Violenza, sangue, adrenalina

Scopro per caso gli Huga Flame, un gruppo rap di Varese.

Per un testo intitolato Violenza, sangue, adrenalina.

Che rende in modo soprendentemente autentico il vissuto di tanti Nessuno delle  periferie metropolitane di tutto il pianeta.

Intanto, evitando l’orrendo moralismo che obnubila quasi tutto in Italia, la canzone coglie un fatto semplice e cruciale: la violenza esiste, ed è un dato fondamentale della storia umana.

In genere, la violenza viene letta come un modo per ottenere qualcosa, e certamente è vero, soprattutto se pensiamo alla violenza statale e su grande scala.

Ma questa canzone ci aiuta a capire come esista anche un altro modo di vedere il ruolo della violenza nella vita reale.

La violenza è un‘esperienza straordinaria, nel senso letterale di fuori dall’ordinario.

Migliaia di generazioni di giovani umani si sono lanciate – e si lanciano – in imprese spesso disperate e senza senso, pur di vivere ciò che la violenza offre.

Chiunque abbia vissuto da vicino certe realtà, probabilmente coglierà nella canzone un aspetto particolare della violenza.

Viviamo di norma in uno stato semipnotico e insensibile, sospesi tra ricordi e aspirazioni/paure, in cui non siamo quasi mai presenti nel presente. Nell’attimo di estremo rischio, invece, corpo e mente diventano tutt’uno e siamo qui e ora.

Un desiderio inconscio che si confonde certamente con il bisogno di vendicare tutto ciò che abbiamo subìto; e anche di ribellarsi, confusamente, a un sistema che percepiamo correttamente come mostruoso.

In una società totalmente controllata, questa violenza assume le forme che ci offre il sistema stesso: le grandi aziende dello spettacolo calcistico, i Moloch che divorano le anime dei giovani offrendo loro colori e fazioni. Chi controlla la bandiera per cui tu versi il sangue, e guadagna cifre che non puoi nemmeno immaginare, sarà il primo a sputare su di te.

Eppure, nella sua totale inutilità, la violenza è anche una rivolta contro questa manipolazione – da qui la sua natura cupa, disperata e alla fine suicida.

Che diventa a suo modo di nuovo spettacolo (“è un tg, è cronaca di verità“), soffocando ancora di più il petto che voleva respirare forte.

Eppure, non disprezziamo quel desiderio, che è comunque più vivo di tutti coloro che marciano sui cadaveri di questi sconosciuti.

Ascoltate attentamente le parole.

“Violenza, sangue, adrenalina e so che non cambierai. Bandiere, schiaffi, onore, fede, ciò che difenderai.

Sono giorni che mentalmente si prepara, fottuto derby, la tensione lo tiene sveglio, lo chiama. Ha già l’adrenalina in corpo, l’inno della sua tifoseria nelle parole ha l’odio sporco fisso in testa. Cammina a tre metri da terra come se il coro lo stesse accompagnando in festa. Imbosca la sua lama, in un taschino ricavato nei boxer, sotto palle non si sgama. Becca gli altri al solito bar, sulla nuca il tatuaggio simbolo del suo gruppo di ultras. Resta solo la violenza, figlia del dolore di ogni schiaffo che ha preso in precedenza. Il sangue sotto le unghie asciuga, potrebbe raccontare più della sua voce affannata dopo ogni fuga. E conta solo il risultato, il calcio diventa la copertura per agire indisturbato.

RIT.
Violenza, sangue, adrenalina e so che non cambierai. Bandiere, schiaffi, onore, fede, ciò che difenderai.

Polizia, messaggi radio,copre la faccia per sfuggire alle telecamere dello stadio. Il brivido degli spalti, il boato della curva lo sovrasta adesso che è apochi passi. L’odio,involontario come respirare, se ti soffermi sul tuo respiro è difficile da regolare, sciarpa tirata fino a sotto gli occhi, resta solo l’incoscienza a gonfiare i loro giubbotti. Cori fascisti nel cuore, l’odio non è solo verso una bandiera se c’è differenza di colore. E’ la sommossa, solo un vetro divisore lo separa dagli ultras della fazione opposta. Faccia a faccia, quella barriera poco spessa contiene la loro foga e ogni minaccia.
Non ha paura del contatto, non sente il freddo del manganello perchè il cuore ha lo stesso smalto.

