L’Islamofobia inventata, prodotta e distribuita

Questo articolo di Max Blumenthal, uscito il 18 dicembre e ripreso il giorno dopo da CBS News, costituisce sicuramente uno dei più importanti documenti sull’ondata di islamofobia organizzata sulle due sponde dell’Atlantico nel corso degli ultimi anni.

Un’ondata che sta cambiando il volto politico del nostro continente, e per certi versi anche quello degli Stati Uniti.

Max Blumenthal mostra come l’islamofobia di massa sia stata costruita diversi anni dopo l’11 settembre. E come sia il prodotto di un massiccio investimento di fondi da parte di persone che hanno nomi e cognomi.

È quello che sosteniamo da tempo: la xenofobia è un fatto naturale, soprattutto in tempi di crisi economica. Ciò che non è naturale è la focalizzazione di tutte le xenofobie  dell’Occidente su un unico obiettivo. Un risultato che è stato ottenuto con investimenti in lavoro e denaro davvero notevoli.

Max Blumenthal, figlio di un importante consigliere presidenziale dell’era di Clinton, è  un giovane giornalista e documentarista statunitense, che ha condotto diverse inchieste importanti. Le sue origini ebraiche non gli impediscono di guardare con distacco critico alla politica israeliana.

Il testo che segue è stato tradotto in italiano da Miguel Martinez.

Molte organizzazioni e personalità citate nell’articolo sono state trattate sul blog Kelebek sotto il tag islamofobia.

La grande crociata islamofoba

A nove anni di distanza dall’11 settembre, il nostro paese è nella morsa dell’isterismo contro i musulmani nella vita americana.

L’isterismo è stato accompagnato da attacchi incendiari contro moschee, campagne per impedirne la costruzione e l’accusa contro la comunità musulmana statunitense, nella grande maggioranza moderata, di essere un focolaio di potenziali reclute per il terrorismo. L’epidemia si è diffusa dalle campagne del Tennessee alla città di New York, mentre in Oklahoma, gli elettori hanno addirittura approvato a maggioranza schiacciante una proposta referendaria per vietare l’introduzione della Sharia nei tribunali americani, cosa di cui non si era mai immaginata la possibilità. La campagna islamofoba ha colpito politicamente il presidente Obama, in quanto un americano su cinque si è lasciato convincere dal coro sostenuto di voci false riguardanti la sua segreta fede islamica. E potrebbe aver inquinato anche il modo in cui vengono visti i musulmani in generale: nell’agosto del 2010, un sondaggio del Pew Research Center ha rivelato che le opinioni favorevoli verso i musulmani, tra gli americani, sono calate di 11 punti dal 2005.

A tanti anni dopo il trauma dell’11 settembre, questa esplosione di intolleranza antislamica potrebbe sembrare fuori tempo e sorprendentemente spontanea. Ma non è così: si tratta del frutto di una campagna organizzata e a lungo termine, diretta da una piccola coalizione di attivisti e organizzatori di destra, che hanno cominciato a concentrarsi sull’islamofobia poco dopo gli attacchi dell’11 settembre, ma hanno raggiunto una massa critica solo durante l’era di Obama. Fu allora che le forze conservatrici, arrabbiate e cacciate dal potere nelle elezioni del 2008, cercarono con notevole successo di fare leva sul risentimento culturale per ottenere profitto politico per la propria parte.

Questa rete è ossessivamente fissata con la presunta diffusione dell’influsso islamico in America. Il suo apparato attraversa i continenti, estendendosi dagli attivisti del Tea Party qui all’estrema destra europea. Riunisce in una causa comune ultrasionisti di destra, evangelici cristiani e teppisti di calcio inglesi. Riflette una sensibilità aggressivamente filoisraeliana, con le figure chiave del movimento che venerano lo Stato ebraico come una Fort Apache mediorientale in prima linea nella Guerra Globale contro il Terrore e incitano gli Stati Uniti e vari Stati europei a imitarne i metodi spicci.

La recente islamofobia americana (con un forte accento sulla “fobia”) è tutt’altro che casuale. Anni prima che le truppe d’assalto della Tea Party si riunissero per protestare infuriate davanti al sito proposto per un centro comunitario islamico a Manhattan, rappresentanti della lobby israeliana e l’establishment ebraico-americano avevano gettato i semi del futuro, lanciando una campagna contro l’attivismo filopalestinese nelle università. Ben presto, come forse era prevedibile, quella campagna si trasformò in una serie di crociate contro moschee e scuole islamiche che a sua volta attirò un gruppo assortito di militanti discutibili ma eccezionalmente energici.

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Aubrey Chernick

Oltre a fornire l’energia iniziale per la crociata islamofoba, gli elementi conservatori nella lobby filoisraeliana hanno pagato per l’apparato della rete, permettendole di influire sul dibattito nazionale. Un filantropo in particolare ha fornito i mezzi che hanno permesso di mettere in moto la campagna. Si tratta di un imprenditore poco noto di Los Angeles, attivo nel campo della sicurezza del software, di nome Aubrey Chernick, che opera attraverso una società di consulenza per la sicurezza che si chiama National Center for Crisis and Continuity Coordination. Si dice che Chernick, che in passato è stato un fiduciario del Washington Institute for Near East Policy – un think tank per l’American Israel Policy Action Committee (AIPAC), una lobby filoisraeliana da prima linea – valga $750 milioni.

La ricchezza di Chernick è poca cosa in confronto a quella dei miliardari fratelli Koch, giganti dell’industria mineraria che finanziano gruppi associati al Tea Party come gli Americans for Prosperity, ed è pochissima rispetto all’impero finanziario di Haim Saban, il barone dei media israelo-americano che è uno dei principali donatori privati del Partito Democratico e ha recentemente dato 9 milioni di dollari per pareggiare la stessa cifra raccolta in una sola serata per i Friends of the Israeli Defense Forces. Però iniettando il proprio denaro in una costellazione piccola ma influente di gruppi e individui con obiettivi ristretti, Chernick ha avuto un impatto considerevole.

Tramite la Fairbrook Foundation, un’entità privata controllata da lui e da sua moglie Joyce, Chernick ha fornito fondi a a una varietà di gruppi che vanno dall‘Anti-Defamation League (ADL) e CAMERA – una struttura di destra e filoisraeliana che si occupa di monitoraggio dei media – a coloni israeliani violenti che vivono su terre palestinesi e a personaggi come l’autore pseudoaccademico, Robert Spencer, in gran parte responsabile per aver reso popolari teorie complottistiche riguardanti la futura conquista dell’Occidente da parte di fanatici musulmani che cercherebbero di  instaurare un califfato mondiale.

Insieme, questi gruppi diffondono l’isterismo sui musulmani in comunità della Middle America in cui si sono insediati recentemente degli immigrati dal Medio Oriente, e hanno osservato compiaciuto mentre i repubblicani in prima linea per la futura presidenza, come Mike Huckabee e Sarah Palin, promovevano la loro causa e ripetevano i loro slogan. Ma ancora più sorprendente dell’improvviso successo dell’islamofobia è il fatto che fino a qualche anno fa, essa era confinata a qualche università e a un centro cittadino, e sembrava una moda che sarebbe presto scomparsa dal panorama politico statunitense.

