Un altro mondo esiste dentro di noi

Paul Cudenec è un pensatore e scrittore anarchico inglese, che seguo, anche sul sito di The Winter Oak (e poi ha scritto un romanzo su Firenze, che spero di leggere presto).

In questo testo, apparso sul blog di Cudenec, l’autore ha colto secondo me qualcosa di fondamentale, esprimendolo in maniera molto chiara.

I nostalgisti evocano una visione del passato in cui le persone vivevano pacificamente e felicemente in piccole comunità, vicine alla natura, libere da interferenze esterne, producendo quanto basta per i loro bisogni collettivi e organizzandosi in uno spirito di mutuo aiuto e solidarietà sociale.

Gli idealisti, d’altra parte, sognano un futuro in cui le persone vivono pacificamente e felicemente in piccole comunità, vicine alla natura, libere da interferenze esterne, producendo quanto basta per i loro bisogni collettivi e organizzandosi in uno spirito di mutuo aiuto e solidarietà sociale.

Nel pensiero anarchico (e in quello di alcuni altri ambienti di sinistra) si afferma spesso che queste visioni idealistiche, del passato e del futuro, siano in realtà la stessa visione.

Ma qual è l’originale? Quando romanticizziamo il passato, stiamo proiettando su di esso le nostre speranze per il futuro?

Oppure si tratta di basare i nostri sogni sul futuro su un passato romantico mitizzato?

In realtà, direi né l’uno né l’altro. Ciò che “proiettiamo” in entrambi i casi è un archetipo di come pensiamo che la società possa essere organizzata.

È una “forma ideale” (per usare un termine neoplatonico immensamente fuori moda), una sorta di modello astratto.

Naturalmente, la vita reale non corrisponderà mai esattamente all’ideale, motivo per cui i tentativi di dimostrare che questo modello è esistito in passato saranno sempre problematici.

Questo è anche il motivo per cui le persone sono spesso scettiche sul potenziale che possa diventare reale in futuro – sappiamo tutti che la vita reale non è mai perfetta.

Ma questa società ideale esiste – a un livello astratto nella mente collettiva della specie umana.

È una possibilità, come un modo in cui le persone potrebbero vivere, se lo desiderassero.

Inoltre, è il modello del modo in cui dovremmo vivere.

Questa nozione ideale di come la società dovrebbe essere organizzata è innata. Fa tanto parte della psiche umana quanto l’idea di vivere in una mandria fa parte della psiche del bestiame, o costruire dighe fa parte della psiche del castoro.

Poiché noi, come esseri umani moderni, siamo stati educati a pensare che tutte le conoscenze debbano essere apprese, possiamo dimenticare che questo non sia il caso della natura nel suo insieme.

Anche quando non hanno avuto la possibilità di imparare dal comportamento dei loro genitori, altre creature sanno, istintivamente, come affrontare la propria vita.

Un cuculo nasce con conoscenza. Anche noi.

I cuculi, per esempio, sono nati, nel nido di un’altra specie, sapendo dove trovare i loro terreni di svernamento africani, grazie a quello che gli scienziati chiamano un “programma di migrazione innata”.

Gli esseri umani sono certamente meno controllati dal comportamento istintivo. Noi, come i babbuini e le altre scimmie (come descritto da Eugène Marais) siamo stati in grado di separarci dall’istinto in una certa misura e siamo quindi più liberi di adattarci a circostanze esterne.

Ma quegli istinti sono ancora dentro di noi da qualche parte, anche se non controllano necessariamente il nostro comportamento.

Le nozioni di cosa sia esattamente “giusto” o “sbagliato” possono, ad esempio, variare tra le culture, ma l’idea generale di giustizia – che esiste qualcosa come “giusto” e “sbagliato” – è condivisa da tutti.

Kropotkin, nella sua Etica, ha scritto che “il senso di aiuto reciproco, giustizia e moralità sono radicati nella mente dell’uomo con tutta la forza di un istinto innato”.

Anche se alcuni individui e gruppi hanno superato questo impulso a favore di uno stretto interesse personale, il desiderio collettivo di solidarietà, libertà, autonomia e uno stile di vita naturale rimane innato alla specie umana nel suo insieme.

Questo è il motivo per cui questo ideale – che oggi potremmo chiamare anarchia o socialismo autentico – continua a ripetersi nel corso della storia.

Questo è anche il motivo per cui l’élite al potere egoista deve dedicare così tanto tempo e risorse a screditare e sopprimere questo ideale.