RIT.
Violenza, sangue, adrenalina e so che non cambierai. Bandiere, schiaffi, onore, fede, ciò che difenderai.

Un colpo, due colpi, tre colpi e qua è un tg, è cronaca di verità. Un corpo, due corpi, tre corpi e qua è un tg, è cronaca di verità.
Scoppia una rissa fuori, insulta cinque tifosi della squadra avversaria, risponde alle provocazioni. Testa bassa per l’inseguimento, ogni smorfia sulla faccia testimonia il faticamento. Cuore, battito accellerato, gli sono così addosso che vede la condensa del loro fiato.
Una sprangata sulle gambe, l’impatto è così forte che il dolore a lui non lo sfiora neanche. La sua bocca è schiacciata, l’asfalot, la terra che sfrega tra i denti e si mischia la sangue caldo. Poi lo legnano e si danno alla fuga, quello che resta gli sfregia il tatuaggio che ha sulla nuca.
Tutto rallenta, poi si guarda in giro, il mondo fuori gli sembra muto e non sente il suo respiro.
Stronzi, la violenza non si può arrestare, perchè la scusa è che c’è sempre qualcuno da vendicare.

RIT
Violenza, sangue, adrenalina e so che non cambierai. Bandiere, schiaffi, onore, fede, ciò che difenderai.”

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52 risposte a Violenza, sangue, adrenalina

  1. Viviamo di norma in uno stato semipnotico e insensibile, sospesi tra ricordi e aspirazioni/paure, in cui non siamo quasi mai presenti nel presente. Nell’attimo di estremo rischio, invece, corpo e mente diventano tutt’uno e siamo qui e ora.

    Non saprei come meglio descrivere sinteticamente il contenuto di questa frase.

    • Tortuga scrive:

      E’ buffo pensare che quella che è la condizione di base per una pratica spirituale, ovvero l’unione di corpo, parole e mente in assoluta costante presenza mentale, che si pratica ed ottiene con l’esercizio meditativo, la studio, la conversione dell’intenzione, la pratica della moralità, la compassione e in mezzo ci dovrei mettere proprio l’esercizio della non volenza, diventi lo sloga della ragione per genere di azioni totalmente opposte.

      Saremo anche per un istante qui ed ora nell’attimo di estremo rischio, ma solo per un istante, una frazione, ma il problema non è solo essere qui ed ora ma anche “chi” è qui ed ora, perché, mi si perdoni, essere stronzi qui ed ora serve un pochino a poco, soprattutto se si è stronzi sempre e “qui ed ora” consapevoli di esserlo solo per un istante 😀
      E scusate la battuta che probabilmente non fa neanche ridere, ma in realtà non è affatto una battuta.

      E’ un periodo di tempo che più prendo atto di cosa esista ed avvenga nel mondo e più, giuro, vorrei morire subito e l’unica cosa che mi tiene in vita è il desiderio di proteggere con la vita chi amo.

      Se queste persone conoscessero la bellezza di potersi sedere in silenzio a meditare giorni interi in mezzo alla campagna: questo è essere presenti qui ed ora.

      Fra moda, gioco e ultras ho fatto un autentico pieno di argomenti altamente depressogeni.

      Miguel scrivici di qualcosa di bello!!

      (ma non ti senti mai depresso? non senti mai il bisogno di pensare a qualcosa di bello? e se e quando pensi a qualcosa per tirarti su di morale a cosa pensi? e, soprattutto, riesce a confortarti? … lo so, sono tutte domande troppo personali e non si può rispondere … ma spesso mi domando come sopravvivono interiormente gli altri … probabilmente sono una pudorata e non si dicono e non si parla di queste cose in pubblico).