Nasce una rete

La crociata islamofoba fu lanciata in piena forza durante il periodo culminante del prestigio di George W. Bush, quando i neoconservatori e i loro alleati erano all’apice del loro potere. Nel 2003, tre anni dopo il fallimento del tentativo del presidente Bill Clinton di risolvere la questione israelo-palestinese e nell’immediata scia dell’invasione dell’Iraq, una rete di organizzazioni ebraiche, dall’ADL all’American Jewish Committee all’AIPAC, raccolsero le forze per affrontare ciò che vedevano come un improvviso aumento dell’attivismo filopalestinese nelle università di tutto il paese. Quell’incontro diede origine al David Project, un gruppo attivo nelle università, diretto da Charles Peters, cofondatore di CAMERA, una delle tante strutture finanziate da Chernick. Con l’aiuto di professionisti delle pubbliche relazioni, Peters ideò un piano per “riprendere le università influenzando l’opinione pubblica attraverso conferenze, Internet e coalizioni”, come suggeriva una nota prodotta all’epoca dalla ditta di consulenza strategica McKinsey and Company.

Nel 2004, dopo un incontro con Martin Kramer, un membro del Washington Institute for Near East Policy, il think tank filoisraeliano in cui Chernoff aveva lavorato come fiduciario, Peters produsse un documentario intitolato Columbia Unbecoming. Era pieno di accuse da parte di studenti ebrei della Columbia University che sostenevano di essere stati intimiditi e insultati da professori arabi. Il film ritraeva il Dipartimento di Lingue e Culture Mediorientali e Asiatiche dell’università newyorkese come un vivaio di antisemitismo.

Nelle loro accuse, gli studenti prendevano di mira soprattutto Joseph Massad, un docente palestinese di studi mediorientali. Era noto per il suo appassionato sostegno alla formazione di uno Stato binazionale israelo-palestinese e per la forte critica a ciò che definiva il “carattere razzista d’Israele”. Il film lo identificava come “uno dei più pericolosi intellettuali del campus”, mentre veniva ritratto come il cattivo principale nel libro The Professors: The 101 Most Dangerous Academics in America, scritto dall’attivista David Horowitz, anche lui finanziato da Chernick. Siccome Massad era al momento alla ricerca di un incarico fisso, era particolarmente vulnerabile davanti a un simile attacco a tutto campo.

Mentre la disputa sulle opinioni di Massad si faceva più intensa, il deputato Anthony Weiner, un democratico liberal di New York che una volta si era presentato come il rappresentante della “ala ZOA [Zionist Organization of America] del Partito Democratico,” ingiunse al presidente della Columbia University, Lee Bollinger, noto come esperto sul tema della libertà di opinione, di licenziare il professore. Bollinger rispose con una dichiarazione insolitamente difensiva riguardo alla natura “limitata” della libertà di opinione.

Alla fine, però, nessuna delle accuse attecchì. Infatti, le testimonianze nel film del David Project finirono per essere screditate o non dimostrate. Nel 2009, Massad ottenne un incarico fisso dopo aver vinto il prestigioso Lionel Trilling Award dell’università di Columbia per eccellenza nella ricerca.

Avendo dimostrato comunque la propria capacità di intimidire i membri delle facoltà e persino i potenti amministratori universitari, Kramer rivendicò la vittoria morale, vantandosi con i media che si trattava di un “punto di svolta”. Quando il David Project in seguito aprì filiali nelle università di tutto il paese, il direttore puntò a un nuovo bersaglio – all’inizio, nelle strade di Boston nel 2004 per opporsi alla costruzione dell’Islamic Society of Boston Cultural Center.

Per quasi 15 anni, l‘Islamic Society of Boston aveva cercato di costruire un centro nel cuore di Roxbury, il distretto nero più grande della città, per servire una consistente popolazione musulmana. Con l’approvazione del sindaco Thomas Menino e dei principali legislatori del Massachusetts, la costruzione della moschea sembrava un fatto compiuto. Fino al momento in cui entrarono in azione il Boston Herald di proprietà di Rupert Murdoch, nonché la sede locale di Fox News, sempre di Murdoch. Entrò nel coro anche l’editorialista del Boston Globe, Jeff Jacoby, con una serie di servizi in cui sosteneva che i piani del centro facevano parte di un complotto saudita per rafforzare l’influenza dell’Islam radicale negli Stati Uniti e forse persino per addestrare cellule terroristiche clandestine.

Fu a questo punto che il David Project entrò nella mischia, raccogliendo elementi della comunità filoisraeliana nella zona di Boston, alla ricerca di strategie per sabotare il progetto. Secondo email ottenute dagli avvocati dell’Islamic Society in una causa contro il David Project, gli organizzatori decisero di dedicarsi a una campagna di cause legali vessatorie, accusando il centro di ricevere fondi dal “movimento wahhabita in Arabia Saudita o… dai Fratelli Musulmani.

In risposta, una coalizione di base di ebrei liberal lanciò sforzi ecumenici indirizzati a porre fine a una controversia che era stata essenzialmente costruita sul nulla e che stava corrodendo i rapporti tra le comunità ebraiche e islamiche in città. Peters però non volle cedere. “Siamo più preoccupati che mai a proposito dell’influenza saudita sulle moschee locali”, annunciò in una sinagoga nei sobborghi di Boston nel 2007.

Dopo aver speso milioni di dollari in spese legali e aver subito incessanti calunnie, la Islamic Society of Boston completò la costruzione del proprio centro nel 2008. Ovviamente, le cupe preoccupazioni del David Project non si concretizzarono. Come commentò il reporter per la zona di Boston della National Public Radio, Philip Martin, nel  settembre del 2010, “I racconti dell’orrore che hanno preceduto lo sviluppo del centro, visti con il senno di poi, sembrano urlati e istrionici”.

La rete si espande

Questa seconda campagna fallita, alla fine, era più mirata alla costruzione di un movimento che al successo, tanto meno alla sicurezza nazionale. La crociata locale stabilì un modello efficace per la generazione di isterismo contro la costituzione di centri islamici e moschee in tutto il paese, mentre galvanizzava un giro di personalità che avrebbero costituito la rete antislamica che avrebbe guadagnato attenzione e successo negli anni a venire.

Nel 2007, queste personalità si coalizzarono in un proto-movimento che lanciò una nuova crociata, questa volta prendendo di mira la Khalil Gibran International Academy, una scuola elementare laica arabo-inglese a Brooklyn, New York. Chiamando il loro gruppo di pressione costituito ad hoc Stop the Madrassahmadrassah è semplicemente la parola araba per “scuola” – la coalizione includeva una serie di individui zelanti finora sconosciuti, che non cercavano affatto di nascondere le proprie idee estreme riguardanti l’Islam in quanto religione e i musulmani in America. Il loro scopo dichiarato era di contestare la creazione della scuola con l’accusa di violare la separazione tra Chiesa e Stato prevista dalla Costituzione statunitense. Il vero scopo, però, era trasparente: spingere l’amministrazione della città ad adottare una posizione di antagonismo verso la locale comunità islamica.

Gli attivisti concentrarono il loro fuoco sulla preside della scuola, Debbie Almontaser, un’educatrice di origine yemenita con una lunga carriera alle spalle, etichettandola senza fondamenta come “jihadista” e “negazionista” dell’11 settembre. La accusarono anche, come scrisse Pamela Geller, una blogger di estrema destra che in quel momento stava acquisendo notorietà, di “occultare il genocidio contro gli ebrei”. Daniel Pipes, un accademico neocon già impegnato nelle campagne contro Joseph Massad e il centro islamico di Boston (e il cui think tank filo-Likud, Middle East Forum, aveva ricevuto $150,000 da Chernick) sostenne che la scuola non doveva andare avanti perché “l’istruzione in lingua araba è inevitabilmente carica di un bagaglio panarabista e islamista”. Quando la campagna cominciò a riscaldarsi, Almontaser fece sapere che i membri della coalizione la pedinavano ovunque andasse.

