non dovrei dirlo!), in quanto conserva meglio quel suo carattere ottocentesco e quei portici che mi sono sempre piaciuti (vedasi via Roma sempre a Torino)…
    Per il resto, amando le comunità piccole a dimensione d’uomo, mi hanno sempre attratto i paesi più che le grandi città, soprattutto le aree “liguri”, dove per ligure s’intende quelle zone oggi nell’Emilia appenninica, Garfagnana, Lunigiana, Liguria e Piemonte meridionale “aleramico-angioino” che costitivano la Liguria preromana e romana….
    Per me mediterraneo, la Liguria nel senso sovracitato costituisce una specie di “Terronia settentrionale” che chissà perché, non sento poi molto distante da me…
    Vabbè sto pindareggiando come direbbe il nostro Pino in procinto di emigrare e che, spero continuerà a scrivere qui, anche nella sua nuova Terra Promessa….

    • PinoMamet scrive:

      “Per me mediterraneo, la Liguria nel senso sovracitato costituisce una specie di “Terronia settentrionale” ”

      confermo: anche per i settentrionali la Liguria è Terronia 😉
      (e non vuol dire: un numero enorme di parmensi ha origini liguri, e altrettanti hanno radici toscane…)

      comunque non so se il mio progetto di emigrazione lavorativa andrà in porto, vedremo! per il momento mi sa che mi dovete sopportare qui…
      poi sai, io alle terre promesse credo poco… avrei lavorato molto volentieri anche in India, che non mi ha mai promesso nessuno…

      se per caso passi dall’Emilia appenninica- Liguria ecc. fatti vivo!! 🙂

    • Francesco scrive:

      magari Milano fosse così, altro che ruggire, è una citta sporca e vecchia, con una classe dirigente modestissima e senza figure imprenditoriali forti

      basti pensare che si è costruito qualcosa di visivamente significativo, che desse l’impressione di vitalità, solo negli ultimi anni e tra infiniti ritardi, giri di soldi poco chiari, alla fine tutto rimasto sul gobbo delle banche creditrici

      il grado di civiltà, espresso dalla banalità di come si guida, si va in bici, ci si comporta sui mezzi pubblici, dallo sporco, mi pare molto basso

      la Torino che ho visto io è un cimitero, pure bruttino assai, Varese va bene se sei di passaggio – come Las Vegas – altra cosa il Lago

      la Liguria è depressione, vecchi, furbetti, strutture fatiscenti, mancanza di iniziativa e di idee, spennamento selvaggio del turista, sguardo corto e miope, mare sporco fino a puzzare, una cucina eccezionale, farci una gita fuoriporta e poi scappare

      per stare bene, ci vogliono i crucchi, lì in Alto Adige, Austria, Baviera, Germania, Prussia è veramente un posto civile!

      oppure andare in montagna, a prescindere da dove, la montagna educa e civilizza, impone il silenzio

      • PinoMamet scrive:

        “ma in montagna ci si rompe il cazzo!”
        Elio dixit! 🙂

        PS
        confermo che in Liguria danno l’impressione di odiare i turisti e trattarli male apposta, mentre in Romagna (dove forse li odiano altrettanto) fanno di tutto per farli restare e spennarli un altro po’…

      • Francesco scrive:

        uno che si rompe in montagna merita di fare il tester di preservativi per gorilla – lato B

        senza se e senza ma, aggiungo

      • Peucezio scrive:

        E’ chi ci si esalta che dovrebbe farli.
        Perché uno che gongola all’idea di stare in un luogo cupo, freddo, dove non c’è niente, si mangia uno schifo, con montagne alte che ti sovrastano e ti opprimono, una certa vocazione a fare il tester di quel tipo secondo me ce l’ha.
        Capisco ancora ancora i settentrionali, che lì si sentono abbastanza a casa, ma pugliesi, siciliani, che vengono dalla luce, dai colori, dalla bellezza, dal clima mite, che si esaltano all’idea di andare lì in mezzo, secondo me sono gravemente malati.

      • Francesco scrive:

        1) cupo? non c’è posto in cui la luce del sole sia limpida come in montagna
        2) freddo? basta coprirsi e camminare che si sta benissimo
        3) non c’è niente? ci sono le montagne (e i boschi), cribbio!
        4) si mangia uno schifo? ma siamo matti, in montagna si mangia benissimo (OK, evita le porcherie per turisti ma questo ovunque)
        5) ti sovrastano e ti opprimono? tutto il contrario, la mole delle montagne ti libera la mente da tutte le cazzate che ti sei costruito in anni di pianura e ti lascia lì, di fronte allo sgabello di Dio; la montagna è mistica come nessun altro luogo. solo chi ha paura di Dio (e di se stesso) e deve nascondersi dietro muri di parole vuote

        6) e hai dimenticato il silenzio della montagna …
        7) e come si dorma bene in quella pace

      • Peucezio scrive:

        Infatti io ho paura di Dio e di me stesso (che per me coincidono, perché in fondo tendo all’autodivinizzazione e a un certo delirio di onnipotenza), però non ho affatto paura degli altri.
        In montagna ci sono troppo pochi altri. La quiete mi evoca la morte: i morti sono silenziosissimi e calmi, non disturbano mai.

      • PinoMamet scrive:

        ” 5) ti sovrastano e ti opprimono? tutto il contrario,”

        Francesco,
        questa delle montagne opprimenti me l’hanno detta varie volte degli aostani… mica dei pugliesi, eh!

        e devo dire che ho avuto la stessa impressione anche io, quando ci sono andato (per lavoro e per amicizia, non per turismo perchè non scio, non arrampico e… in montagna mi rompo il cazzo! se adesso vuoi chiamare il gorilla… 😉 )

      • Francesco scrive:

        Gorilla! gorilla! ci sono un paio di volontari! mandate il gorilla!

        😀

        io vivo in una città tragicamente piatta e, quando sono in montagna, mi sento libero dalla stolta oppressione dei caseggiati, della automobili/tram/bus/camion, delle persone estranee

        lì dove sono poche le persone possono tornare, da estranei, prossimo

        e quindi per me la montagna è esperienza di libertà e compagnia

      • roberto scrive:

        l’unico problema della montagna è che non c’è il mare!

        devo dire pero’ che, dopo un passeggiata lunga e faticosa, scolarsi una birretta in cima al cocuzzolo guardando tutti dall’alto con un bel panino prosciutto/fontina è una bellissima cosa (che sarebbe perfetta se ci fosse campo per leggere sull’iphone il blog di miguel e non ci fossero marmocchi pronti a scapicollarsi in ogni dirupo)

        quest’estate 10 giorni al mare e una settimana in montagna!

      • roberto scrive:

        “si mangia uno schifo,”

        peucezio,
        è la cosa più sbagliata che tu abbia mai scritto , molto di più dei vari discorso antisemiti e complottiosti che ti ho contestato in passato
        🙂

  13. mirkhond scrive:

    Della Liguria preromana, romana e prelongobarda, ho visto praticamente solo Bobbio e dintorni e ne conservo ancora oggi un bellissimo ricordo. Un luogo da ritemprarsi lo spirito e il corpo (la magnata che mi feci all’Albergo Piacentino me la ricordo ancora..)
    E quei bellissimi monti boscosi, quei villaggi tra cui l’asceta irlandese San Colombano (540-614 d.C.) trovò la sua pace, mi fanno sognare ancora…
    Vicino al mio letto ho ancora delle cartoline di quel lontano ricordo, ricordo rinfrescato dalle splendide ambientazioni del Polpettone di Parma della signora Torrini….
    Mi piacerebbe davvero vedermela tutta questa “grande Liguria” cispadana…
    ciao e grazie per l’invito!

    ps. sono convinto che lo sceneggiato sulla Certosa di Parma avresti dovuto dirigerlo tu. Penso che sarebbe stato molto più affascinante…
    Comunque se in Israele ti faranno fare dei film, faccelo sapere che provvediamo a scaricarceli dal mulo o a vederli sul tubo, se, naturalmente qualcuno ce li mette…

  14. Miguel Martinez scrive:

    Per Rosalux

    “Non mi pare che ci sia una equivalenza necessaria tra sfruttamento e migrazioni umane, ne’ – peraltro – mi pare che la poesia tratti della sofferenza dell’uomo sfruttato. “

    Diciamo che parla di una signora filippina che conosco.

    Non so se è propriamente “sfruttata” a fare la donna delle pulizie, il concetto di sfruttamento è difficile da definire.

    So che lei ha lasciato una figlia di tre anni alle Filippine, con i nonni; che parla un inglese approssimativo e un italiano quasi nulla, e ovviamente non riuscirà mai a parlare davvero bene la lingua o capire il paese in cui si trova.

    Nulla di tragico, non è mica annegata nel Mediterraneo.

    Ci sono anche alcune persone che la salutano, poi non potendoci parlare, non è che ci comunichino più di tanto.

    • Francesco scrive:

      “italiano quasi nulla” mi pare una situazione transitoria per la grandissima maggioranza degli immigrati

      se i singalesi imparano a parlare e a leggere l’italiano, non dubito che possano farlo arabi, cinesi, filippini e chiunque altro

      mi pare sia la normale trafila di tutte le immigrazioni nella storia

  15. maria scrive:

    Leggendo mi è venuta in mente una poesia di Giorgio Caproni, che amo moltissimo,
    il titolo è:

    Bibbia

    Ah mia famiglia, mia
    famiglia dispersa come,
    quella dell’Ebreo….Nel nome
    del padre, del figlio (nel mio
    nome) ah mia casata
    infranta – mia lacerata
    tenda volata via
    col suo fuoco e il suo dio.

    ps. nel testo mio è in corsivo

  16. maria scrive:

    dopo il “come” la virgola non c’è

  17. Ciao Miguel, grazie per la poesia, bellissima, e’ vero che Asturias l’ha scritta a Roma? Hai fatto bene a non tradurre la parola, in realta’ oggi si potrebbe dire migrante, ma desterrado ha un significato ben piu’ ampio… con tante sfaccettature. Anche i contadini ai quali i paramilitari rubano la terra e che si riversano nei “cinturoni di miseria” delle citta’ colombiane alla fine diventano “desterrados” dopo essere stati “desplazados”, altra parola di difficile resa…
    Ti abbraccio.

  18. mirkhond scrive:

    “in Liguria danno l’impressione di odiare i turisti e trattarli male apposta, mentre in Romagna (dove forse li odiano altrettanto) fanno di tutto per farli restare e spennarli un altro po’…”

    E sull’Appennino Tosco-Emiliano tra le province di Parma, Piacenza, Massa Carrara, Lucca e La Spezia? Anche lì fregano gli stranieri, magari provenienti dal fu Regno di Napoli?
    E pensare che ho sentito dire della generosità e accoglienza dei Liguri nei nostri confronti…
    ciao!

    • PinoMamet scrive:

      Non c’entra la provenienza, Mirkhond: i liguri, a quanto si dice, sono così di carattere, un po’ ombrosi e non amano essere disturbati, e decisamente “scazzati”, atteggiamento di tutto rispetto ma certo non il migliore biglietto da visita per il turismo.
      Che tu venga da Bolzano o da Trapani non cambia nulla.