Se diventasse una realtà fisica, perderebbero tutto il loro potere, status e ricchezza.

Quindi fanno tutto il possibile per impedirgli di emergere alla superficie della mente collettiva e ispirare le persone a una rivolta potente e inarrestabile contro le infrastrutture innaturali che ne ostacolano la realizzazione.

 

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39 risposte a Un altro mondo esiste dentro di noi

  1. Mirkhond scrive:

    “Questo è anche il motivo per cui l’élite al potere egoista deve dedicare così tanto tempo e risorse a screditare e sopprimere questo ideale.

    Se diventasse una realtà fisica, perderebbero tutto il loro potere, status e ricchezza.

    Quindi fanno tutto il possibile per impedirgli di emergere alla superficie della mente collettiva e ispirare le persone a una rivolta potente e inarrestabile contro le infrastrutture innaturali che ne ostacolano la realizzazione.”

    Dopo 300 anni di sanguinosissimi fallimenti, questi non si arrendono all’idea che siamo feriti dall’imperfezione egoistica, quella che i teologi cristiani chiamano il Peccato Originale?

  2. Mirkhond scrive:

    “Le nozioni di cosa sia esattamente “giusto” o “sbagliato” possono, ad esempio, variare tra le culture, ma l’idea generale di giustizia – che esiste qualcosa come “giusto” e “sbagliato” – è condivisa da tutti.

    Kropotkin, nella sua Etica, ha scritto che “il senso di aiuto reciproco, giustizia e moralità sono radicati nella mente dell’uomo con tutta la forza di un istinto innato”.”

    Come mai questa idea del giusto e dello sbagliato è inscritta dentro di noi?
    Da dove deriverebbe secondo il pensiero anarchico?

  3. Z. scrive:

    Secondo me il senso di aiuto reciproco etc. non è che uno degli istinti radicati in noi. Allo stesso modo, sono radicati in noi molti altri istinti divergenti e talvolta diametralmente opposti.

    L’idea in fondo mi sembra la solita. Sintetizzando e scusandomi per questo: l’uomo è buono e sono le élite malvage – piombate da Marte – a renderlo cattivo.

    Non mi sembra un’idea nuova, e a differenza di quanto si potesse credere due o tre secoli fa non mi sembra neppure facile da rivendere…

    • Miguel Martinez scrive:

      Per Z

      “Secondo me il senso di aiuto reciproco etc. non è che uno degli istinti radicati in noi.”

      Concordo.

      Quello che mi piace di Cudenec è il radicare la politica nella natura, e non – come si tende a fare – in una fumosa “cultura” (che è semplicemente una delle espressioni della natura umana): la “polis” non è né una “nostalgia romantica” né una “fantasia futurista”.

      Il modello comunitario che lui descrive è qualcosa che è inscritto nel nostro DNA (la più orribile espressione giornalistica immaginabile, ma qui lo intendo letteralmente), assieme a molte altre cose, anche in contraddizione.

      • paniscus scrive:

        Che gli istinti di collaborazione di gruppo, di empatia verso gli altri e di stabilire (nel bene e nel male) relazioni simili a quelle della politica e della diplomazia, abbiano una base biologica, è da diversi decenni che numerosi scienziati (genetisti, zoologi, etologi, antropologi e neuroscienziati) lo affermano in chiaro.

        Il primo che mi viene in mente è Frans de Waal, ma chissà quanti altri ce ne sono…

      • Peucezio scrive:

        Miguel, Lisa,

        sì, sì, non dico di no.
        Così come per fare una casa ci vogliono i mattoni, ma la casa non sono i mattoni, è il disegno, la struttura.
        Il nostro sostrato biologico è la materia prima della cultura.
        Ma la cultura trascende incommensurabilmente la sua materia.

        Infatti la comunità, quand’anche (e non ho motivo di dubitarne) sia riconducibile biologicamente a un istinto empatico e relazionale dell’uomo, reprime e disciplina altri istinti, quindi seleziona.
        E’ in questa selezione tutto ciò che di buono c’è il noi e nel mondo e questa selezione trascende la biologia, infatti ne accetta dei pezzi e ne rifiuta altri (o comunque li riplasma).

    • Miguel Martinez scrive:

      Sempre per Z

      “L’idea in fondo mi sembra la solita. Sintetizzando e scusandomi per questo: l’uomo è buono e sono le élite malvage – piombate da Marte – a renderlo cattivo. ”

      Questo è un punto importantissimo: la famosa domanda teologica, “se Dio [o l’uomo] è buono, chi ha creato il Male?”