Alla luce di ciò che il docente della scuola di giornalismo della Columbia University ed ex-reporter del New York Times, Samuel Freedman, chiamavail chiaro curriculum pubblico di attivismo ecumenico e di approccio verso altre religioni” della signora Almontaser, compreso il suo lavoro con la polizia di New York e con l’Anti-Defamation League dopo gli attacchi dell’11 settembre, l’assalto contro di lei sembrava quasi bizzarro – finché i suoi aggressori non scoprirono una foto di lei che indossava una maglietta prodotta da AWAAM, un’organizzazione locale di femministe arabe, con le parole “Intifada NYC.” (“AWAAM fornisce alle giovani donne un’occasione per diventare attive come organizzatrici di comunità e produttrici di media, e quindi ‘intifada NYC’ è un invito a sviluppare il proprio potenziale, alla partecipazione civica e al pensiero critico nelle nostre comunità,” spiegò l’organizzazione dopo lo scoppio della controversia.)

Avendo scoperto un modo per infilare la questione emotivamente carica del conflitto israelo-palestinese in una campagna finora centrata su New York, gli oppositori della scuola ottennero spazio sul New York Post, di proprietà di Murdoch, dove i reporter Chuck Bennett e Jana Winter sostennero che la maglietta era “apparentemente un invito a un’insurrezione in stile Gaza nella Grande Mela”. Mentre Almontaser cercava di spiegare ai giornalisti del Post che lei era contraria al terrorismo, entrò nel coro l‘Anti-Defamation League. Il portavoce dell’ADL, Oren Segal, disse al Post: “La maglietta riflette un movimento che esalta sempre di più la violenza contro gli israeliani anziché respingerla. Si tratta di un fatto preoccupante”.

Prima che si potessero lanciare razzi Qassam dalla scuola della Almontaser, il suo ex-alleato, il sindaco di New York, Michael Bloomberg, cedette alla crescente pressione e chiese le sue dimissioni, portando il Dipartimento dell’Educazione dello Stato a licenziarla. Un preside ebreo che non parlava l’arabo sostituì la Almontaser, la quale fece causa al comune per aver violato la sua libertà di espressione. Nel 2010, la Commissione pari opportunità decise che il Dipartimento dell’Educazione dello Stato di New York, licenziando la Almontaser, aveva “ceduto agli stessi pregiudizi che la creazione della scuola aveva voluto scongiurare” e invitò a pagarle danni per $300,000. La commissione concluse inoltre che il Post l’aveva citata in maniera ingannevole.

Anche se non riuscì a fermare la Khalil Gibran Academy, il nascente movimento antislamico era riuscito a piegare i dirigenti cittadini ai propri voleri, e avendo imparato come farlo, si mosse alla ricerca di bersagli di più alto profilo. Come scrisse all’epoca il New York Times, “la lotta contro la scuola fu solo una schermaglia in un conflitto più grande, a livello nazionale”.La battaglia è appena cominciata”, Pipes disse a The Times.

Dalla truffa al colpo pubblicitario

Pipes aveva ragione. Verso la fine del 2009, gli islamofobi si lanciarono di nuovo in azione, quando la Cordoba Initiative, un gruppo islamico non-profit diretto da Feisal Abdul Rauf, un moderatissimo imam musulmano sufi che viaggia regolarmente all’estero come rappresentante degli Stati Uniti per conto del Dipartimento di Stato, annunciò che intendeva costruire un centro nel cuore di New York. Con l’aiuto dei propri investitori, la Cordoba Initiative di Rauf acquistò uno spazio a due isolati da Ground Zero a Manhattan. Lo spazio avrebbe dovuto ospitare uno spazio per la preghiera in un centro più grande, che sarebbe stato aperto a tutti gli abitanti del quartiere.

Questi fatti non interessavano a Pamela Geller. Grazie a continui attacchi sul suo blog, Atlas Shrugs, la Geller trasformò i piani per la costruzione di Cordoba in una questione nazionale, suscitando ferventi appelli dai conservatori per la protezione del “terreno sacro” dell’11 settembre dalla “Sharia che avanzava a piccoli passi”. Il fatto che la “moschea” sarebbe stata fuori dalla vista di Ground Zero e che nel quartiere ci fosse già di tutto, da club di spogliarelli a locali fast food, non importava. L’attivismo della Geller contro Cordoba House guadagnò alla cinquantaduenne blogger a tempo pieno l’attenzione che tanto desiderava, compreso un lungo profilo nel New York Times e frequenti citazioni nei notiziari, ovviamente, di Fox News.

I giornalisti mainstream tendevano a concentrarsi sulle bizzarre trovate della Geller che, ad esempio, aveva messo in rete un video di se stessa, in acqua sulla spiaggia di Fort Lauderdale, con uno string bikini, mentre inveiva contro i “sinistardi” e i “nazisti di Hezbollah”. Il suo appello per boicottare la Campbell’s Soup perché la ditta offriva versioni halal – approvate dalla legge islamica, come il cibo kasher è approvato dalla legge ebraica – dei propri prodotti le  guadagnò molta attenzione, come anche la sua promozione di un trattato che sosteneva che il Presidente Barack Obama fosse il  figlio illegittimo di Malcolm X.

La Geller non si è mai guadagnata da vivere come giornalista. Si mantiene con milioni di dollari ottenuti da un divorzio e dall’assicurazione sulla vita dell’ex-marito, morto nel 2008, un anno dopo essere stato rinviato a giudizio per una presunta truffa da 1,3 milioni di dollari condotta da una rivendita di auto di cui era comproprietario assieme alla Geller. Ricca e con tempo da perdere, la Geller si dimostrò assai abile nello sfruttare il suo curioso ruolo di star mediatica per istigare la rete politica già organizzata di islamofobi a intensificare la propria crociata.

Trasse profitto anche dalla stretta alleanza con i principali islamofobi europei. Tra gli alleati della Geller, c’era Anders Gravers, un attivista danese che formò il gruppo Stop Islamisation of Europe (SIOE), dandogli lo slogan insolitamente chiaro: “il razzismo è la forma più bassa della stupidità umana, ma l’islamofobia è il punto più alto del buon senso”. Il gruppo di Gravers ispirò l’organizzazione statunitense della Geller, Stop Islamization of America (SIOA) che lei costituì assieme al suo amico Robert Spencer, uno pseudostudioso proveniente dalla Gran Bretagna[1] i cui libri bestseller, tra cui The Truth About Muhammad, Founder of the World’s Most Intolerant Religion,  spinsero l’ex-consigliere di Richard Nixon e attivista musulmano Robert Crane a definirlo, “la guida principale nel nuovo campo accademico della caccia al musulmano”. Secondo il sito Politico, quasi 1 milione di dollari di Chernick sono stati indirizzati al gruppo Jihad Watch di Spencer tramite il Freedom Center di David Horowitz.

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Pamela Geller con Newt Gingrich

Fonti perfette per i politici repubblicani alla ricerca di casi eccitanti, la loro retorica entrò nei discorsi di Newt Gingrich e Sarah Palin che spinsero la crociata contro Cordoba House sul palcoscenico nazionale. Gingrich paragonò il centro comunitario a un simbolo nazista accanto al Museo dell’Olocausto, mentre la Palin lo chiamò una “coltellata al cuore della patria”. Nel frattempo, candidati del Tea Party come il repubblicano Ilario Pantano, un veterano della guerra dell’Iraq che aveva ucciso due civili iracheni disarmati, sparando loro 60 volte – si era anche fermato per ricaricare l’arma – fecero della propria opposizione a Cordoba House il punto centrale delle elezioni al Congresso condotte a centinaia di chilometri da Ground Zero.

La campagna della Geller contro la “moschea a Ground Zero” ha ottenuto un appoggio e una parvenza di legittimazione inattesi da leader ebraici riconosciuti, come il direttore nazionale dell’Anti-Defamation League, Abraham Foxman. “I sopravvissuti dell’Olocausto hanno diritto a sentimenti che sono irrazionali”, disse al New York Times. Confrontando i familiari in lutto dell’11 settembre ai sopravvissuti dell’Olocausto, Foxman affermò, “la loro angoscia li autorizza ad avere posizioni che altri qualificherebbero come irrazionali o piene di pregiudizi”.