      Il luogo comune che vuole i genovesi tirchi forse c’entra qualcosa, d’altra parte, più si procede verso est più il vizio si tramuta nel suo opposto, la “veneta” avidità, di cui i romagnoli sono contaminati 😉
      (naturalmente non prendermi troppo sul serio!)

      Negli altri posti che citi non saprei; a Parma i locali più popolareschi e tradizionali si facevano quasi una bandiera del trattare male i clienti (per primi e specialmente quelli del luogo), parolacce ecc. ecc., tutto da prendere con spirito sportivo e senza troppe cerimonie; ma essendo città “fighetta” perlomeno dall’epoca della Restaurazione (prima non saprei) trovi anche abbondanza di posti dove, se mi passi l’espressione, tentano di incularti in guanti bianchi.

      Poi, è difficile trovare un posto in Italia dove non freghino gli stranieri! 😉

      • mirkhond scrive:

        Il mio parere sulla bellezza dei luoghi non cambia…
        Sullo spirito ligure, forse affonda all’epoca delle conquiste romane (III-I secolo a.C.) che furono lunghe, durissime e travagliate.
        Roma dovette penare assai per sottomettere questi fieri montanari e la crudeltà non fu certo l’eccezione…
        Lo stesso spirito (almeno per le aree montane, che poi sono le mie preferite) si ritrova all’epoca della dominazione napoleonica e ancora (in riferimento alle aree della Garfagnana, Alpi Apuane, aree montane dei ducati di Parma e Modena) anche con la conquista piemontese del 1859 e con una conseguente situazione di guerriglia durata fino al 1864, come sta emergendo da recenti ricerche degli storici Nicola Guerra e Gilberto Oneto…
        Spero solo che, se dovessi trovarmi tra quelle aspre e stupende terre, non dovrei stare a guardarmi il deretano in continuazione :)….
        Comunque a Bobbio mi trovai benissimo, anche e fu una gita di un giorno, e la rezdora dell’Albergo fu gentilissima riempiendo il piatto del sottoscritto con un’abbondante dose di pasta e fagioli, innaffiati da un buon vino rosso, non saprei se Lambrusco, Sangiovese o altro….
        ciao!

  19. mirkhond scrive:

    Sul velato razzismo dei Romagnoli e dei Bolognesi ho sentito qualcosa da miei concittadini, anche se per la maggioranza dei baresi la Romagna è considerata più favorevolmente (in senso di accoglienza verso lo straniero che siamo noi in primis) rispetto chessò….. al Veneto!
    ciao

    • PinoMamet scrive:

      Guarda Mirkhond che io ho detto che i romagnoli- dal momento che il mare è bruttino- spennano i turisti, mica solo quelli meridionali!
      Tutto sommato, penso che abbiano molto più razzismo verso tedeschi, russi & affini che verso i meridionali.

      Poil, lasciami spezzare una lancia. Il “settentrionale tipo” va al Sud pensando “oddio, adesso questi sentono l’accento e mi fregano-rigano la macchina-attaccano briga”, poi va, si fa delle grandi magnate, stringe amicizia e non gli succede niente.
      Il “meridionale tipo” va al Nord pensando “oddio, adesso questi sentono l’accento e mi fregano- rigano la macchina- attaccano briga”, poi va e… inutile ripetere.

      Se c’è proprio una cosa che devo rimproverare ai meridionali che vengono qua (con affetto, Mirkhond!) è che pensano sempre, come dire, di essere i primi che sono arrivati.
      E si immaginano un po’ di trovare degli orchi pseudoleghisti con l’elmo con le corna, il cui sport preferito è la caccia al terrone (scherzo, eh, è per rendere l’idea! 😉 ). Da cui certi atteggiamenti di difesa che sfociano in un certo “orgoglio terronico” esibito specialmente da studenti fuorisede, che a volte lascia un po’ perplessi, come ogni cosa “non petita”.

      Quando invece, sai, le nostre famiglie “nordiche” sono spesso mezze meridionali da generazioni (la mia è più la regola che l’eccezione, sotto questo punto di vista) o se non lo sono hanno parenti stretti meridionali e amici idem, e vivono in quartieri, come il mio, dove la popolazione è almeno per metà, se non più, proveniente da varie regioni del sud Italia. Non c’è mica l’apartheid! E vanno negli stessi posti e fanno le stesse cose.
      E quando mia madre va a giocare al lotto (sì, si gioca anche al nord, con i numeri dati dai morti) e manca una simpatica signora meridionale che viene sempre, il gestore chiede “ma oggi non c’è la tarona?” semplicemente per definirla, mica per offenderla, visto che le è affezionato e ci scherza insieme da anni…

      insomma, non crediamo alle paranoie dei leghisti, altrimenti finiamo per dividerla davvero l’Italia. Vabbè che io e te ci troveremmo sotto i Borbone, e ti posso venire a trovare senza passaporto 😉

      • Francesco scrive:

        ergregio signore

        la informo che l’Emilia Romagna è pienamente Padania, altro che Borbone

        massimo possiamo mollare la Liguria o la Val d’Aosta, se qualcuno se le piglia

        😀

        Francesco il vice Bossi

      • PinoMamet scrive:

        “la informo che l’Emilia Romagna è pienamente Padania, altro che Borbone”

        Bene, passa a informare tutti gli altri emiliani-romagnoli adesso…

        PS
        Interessante che per te Borbone sia sinonimo di sud, e parrebbe, di un certo tipo di (mal)governo.
        Li abbiamo avuti anche qui, mica per modo di dire! E hanno governato bene, a quanto pare. ed erano le stesse persone di Napoli, ragion per cui al mito del “mal governo borbonico” ho sempre creduto poco.

        Che fossero più o meno ricchi dei piemontesi è un altro paio di maniche su cui non voglio entrare, discusso ad abundantiam da Mirkhond e Mauricius.

        PPS
        Non so come fartelo capire, ma: nooo grazie! agli emiliani-romagnoli NON interessa entrare nella mitologica Padania.

      • Be’, Pino, Vito Fumagalli quando parlava di Valpadana e persino di Padania (ed erano pure tempi già sospetti, nonostante non fosse sospetta la persona), si riferiva sempre e solo alla riva destra del Po.
        Mentre una volta un mio concittadino mi ha spiegato che il confine della Padania… sarebbe appunto il Po!

      • Francesco scrive:

        x Pino

        lungi da me ogni giudizio negativo sui Borbone, volevo solo suggerire agli Italiani di tornare al felice regime monarchico e, soprattutto, di NON farlo pensando ai Savoia.

        in ogni caso, già lasciamo all’Italia la pizza e gli spaghetti, non possiamo certo rinunciare anche alla piadina! verrete in Padania con le buone o con le cattive (che nel caso sono una stima dei trasferimenti dalla vostra regione all’Italia DOPO la secessione …)

        ciao

        PS la questione dei confini della Padania è una delle mille su cui la Lega si è arenata per mancanza di materia grigia

  20. Karakitap scrive:

    Quando ho vissuto a Milano ogni week end andavo a visitare una città diversa: Pavia (la provincia è stupenda, ho un bellissimo ricordo di Stradella nell’Oltrepo), Novara, Vercelli, Varese (confermo il giudizio positivo), Lugano ecc. a nord mi sono spinto fino a Mesocco (Svizzera italofona, ma cantone dei Grigioni), a est fino a Mantova (avrei voluto visitare qualche parte della Lombardia ex- veneta, ma temevo di essere linciato in caso di riconoscimento dell’accento, scherzo ovviamente, ma da quelle parti mi pare non facciano troppo mistero di essere anti-meridionali) e a sud fino a Piacenza, in tutte ho trovato un’atmosfera diversa da quella che potevo notare a Napoli in primis, ma anche a Salerno o ad Avellino, mi sembrava di essere davvero in un altro mondo (a proposito, i Borbone hanno regnato anche su Parma, ma nessuno dice che quella sia una città borbonica), ma forse ero io che mi sentivo più spaesato ed estraneo di quanto fossi in realtà.
    La Liguria purtroppo non l’ho mai visitata, ma un’amica di famiglia con parenti a Rapallo ci porta dei buonissimi dolci artigianali, come i baci di dama o i canestrelli, nulla a che vedere con quelli industriali dei supermercati, mi piace molto l’accento, lo trovo uno dei più caratteristici e riconoscibili, quanto al fatto che il profondo nord li consideri un po’ diversi, non mi stupisco, mi pare che da tempo si dica che Genova è la Napoli del nord; quando ho saputo che le parlate liguri sono diffuse anche in Piemonte non ho potuto fare a meno di pensare che in caso di insegnamento delle lingue regionali gli studenti di quei comuni avrebbero dovuto fare doppio corso, dato che molto probabilmente al ligure del Piemonte avrebbe dovuto essere riconosciuto lo status di lingua minoritaria al pari del piemontese.
    Ciao

    PS. A volte penso che il termine anti-meridionale sia troppo vago, forse dovrebbe essere reso come antiausonismo o antienotrismo (prendendo il nome dagli ausoni e dagli enotri) anche se forse un po’ aulico, meglio anti-terronismo?

    • PinoMamet scrive:

      “(a proposito, i Borbone hanno regnato anche su Parma, ma nessuno dice che quella sia una città borbonica)”

      ma guarda che non è mica vero, a Parma i Borbone sono ricordatissimi (a livello ufficiale) e sempre in positivo
      (lo segnalo a Mirkhond);
      una visita dei loro ultimi discendenti legittimi è stata ampiamente e “leccaculamente” seguita dalla stampa locale, ecc. ecc.

      la memoria popolare non si spinge così in là (ormai anche l’austro-francese periodo di Maria Luigia è roba per nostalgie dei più vecchi e rimbambiti) ma non vuol dire che il passato borbonico sia disprezzato, tutt’altro.

      ciao!

      • PinoMamet scrive:

        Una particolarità:
        il ducato farnesiano, poi borbonico, di Parma e Piacenza, aveva un’enclave (o forse un paio) in Italia centrale, non so più dove…

        il giornalaccio locale, anni fa, ci andò per un servizio, e vi trovò una comunità di discendenti di parmensi! che ancora parlavano una versione imbastardita/arcaica del dialetto di qua.

        Non so se se li sia filati qualcun altro, nelle varie “carte linguistiche” non li ho mai trovati nominati, ma quelle non si filano neanche gli albanesi di Castel San Giovanni, nel piacentino…

  21. mirkhond scrive:

    Per Karakitap

    Genova assomiglia molto a Napoli, data la sua conformazione geografica (ci manca solo il Vesuvio).
    I Bernardini del Levante Ligure vi hanno trasposto la versione ligure di Mazinga Z, proprio per quello stupendo insieme di montagne che scendono sul mare e che può ricordare anche la Baia del Kanto alle pendici del Fuji (che però è un vulcano e forse una location napoletana ci sarebbe andata pure bene; aspettiamo fiduciosi però quella napoletana di Goldrake….)
    Mantova la visitai in gita scolastica nell’ormai lontano 1990, insieme a Verona e alle rive del Lago di Garda. E Mantova fu la città che mi piacque di più a differenza di Verona così cupa, così “gotica” che mi sentivo davvero alle porte del Sacro Romano Impero Germanico….
    Quando stavamo per entrarci, dai finestrini del pullmann vedemmo ai due lati della strada una sfilza di cartelli molto accoglienti con frasi calorose come “Sud Mafia”, “Sud Camorra” e così via. Però l’unico veronese con cui ci intrattenemmo a parlare era un camionista simpaticissimo che divenne ancor più cordiale quando seppe che eravamo di Bari, in quanto aveva molti colleghi e amici delle mie parti….
    I paradossi della vita….
    ciao!