      E secondo me cogli molto bene la debolezza delle risposte di Sinistra in merito.

      E anche la forza della risposta di Destra – “non c’è il Male, semplicemente ogni essere umano è egoista, e tanti egoismi fanno girare il mercato!”

      • Peucezio scrive:

        Io risponderei che il male è proprio in quella parte di natura che la cultura non riesce a controllare.
        Cioè è nel riemergere periodico, nel corso della storia umana, della barbarie, della componente selvatica e ferina.

        E’ un po’ come i terremoti.
        Non hanno nulla di buono; fanno danni, distruggono cose belle, cose utili, uccidono persone e non danno un apporto a nulla, non arricchiscono il mondo di nulla.
        L’uomo costruisce e poi arriva il terremoto.
        Ma siccome abbiamo un sostrato fisico, abbiamo anche il culo su un pianeta e ogni tanto quello si smuove e fa casino.

    • Z. scrive:

      Beh, no, dissento dall’autore: la politica non è una questione di DNA. Non penso che l’etimo sia tutto, e credo di averlo scritto spesso, ma politica è originariamente un aggettivo di arte, ed proprio l’arte della moltitudine.

      Banalmente, questo implica un’arte (che non sta nel DNA) e una moltitudine (ossia molte persone, e non una sola col suo DNA).

      Insomma, siamo già oltre l’istinto.

      Tornando all’istinto, esiste l’istinto di collaborare come esiste quello di competere. Esiste l’altruismo ed esiste l’egoismo. Esiste la voglia di lavorare e impegnarsi ed esiste la voglia di oziare e disimpegnarsi. Di solito coesistono tutti quanti, e molti altri ancora, in tutti noi, ed è sano che sia così: di solito quanto un istinto schiaccia tutti gli altri succedono disastri.

      Non credo sia un caso se queste utopie finiscono per essere classificabili in tre categorie: fricchettonate, gulag, fricchettonate-gulag.

      Se poi qualcuno intende spiegarmi quale sia (cito) il modello del modo in cui dovremmo vivere, secondo me, un’idea sulla sua utopia già posso farmela 🙂

    • Peucezio scrive:

      Z.,
      “Secondo me il senso di aiuto reciproco etc. non è che uno degli istinti radicati in noi. Allo stesso modo, sono radicati in noi molti altri istinti divergenti e talvolta diametralmente opposti.”

      Condivido.
      E aggiungo che credo che la nostra parte innata e istintuale sia la peggiore di noi e che forse addirittura la parte aggressiva, malvagia, violenta sia prevalente sull’altra.

      In questo senso condivido il pessimismo antropologico di Z.
      Non lo condivido laddove lui vede il riscatto non nella Civiltà nel complesso (con tutte le sue declinazioni), ma con lo Stato Italiano e in generale con lo Stato Occidentale Moderno (immaginatevi delle maiuscole in corpo ciclopico, che fuoriescono dallo schermo per quanto sono grandi), che, lungi dall’essere l’oggettivazione dello Spirito, sono, temo, fra gli esempi più degenerati di vita associata e semmai fomentano gli istinti malvagi primordiali, anziché contenerli.

      • Z. scrive:

        Uhm… allora, non sono d’accordo!

        Anzitutto, non sicuro di aver capito cosa sia un pessimista antropologico, né di identificarmi nella categoria. Non sono neppure sicuro che la parte aggressiva, malvagia e violenta sia quella prevalente. Non credo di avere i criteri per valutare, ammesso che esistano.

        Lo stato occidentale moderno – immagino tu intenda quello contemporaneo – è uno stadio del percorso umano, e peraltro sembra trasversalmente impopolare. Non sono sicuro possa essere considerato, addirittura, quale riscatto sub specie aeternitatis (come dicono le persone istruite) dei lati più odiosi della natura umana.

        La mia perplessità nei confronti di chi sostiene certe posizioni radicali sta piuttosto nel fatto che sembra voler considerare un solo lato della natura umana: che esiste, beninteso, che è importante, ma non è l’unico.

        • Peucezio scrive:

          Quindi niente maiuscole in corpo ciclopico che saltano fuori dallo schermo?

          • Z. scrive:

            Credo che quella fosse la convinzione di Hegel. In epoca contemporanea, poi, dopo il 2001, credo che l’idea della fine della storia abbia perso quasi tutto il seguito che aveva.