Poco dopo, David Harris, direttore dell’American Jewish Committee (finanziato da Chernick), chiese che i direttori di Cordoba rivelassero il loro “vero atteggiamento” verso i gruppi militanti palestinesi prima che si avviasse la costruzione del centro. Il rabbino Marvin Hier del Simon Wiesenthal Center di Los Angeles, un altro importante gruppo ebraico, sostenne che sarebbe stato “insensibile” da parte di Cordoba costruire in prossimità di “un cimitero”, anche se la sua stessa organizzazione aveva recentemente ottenuto il permesso dal comune di Gerusalemme per costruire un “museo della tolleranza”, intitolato il Centro per la Dignità Umana, direttamente sopra il cimitero di Mamilla, un sepolcro islamico che conteneva migliaia di tombe vecchie anche di 1200 anni.

Traendo ispirazione da Israele

Il coinvolgimento di personaggi come Gravers e Spencer dimostra che la rete islamofoba negli Stati Uniti rappresentava l’espansione transatlantica di un risentimento covato in Europa. Lì, l’estrema destra stava trionfando in elezioni parlamentari in tutto il continente facendo appello ai sentimenti antislamici covati dagli elettori nelle comunità rurali e operaie. L’entità della collaborazione tra islamofobi europei e americani continuò a crescere, quando la Geller, Spencer, e persino Gingrich si schierarono a fianco della più eminente personalità antislamica d’Europa, il parlamentare olandese Geert Wilders, in una manifestazione contro Cordoba House.

Nel frattempo, la Geller dichiarava il proprio sostegno alla English Defence League, una banda di neonazisti non riformati e di ex-membri del partito per soli bianchi, il British National Party, che intimidiscono i musulmani in città come Birmingham e Londra.

Inoltre, la crociata islamofoba transatlantica è arrivata in Israele, un paese che è diventato il simbolo della lotta della rete contro la minaccia islamica. Come la Geller ha raccontato ad Alan Feuer del  New York Times, Israele è “un’ottima guida perché, come ho detto, nella guerra tra l’uomo civilizzato e il selvaggio, uno si schiera con l’uomo civilizzato”.

I membri dell’EDL sventolano regolarmente bandiere israeliane alle loro manifestazioni, mentre Wilders sostiene di essersi formato un’opinione sui musulmani lavorando in una cooperativa agricola israeliana negli anni Ottanta. Dice di aver visitato il paese più di 40 volte da allora, per incontrarsi con alleati politici di destra come Aryeh Eldad, un membro della Knesset e dirigente della corrente di estrema destra Hatikvah del Partito di Unione Nazionale. Ha chiesto il “trasferimento” forzato dei palestinesi residenti in Israele e nei Territori Occupati verso la Giordania e l’Egitto. Il 5 dicembre scorso, Wilders si è recato in Israele per un incontro “amichevole” con il Ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, e poi ha dichiarato in una conferenza stampa che Israele dovrebbe annettersi la Cisgiordania e istituire uno Stato palestinese in Giordania.

Nell’apocalittico scontro delle civiltà che la rete globale antislamica ha cercato di istigare, piccolissimi insediamenti ebraici armati come Yitzar, sulle colline sopra la città palestinese di Nablus, rappresentano fortezze in prima linea. Nella yeshiva di Yitzar, finanziata dallo Stato, il rabbino Yitzhak Shapira ha istruito gli allievi sulle regole da applicare quando si uccidono i non ebrei. Shapira ha riassunto la propria posizione in un libro ampiamente pubblicizzato, Torat HaMelech, o La Torà del re. Sostenendo che i non ebrei sono “privi di compassione per natura”, Shapira ha citato testi rabbinici per dichiarare che i gentili si possono uccidere per “frenare le loro malvage inclinazioni”. “E’ giustificato”, proclama il rabbino, “uccidere i bambini se è chiaro che cresceranno per danneggiarci, e in tale situazione li si possono colpire deliberatamente, e non solo nel corso di un combattimento contro adulti.

Nel 2006, il rabbino è stato fermato brevemente dalla polizia israeliana perché aveva istigato i propri sostenitori ad assassinare tutti i palestinesi al di sopra dei 13 anni. Due anni dopo, secondo il quotidiano israeliano Haaretz, egli firmò una lettera rabbinica a sostegno degli ebrei israeliani che avevano brutalmente aggredito due giovani arabi durante il Giorno della Memoria dell’Olocausto. Nello stesso anno, Shapira fu arrestato perché sospettato di aver partecipato all’organizzazione di un lancio di razzi contro un villaggio palestinese vicino a Nablus.

Anche se non gli vennero mosse delle accuse, il suo nome comparve di nuovo in relazione con un altro atto di terrore quando, nel gennaio del 2010, la polizia israeliana perquisì il suo insediamento alla ricerca di alcuni teppisti che avevano dato fuoco a una moschea della zona. Uno dei seguaci di Shapira, un immigrato statunitense di nome Jack Teitel, ha confessato di aver assassinato due palestinesi innocenti e di aver cercato di uccidere lo storico progressista israeliano Ze’ev Sternhell con un pacco bomba.

Ma cosa c’entra tutto ciò con le campagne xenofobe negli Stati Uniti? Parecchio, in realtà. Attraverso organismi non profit esenti da tasse con sede a New York, come il Central Fund of Israel e l’Ateret Cohanim, ad esempio, l’onnipresente Aubrey Chernick ha mandato decine di migliaia di dollari per sostenere l’insediamento di Yitzar e dei coloni messianici impegnati nella “giudaizzazione” di Gerusalemme Est. Il principale notiziario del movimento dei coloni, Arutz Sheva, ha pubblicato scritti originali della Geller. Un’amica di Geller, Beth Gilinsky, un’attivista di destra con un gruppo denominato Coalition to Honor Ground Zero e fondatrice della Jewish Action Alliance (che ha sede, a quanto pare, presso un’agenzia immobiliare di Manhattan), ha organizzato una grande manifestazione a New York nell’aprile del 2010 per protestare contro la richiesta dell’amministrazione di Obama di congelare la costruzione di nuove colonie.

Uno dei principali beneficiari dei finanziamenti di Chernick è un gruppo che si presenta come “apolitico”, denominato Aish Hatorah che sostiene di educare gli ebrei a proposito della loro cultura. Con sede a New York e attiva nelle paludi delle colonie della Cisgiordania settentrionale nei pressi di Yitzar, Aish Hatorah condivide sede e personale con una misteriosa organizzazione non profit chiamata Clarion Fund. Durante la campagna elettorale statunitense del 2008, il Clarion Fund ha distribuito 28 milioni di copie di un DVD contenente un film di propaganda intitolato Obsession come inserto nei quotidiani di quegli Stati in cui l’esito delle elezioni era in bilico. Il film presentava una sfilata di attivisti antislamici, tra cui Walid Shoebat, un autoproclamato “ex-terrorista dell’OLP”. Tra le affermazioni più ad effetto di Shoebat: “Una dottrina laica come il nazismo è meno pericolosa dell’islamofascismo oggi.” In un raduno cristiano nel 2007, questo “ex-terrorista islamico” disse alla folla che l’Islam era un “culto satanico” e che lui era rinato come cristiano evangelico. Ma nel 2008, il Jerusalem Post, un quotidiano tendente a destra, lo smascherò come un truffatore che si era inventato la storia di essere un terrorista.

