Di rioni e di ragni

“Ma Aracne, malgrado fosse nata da famiglia
umile e nell’umile Ipepe abitasse, con la sua maestria
s’era fatta un gran nome nelle città della Lidia.
Per ammirare la meraviglia dei suoi lavori, avvenne
che le ninfe del Timolo lasciassero i loro vigneti
e che quelle del Pactolo lasciassero le loro acque.
E non solo era un piacere ammirare i tessuti finiti,
ma la loro creazione, tanta era la grazia del suo lavoro.”

Ovidio, Le Metamorfosi

Siamo nell’Altro Rione di Firenze, lungo il Mugnone, tra le donne tessitrici che se ne prendono cura: le Curandaie, appunto. Che quando le ho scoperte, ho avuto la prova che non siamo soli. E il bello è che sono diversissime da noi.

Marianna la incontro la prima volta, che sta dipingendo farfalle su stoffa.

Indica il mio amico e con lucida certezza mi ingiunge, “lo voglio conoscere, presentamelo!

Il mio amico ha cinque secoli di storia alle spalle, di cui ottant’anni tutti suoi, e tutti questi anni fervono di entusiasmo quasi infantile. Giannozzo è seminatore di mondi, è contadino affascinato dai germogli e dalle anse dei fiumi e dall’infinita varietà della gente.

Marianna fa a Giannozzo,

“Lo sai che io faccio equitazione? E quando vado a cavallo, piccino, lui mi capisce e io capisco lui. Poi faccio gli acquerelli, e non sai quanto mi commuove la bellezza, mi vengono le lacrime. Io voglio diventare maestra di equitazione, far capire la distanza che ci deve essere tra un cavallo e un altro…Ecco ti faccio vedere la foto del mio cavallo!”

E sul telefonino, si vede lei su di un cavallo tutto bianco.

Mi rendo conto che Marianna è un po’ strana. Cerco di capire in cosa risieda questa stranezza. Non è nell’aspetto fisico; né nel linguaggio; né nella capacità di comunicare, Marianna comunica con occhi, parole, gesti, ironia.

Eppure sento che Marianna non è come noi.

Marianna è come vorremmo essere, vive la vita con una gioia e a una profondità che nessuna persona normale riuscirebbe a raggiungere. E se non ci fosse un Rione di Curandaie attorno a lei, i normali se la mangerebbero in un sol boccone.

Sono certo che la sua malattia deve avere un nome scientifico. Ce l’hanno tutte le malattie, no?

Saltiamo al nostro di Rione, il nostro fiume non è il piccolo Mugnone, è il grande Arno.

Sul Lungarno Santarosa, c’è un giardino, con le panchine.

E sulla prima panchina c’è sempre una donna nera, che ci si è costruita un mondo, fatto di teli e borse e qualche libro e che ha un gran vocione con cui ogni tanto la sento declamare in inglese versetti della Bibbia. Alla faccia del decoro urbano.

Io quando vedo gente così mi nascondo sempre, perché sono fragile, però sbircio e spio e vorrei capire, e ho paura dell’incontro tra la mia miseria e il loro bisogno.

Ieri vicino a lei c’era un uomo alto, nero anche lui, con una camicia bianca molto pulita, davanti a un telo.

Un quadro, dove tra sfumature di grigio, c’erano dei cuori abbozzati, e qualche piuma vera di piccione.

Guardo, e lui attacca subito discorso, e mi racconta che il quadro lo sta completando pian piano, e che vuole fare capire come contro la guerra, l’unica cosa che ci può salvare è il cuore, e mi parla di ciò che prova per l’Ucraina e per Gaza. E inizia a descrivermi il resto del quadro, che ancora non esiste, ma che già esiste dentro la sua mente.

Pesco in tasca e trovo la bellezza di ottanta centesimi di euro, gli dico, “non ti offendi?” e lui non si offende.

A questo punto, mi aggancia lei, la Donna della Panchina cui sfuggo. In inglese, mi chiede chi sono e da dove vengo, e le chiedo come si chiama.

Mi dice un nome lungo, una cosa tipo Kikiriku, che riesco a ripetere per una volta e poi mi dimentico, “ma mi chiamano Fatima“.

Sulle guance ha quattro cicatrici tribali.