    • PinoMamet scrive:

      Se passi sulla via Emilia da queste parti noterai che qualcuno ha scritto in grande, sul muro di una fabbrica: “Emilia nazione padana”.
      la scritta sta lì da anni.

      Non farci caso: è probabile che chi l’ha scritta non sia nemmeno emiliano…

      (molti anni fa Bossi organizzò una qualche coglionata pseudo cerimoniale sul Po, che avrebbe dovuto unire i “popoli padani” lungo il corso del fiume. Per pura coincidenza, alcuni miei amici mi portarono in quel giorno a mangiare in una trattoria della Bassa- cosa che odio, perchè nelle trattorie non so quasi mai cosa mangiare- e vidi i famosi “padani” che si erano fermati a mangiare! Era tutta gente di Brescia e, mi pare, Mantova, un paio di pullman, che dovevano “interpretare” i “padani emiliani che rispondevano all’appello di Bossi”.
      Anche quando fecero quella buffonata di “riprendersi l’Oltretorrente”, già più volte ricordata, della dozzina di leghisti che c’erano, più di metà erano lombardi… compreso qualcuno oriundo napoletano!!)

      Sui veneti:
      hanno una forte identità locale, sì, ma presi singolarmente sono tutt’altro che quei “mostri leghisti razzisti” che… sembrano voler apparire!
      Quelli che ho conosciuto io erano tutti simpatici, e con una certa propensione alla “sballoneria” più che ad altro, ma va anche detto che io le persone antipatiche tendo a schivarle…

      • Antonello scrive:

        Caro Pino,

        direi che il termine “sballoneria” sia assai azzeccato.

        I Veneti, a conoscerli, hanno di base molti tratti protestanti, alla faccia del cattolicesimo nord-estino. La settimana media di un Veneto è lavorare come un somaro cinque giorni alla settimana, per poi passare il fine settimana a “desfarsi” rumorosamente di alcol. Ecco, non c’è contestualizzazione esatta del Veneto che non contempli l’alcol.

        Naturalmente alcuni tratti veneti sono tipicamente italiani, anzi, più “italiani” del resto del settentrione. Mi viene in mente per esempio la predisposizione al popolaresco estremo: ad esempio, il termine “marcio”, riferito ad una persona, nel vicentino è un complimento! (anche se spesso tale definizione nasce dal cameratismo che si crea a seguito della cultura e dell’uso delle sostanze psicotrope leggere, almeno fra i più giovani)

        Una cosa su cui mi impunto spesso: non credo che i Veneti abbiano chissà quale orgoglio identitario, perlomeno non più di abitanti di altre regioni. Per dirla tutta, al di fuori dell’ambito politico-elettorale, non ho mai sentito nessuno gridare spontaneamente “Viva il Veneto!”, mentre non sarà difficile sentire frasi come “teroni de merda!”, anche se spesso lo si fa in senso goliardico. Mi è capitato di trovare invece esempi di notevole “orgoglio identitario” in zone meno sospette, come l’Emilia.

        Ci sarebbe un discorso a parte da fare sul cattolicesimo in Veneto, su cui si dicono molte bestialità e più raramente cose giuste e brillanti, ma non voglio scrivere un papiello. Dirò solo che la provincia di Vicenza, tradizionalmente considerata più bianca del Vaticano, ha la massima densità in Italia di strip club – tra l’altro più della metà ha chiuso in tempi recenti a causa della crisi, inserendosi pienamente (io direi “organicamente”) nel trend regionale.

  22. mirkhond scrive:

    a Parma i Borbone sono ricordatissimi (a livello ufficiale) e sempre in positivo
    (lo segnalo a Mirkhond);

    Grazie fratello borbonico. Mi fai sentire un po’ meno solo nella solitudine dell’inattualità per un sentimento ormai antico….
    Gilberto Oneto accennando all’insorgenza antipiemontese del 1859-1864 sull’Appennino Tosco-Emiliano, accenna che vi furono anche i borbonici parmensi accanto ai filoestensi modenesi e della Garfagnana…
    ciao!

  23. mirkhond scrive:

    “gli albanesi di Castel San Giovanni, nel piacentino…”

    Cioè di Pievetta e Bosco Tosca, frazioni di Castel San Giovanni, fondate nel XVII da coloni Albanesi Toschi, forse provenienti dal Regno di Napoli o direttamente dalla stessa Toskeria.
    Da Piacenza, ma con origini verosimilmente da uno di questi due casali albanesi, era originario anche lo studioso fascista-tradizionalista-borbonico Pino Tosca (1946-2001), per parte di padre (per quella di madre era pugliese). Questa notizia la segnalo per Peucezio…
    ciao!

  24. mirkhond scrive:

    Sempre sui Farnese-Borbone

    I Borbone Napoli (o Due Sicilie) e quelli Parma sono diretti discendenti per via femminile proprio dei Farnese, famiglia originaria del Patrimonio di San Pietro, cioè la Tuscia romana, oggi provincia di Viterbo, in cui sono documentati dall’XI secolo.
    Questa famiglia papalina, signora del feudo di Castro al confine col Granducato di Toscana, assurse all’apice della potenza con Papa Paolo III (1534-1549), il Papa che indisse il Concilio di Trento (1545-1563).
    Papa Paolo III, l’ultimo dei papi rinascimentali, ottenne dall’imperatore Carlo V, nel 1545 un pezzo di Lombardia cispadana, che fu affidata ad un figlio del Papa come Ducato di Parma e Piacenza!
    L’ultima dei Farnese, Elisabetta, sposa del re di Spagna Filippo V di Borbone (1700-1746) con cui inizia la dinastia dei Borbone Spagna, nel 1731 alla morte dell’ultimo duca Farnese, insediò a Parma suo figlio Carlo (1716-1788) che fu Carlo I di Parma (1731-1735), prima di diventare re di Napoli e di Sicilia (1734-1759) al seguito della Guerra di Successione Polacca (1733-1735), grazie alla quale il Regno di Napoli riacquistava la sua indipendenza dopo 230 anni di viceregno spagnolo-asburgico.
    Nel 1748, al termine della Guerra di Successione Austriaca, Filippo di Borbone, fratello di Carlo I di Parma, poi Carlo VII di Napoli e infine Carlo III di Spagna (1759-1788), divenne duca di Parma, creando il quarto ramo borbonico, e durato con alcune interruzioni fino al Duca Roberto (1854-1859), e regnando anche sulla Toscana (1801-1807) e su Lucca (1814-1847), durante l’epoca napoleonica e di Maria Luigia!
    ciao!

  25. fp40 scrive:

    Sul tema del “disterru” (si dice così anche da noi 🙂 ) abbiamo una vasta letteratura in Sardegna. La mia esperienza inglese mi fa cogliere ancora di più il senso delle parole dell’Asturias. Ti porgo una poesia di Antoni Mura del 1968 (nella grafia originale che risalta la fonetica della parlata di Nùoro):

    Ammentos d’emigrante

    (A sos sardos de Berliner Brüche in Wolfsburg e a tottu sos sardos emigraos peri su mundu)

    Tra birdes iskurikores d’àrbores e d’erbas

    In sas terras frittas de su Nord Europa

    Happo imparàu su morrer de sa luke

    E su naskire d’una die già manna

    In mesu a su trumentu ‘e s’officina;

    Ube òmines tra màkkinas e tempos prezisos

    Ponen, ke iskravos remadores de galera,

    Sos mermos, comente ki esseran

    Karena de korbos e de kanes.

    Kussa no es zente indolente ke sos frores.

    In kuss’andalibéni mi moghìa

    Comente in sònniu paris kin issos;

    Dego, abituàu a andare in tempos longos

    In s’eternidade ‘e s’Isula nadìa;

    E tra su fake fake, sos ammentos

    Mi torraban a mente de sa pizzinnia:

    Kando iskìa kurrere, yokare a sa bàttia.

    Ispingher su kirku ferrosu de sonos

    In sos predàryos de sa pratta ‘e dommo

    K’iskampanàbat ke kàmpanas de kitto,

    Parìan peri prus longos sos kaminos,

    Kin sos kompandzos, kintos d’alligria.

    A notte, medas bortas, mi parìat

    Ki su kaitu lunàtiku ‘e su puddu

    Mi dabat s’annùnziu de sa kurrenta ‘e sa luke

    In sas kampuras amadas de Sardigna.

    Ma su mandzanu aperinde sas pupas

    Mi tokkabo sa morte supra ossos

    E fakéndemi su sindzale de sa ruke

    Torrabo a traballare kin su dolu in koro.

    Inibe happo imparàu s’arte dzusta d’esser frade

    De kada omine prontu a sa dzustìssia;

    E su ki balet un’istrinta ‘e manu;

    O un’okrada de kussentimentu;

    O unu saludu porrìu da’ innedda

    Ke bolu ‘e semen de semenadore;

    E su brinku ‘e su koro a s’amistade.

    Bi diat kerrer sa gorgobena ‘e Kristos

    Kando morinde in sas brankas de sa ruke

    Yubilabat, in su mutrikore de kussa solidade,

    Kin sa disisperada boke ‘e s’anima,

    Su numen de su Babbu, pro narrer s’iskossòlu

    De sos migrantes kene arte nen parte

    Torràos a battizare «Hilfsarbeiter» (aiuto operaio)

    Pro kontare su naskìre e su morrer kada die

    Appeitande kussas terras andzenas

    Tra berbos e paragulas istrandzas

    Nadas kin su sorrisu in kima ‘e labras

    Dae òmines brundos de sa karre krara

    Kin okros kolorìos de abba ‘e mare;

    Eredes de sa kasta ki iskìat

    Tottu sas artes d’ukkidere sos frades

    (E giai dae nobu medas tra issos

    Si torran a intèndere ke astores

    Affamikàos de tottu sos disitzos).

    Ki bendzan e si tìngana, de sole

    A sas ribas de s’Isula tirrena

    In sas àgheras sàpias de marina

    Ube viven allintzos che pudzones

    Sos òmines sardos de pezza minuya,

    E in sa parma aperta de sa manu

    Kin d’unu frore ruyu, pro amore,

    Lis hamus a offrire s’abb’e s’irméntiku,

    E latte, e mele, e pane lentu

    Guttiàu kin otzu ‘e uliba;

    Ki lir dìat boke krara, e innosséntzia,

    E lis ispingat su samben a su koro

    Kin assentu, e nd’isperdat kada fele.

    Sos omines artos de Germania.

    E tue, Babbu santu, nessi tue,

    Adzuda yà ki podes,

    Adzuda semper tottu sos frades nostros;

    Fake ki anden nòdios in su mundu

    Ispartos in sos kimbe kontinentes

    Fakende manna sa terra nadìa.

    Ma impìnnallis de koro

    In su kelu de sas biddas issoro

    Una badde de mendulas frorìas.

  26. mirkhond scrive:

    I beni dei Farnese nello Stato Pontificio poi passarono in eredità ai Borbone Napoli e Palazzo Farnese era la nostra ambasciata negli anni 1734-1861 e poi residenza di re Francesco II e della regina Maria Sofia negli anni 1861-1870, e della corte napoletana in esilio in quel che rimaneva dello Stato Pontificio….
    ciao

  27. Miguel Martinez scrive:

    Io credo che i commenti a questo post siano molto diversi, secondo le esperienze personali.