I gruppi islamofobi ebbero un impatto solo marginale nelle elezioni del 2008. Due anni dopo, però, dopo la riconquista repubblicana della Camera dei deputati, la rete sembra aver raggiunto una massa critica. Chiaramente, il fattore decisivo nelle elezioni fu l’economia, e tra due anni, gli americani probabilmente voteranno di nuovo pensando al proprio portafoglio. Ma il fatto che la costruzione di un singolo centro comunitario islamico o la minaccia immaginaria della Sharia abbiano comunque potuto diventare questioni politiche riflette l’influenza che può esercitare un piccolo gruppo di attivisti che si dedicano a temi locali, e fa pensare che quando un certo candidato presidenziale che è già stato demonizzato come cripto-musulmano correrà per farsi rieleggere, i più rumorosi islamofobi potranno trovare di nuovo una piattaforma nazionale nella frenesia della campagna.

Ormai, la crociata islamofoba è andata oltre gli attivisti filoisraeliani di destra, i ciber-xenofobi e gli ambiziosi cialtroni che l’hanno ideata. Adesso appartiene ai principali candidati presidenziali repubblicani, ai più noti news host della televisione via cavo, nonché a folle di attivisti del Tea Party. Mentre il fervore si diffonde, i crociati si stanno beando nella gloria di ciò che sono riusciti a compiere. “Io non ho scelto il momento”, riflette la Geller nella sua intervista al New York Times, “questo momento ha scelto me.”

Nota del traduttore:

[1] Qui ci deve essere un errore: Robert Spencer è statunitense.

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28 risposte a L’Islamofobia inventata, prodotta e distribuita

  1. Moi scrive:

    Scusate, ma la storia di Obama Ebreo Falashah ? … è caduta nel vuoto subito ?

    Lo sostenevano Effedieffe e Holywar, se non ricordo male … in pratica cmq gli USA attaccherebbero il “Mond Arabo-Islamico” (anche se l’ Afghanistan non è certo arabofono ma ci viene messo dentro lo stesso) e vorrebbero attaccare l’ Iran (idem dell’ Afghanistan) soltanto per “Odio Talmudico” [sic] … il classico Petrolio è spiegazione molto più convincente, anche se non spiega perché non mettano direttamente le grinfie su quello del Sudan.

  2. Moi scrive:

    Morale della favola :

    l’ islamofobia è un prodotto di massa, la giudeofobia è un prodotto di nicchia. In entrambi i casi nessun consumatore accetta di essere definito “antisemita”.

  3. Miguel Martinez scrive:

    Per Moi

    Blumenthal è un giornalista, e quindi elenca fatti, senza trarne delle tesi ben definite.

    Si tratta di un giornalista piuttosto noto, che scrive nella lingua planetaria, per cui se i fatti fossero imprecisi, si troverebbe sommerso da denunce. E comunque, a parte l’attribuzione di un’origine inglese a Spencer, non trovo errori in ciò che ha scritto.

    Quindi, il problema per noi è cercare un senso a quei fatti.

    Da nessuna parte, parla di “odio Talmudico”, e non so dove hai trovato la frase. Parla di reti filoisraeliane, che sono una cosa diversa sia dal Talmud (?), sia da “gli ebrei”. Che sono semplicemente un gran numero di persone, dalle tendenze e dagli interessi più vari, accomunati da un vago autoriconoscimento culturale, oppure semplicemente da comuni antenati di cui a molti interessi poco.

    Personalmente, quasi tutti gli ebrei che conoscono sono antisionisti, per ovvi motivi di affinità con il sottoscritto: non vuol dire nulla statisticamente, ma comunque non mi sogenerei mai di fare l’equazione “ebrei=sionisti”. Anche perché gli ebrei ci sono in giro da secoli, il sionismo c’è in giro da poco più di cento anni, e solo da circa mezzo secolo ha un ruolo così importante tra gli ebrei organizzati.

    In Francia, cinque ebrei su sei non si interessano attivamente delle attività né delle organizzazioni ebraiche, né dello Stato d’Israele; e poco più di metà dei giovani statunitensi che si riconoscono come ebrei oggi dichiara di ritenere importante l’esistenza d’Israele. Che probabilmente un sondaggio tra gli evangelici darebbe risultati più alti.

    Premesso questo, le organizzazioni comunitarie ebraiche quasi sempre non sono solo filoisraeliane, ma credo che si dedichino di più all’attività di lobbying per Israele che alla riparazione dei cimiteri ebraici, a partire da quella italiana, in cui le elezioni interne sono state vinte da una lista che si chiama, non “per Pitigliano”, ma “per Israele”.

    Nelle organizzazioni comunitarie degli Stati Uniti, che sono oggi trainanti per motivi sia demografici che economici all’interno delle comunità ebraiche, predomina da anni una corrente di imprenditori che non ha nulla a che vedere con la cultura liberal, intellettuale e laica prevalente alcuni decenni fa; e che fa del sostegno a Israele il proprio punto di forza all’interno delle stesse comunità ebraiche.

    Questi sono fatto semplici e piuttosto evidenti a chiunque, visto che ne parlano anche autori mainstream come Jacob Neusner. E visto che Israele è un paese piccolo, con poche risorse, dipende in larga misura da questa rete, che ne condiziona in gran parte le scelte.

    Secondo punto, qui non stiamo parlando solo di idee, ma di idee promosse con milioni di dollari, di cui Blumenthal documenta solo una piccola parte. Milioni di dollari che provengono da diverse fonti, non solo dalle reti filoisraeliane certamente. Ma abbiamo individui, certamente molto capaci, che hanno milioni di dollari di motivi per scovare “delitti musulmani”, per smuovere i media, per tessere alleanze.

    Terzo punto, la lobby del petrolio. Attenzione, non stiamo parlando delle guerre neocon del 2001-2003, ormai ampiamente screditate, in cui il petrolio ha giocato un ruolo importante, ovviamente (anche se secondo me si svaluta il ruolo del complesso economico-militare nel suo insieme).

    Stiamo parlando di campagne per chiudere moschee o demonizzare migranti sul suolo statunitense; il Tea Party, ferocemente islamofobo, non ha alcuna piattaforma ufficiale per quanto riguarda la politica estera.

  4. PinoMamet scrive:

    Credo però che Moi inscrivesse la faccenda dell’ “odio talmudico” tra le idee di Blondet, non tra quelle di Blumenthal!

    • Moi scrive:

      Be’ sì, dici bene Pino … soprattutto m’ incuriosiva la storia di Obama Falashah, che voleva essere_ in teoria_ dalla parte dei Musulmani nel senso :

      “Attenti, pelle (relativamente) scura e presunti passaggi epocali da Neocon a Neodem e da Teocon a Teodem sono solo specchietti per allodole … non cascateci, sono sempre gli stessi imperialisti a servizio dei Sionisti !”

  5. mirkhond scrive:

    Per Miguel Martinez

    La ringrazio di ricordarci quanto profonda ed articolata al suo interno sia la galassia ebraica, che qualcuno, ancora oggi, si ostina a vedere come un blocco compatto e monolitico il cui fine ultimo sarebbe il dominio del mondo….
    Ebreofobia senza se e senza ma, a cui si affianca sempre più un’islamofobia di uguale e contrapposto stile, molto facile a recepirsi da tanti che non riescono a fare distinzioni….

  6. Miguel Martinez scrive:

    Per Mirkhond

    Credo che lo stesso discorso valga anche per gli israeliani, se li vogliamo distinguere dalla categoria generica degli “ebrei”.

    Penso che solo una minima parte di loro sappia chi sia Geert Wilders, per dire; o gliene importi qualcosa. In particolare tra la vasta popolazione di origine sefardita, che giustamente non condivide sempre le fisime di noialtri occidentali.

    Insomma, siccome non condivido l’idea di Bertinotti secondo cui Israele sarebbe un “luogo dello spirito”, non credo che gli israeliani, intesi in blocco ci abbiano dato Gesù o Einstein o Spinoza, ma nemmeno ci hanno dato Borghezio.