“Io vengo dalla Danimarca, ma sono nata in Nigeria. E non posso più tornare in Danimarca.”

“Perché non puoi tornare in Danimarca?”

“Non lo so”.

“E perché vivi su questa panchina?”

Non voglio vivere in un’istituzione.”

“Vuoi essere libera?”

“No, è che ho paura di ammalarmi, tra troppa gente”.

Voglio tornare a trovare l’artista e vedere come procedono i suoi sogni e la sua guerra alle guerre, e vorrei capire anche i sogni di Fatima che non è Fatima che viene e non viene dalla Danimarca.

Però mi rendo conto che attorno a Marianna le donne-ragno hanno tessuto un rione, attorno a Fatima e al pittore di cuori, non c’è nessuno.

Come si fa a tornare a mani vuote, non con ottanta centesimi di euro, ma con la possibilità di guardarsi alla pari negli occhi e creare un Rione insieme?

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28 risposte a Di rioni e di ragni

  1. Lucia scrive:

    “e mi parla di ciò che prova per l’Ucraina e per Gaza”

    Pure in Oltrarno adesso 😉 dirottano i discorsi su questi due luoghi

    Sembrano strambe ma tranquille, dici che potresti invitarle nel vostro giardino?

  2. PinoMamet scrive:

    Ma siamo tutti un po’ strani!

    • PinoMamet scrive:

      Chissà se un giorno la scienza medica troverà un nome alla sindrome di ognuno.
      Davvero: non voglio sembrare troppo serio, ma c’è una tendenza alla medicalizzazione, o malatizzazione di tutto.
      Come se fosse previsto e voluto che fossimo perfetti.
      Ma perfetti che vuol dire?]

      • Ros scrive:

        Pino Mamet: “Ma perfetti che vuol dire?”

        Credo che lo Zeitgeist del menù del giorno fissa uno standard e tocca uniformarsi.
        Al chiodo che sporge spetta la martellata integrativa omologatrice a fin di bene.

        La licenza poetica Dress Code scapigliata
        che un tempo era appannaggio dell’Artista, del Foul, Giullare, del Brujo Sciamano, di essere e mostrarsi e dire come vuole quel che vuole, oggi pare voler essere democratizzata a tutti.

        Pare! Però! 🙄

        Poi, se sei troppo felice significa che sei euforico e ipomaniaco,
        se sei triste ti ci vuole lo zoloft… e così via su tutto, dentro e fuori

        Se sporgi un poco dall’uniformità del muro t’arriva la martellata riparatrice. Te la dai da solo a volte col Super’Ego.

        Standard bisogna farsi, programmati col giusto software

        Ma anche no😉😁😄

        Che poi nessuno in realtà ti chiede o vuole niente,
        se non te stesso per essere “giusto” come tutti gli altri.

        “Discorso sulla servitù volontaria” (Discours de la servitude volontaire o Contr’un) di Étienne de La Boétie, 1549

        • Ros scrive:

          «Vorrei solo riuscire a comprendere come mai tanti uomini, tanti villaggi e città, tante nazioni a volte, sopportano un tiranno che non ha alcuna forza se non quella che gli viene data, non ha potere di nuocere se non in quanto viene tollerato.

          Da dove ha potuto prendere tanti occhi per spiarvi se non glieli avete prestati voi?

          come può avere tante mani per prendervi se non è da voi che le ha ricevute?

          Siate dunque decisi a non servire più e sarete liberi!»

      • Moi scrive:

        @ PINO / PANISCUS

        Be’, sì … ho notato che l’ autismo da stigma è diventato Status Symbol ! NON scherzo : la “Neurodivergenza Vs Mondo Neurotipico” , con toni da Matrix e metafore Red / Blue Pill .

        In pratica è una “voce in curriculum” , il fatto d’ avere l’ autismo diagnosticato, che dà credibilità all’ Attivismo Impegnato da Socia … uno stigma in meno che persino un Maschio Bianco Etero Cis può togliersi 😉 !

        • Moi scrive:

          Anche perché ovviamente più punti “vittim*” hai,
          più puoi reclamare “Empowerment”.