    Chi è rimasto nello stesso posto, oppure ha forse cambiato casa qualche volta in circostanze tutto sommato agiate, oppure ha passato una proficua estate all’estero a studiare lingue, ha una visione “leggera” del destierro.

    Chi invece ha a che fare più direttamente con le migrazioni, o è stato pesantemente migrante lui stesso, capisce perfettamente la differenza con la vacanza.

    Un elemento fondamentale del destierro è l’impotenza.

    Vivendo con un passaporto messicano per anni in Italia, non ho mai subito il cosiddetto “razzismo” (se non da parte di qualche statunitense); ma ho vissuto una situazione di perenne precarietà, di fronte al rinnovo dei permessi di soggiorno, di fronte ai controlli della polizia, di fronte al lavoro, di fronte all’assenza di un posto dove dormire, di fronte agli usi che legano tra di loro gli autoctoni.

    Non me ne lamento, figuriamoci, e mi è andata anche bene rispetto a tanti altri migranti, se non altro perché ho un aspetto fisico e una padronanza della lingua che non mi rivelano subito come straniero.

    Ma è chiaro che la vita è una rete di rapporti molto complessi, e in gran parte invisibili o segreti, che è negata al desterrado.

    • Peucezio scrive:

      Mio zio sostiene che l’esilio è la condizione morale di qualunque uomo sensibile, anche se fosse nato e cresciuto sempre nello stesso posto, posto in cui sono vissute generazioni di suoi antenati.
      Senza arrivare a universalizzare tale condizione e darle una dimensione esistenziale, è vero che lo sradicamento nella forma lieve appunto, privilegiata, appartiene a tutti noi e, per certi versi, ancora di più che non all’emigrante vero, quello che soffre di più, ma che di solito ricostruisce anche sul luogo di destinazione una rete di rapporti con altri della sua stessa provenzienza, più stretta di quanto facciamo noi “ricchi”, che ci facciamo ognuno i cavoli suoi.
      A uno che vive in una villa senza traccia di altre case e di esseri umani in un raggio di 20 km, cerca di uscirne il meno possibile ed evita con ogni mezzo che altri vi entrino (ed è questa la condizione tipo cui tende ogni occidentale contemporaneo), capirai che gli cambia in che nazione o continente vive: anche se lo sposti in Nuova Zelanda, con tutta la villa e i 20 km di raggio di bosco, nemmeno se ne accorge, se non per il verso del mulinello dell’acqua del suo cesso e per le diverse costellazioni.

  28. Miguel Martinez scrive:

    Per Rosalux

    Semplifico brutalmente un concetto che mi pare di cogliere in ciò che scrivi.

    Mi sembra che tu ponga due poli simbolici opposti, diciamo “i leghisti” e “gli ebrei”. I primi tutti attaccati alla propria zolla di terra, i secondi cosmopoliti ecc.

    Ovviamente tu ne sai più di me, ma non si potrebbe leggere la cosa al contrario?

    Cioè che la “identità ebraica”, che fino a un secolo e qualcosa fa, significava anche regole rigorosissime di distinzione, era proprio un modo per resistere al destierro, anzi un intero sistema simbolico fondato sull’esilio come maledizione, e sulla creazione di regole che permettevano di vivere realtà come “nostre” (per citare Asturias) anche dove non si era tra i “nostri”?

    • Miguel Martinez scrive:

      Cioè, se analizziamo i vari elementi descritti da Asturias, credo che un ebreo del Seicento (un secolo a caso) poteva avere amici, parenti, cibo, divinità, lingua, feste, morti, brindisi, amori, almanacchi “nostri”… gli mancava, certo il cielo “nostro”, ma quello comunque era fortemente percepito come localizzato in un preciso altrove, la Terra Santa.

    • PinoMamet scrive:

      Nel Seicento non so, ma adesso questa distinzione tra “ebreo cosmopolita” e “leghista attaccato alla propria terra” (o peggiorativo, “zolla”) non mi sembra affatto che regga.

      L’attaccamento alle proprie vere, presunte, ricercate, ricreate, mitizzate “radici” (radici che devono affondare simbolicamente in una “terra”) è cresciuto in tutte le comunità “occidentali” di pari passo con l’effettivo sradicamento reale.

      Il Sionismo è certo stato più credibile del mito “celtico” dei leghisti come storia, ma soprattutto è stato più credibile perchè più efficace; però ultimamente lo si legge nel contesto delle varie ideologie nazionali, alla Mazzini; e in effetti quella leghista in fondo non è che una delle ultime di queste, farsesca fin che si vuole, ma come idea siamo lì: la ricerca delle proprie “gloriose radici”.
      Non a caso i leghisti vogliono come inno il Va Pensiero di Verdi, che parla di “Sionne”, mica di Varese. E la stessa “Sionne” era cantata con passione dai patrioti italiani, come ogni studente delle medie sa.

      Che Herzl fosse più credibile e serio di Bossi, vabbè, mi pare ovvio. Ma non si tratta di questo. Il fatto è che, cosmopolita, non voleva mica rimanerci!

      • PinoMamet scrive:

        Ho idea, insomma, che gli ebrei fossero visti nel passato non come il paradigma dell’ “allegro cosmopolita che sta bene dappertutto”, ma più come quello del “povero desterrado che bram di tornare alla terra avita”.

        Il che non impediva che, effettivamente, nella loro comunità avessero comunque una “terra” portatile…
        ce l’hanno pure gli zingari, in fondo!

      • Peucezio scrive:

        “Che Herzl fosse più credibile e serio di Bossi, vabbè, mi pare ovvio. Ma non si tratta di questo. Il fatto è che, cosmopolita, non voleva mica rimanerci!”

        Va anche detto che avevano molti più mezzi e più potere.

    • Peucezio scrive:

      “Semplifico brutalmente un concetto che mi pare di cogliere in ciò che scrivi.”

      Mi perdonerete se sarò molto più brutale e semplificatore di Miguel e farò il solito antisemita coi suoi luoghi comuni, ma a me pare che la Terra Promessa sia un’entità metafisica così come è iper-trascendente e lontano il loro dio: astrazioni funzionali all’alienazione.
      L’ebreo colloca il sacro in una dimensione remota e inattingibile per desacralizzare e svalutare il mondo, perché la cifra della sua essenza è l’alienazione, l’occaso del sacro, il materialismo: non avremmo potuto avere Marx e Freud senza Mosè.
      E così fa con la terra: se la propria terra è un luogo mitico e lontano, è relegata in un altrove assoluto, l’esilio, il destierro appunto è la sua condizione naturale e, quel che è peggio, è la condizione di cui si fa portatore nel mondo, che vuole imporre agli altri.
      Per questo io sostengo che il sionismo e lo stato di Israele sono la catastrofe dell’ebraicità, sono in un certo senso la sua abdicazione. In fondo, quando gli ebrei avevano i loro piccoli regni in Palestina, cosa contavano sulla faccia della terra? Oggi sono in tutto il mondo, ma se continua e si rafforza la pulsione verso il ritorno, sarà la rovina totale dei Palestinesi, ma sarà anche la rovina degli ebrei stessi (e forse sarà la salvezza del resto dell’umanità).

      • Francesco scrive:

        1) la prima osservazione che fai è quello che Benedetto XVI dice quando dichiara che il Cristianesimo è il vero Illuminsmo. Dall’animismo alla scoperta della trascendenza di Dio è, però, un grandissimo progresso per l’uomo, non una alienazione

        2) più che l’Ebreo, stai dipingendo il Cristiano, come Gesù e Paolo lo hanno descritto. “nel mondo, ma non del mondo”

        ciao

      • Peucezio scrive:

        Quindi Voltaire era cristiano e non lo sapeva.
        Immagino che valga anche per Carlo Marx.
        Perché bisogna stare attenti a non confondere il pretesto con il fine: il fine non è il trascendentismo, ma il materialismo: il trascendentismo non serve a innalzare Dio più in alto (un dio è già in alto) ma ad allontanarlo dall’uomo e dal mondo, quindi a liberare il mondo del divino.

      • Francesco scrive:

        x Peucezio

        perdona la mia ignoranza: mi stai rivelando che Voltaire e Marx credevano in un Dio trascendente?

        mi stupefai

      • daouda scrive:

        A Peucé la tua analisi è suggestiva ma anche la nascita delle tradizioni ha la sua fisiologica.
        Dal polo al sole alla luna tutte le tradizioni si sono modificate ed una tradizione non può sopravvivere se non si adatta.

        La tua deduzione è fallace perché Mosè non fà altro che adattare i principi alla realtà tenendo conto della congiuntura generale e del popolo a cui doveva riferirla.

        Che se ti preoccupi del fatto che gli ebrei contino, ma che ragionamento è? sei più ebraico degli àbbrei stessi…

        il trascendentismo che contesti, sono con te ( nel caso cristiano devi aspettare il rinascimento e la controriforma ) è speculare al naturalismo immanentista dei pagani.

        p.s. il sionismo , il reich ed il fascio erano grandi amichi

    • rosalux scrive:

      Anche io conosco una filippina: lavora a servizio in una casa borghese di conoscenti e ha una figlia quindicenne, coetanea del figlio della tipa da cui va a servizio , grande esperto di wii. Ogni tanto accompagna la madre per aiutarla a stirare e lavare: parla tre lingue, ama la chimica e non ha un solo volto inferiore al 9, a scuola. Pensi davvero che sia una eccezione? Ti posso assicurare che non mi riferivo agli ebrei, e che non ho la tua – non ti offendere – cristiana condiscendenza e pietà “d’ufficio” verso gli immigrati: comprendo la loro nostalgia, dove c’è, ma pretendo vengano naturalizzati subito in nome dell’interesse nazionale.

  29. mirkhond scrive:

    “il ducato farnesiano, poi borbonico, di Parma e Piacenza, aveva un’enclave (o forse un paio) in Italia centrale, non so più dove…

    il giornalaccio locale, anni fa, ci andò per un servizio, e vi trovò una comunità di discendenti di parmensi! che ancora parlavano una versione imbastardita/arcaica del dialetto di qua.”

    Penso che tu alluda al Ducato di Castro (1537-1649) primo nucleo del Ducato di Parma e Piacenza, e situato a nord di Viterbo al confine con la Toscana.
    Interessante la questione linguistica che hai citato e di cui fino ad oggi ignoravo l’esistenza.
    Dovrebbe trattarsi di coloni parmensi inviativi dai duchi nel periodo 1545-1649, anche se la cittadina di Castro al centro del Ducato omonimo, fu rasa al suolo nel 1649 per ordine di Papa Innocenzo X (1644-1655) della famiglia Pamphilj, nemica dei Farnese, in seguito a due guerre (1641-1644 e 1646-1649).
    Forse i coloni del parmensi erano distribuiti in vari centri del ducato, e ciò può aver causato la sopravvivenza della vostra parlata, sebbene via via romaneschizzata.
    Hai delle fonti più precise su questa colonia e sullo stato della sua parlata?
    Ho fatto qualche rapida ricerca ma non ho trovato nulla a proposito…
    ciao

    • PinoMamet scrive:

      Non ho trovato niente neppure io, ricordo solo un articolo molti anni fa, con interviste e tutto quanto.
      Se troverò altre informazioni naturalmente le segnalerò subito! Ciao!