  7. rosalux scrive:

    Qua un articolo su Fort Hood, dove due criminologi, Fox e Levine (!), attribuirono la strage ad una reazione da stress dovuta al pregiudizio antislamico, trasformando il carnefice in vittima.

    http://www.examiner.com/gun-rights-in-austin/usa-today-fort-hood-caused-by-intolerance

    Interessanti sono le statistiche sugli hate crimes in USA, che per quanto concerne i mussulmani hanno sì avuto una impennata dopo l’undici settembre, ma sono rimasti ben sotto media rispetto ad altri gruppi etnici.

    Evidentemente lo straordinario lavoro di lobbying che denunciate tu e Blumenthal non ha avuto (e fammi aggiungere: grazie al cielo!) poi tanto successo.

    Mi chiedo invece, tu che sei in prima fila in questa guerra di civiltà: sai mica segnalarmi se ci sono tanti mussulmani che – al pari di Blumenthal e Levine – si sdanno per far vedere al mondo quanto lavoro di lobbying si fa da parte araba (a parte Allam, che però si è prudentemente convertito) : no, perchè i discorsi incendiari dei vari Imam, o i bambini palestinesi indotti in TV a recitare copioni dove si dice che gli ebrei sono cani da uccidere non sono un’invenzione del MEMRI, e anche la saldatura tra questione palestinese e identità nera, cucita con amorevole cura da lobbysti stile Farrakhan, sono roba vera, reale…e dimmi anche, se puoi: qualcuno arresta gli imam incendiari, nei paesi arabi, così come in IL si arrestano i rabbini incendiari?

  8. Ceffo. scrive:

    @ Moi: ” Scusate, ma la storia di Obama Ebreo Falashah ? … è caduta nel vuoto subito ?
    Lo sostenevano Effedieffe e Holywar, se non ricordo male …”.

    Da abbonato al sito di Maurizio Blondet devo dirti che ricordi malissimo: non mi risulta che alcuno tra gli autori di Effedieffe, Blondet o altri, abbia mai insinuato una simile scempiaggine.

    Quanto a Holywar, sito di crape pelate melaninodeficienti travestite da ‘cattolici tradizionalisti’, non lo frequento, quindi non so se l’abbiano inventata loro (ma mi sembra assai scorretto metterli nello stesso calderone insieme a Blondet).

  9. Ceffo. scrive:

    Re: Rosalux 12/26/2010.

    Povera Rosa Luxembourg (quella vera): si starà rivoltando nella tomba per lo scippo del suo nome da parte della nostra hasbarina disonesta.

    Non credo che alcun essere sensato o ragionevole possa mettere sullo stesso piano lobbies internazionali che incitano su scala mondiale all’odio per i seguaci di una religione dal centro del supposto ‘Occidente’ (la superpotenza statunitense) a fini di ‘guerra di civiltà’, e i poveri “imam incendiari” (tra l’altro, finanziati dai regoli dell’Arabia Saudita e degli Stati del Golfo, grandi amici della medesima superpotenza e di Israele) che blaterano le loro invettive per fare sbollire la rabbia di popolazioni sottoposte da più di sei decenni all’aggressione imperialista (sionista e angloamericana) e per impedire che tale rabbia si indirizzi contro gli stessi reucci e regimi arabi, vassalli degli aggressori…

  10. PinoMamet scrive:

    “si sdanno per far vedere al mondo quanto lavoro di lobbying si fa da parte araba (a parte Allam, che però si è prudentemente convertito) : no, perchè i discorsi incendiari dei vari Imam, o i bambini palestinesi indotti in TV a recitare copioni dove si dice che gli ebrei sono cani da uccidere non sono un’invenzione del MEMRI, e anche la saldatura tra questione palestinese e identità nera, cucita con amorevole cura da lobbysti stile Farrakhan, sono roba vera, reale…e dimmi anche, se puoi: qualcuno arresta gli imam incendiari, nei paesi arabi, così come in IL si arrestano i rabbini incendiari?”

    Mmmm, non so, ma io ho l’impressione che il lavoro di lobbying arabo-trattino-musulmano sia molto minore o perlomeno meno organizzato.
    Non credo sia un problema di soldi, che in teoria non mancherebbero.
    Ma non mi sembra di vedere tutta questa gente che fa a gara per aprire moschee da noi, ecco.

    Per Allam, dire che si è convertito “prudentemente” è un eufemismo (per usare un altro eufemismo!).
    Lui sosteneva invece di aver fatto qualcosa di rischiosissimo: andava in giro con la scorta.

    Saldatura palestinesi-neri: esistono i musulmani neri (come esistono, anche se in numero minore, i più antichi “ebrei neri” americani, dei neri americani che sono convintissimi di discendere dai “veri ebrei”: alcuni si sono spostati in Israele) ma quanto questo sia influente sulla questione israelo-palestinese, a livello di immagine, non saprei…
    da noi zero, ovviamente. Ma anche negli USA molto poco: non è che l’americano medio diventi filo-palestinese per via di Farrakan. Più facile il contrario…

    Infine, imam “incendiari” arrestati o perlomeno ostacolati sicuramente in Marocco, dove l’Islam è in salde mane regali. Ma credo anche in Tunisia.

    Ciao

  11. rosalux scrive:

    Ceffo: dubito che la vera Rozalia interpretasse le dinamiche del capitalismo alla luce di qualche conflittucolo etnico, strumentalizzandolo. Era – quel tipo di propaganda – prerogativa invece dei nazionalsocialisti. In fondo isolare i cattivi e attribuire a loro la scaturigine di ogni male è il cuore stesso della propaganda, quale che sia l’obiettivo dell’odio.
    Ed è questo blog, non il mio, che libera i leghisti che fanno cagare i maiali dove deve sorgere una moschea da ogni responsabilità, attribuendola direttamente ad un manipolo di giudei americani. Calderoli – uomo del popolo – virilmente odia lo straniero, come la sua natura comanda. Se però odia l’islam… la colpa è di Daniel Pipes.

    E’ qui che in ogni singolo post c’è un Cohen, un Levi, un Segre dietro a qualche malefatta – politica o di cronaca: il mio blog non si dedica a screditare l’Islam, non è lì che ad ogni assassinio, ad ogni attentato, ad ogni conflitto si getta merda su questo o su quello, puoi controllare. E Rozalia probabilmente non apprezzerebbe poi così tanto lo zelo di chi piega la storia ad un suo parziale e neppure così significativo rametto. Non dico che vedrebbe di buon occhio il mio nullo entusiasmo per il comunismo ma sospetto che aborrirebbe ancor di più questa lettura densa di pregiudizi – ma soprattutto limitata – della direzione e del senso della storia.

    Pino Mamet: diciamo che la fonte a cui si attingono le notizie cambia la visuale. Qua non sentirai mai dir nulla ne’ di Farrakhan ne’ di Calderoli: quelli sono uomini del popolo, al più sono strumentalizzati dai potenti. Qua il babau è ebreo. Punto. E’ il sionista, o al più l’amico del sionista. Ogni interesse l’oppressore, qui, è associabile ad un ebreo. Se leggi Fiamma Nierenstein scoprirai invece specularmente che gli ebrei sono agnellini, vittime che si difendono, e i mussumani dei mostri cattivi: e qualsiasi oppressore avrà per forza qualche interesse comune con il Nemico Universale Islamico. Sono due visioni parziali, che prendono delle singole verità e le fanno diventare strumenti universali di lettura dell’attualità, e sono ossessivamente (e infantilmente) medioriente-centriche.