        • Ros scrive:

          Moi: “Be’, sì … ho notato che l’ autismo da stigma è diventato Status Symbol ! NON scherzo : la “Neurodivergenza Vs Mondo Neurotipico” …”

          È da un po’ la cosa;
          Le serie TV dove ci sta sempre lo strambo Asperger geniale.

          O metti Sheldon Cooper.

          I cosiddetti bambini indaco, qualsiasi cosa significhi;

          Il fattaccio che t’hanno scoperto che se non vai bene a scuola e capisci poco e male allora è perchè sei un plus dotato d’intelletto

          https://it.m.wikipedia.org/wiki/Plusdotazione

          Neurodivergentemente sciroccato è bello!😃

          https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/pediatria/bambini-plusdotati-chi-sono-e-come-riconoscerli

          • Moi scrive:

            La scuola spesso fa un danno enorme … penalizzando la volontà di comprensione effettiva (!) mediante le supercazzole a raffica (spacciate per spiegazioni) che poi fanno odiare la materia.

          • PinoMamet scrive:

            “Il fattaccio che t’hanno scoperto che se non vai bene a scuola e capisci poco e male allora è perchè sei un plus dotato d’intelletto”

            sì, buona notte.

            Il fatto che alcuni di quelli che vanno male a scuola (ma anche alcuni di quelli che vanno bene!) sarebbero “plusdotati”.

            Realtà: mai avuto nessuno con una certificazione di “plusdotato” che andasse oltre la ferrea convinzione della mammina…. o la sua stessa 😉

            Ho avuto un DSA di cui la psicologa che ci ruppe le palle per un’ora di GLO diceva che “era più lento a scrivere ma più veloce a pensare” perciò i docenti non notavano niente di diverso dagli altri studenti, però dovevano lo stesso predisporre misure compensative, però lui non voleva usarle e quindi non si dovevano vedere…

            in pratica, scriveva esattamente come tutti gli altri, copiava spudoratamente dal compagno di banco e non capiva un cazzo.

            • PinoMamet scrive:

              Peraltro il “plusdotato” (che ci sia, ciascun lo dice…) non capisce poco e male, capisce presto e bene anche se sembra distratto.

            • PinoMamet scrive:

              Ripensandoci:

              in effetti mi sono ricordato che anni fa ho avuto una studentessa seguita dalla Normale di Pisa in quanto particolarmente dotata.
              Così ci informò la coordinatrice di classe.

              In effetti andava bene a scuola, senza eccellere tranne forse in un paio di materie.
              Era solo molto emotiva e leggerissimamente “stranina” ma con normali rapporti con i compagni di classe.

      • Mauricius Tarvisii scrive:

        “Chissà se un giorno la scienza medica troverà un nome alla sindrome di ognuno”

        Lo stanno già facendo. Ma, per compensare, stanno dicendo che non sono malattie.
        Potrebbe non essere un male di per sé (è solo la forma scientifico-sperimentale del vecchio “conosci te stesso”, alla fine), solo che mi pare che stiano raggiungendo una conclusione paradossale: negano che siano patologie, ma le classificano come fonti di bisogno, per cui suggeriscono che la società (dove per società intendiamo le organizzazioni: dalla scuola ai social network) deve mettere in atto meccanismi di inclusione.

  3. Roberto scrive:

    OT che interesserà solo habsb…oggi immigration a Boston fatta in esattamente 3 minuti!
    Non c’è più il formulario da riempire nel quale devi dichiarare di non essere terrorista e non portare droga, non c’è più il formulario per la dogana. Ci hanno fatto due domande (quanto restate? Portate cibo? Quanti dollari avete in contante?….benvenuti) e basta.
    Hanno anche tolto gli orribili controlli automatici!

  4. Peucezio scrive:

    Fantastica ‘sta cosa della dichiarazione di non essere terroristi e non portare droga.
    Quindi se poi invece compio un atto terroristico e spaccio un chilo di cocaina mi condannano non per la cosa in sé, ma per aver dichiarato il falso!

    • Roberto scrive:

      No ti condannano per la cosa in sé E per aver dichiarato il falso

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      E’ come quando nei processi americani chiedono all’imputato come si dichiara: se si dichiara non colpevole e poi è colpevole lo puniscono anche per quello.
      In Italia vale il principio per cui nessuno è tenuto ad accusarsi di un reato, per cui la cosa ci pare incomprensibile.

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