  30. mirkhond scrive:

    Per concludere coi Farnese

    Stendhal trasse ispirazione per la sua Certosa di Parma da un manoscritto trovato a Roma, in cui si parlava delle vicende rocambolesche e ricche di intrighi e scandali, tipici della corte papale rinascimentale, e avente come protagonista proprio la famiglia Farnese col suo cardinale Alessandro (1468-1549), poi Papa Paolo III.
    Insomma Alessandro Farnese/Paolo III, fondatore dei ducati di Castro e Parma e Piacenza, sarebbe il personaggio storico che, col suo ambiente, avrebbe ispirato la saga di Fabrizio del Dongo, insieme alle coeve vicende napoleoniche e postnapoleoniche della “Padania” dell’epoca di Stendhal (1783-1839).
    Ciao!

    ps. Chiedo scusa al dottor Martinez per questa lunga e tediosa digressione fuori tema…

  31. mirkhond scrive:

    errata corrige: Stendhal (1783-1842)

  32. Miguel Martinez scrive:

    Per Annalisa Melandri

    “Ciao Miguel, grazie per la poesia, bellissima, e’ vero che Asturias l’ha scritta a Roma?”

    1) Grazie della tua apprezzatissima visita

    2) andate a dare un’occhiata al sito di Annalisa, forza 🙂

    3) non ho idea dove Asturias abbia scritto la poesia.

    4) se avete 11.000 e passa dollari da spendere, potete acquistare un ritratto di Miguel Angel Asturias (vabbe’, è arte un po’ strana) fatto da Rufino Tamayo, un pittore che era un amico di famiglia quando ero troppo piccolo per ricordarmi altro che il nome 🙂 http://www.christies.com/LotFinder/lot_details.aspx?intObjectID=3997464

    5) qui c’è un articolo sul rapporto di Miguel Angel Asturias con l’Italia http://www.cervantesvirtual.com/obra-visor/miguel-angel-asturias-en-italia-a-traves-de-sus-cartas–0/html/c32369de-134e-45b2-ab81-d6d5a904dc3b_3.html

  33. jam scrive:

    .. l’anoressia dello straniero non mi stupisce, anzi la conosco, lui che non vuole più nulla perché la sua terra é lontana, e porta sempre un’angolo di tristezza nel disegno dei suoi occhi.
    Ma, voltando pagina, pur continuando nell’anoressia anche paesaggistica, emotiva, sostanziale del desterrado, questo uomo- terra- nullius diventa una terra sublimata che non cerca, se nono ad essere trovata e ritrovata.
    Mangiava panini di anoressia alle spezie, quasi ogni giorno, purtanto capiva che senza questa strana dieta non avrebbe mai saputo cosi’ chiaramente qual’era la sua terra e cos’era la sua terra. Non voleva nemmeno sedersi sull’erba, perché non era quella di casa sua, e sempre scoppiava in lacrime sentendo altri odori salirle su per il naso, guardando certi paesaggi cascargli nello sguardo. Poi un giorno, andando al ruscello, qualcosa cambio’. La musica dell’acqua che scorreva, cantava la stessa canzone del ruscello accanto alla casa della nonna, nel quale lavava i vestiti della bambola quando era bambina. Cosi’ decise di essere cieca, di non guardare più il paesaggio, ma di accoglierne soltanto la tonalità, la musica, il suono. E le gocce di pioggia scrivevano intere sinfonie, e numerosi messaggi sul tetto della sua dimora, come parole che venivano da lontano, dalla sua terra forse! Allora ricomincio’ ad aprire gli occhi per sovrapporre i paesaggi e crearne degli altri dove poteva contemporaneamente vedere la sua terra, e quella dove si trovava in quel momento, come fossero tavolozze di sogni che chiedevano di essere vissuti…
    ciao

  34. Karakitap scrive:

    Per PinoMamet

    in primis auguri per la trattativa occupazionale (che assume quasi le caratteristiche di una semi-aliya, a proposito, spero che sia in una zona sicura), quando al passato di Parma, sono contento che che vi sia un buon ricordo dei regnanti pre-unitari, io mi eri firivo al fatto ch eper molti anni il termine “borbonico” era pressoché un un insulto, usato per indicare qualcosa di arretrato (quindi rivolto alle regioni del sud, ritenute meno sviluppate a causa dei regnati pre-1861).

    Per Mirkhond,
    anch’io ho conosciuto persone del nord (sia de visu che on line) che mi hanno onorato della loro amicizia e che stimo con tutto il mio essere, però, ecco, a volte mi trovo con loro nelle stesse condizioni che cantava Quasimodo alla sua interlocutrice di Lamento per il sud, come se dovessi ergermi ad apologeta di un gruppo di regioni che loro potrebbero vedere con gli occhi distorti dalla propganda leghista o comunque dagli stereotipi.

    Ciao

  35. Miguel Martinez scrive:

    Per Annalisa Melandri

    “azz… amico di famiglia di Rufino Tamayo? mitico Miguel!! Ciao.”

    Sono cose di cui non ci si rende bene conto, era un nome che sentivo in casa, ci aveva anche regalato un quadro (chi sa che fine ha fatto), ho un vago ricordo di averlo incontrato per strada assieme a mia madre.

  36. Miguel Martinez scrive:

    Per Serse

    “Come si fa ad aver voglia di visitare il sito di una che pensa che “desterrado” equivale a “migrante”?”

    Perché, conosci l’America Latina meglio di lei?

    La traduzione più precisa dovrebbe essere “esule”, ma ho voluto evitare questa parola, che toglie la carica letterale a des-tierro. Inoltre, desterrar ha anche altri sensi che mancano nella parola italiana “esiliare”, ad esempio “sradicare” (anche in senso letterale).

    • tra l’altro mai detto che desterrado equivale a migrante, e’ una sensazione piu’ che una condizione reale… puo’ voler dire molte cose, nel senso della poesia era appunto, esule, o migrante e mi riferivo non ai migranti volontari, quelli che vanno a studiare o a lavorare altrove per scelta, ma quelli che lo fanno per necessita’ economica, perche’ non hanno latra scelta e non sono molto diversi dagli esuli.

  37. Miguel Martinez scrive:

    Per Jam

    Beh, credo che tu sia la desterrada per eccellenza!

  38. Francesco scrive:

    Miguel

    gli emigrati italiani negli USA che ho conosciuto (così restiamo sull’esperienza concreta) non erano per nulla desterrados.

    perchè vivevano quell’esperienza come “costruirsi” il proprio posto, la propria parcella di terra, lontano dalla patria originaria ma andando a conquistarsene una nuova.

    e tornare in Italia era, quella sì, una vacanza, speciale ma una vacanza

    ciao

  39. mirkhond scrive:

    “Capisco ancora ancora i settentrionali, che lì si sentono abbastanza a casa, ma pugliesi, siciliani, che vengono dalla luce, dai colori, dalla bellezza, dal clima mite, che si esaltano all’idea di andare lì in mezzo, secondo me sono gravemente malati.”

    Allora devo esser davvero gravemente malato :)….
    Riguardo alle Montagne, ho sempre amato più gli Appennini (le montagne TUTTE italiane come diceva anni fa il piemontese di origine napoletana Bruno Gambarotta), non solo quelli meridionali, ma anche quelli delle aree tosco-emiliane-liguri che mi stanno a cuore nonostante tutto….
    Inoltre, proprio perché malato :), cerco la pace, e montagne boscose, così come il deserto mi attirano…
    Il casino non mi è mai piaciuto, nemmeno da ragazzo, anche se si paga il prezzo pesante della solitudine, perché alle donne le montagne non piacciono proprio e fare l’eremita accanto alla donna che vorresti, non è proprio possibile….
    ciao

  40. rosalux scrive:

    Rispondo qui a Peucezio, che sotto il suo post non riesco a fare il reply.

    Accolgo la provocazione e ti confermo che tutti i torti non ce li hai. Crescere fuori dalla cupola amniotica dei cielo dei tuoi padri, crescere in mezzo a divinità a te aliene (e vedere quanto sono il grembo amniotico di altri) crea nostalgia, difficoltà e alienazione. Ma il processo di individuazione passa attraverso l’alienazione, la auto-consapevolezza ne è fertilizzata. L’essere l’una e l’altra cosa, come necessariamente accade allo straniero, determina una necessità – per sfuggire alla follia – di armonizzare contraddizioni e di sviluppare un direttore d’orchestra più bravo (parlo dell’orchestrina che ci suona nella capa). Non è un caso che l’immigrato faccia tanta paura e che si cerchi di estraniarlo o omologarlo, e soprattutto di allontanarlo da qualsiasi forma di esercizio del potere politico: lo straniero è – potenzialmente – una forza. Conosce se’ stesso (e l’altro) con maggiore acume e proprietà, proprio grazie a quel processo di alienazione che a molti evoca lo spettro della perdita totale di se’.

    • Peucezio scrive:

      Capisco cosa intendi, ma io l’individuazione e l’alterità le intendo solo in senso intracomunitario e intraetnico, non intercomunitario. Hegelianamente potrei dirti che non concepisco altra dimensione della socialità e dell’interazione umana fuori dallo Stato, che però io intendo non in senso giuridico-formale, ma comunitario in senso premoderno (ma preferisco comunque di gran lunga lo stato moderno al cosmopolitismo contemporaneo).
      Ti potrei dire che l’uscita dal particulare della propria individualità e della propria famiglia si identifica con la dimensione civile, ma la dimensione civile appartiene appunto alla civitas, non all’umanità intera, perché, in quest’ultimo caso, si fa riferimento non a un’appartenenza storica ma di specie, quindi biologica, naturale, dunque si torna dallo stato civile allo stato di natura da cui siamo partiti.

      • rosalux scrive:

        Non è facile fare teorie su una specie che è praticamente neonata, ma è chiaro che se per comunicare tra roma e firenze hai giorni di cammino e non hai inventato la carta sei in una condizione diversa dall’avere qualche ora d’aereo con Tokio e zero secondi per inviare una mail. Tra me e un giapponese non ci sono solo similitudini di specie, ma anche culturali (non nego le differenze coi giapponesi, per carità). Non so, vogliamo rimpiangere il bel tempo andato, imprecare contro la globalizzazione? Possiamo farci esplodere o bruciarci come bonzi: facciamolo pure, ma il passato non torna più, proprio come la verginità perduta, e mentre imprechiamo e ci lagnamo e ci facciamo esplodere sono altri a stabilire i giochi nuovi: noi stiamo qui a rimpiangere il cavallo e l’aratro, invece che fare lobbying per – ad esempio – impedire il monopolio della tecnologia a poche enormi compagnie, o limitare gli infiniti conflitti di interessi che limitano la ricerca e la comunicazione. Non sarà meglio pensare ad una forma di cittadinanza diversa e adeguata al momento che stiamo vivendo? E per farlo non sarà ora di sfruttare gli strumenti che abbiamo?