    Peraltro la mole del materiale della propaganda antiebraica nell’Islam non è affatto esigua: è cospicua, sanguinolenta e organizzata. A fronte di un rabbino che dice che uccidere musulmani è opera pia, di imam ne trovi tremila e se vuoi trovare costituzioni fondate sull’odio devi sicuramente cercare dalle parti Hamas. Non che questo sia di grande importanza nella lettura del mondo: nulla cambiarebbe al mercato globale, alla mancanza di risorse, allo sfruttamento, alla crisi, all’inquinamento, insomma ai cazzi amari che ci troviamo di fronte, se mussulmani ed ebrei venissero cancellati dalla faccia della terra. Ripeto, fare del medioriente il tema primario è propaganda allo stato puro, benzina sul fuoco dell’odio.

  12. PinoMamet scrive:

    Rosa

    spero che tu legga ancora perchè visto che capiti qua di rado hai la tendenza a non rispondere ad alcuni miei messaggi. Vabbè.

    Però qui tu tocchi un tema che mi interessa e di cui vorrei parlarti, cioè quello della percezione sul Medio-Oriente e di come venga costantemente falsata.

    A differenza di te, non ho l’impressione che in questo blog ci sia “l’ebreo-babau” o che si pensi che dietro a ogni malefatta ci sia un ebreo: altrimenti non lo frequenterei.
    Ce ne sono, di blog così.
    Trovo addirittura noioso chiedere smentite a Miguel: il dubbio davvero può sorgere solo a chi frequenta il blog molto, molto saltuariamente.

    Però sono d’accordo con te nel notare come la percezione sul Vicino Oriente, e specialmente su Israele, sia costantemente falsata, nei media, in un senso o nell’altro.

    In Italia, nonostante negli ultimi tempi il “Nirenstein pensiero” abbia fatto adepti, direi che la percezione generale è abbastanza sbilanciata a favore dei palestinesi.
    Paradossalmente credo che la linea diciamo intransigente, senza sè e senza ma, del filosionismo “alla Nirenstein” o alla Debora Fait, abbia fatto più male che bene all’immagine di Israele in Italia.
    Negli Stati Uniti, che sono abbastanza più influenti dell’Italia, le cose sono completamente rovesciate.

    (Parliamo sempre di persone abbastanza istruite e preparate sull’argomento.
    L’uomo della strada penso ne sappia pochissimo.
    Alcuni amici israeliani, che studiano medicina qua, mi raccontano di compagni di corso italiani che si stupiscono di scoprire che gli israeliani sono ebrei, e che la loro lingua madre non è l’arabo. E si tratta di studenti universitari!
    Quindi, devo dare ragione a Moi quando dice che per l’uomo della strada è tutta una “faida tra inculacammelli”, nel suo modo di parlare colorito ma chiaro.)

    Ora, io non stento a credere che mi siano state raccontate parecchie balle, sul conto di tutta la questione palestinese; o anche se non proprio balle, perlomeno un modo di raccontare le cose parziale, e quindi non completo, e quindi fondamentalmente disonesto.

    Il problema è che non si può far cambiare opinione a una persona alla quale sono state raccontate balle, raccontandogliene altre di segno opposto. Si fa solo peggio.
    E purtroppo è questa la strategia scelta da molte aggressive organizzazioni filo-israeliane, a quanto vedo.

    Mi va benissimo sapere (lo sapevo già, ma dico per dire) della costante presenza ebraica nel territorio israeliano, o palestinese, o come vi va di chiamarlo.
    Mi sta benissimo che mi si insegni quanti palestinesi in realtà non sono proprio palestinesi. Ok.
    Mi va molto meno bene quando sento ripetere per l’ennesima volta la fola della terra senza popolo.
    Per fare un esempio.

    Poi bisognerebbe fare un check delle ignoranze incrociate, e confrontarle.
    Per esempio nell’antisionismo l’ignoranza è tipica degli strati più bassi, quasi hooliganistici. Quelli che credono ai Savi di Sion e all’odio talmudico, se non di peggio.

    Al contrario, sono stupito nel trovare in siti filo-sionisti o anche semplicemente di cultura ebraica, delle critiche al comportamento di questo o quel Papa che, anche quando sono condivisibili, mostrano un’ignoranza del pensiero cristiano che stride fortemente con l’impianto del resto dell’articolo, di solito ben documentato e scritto.

    E questo mi sembra il segno di una deriva reciproca che l’aggiunta di ulteriori strati di falsità, o di mezze verità, non può che far peggiorare.

    Ciao!

  13. Miguel Martinez scrive:

    Per Rosalux

    “Ceffo: dubito che la vera Rozalia interpretasse le dinamiche del capitalismo alla luce di qualche conflittucolo etnico, strumentalizzandolo. Era – quel tipo di propaganda – prerogativa invece dei nazionalsocialisti.”

    Guarda che è esattamente ciò che penso io. Cioè che il conflitto etnico, lo “scontro di civiltà” e tutto il resto, siano strumentalizzazioni e creazioni (abbastanza) artificiali: quell’abbastanza si riferisce proprio alle dinamiche del capitalismo e della società (distinguerei) che creano il terreno fertile per le strumentalizzazioni. E che distraggono, se vuoi, dalla “mancanza di risorse, lo sfruttamento, la crisi, l’inquinamento” ecc. che citi.

    Ora, siccome il campo in cui so qualcosa è questo – non oserei mettere becco ad esempio nella questione dell’inquinamento, per mancanza completa di qualcosa di originale da dire – parlo di questa strumentalizzazione.

    Insomma, alla casalinga di Voghera e al muratore pure di Voghera, ma nato a Rabat, cerco di dire, “vi stanno mettendo l’uno alla gola dell’altro, e ci rimetterete tutti e due. Adesso sorridetevi, e andate a chiedere insieme la chiusura dell’inceneritore che inquina la vostra comune città.”

    Per quanto riguarda la distinzione tra Calderoli e Pipes, non è una faccenda che mi interessi molto. Calderoli non so se è “uno del popolo”, comunque è un povero furbetto che capisce giusto ciò che gli serve per mantenersi a galla nella sua realtà di provincia, sfruttando astutamente i risentimenti e i pregiudizi della gente. Credo che ci siano già abbastanza blog dedicati a prenderlo in giro, e non avrei molto di originale da dire.

    Daniel Pipes – della cui eventuale fede religiosa non so nulla, per me potrebbe pure essere ateo o buddista – invece è una persona che ha studiato e gestisce milioni di dollari. Che non investe solo per farsi rieleggere a Montecitorio, ma per fare danni ovunque. Non so se sia umanamente peggiore di Calderoli, ma certamente è più pericoloso.

    Tu dici che c’è sempre un “Cohen, un Levi, un Segre”. Evidentemente sono i nomi che ricordi tu, tra i tanti che cito. Strache non credo proprio che sia ebreo, Geert Wilders e Sarkozy hanno qualche lontana ascendenza ebraica; Fabrice Robert, Guillaume Faye, Patrik Brinkmann, Ekeroth, Marine Le Pen credo proprio di no; Aryeh Eldad, Pamela Geller, Abe Foxman sono ebrei; Robert Spencer è cattolico; Rupert Murdoch è dichiaratamente non ebreo.

  14. Moi scrive:

    @ Ceffo :

    Faresti dei distinguo bizantini se ti dicessi “Odio Coranico” oppure “Mafia Maomettana” ? Immagino _ giustamente_ di no.

    … E allora perché dovrei farne io tra “Odio Talmudico” oppure “Mafia Giudaica” ?

    PS

    Hamas non dovrebbe arruolare né istigare i bambini, è solo egoismo mitomane degli adulti, anche quando i bambini israeliani firmavano le “bombe-regalo” per i loro coetanei palestinesi.