            Il mondo che uscirà da questa epidemia, peraltro, nessuno sa davvero come sarà.

          • PinoMamet scrive:

            Uguale a prima, Z., uguale a prima.
            Nè onestamente vedo perché dovrebbe essere diverso.

            Ah, sì, ieri sono stato in Posta e hanno messo dei divisori di plexiglass davanti agli sportelli.

          • Z. scrive:

            Beh, ad esempio il telelavoro.

            Non tutti detestano lavorare da casa: anzi, molti lavoratori si trovano molto bene in telelavoro e sarà dura costringerli a tornare in azienda. Ne conosco diversi.

            Il telelavoro comporta vantaggi anche per il padronato, e anche il padronato ne prenderà atto.

            Alcune cose che venivano fatte in presenza, più per abitudine che per altro, possono essere fatte a distanza e credo saranno fatte sempre più a distanza.

            Sul resto… non saprei, davvero. Non credo che tornerà tutto come prima.

          • PinoMamet scrive:

            Ma i lavori che si possono fare da casa sono solo i lavori d’ufficio e neanche tutti e neanche sempre, poi non è che nel pubblico per esempio puoi cambiarli così, da un giorno all’altro, per magia…

            e nel privato, beh, penso che il padronato ci metterà poco a scoprire che il telelavoro significa anche molti meno controlli sulla qualità e l’entità del lavoro…

            • Z. scrive:

              Fermo restando che si parla proprio di lavori d’ufficio e naturalmente non tutti (o non tutti con la stessa facilità di sostituzione tra presenza e remoto)…

              e fermo restando che non tutti possono telelavorare anche per ragioni soggettive (casa troppo affollata, strumentazioni inadatte etc.)…

              e che ci sono persone che vorranno tornare a lavorare sul posto non appena sarà possibile (se non altro per evitare una commistione tra lavoro e vita privata che a mio avviso può essere deleteria)…

              non sono sicuro che i controlli sul telelavoro siano più difficili.

              I dati di questi mesi, nel privato, parlano di una maggiore produttività dei telelavoratori. Ora, può dipendere anche dal fatto che non hai molte alternative, che il lavoro forse è visto come un modo di non pensare alle vacanze che salteranno e così via.

              Però è un dato interessante.

              • werner scrive:

                Sulla produttività del telelavoro sarei interessato… Hai qualche fonte da girarmi?

                Sui cambiamenti… La mia impressione è che questa crisi stia facendo da catalizzatore per molti cambiamenti che erano già in corso. Per cui a medio termine penso ci sarà un’accelerazione di molti cambiamenti già in atto, e poche inversioni ad U.

          • PinoMamet scrive:

            Ma anche tutto il resto… mah?

            forse qualche maniaco dell’igiene continuerà a portare le mascherine per un po’, forse qualche rompicazzo vorrà stare a un metro di distanza nei supermercati, ma non mi pare che ci saranno dei cambiamenti epocali.

            • Mauricius Tarvisii scrive:

              Io spero che tutti inizino a lavarsi le mani e non debba più assistere a scene di gente che tira la scarica ed esce dal bagno prima di pranzo. Ma so già che il mio desiderio resterà inesaudito…

              • Peucezio scrive:

                La gente è mangiammerda.
                Gli italiani meno degli altri.
                Ma sempre mangiammerda sono.

                Quando vado al ristorante, dopo aver ordinato, immancabilmente vado a lavarmi le mani.
                Sono quasi sempre l’unico!

                E secondo me, finito il virus, la gente finalmente si sentirà libera di imbrustilarsi (si dice nel paese di mia nonna in Puglia, ma penso s’intuisca il senso fonosimbolico: più o meno rotolarsi, immergersi) ancora di più nella merda.

              • Z. scrive:

                Ezio, abbiamo mangiato insieme abbastanza volte da sapere che ce n’è almeno un altro che lo fa 🙂

                Il rischio che segnali, in effetti, c’è.

  4. Moi scrive:

    Sull’ Universalismo del Concetto NON Facile di ” Giusto ” :

    https://www.youtube.com/watch?v=9DGcBOSUdfo

  5. daouda scrive:

    non ce la faccio. Sapevo che facevo male ad iniziare a leggere da qualche mese a questa parte i tuoi post invece che commentare e basta sui commenti altrui.