      • Peucezio scrive:

        Siamo sempre lì: la storia va determinata, non subita, perché visto che la storia è un fenomeno umano, non casca dal cielo, rifiutarsi di determinarla non significa affisarsi a una sorta di destino sovrannaturale, ma soltanto consentire passivamente che siano altri a determinarla al posto nostro, con conseguenze che ricadono anche sulla nostra vita.
        Il progresso (e quindi anche la globalizzazione, che ne è la conseguenza ultima) non è un’entità metafisica; è il risultato di azioni e scelte. In realtà il progresso non esiste: ciò che chiamiamo progresso sono scelte che sono andate in un senso e sarebbero potute andare in un altro.
        Poi noi possiamo induttivamente analizzare la storia e individuarvi delle tendenze, delle costanti, ma sempre a posteriori, in quanto osservatori. Ma per fare ciò dobbiamo astrarci dalla nostra condizione di uomini nella storia e osservarla da fuori, come se non ci riguardasse. ma finché siamo vivi e siamo quindi agenti della storia, non solo osservatori, non possiamo chiamarci fuori, perché anche il non agire è una scelta e contribuisce a determinare la realtà, quindi gli sviluppi sono aperti, sono virtualmente infiniti e imprevedibili: la riprova di ciò sta nel fatto che tutti sono bravi a rilevare tendenze immanenti alla storia, a modellizzare, ma questi modelli sono buoni solo per il passato, ma quando si cerca di usarli per prevedere il futuro, appena ci si discosta dall’imminenza più immediata si fallisce miseramente, per cui fallisce la prova di verificabilità empirica.

        Tutto questo per dire che non siamo sovrastati da enti metafisici di sorta, che determinano la storia a priori.
        Le cose non si rimpiangono né ci si compiace del loro superamento, semplicemente si sceglie volta per volta ciò che si ritiene meglio. Per cui, se io prima ero immerso nell’acqua profumata e ora sono immerso in una vasca piena di merda, se non cerco di tornare all’acqua profumata sono un deficiente.
        la comunicazione di tutti con tutti, la possibilità di spostarsi da una parte all’altra del globo in poche ore sono il risultato di scelte, di atti, di gesti. Possiamo dire che va benissimo, ma dobbiamo prendercene la responsabilità senza ipocrisie, facendone una nostra scelta, nonn dicendo che è inevitabile, perché niente è inevitabile.
        La civiltà, per definizione, prevede dei cives. L’esistenza di cives implica necessariamente l’esistenza di stranieri, di non cives. Ciò dimostra che l’idea di una civiltà globale è una contraddizione in termini: la civiltà o è escludente (o nel senso che ci sono uomini non civili o, più probabilmente, che ci sono altre civiltà) o non è. Benissimo: possiamo scegliere lo stato ferino. Ma è una scelta e chi lo sceglie non si trinceri, per favore, dietro un’inevitabilità metafisica che non esiste.

      • Peucezio scrive:

        Non so bene la causa del corsifo finale. In generale in quest’interfaccia gestire i tag e la formattazione del testo è disagevole.

      • Francesco scrive:

        x Peucezio

        >> la storia va determinata, non subita

        mah, mi sembra un’affermazione più di buona volontà che di minima fattibilità.
        la possibilità per gli esseri umani di determinare la storia, dato il numero di fattori e la complessità e imprevedibilità delle relazioni tra i fattori, è zero
        non credo che possano farlo i “poteri forti” immaginari dai complottisti, nè movimenti di resistenza
        si possono ottenere risultati “locali” e si possono seguire principi di condotta universali (la carità cristiana) ma gli esiti sono fuori dalla nostra capacità di controllo
        si possono anche combattere battaglie culturali (che so, contro aberranti idee di manipolazione dell’umano quali il matrimonio omosessuale)

        di più non vale la pena fare, che non abbiamo idea dei risultati

        ciao

  41. mirkhond scrive:

    Se c’è proprio una cosa che devo rimproverare ai meridionali che vengono qua (con affetto, Mirkhond!) è che pensano sempre, come dire, di essere i primi che sono arrivati.
    E si immaginano un po’ di trovare degli orchi pseudoleghisti con l’elmo con le corna, il cui sport preferito è la caccia al terrone (scherzo, eh, è per rendere l’idea! 😉 ). Da cui certi atteggiamenti di difesa che sfociano in un certo “orgoglio terronico”

    Confermo l’atteggiamento, in quanto l’ho avuto anch’io tutte le volte che andavo in Piemonte dai miei parenti semiterronici, e ora che non ci vado più me ne pento, perché NESSUNO lì, a partire proprio dai Piemontesi doc, si è mai permesso di chiamarmi terrone o di offendermi in alcun modo, mentre il chiuso, il diffidente, quello coi pregiudizi che il mangiare fa schifo (dipende), le donne sono tutte dei cessi (dipende, come dappertutto), e frigide (questo non saprei dirlo perché non ho esperienza…), i paesaggi da depressione (anche qui dipende), e poi il Piemonte è il paese che ha unificato l’Italia col sangue e la sopraffazione (verissimo, ma quelli di oggi che c’entrano? E poi non c’è solo l’unità d’Italia e il risorgimento ma anche una storia antica e affascinante, quanto poco conosciuta al di fuori della regione, storia che ha non poco interagito con la nostra, e mi vengono in mente le marche Aleramiche e la dominazione Angioina nel Piemonte meridionale, le migrazioni “lombarde” in Sicilia e in Basilicata, ecc. ecc.)
    Poi certo, le persone diffidenti, sprezzanti le ho trovate anche lì, ma ripeto ci sono anche nel caloroso ed accogliente Regno che c’era un dì!
    Lo zio piemontese, che poi era di Bari, ma ha vissuto 60 dei suoi quasi 90 anni in Piemonte, sposato una piemontese e dato vita ad una famiglia meticcia, questo zio dicevo, quando gli chiesi se lo avessero mai apostrofato come terrone, mi rispose:
    Si, i figli dei TERRONI!
    ciao

  42. mirkhond scrive:

    errata corrige: il chiuso, il diffidente, lo sprezzante ero io

  43. fp40 scrive:

    Miguel, alla traduzione manca il verso XV della IV strofa:

    dormir en tumba que no es la nuestra,

    Mi sa che provo una traduzione in sardo, in cui il termine “desterrado” si traduce semplicemente con “disterradu”.

  44. tra l’altro mai detto che desterrado equivale a migrante, e’ una sensazione piu’ che una condizione reale… puo’ voler dire molte cose, nel senso della poesia era appunto, esule, o migrante e mi riferivo non ai migranti volontari, quelli che vanno a studiare o a lavorare altrove per scelta, ma quelli che lo fanno per necessita’ economica, perche’ non hanno atra scelta e non sono molto diversi dagli esuli.

    @ Serse, grazie! Ciao.

  45. roberto scrive:

    oddio, mi viene in mente mio padre che dopo 30 anni a bologna ad ogni pizza che mangiava diceva “ma non ha i colori ed i profumi della pizza napoletana”…ed io e mio fratello che da bolognesi fieramente adottati rispondevamo in coro come qui quo e qua “si ma napoli i tortellini buoni come qua te li sognavi”

    (il passato riferito a mio padre indica solo che adesso vive a roma e ha ritrovato colori e profumi, ad esclusione di mare e monnezza che non sono ripoducibili altrove)

  46. Mondo cane scrive:

    Mia suocera, desterrada giuliana, pola esattamente, non si sente perniente una migrante, sarà che migrante e esule non sono la stessa cosa?
    credo che il desterrado al quale si riferisce l’autore è quello del suo tempo e dei suoi luoghi, l’esule interno.
    Espropriati è calzante?

    Il migrante può tornare, l’esule è facile che non faccia più ritorno.

  47. Miguel Martinez scrive:

    Per Rosalux e Peucezio

    Mi diverte il confronto tra voi due, perché siete due persone molto intelligenti e corrette, per nulla sorde ai ragionamenti, eppure rigorosamente inerti nel senso fisico: l’uno sta fermo nell’Ancien Régime, l’altra si muove di moto rettilineo uniforme seguendo la Grande Freccia del Progresso, per entrambi l’effetto delle forze esterne è nullo.

    Ma forse oggi ciò che occorre è un po’ più difficile da descrivere in termini di fisica: diciamo che ci vuole la mossa del cavallo 🙂

    • Peucezio scrive:

      Io attendo che l’erosione del monopolarismo americano da parte delle potenze imperiali asiatiche emergenti faccia il suo corso. Non sarà l’Ancien Régime ma un’egemonia indo-sino-russa mi è più congeniale di quella americana.
      Ma si accolgono con interesse proposte alternative.
      Che seguano la fisica newtoniana cui hai fatto riferimento, quella relativista o quella aristotelica (che mi è più simpatica).

  48. Miguel Martinez scrive:

    Per fp40

    Miguel, alla traduzione manca il verso XV della IV strofa

    Grazie, ho risolto!

    “Mi sa che provo una traduzione in sardo, in cui il termine “desterrado” si traduce semplicemente con “disterradu”.”

    Bella idea. Visto l’alto livello dei commentatori, non ho assolutamente problemi se segnalate qui cose interessanti che pubblicate sui vostri blog, anche quando non sono strettamente in tema.

    Insomma, se fai la traduzione (o comunque se hai scrivi altre cose interessanti), facci sapere.

  49. Peucezio scrive:

    Sì, ma che cacchio ho combinato?!
    Ho fatto diventare corsivi tutti gli interventi dopo il mio! Come avrò fatto?
    Li vedo così solo io o anche voi?

  50. mirkhond scrive:

    No,li vedo in corsivo anch’io!

  51. jam scrive:

    …non capisco perché Francesco abbia detto che l’animismo, non ha trascendenza. Il concetto di trascendenza divina che esiste nel Cristianesimo, nel Buddhismo, nell’Islam ed in altre religioni esiste anche nell’animismo. L’animismo non é meno trascendente di nessuno, anzi! L’eroe mitico, nascosto nella roccia, nella pianta, nel tuonoo, nel fuoco, nello squalo, nel’ignam, nella lucertola ecc.. ha un’alta percentuale di trascendenza senza la quale non potrebbe essere, ere mitico, cioé emblema del clan cioè totem! Per gli animisti l’invisibile é più concreto del visibile.
    …e non capisco perché Peucezio dica che il trascendentismo serva a liberare il mondo dal divino, perché invece come sta scritto sul Corano
    “Da qualsiasi parte tu ti volga, li é la Faccia di Dio”
    quindi se nonostante la Sua trascendenza, Dio é ovunque questo significa che il trascendentismo non allontana Dio dal mondo, semplicemente é un concetto sottile, quasi etereo che sfugge a ragionamenti normali. Purtanto ha anche una pragmaticità tangibile: mette le cose al loro posto aprendo gli spazi metafisici all’anima dell’Uomo..
    ..é vero, ognuno di noi é potenzialmente un desterrado, chi non lo é non puo’ capire cosa sia una Terra. In fondo, la condizione di desterrado-esule-senza terra-migrante é la sola che riesca ad aprire la fase successiva, é la sola che faccia salire ed arrivare ad un’altra stazione o piattaforma psico-cosmica-stellare-illuminativa quella nella quale:
    LA SUA PRESENZA E’ LA MIA TERRA

    ( essere desterrado a volte é buffo; ti ritrovi a camminare con in tasca una chiave che apre la porta di una casa a non so quanti mila km di distanza, oppure hai fra i libri foglie di alberi lontani che incolli su quelle della nuova terra, affinché sappiano la dose di clorofilla che serve al tuo cuore per battere…)
    ciao

  52. Miguel Martinez scrive:

    Per Peucezio

    Ho corretto: chiudi male il corsivo. La formula corretta è questa (sostituire le parentesi a freccia a quelle tonde che uso io qui):

    (i) cives (/i)

    Tu invece hai fatto così

    (i) cives (i /)

    e così non chiudevi il corsivo che avevi aperto.