  2. Francesco scrive:

    Concordo anch’io con la frase ripresa da RG ma mancano del tutto le conseguenze.

    Solo rischiando la pelle riesco ad esserci qui ed ora? e perchè mi ubriaco o mi faccio prima della violenza, se questo fosse lo scopo?

    Davvero la vita è sospesa tra questi due nulla insensati, la violenza idiota e l’apatia idiota?

    Ciao

  3. Miguel Martinez scrive:

    Per Francesco

    “Solo rischiando la pelle riesco ad esserci qui ed ora?”

    Mi sembra che tu ti attenda sempre delle istruzioni da ciò che leggi.

    • Francesco scrive:

      Confermo.

      Non mi sono mai interessato di cronache e, a mia colpa, preferisco i romanzi alla storia vera.

      Io, dopo aver ascoltato i poveri stronzi di Varese, ultras di non so neppure cosa (basket? hockey? gare di seghe con i guantoni da box?) ho il bisogno fisico di aggiustare il mondo.

      Concordo piuttosto con Tortuga.

      Ciao

  4. Miguel Martinez scrive:

    Per Tortuga

    “lo so, sono tutte domande troppo personali e non si può rispondere”

    Certo che si può, eccola la risposta:

    http://www.youtube.com/watch?v=zvseeCFdN1E

  5. Rock & Troll scrive:

    Ora aspettiamo anche un’acuta esegesi su Trucebaldazzi…

    http://www.youtube.com/watch?v=iRiWSmGz5E8

  6. Miguel Martinez scrive:

    Per Rock & Troll

    “Trucebaldazzi”

    Fantastico, non lo conoscevo. Un bellissimo elemento da collezione.

    Però il mio post non era sul “disagio giovanile” o sui “rapper”, ma sulla notevole descrizione dei processi reali di uno scontro fisico.

    • PinoMamet scrive:

      Il grande Truce Baldazzi (dell’hinterland bolognese, nato credo in Sri Lanka) è uno di quei personaggi diventati famosi per i video fatti in casa, le metriche zoppicanti, i testi diciamo essenziali 😉 (“la mia ex ragazza mi ha lasciato, adesso voglio farmi una troia, invece del sentimento ci metto il pagamento”..)

      in realtà è uno dei pochi che fanno rap in un certo senso “vero”, se non altro perché parla di un suo disagio vero e di una sua rabbia vera, percettibilissimi dietro la facciata dei modelli USA imposti dal genere, e non puramente inventati come quelli di altri colleghi italiani ben più famosi, che si sono inventati una maschera di “duri del ghetto” che copre poi una realtà banalissima…

      e anche quando non si parla di disagio ma della consueta sboronaggine dei rapper, nessun italiano di nascita (non per razzismo alla rovescia, ma perchè è così) arriva alla vitalità e alla genuinità del mio concittadino Gucci Boy:
      si vede che gli italiani di nascita copiano pallidamente, mentre lui, anche se in fondo usa un genere che gli sarebbe altrettanto estraneo, crea con genuina, anche scema se vogliamo (ma è un ragazzino) vitalità e padronanza…

    • PinoMamet scrive:

      Col che credo di aver accontentato la richiesta di Rock&Troll!
      😀

    • PinoMamet scrive:

      Di Gucci Boy, alias Bello Gu (swag minghie), consiglio Ingiusto, romantica ballad (sulla musica rubata a qualcun altro) che contiene la domanda che migliaia di adolescenti si sono fatti
      “…io non capisco come fa una figa come te a stare con quel frocio! è ingiusto! io sono più bello… chiamami… se vuoi scopare!”
      😀

  7. daouda scrive:

    Magari ci stava meglio un gruppo oi o ska

  8. Superando un troppo frettoloso dualismo si capisce bene che la frase da me quotata non esaurisce tutte le possibilità ovvero, detto in altri termini, la coperta è meno corta di quanto non si creda.
    Volendo però dare un giudizio di merito, posso ravvisare una gerarchia nella quale mediamente i più dormono a occhi aperti; un insieme dal quale ogni tanto qualcuno si stacca involontariamente chiudendo gli occhi, conseguenza di una disperazione interiore.
    È quella fluttuazione quantistica che però non viene catturata dalla materia, impedendo di manifestare una condizione che dia al fortunato il tempo necessario di capire cosa sia successo.