    Non sono un mistico come Jam, ma dubito che un Dio che è Bene Assoluto approvi tutto ciò, che lo si chiami “Allah” o “Yahvé” …

  15. Miguel Martinez scrive:

    Ancora per Rosalux

    Comunque, il tuo intervento è utile, perché mi fa riflettere sulla mia idea di un blog.

    Io non ho scritto nulla su temi importantissimi, semplicemente perché non credo che a nessuno interessi il mio punto di vista, cioè un semplice parere su questioni che altri conoscono molto meglio di me.

    Ad esempio, c’è un tema su cui sento fortemente, ma non scrivo, perché ci sono tanti che conoscono molto meglio di me l’argomento: il carcere e i CIE. Potrei solo dire delle banalità.

    Uso le mie limitate competenze, per cercare di dare informazioni e riflessioni originali. Ad esempio, le dimensioni internazionali della costruzione dell’islamofobia, su cui ci sono persone – come Max Blumenthal – che scrivono meglio di me, ma non in italiano.

  16. Ceffo. scrive:

    @ Moi: “Faresti dei distinguo bizantini”…

    Tu hai raccontato la bubbola che sul sito di Blondet si sarebbe detto che Obama è un ebreo falascià. NON è un ‘distinguo bizantino’ constatare che ciò non è vero.

    • Moi scrive:

      Non capisco il tono perentoreo e inquisitorio :

      SE fosse anche vero che Obama è un Ebreo falascià (ci sono anche quelli, credo solo holywar e stormfront, che hanno calcolato il tasso minimo che avrebbe nel DNA di Ebraicità falascià) … che male ci sarebbe ? Non sarebbe che una banale origine etnica !

      Ciò non toglie che fra chi ama il tormentone “Odio Talmudico” (… e non mi venire a dire che su Effedieffe non si parla mai di Talmud !!!) e chi ama il tormentone “Odio Coranico” NON vedo chissà quale differenza … per non dire nessuna.

      E che parli ossessivamente di “Quarto Reich” [sic] uno che stampa e ristampa Pranaitis, che ripropone un Cattolicesimo più Lefebvriano di Lefebvre, che presenta libri con titoli e copertine in perfetto stile Germania Anni’ 30; con Ebrei “mega-rinici” e corpo “aracnoideo” che tessono reti a forma di Maghen Dauid mentre sbavano pensando ai dollari … mi fa scappare da ridere, per non dire molto peggio !

    • Moi scrive:

      Sbaglio o il tuo carissimo Blondet nei primi anni ’90 (o giù di lì) condusse un dossier sui Naziskin (!!!) , titolo (a effetto e dal punto interrogativo sottinteso) ” I Nuovi Barbari ” che in fondo in fondo non era per nulla malevolo ? … a differenza di quei giovani odierni che stanno alla larga dalla politica e definiti a spregio “Selvaggi con il Telefonino” .

  17. rosalux scrive:

    Pinomamet: il fatto che sia una “faida tra inculacammelli” – per quanto ridicolo e offensivo – si avvicina ad una descrizione fedele della situazione assai più delle elucubrazioni di Martinez o della Nierenstein, e dei loro Nemici Universali. Ed entrambi – Martinez e Nierenstein fanno male alla “causa”, se la causa è la prosperità di chi in medio oriente ci vive: causa che non può che essere perseguita nella ricerca di una soluzione win-win e nella fine di uno stallo utile solo a creare proiezioni, fantasmi e paure vecchie e nuove nei cuori e nelle menti di gente che in medioriente non possiede neppure una capra, ma su cui destini si sente in dovere di pontificare e influire.

    Martinez: Mah, le tue sono vere proprie inchieste, che debbono costarti tempo, fatica e ricerche e vanno a parare su personaggi spesso abbastanza opachi e irrilevanti, se visti senza l’enfasi con cui li presenti e la centralità che attribuisci loro. Ovvio che se la lente d’ingrandimento la metti sui discorsi infiammati di Massad, invece che sulla signora Nessuno-Beth-Gilinsky,la prospettiva si rovescia…un giorno mi ci metto, ad imbastire legami tra questo e quel lobbysta filo arabo negli USA: non è una gran fatica, ma…a che pro? Voglio dire, premesso che ognuno ha gli interessi che ha, come fai a definire “irrilevanti” persone che di fatto hanno il potere di educare i tuoi figli, di ferire i tuoi amici, di decidere del tuo futuro, e che su cui puoi avere influenza… per occuparti incessantemente di gente che non ha – e presumibilmente non avrà – alcun impatto sulla tua vita?

  18. PinoMamet scrive:

    ” causa che non può che essere perseguita nella ricerca di una soluzione win-win e nella fine di uno stallo utile solo a creare proiezioni, fantasmi e paure vecchie e nuove nei cuori e nelle menti di gente che in medioriente non possiede neppure una capra, ma su cui destini si sente in dovere di pontificare e influire.”

    Rosa ti cito perché sono in questa tua affermazione perfettamente d’accordo con te.

    Ciao!!

  19. Daouda scrive:

    “Guarda che è esattamente ciò che penso io. Cioè che il conflitto etnico, lo “scontro di civiltà” e tutto il resto, siano strumentalizzazioni e creazioni (abbastanza) artificiali: quell’abbastanza si riferisce proprio alle dinamiche del capitalismo e della società (distinguerei) che creano il terreno fertile per le strumentalizzazioni. E che distraggono, se vuoi, dalla “mancanza di risorse, lo sfruttamento, la crisi, l’inquinamento” ecc. che citi.”

    Miguel non distraggono affatto dalla crisi , davvero caschi sul più bello?
    La stessa crisi è una distrazione!
    Gli stessi movimenti sociali sono distrazione!
    Lo stesso inquinamento è una distrazione!

    Perché nessuno ha un rimedio e guarda caso OGNI ORGANIZZAZIONE UMANITARIA ( o cos’altro ) ha i suoi scheletri nell’armadio , sheletri non di poco conto, ma legati logicamente alla strumentalità di tali artifici che critichiamo e vorremmo illuminare, scheletri “ontologici”.
    Il sistema vuole, foraggia , alimenta quello che vuole come quello che non vuole perché in definitiva neanche ha una volontà eppur volendo molto bene!

    Ecco perché mi fai sorridere nel tuo complottismo al rovescio.
    Inquadri sempre di lato.

    p.s.L’unico vero scontro di civiltà e tra le civiltà tradizionali e la modernità, prodromo della civiltà controtradizionale. Compreso questo , compreso tutto.

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Daouda

      ”L’unico vero scontro di civiltà e tra le civiltà tradizionali e la modernità, prodromo della civiltà controtradizionale. Compreso questo , compreso tutto.”

      Concordo completamente. Dobbiamo pero’ ancora molta strada, per liberarci delle tradizioni.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  20. Daouda scrive:

    Invero ce ne siamo già liberati!

    Comunque , effettivamente, c’è ancora da fare Andrea. 😉

    saluti

  21. Athanasius scrive:

    “Concordo completamente. Dobbiamo pero’ ancora molta strada, per liberarci delle tradizioni.”

    Impossibile. Semplicemente perchè anche una qualche presunta “liberazione dalla tradizione” ( o “dalle tradizioni”) diventa, con il tempo, una sorta di nuova tradizione.

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Athanasius

      ”impossibile”

      Beh, ci vuole uno sforzo continuo, no? Un jihad. Il prezzo della libertà è l’eerna vigilanza… 🙂

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  22. mirkhond scrive:

    Infatti. L’uomo non è nè tradizionalista, ne progressista al 100%.
    ciao

  23. Athanasius scrive:

    “Beh, ci vuole uno sforzo continuo, no? Un jihad. Il prezzo della libertà è l’eerna vigilanza…”

    Allora, inventare qualche nuova “tradizione” ogni dieci anni? 🙂

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