  53. Miguel Martinez scrive:

    Per Peucezio

    “Io attendo che l’erosione del monopolarismo americano da parte delle potenze imperiali asiatiche emergenti faccia il suo corso. Non sarà l’Ancien Régime ma un’egemonia indo-sino-russa mi è più congeniale di quella americana.”

    Non lo so, non sono in grado di fare profezie.

    Poi i nomi di luoghi (USA, India, Cina, Russia…) non hanno molto senso, o hanno un senso diverso, in tempi di flussi globali e delocalizzati.

    Non dimentichiamo però una cosa: che alcuni statunitensi possiedono un apparato militare invincibile e in grado di distruggere il pianeta varie volte; che alcuni statunitensi possiedono le chiavi del ciberdispositivo mondiale, nelle sue varie articolazioni tecniche e spettacolari.

    Ha potere, non chi “ha più soldi”, ma chi riesce a farsi dare i soldi, perché ha la pistola.

    • Peucezio scrive:

      Miguel, qui non si tratta di nomi di luoghi, ma di apparati statuali, in un senso non lontanissimo da quello tradizionale, ma che, cosa inedita nella storia, controllano miliardi di persone e strutture economiche, politiche e militari immense.
      E’ verissimo che il potere è di chi ha la pistola, più che di chi ha i soldi. E’ il motivo per cui l’Italia produce ricchezza ma non conta niente.
      Ma l’atomica crea una sorta di democrazia interstatuale (fra chi ce l’ha). E ovviamente, che tu abbia i mezzi per distruggere la Terra diecimila volte o venti volte poco cambia.
      I cinesi militarmente sono indietro e hanno una forza militare, anche sul piano tecnologico, risibile rispetto a quella americana. Ma hanno comunque l’atomica e stanno investendo nella tecnologia militare. Per cui, o gli Stati Uniti si sbrigano a scatenare la Terza Guerra Mondiale, per annientarli, ma rischiando di essere annientati essi stessi, oppure nel giro di qualche decennio la Cina li supererà anche militarmente.
      Semmai ciò che c’è da temere è il colpo di coda. Cioè che nel momento in cui gli americani (o meglio, il complesso economico-finanziario-militare che c’è dietro) si sentissero sul punto di venire scalzati, potrebbero tentare il tutto per tutto, scegliere l’autodistruzione (e la distruzione del pianeta) pur di evitare l’egemonia altrui. In fondo farebbero in modo accelerato e in un sol colpo, ciò che stanno facendo adesso gradualmente.

      Ovviamente questo scenario sino-centrico, per quanto probabile, non è sicuro, perché la storia è sempre una realtà aperta. Ma in ogni caso dobbiamo evitare di eternizzare il modello attuale, sia inteso come egemonia di un’etnia (anglosassoni, ebrei, bianchi nord-europei in genere), ma anche inteso come sistema (il capitalismo contemporaneo), perché è uno dei mille modi in cui l’uomo si organizza (o alcuni pochi uomini esercitano il potere sugli altri) e sarà superato, così come ne sono stati superati tanti.
      Oggi tutto fa pensare che l’egemonia futura sia asiatica e quindi legata a sistemi accentrati, di tipo imperiale, meno fluidi, forse un po’ orwelliani (aggiornati). Può essere che non sia così. In ogni caso non sarà come ora.

      • Francesco scrive:

        concordo, parzialmente, con Peucezio. l’atomica non è un’arma che si possa usare davvero da quando ce l’hanno avuta anche i sovietici, è diventata un elemento dello spettacolo

        Miguel, la tua osservazione sulla pistola cancella completamente Marx e ignora la fine dell’Unione Sovietica, che ha sempre avuto la pistola ma non aveva più i soldo nè le idee

        il gruppo di potere usano controlla un apparato militare convenzionale troppo costoso per l’economia che genera il potere del gruppo e quasi inutile nelle guerre attuali – i droni non sconfiggono i talebani [purtroppo per gli afgani]; una potenza atomica che non si può usare – salvo tendenze suicide; una valuta la cui posizione centrale nel mondo sta venendo lentamente ma inesorabilmente erosa

        ciao

      • daouda scrive:

        vi piace tanto cianciare eh?

        sarebbe bello un giorno sentire le merdate che sparate contro gli usa rivolte contro la cina.
        SAREBBE bello…

  54. Miguel Martinez scrive:

    per rosalux

    “non ho la tua – non ti offendere – cristiana condiscendenza e pietà “d’ufficio” verso gli immigrati”

    Non mi offendo… però veramente sono io l’immigrato. La mia cristiana condiscendenza la riservo a voialtri indigeni 🙂

  55. rosalux scrive:

    Peucezio: il progresso non è una linea che va dal peggio al meglio, ma dal semplice al complesso. Questo sia nell’evoluzione naturale che nell’evoluzione delle civiltà umane. Noi abbiamo la responsabilità di farla andare verso il meglio laddove ne abbiamo facoltà (e lì già è problematico, sono sicura che avremmo pareri molto diversi) ma ne’ io ne te possiamo qualcosa rispetto al movimento lineare verso la complessità. Al più è possibile creare una nicchia ecologica per far sopravvivere i panda contro la loro tendenza ad estinguersi, ma è impossibile far rivivere i dinosauri. I batteri, che sono gli organismi più antichi, restano però perfettamente funzionali. Spero che – nei limiti della metafora – si capisca cosa voglio dire rispetto al progresso: una qualche forma di inevitabilità va decisamente messa in conto.

    • Peucezio scrive:

      Anche questo sarebbe tutto da verificare.
      E’ in fondo un paradigma relativamente recente.
      In biologia l’evoluzionismo (che mi sembra di capire, è qualcosa di molto simile a ciò cui tu ti riferisci) ha molti punti deboli.
      Nella storia parrebbe che l’incremento di complessità sia una costante, ma anche questa non è un’acquisizione tanto vecchia e non è detto che sia quella definitiva, che ci dà conto davvero delle tendenze fondamentali dei fenomeni. D’altronde ogni teoria della storia ha i suoi punti deboli e in ogni caso noi ragioniamo in modo miope: conosciamo benissimo la storia recente, via via che ci allontaniamo, ne sappiamo meno, mentre sappiamo poco e niente di ciò che accadeva prima dell’invenzione della scrittura, o, per meglio dire, di forme di scrittura o comunque di fissazione delle idee che noi siamo in grado d’intendere e di decifrare. Cioè noi sappiamo molto sugli ultimi cinquemila anni e sappiamo pochissimo sulle centinaia di migliaia di anni che li hanno preceduti.
      Ed è anche una forzatura stabilire il livello di civiltà e di complessità solo dalla cultura materiale (l’unica che lascia delle vestigia che possiamo esaminare).
      Si pensi ai Greci, che dal punto di vista tecnologico non superavano in nulla gli altri popoli e civiltà dell’antichità, precedente e successiva, ed erano molto inferiori ingegneristicamente ai Romani, con le loro strade, acquedotti ecc. o agli uomini dell’Alto Medioevo, con le loro tecniche agricole molto più evolute ed efficienti, eppure i modelli matematici, logici, le categorie filosofiche fondamentali, i generi letterari, il teatro, praticamente tutte le basi immateriali della nostra civiltà le dobbiamo a loro.

    • daouda86 scrive:

      Peucezio , anche tu un imbonitore cò sto stantio “miracolo greco” ?

      Semmai è ai greci ( diversi dai pelasgi tirreni ) che dobbiamo la degenerazione para razionalista e naturalista

    • PinoMamet scrive:

      ” Si pensi ai Greci, che dal punto di vista tecnologico non superavano in nulla gli altri popoli e civiltà dell’antichità, precedente e successiva, ed erano molto inferiori ingegneristicamente ai Romani, con le loro strade, acquedotti ecc. o agli uomini dell’Alto Medioevo, con le loro tecniche agricole molto più evolute ed efficienti, ”

      Mmm in realtà non so se sono tanto d’accordo.
      Se parli dei Greci di età classica, naturalmente erano più indietro dei Romani di età imperiale (erano anche 5 o 6 secoli prima…);
      d’altra parte, i Romani non hanno fatto che ereditare e sviluppare (ma neanche troppo) tecniche e teorie del mondo ellenistico (Roma di fatto è una civiltà ellenistica, di lingua latina- e greca- e con caratteri peculiari, d’accordo, ma non diversamente da quelli di tante altre civiltà del bacino del mediterraneo).

      Sull’agricoltura dell’Alto Medioevo non sono preparato, ma mi stupirebbe che data l’evidente regressione tecnologica negli altri settori, l’Alto Medioevo disponesse di tecniche più avanzate… tutto può essere, per carità, solo che parlare in astratto non ha troppo senso specialmente in un ambito come quello agricolo, dove la condizioni ambientali sono significative, e dove tutto sommato la documentazione è assai scarsa (se il monaco carolingio teneva le viti in maniera diversa dal contadino-oplita ateniese, può essere che il monaco carolingio avesse scoperto qualcosa di nuovo, certo, ma può anche essere che:
      1- non lo avesse scoperto, ma imparato dal viticultore galloromano precedente, vallo a sapere;
      2-magari il suo tipo di viticoltura è adattassimo alla Champagne, e completamente inadatto all’Attica…)

      ciao!

  56. mirkhond scrive:

    Le risposte di Franco
    cardini alle domande dell’intervistatrice di un periodico cattolico

    13 Marzo 2012

    Quanto è lontana l’Europa di oggi dall’idea che avevano i Padri Fondatori?

    Per rispondere a questa domanda bisognerebbe sapere chi ne sono stati i padri Fondatori. L’Europa come idea geografica nasce nell’antica Grecia, come parte del mondo conosciuto è antica e medievale, come realtà distinta dalla Cristianità latina è figlia del processo di laicizzazione e si può dire che emerga solo nel Sei-Settecento, a partire dalle paci di Westfalia, come realtà costituita dal “consesso delle nazioni cristiane”. E’ solo col romanticismo, penso soprattutto al Novalis del Christenheit oder Europa, che cristianità ed Europa vengono proposte come sinonimi.

    Che ruolo hanno avuto i cattolici nella costruzione dell’Europa?

    I cristiani d’Occidente, ben presto in vari modi riuniti nell’osservanza romana e nella lingua liturgica latina (per quanto realtà locali, come la Chiesa celtica, abbiano sopravvissuto a lungo), hanno gradualmente costruito lo spazio geoculturale europeo attraverso il processo di cristianizzazione del mondo romanoellenistico prima, celtico, germanico, slavo e baltico più tardi. Le esperienze della sia pur imperfetta unificazione politica carolingio-ottoniana e di quella ecclesiale e disciplinare da parte della Chiesa di Roma si sono poi perfezionate nell’unità culturale e intellettuale raggiunta in pieno XII con il metodo scolastico, la diffusione delle cattedrali e delle università, il ritorno in Occidente di parte della cultura greca attraverso le traduzioni arabe ed ebraiche e del diritto giustinianeo. Dal punto di vista della coscienza identitaria religioso-intellettuale, l’Europa unita raggiunge la sua maturità tra XII e XIII secolo; maturità che viene tuttavia insidiata fin dal Due-Trecento dal sorgere delle monarchie feudali preludio degli stati assoluti e a partire dal Cinquecento dalla rottura dell’unità religiosa a causa della Riforma.