    “socialismo autentico” :

    https://www.youtube.com/watch?v=gra4jD3zxJg

  6. guido doria scrive:

    L’essere umano è ζῷον πολιτικόν
    per di più mammifero

  7. Peucezio scrive:

    Circa le utopie,
    non dimentichiamo che futuro e passato non sono speculari: il passato lo conosciamo, il futuro no.
    Il passato è realta. Vissuta, tangibile, vera. Può piacerci o non piacerci, ma è stato. Con le sue nobiltà e miserie.
    Il futuro, siccome non abbiamo la più pallida idea di come sarà in realtà, è solo prefigurazione. Cioè vaniloquio.

    • PinoMamet scrive:

      Sì, vabbè, ma io ti ho risposto nell’altro post, quello dove commenti la tua storia di fascio, oh, rispondimi!! 😀

    • Moi scrive:

      il “Presente”, se lo menzioni, già non è più … 😉

    • Z. scrive:

      Ezio, c’è del vero, e comunque la simmetria c’è soprattutto se e dove vogliamo vederla. Ma le cose forse sono un po’ più sfumate.

      Ad esempio, va anche considerato che il futuro lo prefiguriamo continuamente, e su molte cose tendiamo a prenderci (su altre poco o per niente).

      Il passato crediamo di conoscerlo, ma in larga misura lo travisiamo o lo reinventiamo.

      • Peucezio scrive:

        Il futuro prossimo.
        Per quello sul lungo periodo la vedo dura.

        Stesso discorso, alla rovescia, sul passato:
        ci sono cose del passato, anche di quello più documentato, che non capiremo mai a fondo, perché un conto è leggere i documenti, un conto è viverle. Ma comunque sappiamo delle cose. Anche molto tangibili (abbiamo anche manufatti, vestigia materiali).
        Ma quello prossimo lo ricordiamo, l’abbiamo vissuto direttamente. Lì non si scappa. Poi la memoria può fare degli scherzi, ma, insomma, sappiamo cos’è, anche perché ne siamo il prodotto: ogni volta che parliamo, pensiamo e agiamo attiviamo la memoria, quindi, in un certo senso, siamo passato (passami l’espressione).

        • Z. scrive:

          Certo, il futuro prossimo.

          Del resto, il passato che conosciamo meglio è quello prossimo. Quello remoto è via via più distorto, più reinventato. Persino il nostro passato personale non troppo recente, diciamo dieci o venti anni fa, è pesantemente reinventato.

          Poi chiaramente non c’è simmetria, e siamo d’accordo.

          • Peucezio scrive:

            Parla per te, brutto smemorato! 😛
            Io il mio passato me lo ricordo bene, persino cose di quando avevo meno di due anni (che mi sono state puntualmente confermate nei dettagli dagli adulti di allora)!

            Scherzi a parte (ma neanche tanto: la memoria ce l’ho buona davvero), “reinventato” mi pare eccessivo, almeno per il passato biografico.

          • PinoMamet scrive:

            In questo la vedo come Z.

            io godo di una pessima memoria, ma sono convinto che in genere molti dei nostri ricordi siano più vaghi di quanto crediamo, e ricostruiti di volta in volta.

            Naturalmente saranno anche registrati in maniera esatta nel cervello, da qualche parte;
            un registro di solito inaccessibile, tranne a pochi “idiot savant”, come li chiamavano un tempo.

            Basta fare la prova, e andare in una località che non si vede da moltissimo tempo, ma che una volta abbiamo frequentato a lungo, alla quale siamo legati in qualche modo affettivamente.

            Quante cose sono diverse da come crediamo di ricordarle!
            Ma mentre le vediamo, di solito affiorano, a mo’ di maddalena proustiana, i ricordi autentici.

            • Francesco scrive:

              in effetti molti dei miei ricordi più precisi sono risultati errati, quando messi alla prova

              e a livello collettivo è molto peggio, basta vedere cosa pensiamo degli anni ’80 tra noi per capire che il passato è creta modellabile a piacimento

              IT bell’articolo, molto poetico, ci fosse UNA frase che non sia affermazione apodittica e priva di qualsiasi argomentazione

              molto peggio di Peucezio quando ci spiega l’Ebreo eterno e i Tedeschi uguali uguali agli Zulu

  8. Roberto scrive:

    Manca la categoria di quelli che in una piccola comunità sono in preda ad attacchi di claustrofobia e che sono felici in immense comunità (la natura in vacanza e nel week end please), la mia

  9. Z. scrive:

    Un altro mondo esiste dentro di noi.

    Ed è orrendo.

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