    Secondo lei perché non si sono mai volute riconoscere le radici cristiane dell’Europa?

    Vi sono delle resistenze da parte della cultura laicista, e in aprtte anche protestante, che ritengono che un riconoscimento delle radici cristiane potrebbe condurre alla negazione o alla sottovalutazione di altre componenti della dinamica culturale del continente: l’apporto classico grecoromano, quello ebraico sia attraverso l’Antico Testamento sia attraverso al cultura della diaspora, quello dei popoli barbarici originariamente non cristiani, quello dell’Islam. La rivendicazione delle radici cristiane d’Europa viene sentita come collegata a un’implicita riaffermazione del primato romano.

    A suo avviso il mancato inserimento del richiamo dei principi cristiani ha rappresentato il nervo debole dell’Europa?

    Ha semplicemente dimostrato quanto sia difficile conciliare il senso laico e l’esperienza tollerantistica che rappresentano parte della consapevolezza civica odierna con il sereno riconoscimento di un dato storico obiettivo, che – si teme – potrebbe mettere la cultura laicista e comunque non-cattolica in difficoltà. E’ una grave mancanza di consapevolezza della complessità e delle articolazioni presenti nella dinamica storica.

    In un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, cosa avrebbe comportato il richiamo alle radici cristiane?

    L’unità politica dell’Europa è stata un bel sogno: ma quel che si è costruito è l’Eurolandia, l’unità finanziario-economico-monetaria, oppressiva nella sua esclusività e appoggiata al Nulla sotto il profilo politico e culturale in quanto non si sono lasciate crescere autentiche istituzioni unitarie (federali o confederali che fossero), né abbiamo costruito un’unità che fosse anche giuridica, militare e soprattutto morale. Non abbiamo coscienza unitaria europea in quanto la scuola dei paesi aderenti all’Unione, negli ultimi cinquant’anni, non ha fatto nulla per preparare un senso civico europeo comune nelle giovani generazioni; non abbiamo né indipendenza né dignità sul piano della difesa, che abbiamo appaltato alla NATO, cioè a un organismo egemonizzato da una potenza extraeuropea. Sotto il profilo militare, l’Europa è occupata: anche se non si vedono militari stranieri in uniforme per le strade. Un richiamo esplicito alle radici europee avrebbe contribuito, in tempi di miseria e di disorientamento culturale, intellettuale e morale come quelli che stiamo vivendo, a dare un senso alla nostra coscienza unitaria, senza nulla togliere alle componenti del molndo europeo che s’ispirano ad altri credi religiosi. L’assenza di quersto richiamo accresce il senso di vuoto, di disorientamento, di carenza o assenza di valori che ormai è divenuto allarmante.

    La crisi economica secondo lei è anche crisi valoriale?

    Questa crisi economica è stata provocata senza dubbio da errate e disoneste manovre finanziarie, per quanto oggi la si stia facendo pagare alla gente che lavora. Ma il fatto è ch’essa si è impiantata su un diffuso sentimento edonistico-consumistico e su pratiche e stili di vita dalle quali erano state bandite la sobrietà, il senso del risparmio, la consapevolezza delle responsabilità di ognuno di noi nei confronti della comunità, in una parola il senso del limite. L’individualismo insofferente di qualunque forma di autorità, La pubblicità edonistica, la mancanza di freni inibitori etici e culturali, la diffusione della falsa idea secondo la quale tutti avrebbero il “diritto” di fare quello che vogliono, questa pratica di vita profondamente anticristiana che non voglio definire “pagana” perché delle cultura pagane ho il massimo rispetto, tutto ciò ha determinato una crisi economico-finanziaria che è essenzialmente conseguenza di una crisi valoriale profonda per troppo anni inavvertita e non ostacolata, anzi considerata parte integrante della “libertà”, della “democrazia”, del “progresso”.

    Un tempo si diceva che l’Europa fosse a due velocità o a geometria variabile. E oggi?

    Oggi si naviga a vista, cercando precipitosamente d’introdurre in termini forzosi un’austerità e un senso della rinunzia che, per essere accettati e sopportati, dovrebbero fondarsi su una solida coscienza etica e comunitaria: cioè esattamente su quel che il circolo vizioso profitto-sfruttamento-consumo ha quasi azzerato. Un solo esempio: il governo italiano attuale, che propone il raggiungimento del pareggio del bilancio con una cecità demenziale che non si vedeva dai tempi di Quintino Sella. Per troppo tempo si è fatto crescere la bolla del debito pubblico, che riposava su un proliferare irresponsabile di debiti privati necessari a far girare vorticosamente al macchina della produzione e dell’economia. Oggi, il mito del pareggio del bilancio rischia di azzerare come conseguenza lo stato sociale, di rendere irrisori gli ammortizzatori sociali, di costringere a restrizioni e a rinunzie inaudite un popolo che per lunghi decenni è stato illuso di poter continuare a vivere al di sopra delle sue possibilità prendendo tutto quel che voleva e pagandolo con guadagni futuri e incerti. Il governo di Quintino Sella, con la sua scrupolosa e pelosa “onestà”, dovette ricorrere all’imposta sul macinato, cioè a una tassa sulla miseria, per preservare invece il capitalismo stimato “produttivo” e per sostenere le troppo alte spese militari. Il risultato furono rivolte popolari sanguinosamente represse. Oggi, in un’Italia che non riesce a venire a capo della lotta contro l’evasione fiscale e si ostina a non dotarsi di un elementare strumento di equità come l’anagrafe patrimoniale, si rischia qalcosa di analogo. E’ evidente che, per uscire da una stretta del genere, i governi europei finiranno, insieme con quello statunitense, col ricorrere a un vecchio trucco: inventarsi una crisi internazionale che consenta ad almeno alcunis ettori della produzione di riprendere e alla gente di volgere gli occhi altrove, incolpando questa o quella potenza straniera di una crisi che ha invece origini domestiche. L’invenzione di un inesistente “pericolo nucleare iraniano” e la azioni statunitense e saudite intese a provocare un incidente internazionale nel golfo di Hormuz servono a questo: quando la tensione sociale cresce, una guerra esterna può deviare l’attenzione dei popoli e reincanalare il flusso dei profitti.

    Quali saranno secondo lei le sfide che in futuro dovrà affrontare l’Europa?

    Liberarsi dalle egemonie straniere e riprendere il percorso unitario a suo tempo già indicato da De Gasperi, da Adenauer e da Schuman, ma inibito dalla contemporanea questione della “guerra fredda” e portato appunto avanti solo dal punto di vista economico-finanziario. Per questo, è necessario ricominciar da capo e ricostruire da zero una coscienza civica europea e un patriottismo europeo che avrebbero già dovuto nascere quasi settant’anni fa, all’immediata fine della seconda guerra mondiale, ma che le potenze extraeuropee erano ben decise a impedire. Il patto di Yalta tra Roosevelt e Stalin, che spezzava in due l’Europa e ne eliminava perfino il nome (si parlava difatti di un “Mondo libero” ad ovest della Cortina di Ferro, di un “mondo socialista” ad est, contrapponendo le rispettive organizzazioni della NATO e del Patto di Varsavia) aveva il fine d’impedire per sempre una unità continentale europea. Senza la comune consapevolezza di questo brigantaggio e la ferma volontà di eliminarne le conseguenza, gli europei non vanno da nessuna parte.

    Senza il Cristianesimo, l’Europa ha futuro?

    Senza il cristianesimo, l’Europa ha un futuro non cristiano: esattamente come tutto il mondo. Molti stimano ciò un bene. Chi ritiene il contrario, deve impegnarsi affinché ciò non accada. Per ora, lo sviluppo della materialistica e ateistica società del danaro e del profitto sembra star conducendoci a esiti obiettivamente più spaventosi di quanto non abbiano saputo fare nazismo e comunismo. Noialtri europei non ce ne siamo ancora accorti in quanto apparteniamo nonostante tutto a quel 20% dell’umanità che detiene, gestisce e sfrutta l’oltre 90% delle ricchezze delle risorse umane e non riusciamo nemmeno a vedere più la catastrofe costituita dalle migliaia di persone, spesso bambine, giornalmente stroncate dalla fame, dalla sete e dalla malattie. Disinformazione e insensibilità morale su scala globale sono le nostre gravissime colpe, delle quali siamo ancora lontani dal prendere atto e dal renderci conto. Se lo facciamo troppo tardi, il risveglio sarà amarissimo.

    Franco Cardini

    http://www.francocardini.net

  57. daouda scrive:

    “In un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, cosa avrebbe comportato il richiamo alle radici cristiane?”

    Come lasciar intendere il falso dicendo il vero. Ebrravo Cardini!

    “Un tempo si diceva che l’Europa fosse a due velocità o a geometria variabile. E oggi?”

    Come uno storico perde l’occasione per evitare di stare zitto sforando su di cu campo in cui è una capra incompetente.

    p.s. senza tralasciare il fatto che Cardini è un paraRosso, paraIslamico, paraPagano, ma soprattutto un paraculo.
    Stay careful

  58. fp40 scrive:

    Vado OT (ma forse non tanto) per chiedere un tuo pensiero su questa iniziativa:

    http://vimeo.com/29772629

    http://vimeo.com/33073551

  59. Miguel Martinez scrive:

    Per fp40

    “Vado OT (ma forse non tanto) per chiedere un tuo pensiero su questa iniziativa:

    http://vimeo.com/29772629

    http://vimeo.com/33073551

    Bello. Nel senso che iniziative di questo tipo sono quasi sempre positive, a differenza di quelli di certi “paladini dei Rom” rumorosi e denuncianti.

    Di solito c’è un grosso e generoso impegno, per risultati piuttosto limitati: se mi ricordo bene, si tratta alla fine di cinque donne. Farà bene a loro, alle loro famiglie e a chi le aiuta, e non è giusto chiedere nulla di più, ma ovviamente non risolve la “questione Rom”.

    Poi è bello sentire (nel trailer) un po’ di Romanè, credo di variante Hashkalija (conservano la “g” dura davanti alla “e”, palatalizzata in altri dialetti), chiarissimo anche se non capisco quasi niente 🙁

    Una cosa che colpisce è come le donne siano ragazze, non solo di età, ma anche nei modi, pur essendo – come ricordano nel video – madri di numerosi figli. E’ una cosa che in effetti si nota a volte tra i Rom.

    Grazie comunque!

  60. Moi scrive:

    Sul velato razzismo dei Romagnoli e dei Bolognesi ho sentito qualcosa da miei concittadini

    Mirkhond
    ________________

    9 volte su 10 il “velato razzismo” [a tutti i livelli: burqato, niqabato, hijabato 🙂 ] dei Bolognesi e degli EmilianoRomagnoli i Meridionali se lo sono sempre cercato: manifestando simpatie politiche inopportune fra la DC o il PSI prima e Berlusconi poi … ! 😉 🙂

  61. Pingback: Oremus de su Disterradu « FP40

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