    La vita si spreca anche così.

  9. lello scrive:

    Sono accusato di nichilistaggio
    Sono accusato di aver perso il controllo
    Troppe volte colpivo nel segno e il mio nome faceva spavento

  10. Miguel Martinez scrive:

    Per Tortuga

    “E’ buffo pensare che quella che è la condizione di base per una pratica spirituale […] diventi lo sloga della ragione per genere di azioni totalmente opposte.”

    immagino che tu abbia messo un po’ a caso il termine “ragione” in un discorso altrimenti condivisibile, ma è esattamente lì che c’è la chiave.

    Il momento di grande rischio è il momento preciso in cui si sospende il pensiero, compreso il pensiero delle conseguenze: non è la paura del carcere (paura in qualche modo razionale) che fa prendere delle decisioni, ma sono le sensazioni del corpo.

    La mente, liberata da ricordi e da preoccupazioni future, agisce in perfetta armonia con la mano, che sa da sola cosa fare. E certamente il corpo cerca di sopravvivere, ma senza le tenebrose preoccupazioni caratteristiche della mente.

    Questo induce una condizione particolare, che si vive piuttosto raramente nella vita, e che è talmente particolare, da indurre chi la prova – specie se è una persona senza grandi sovrastrutture razionali – a cercarla e ricercarla di nuovo.

    L’altro giorno ascoltavo un tipico indigeno del nostro quartiere (di quelli che scandalizzano i miei amici stranieri clandestini e non) che raccontava di un’immane rissa in una stazione di servizio con tifosi romani.

    C’era una tale e reale felicità nel suo racconto… una di quelle esperienze di vera bellezza, che uno si ricorda per tutta la vita.

    Le obiezioni sono ovvie:

    1) il tizio è uno sfigato, e a quarant’anni farà qualche lavoro disastrato

    2) le bandiere sotto le quali hanno combattuto erano quelli dei luridi patron delle rispettive squadre, che certo non manderanno le arance in carcere ai disgraziati che li seguono

    3) poteva anche finire che qualcuno perdesse un occhio o una mano, e ci stesse male per tutto il resto della vita.

    Eppure, la sua felicità era autentica, e anche questo va preso in considerazione.

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      “poteva anche finire che qualcuno perdesse un occhio o una mano, e ci stesse male per tutto il resto della vita.”
      Magari ce li ha persi, ma vuoi mettere in tal caso quanto diventa più frizzante la cosa?

    • PinoMamet scrive:

      Conosco un’ex tifoso calcistico che racconta sempre con gioia e nostalgia delle risse…
      e non è né quello che si definirebbe “un violento” (al contrario, è una persona buonissima), né un criminale, né un fascista o che altro.

      Semplicemente, c’è chi si butta col paracadute e chi fa le risse negli stadi… la cosa non è troppo diversa, da un certo punto di vista
      (da altri: legale, di immagine, sociale, e perché no anche economico, sono diversissime, sono d’accordo….)

    • Tortuga scrive:

      Mi apri un mondo … nel senso che “ragione” non lo avevo scritto del tutto a caso e quindi mi sembrava proprio assurdo scegliere determinate azioni per ottenere quello stato, quando lo si può ottenere stando comodamente seduti a casa propria, lo si può mantenere con una certa costanza, e serve per compierne tutt’altre.

      “Il momento di grande rischio è il momento preciso in cui si sospende il pensiero, compreso il pensiero delle conseguenze: non è la paura del carcere (paura in qualche modo razionale) che fa prendere delle decisioni, ma sono le sensazioni del corpo.”

      “La mente, liberata da ricordi e da preoccupazioni future, agisce in perfetta armonia con la mano, che sa da sola cosa fare. E certamente il corpo cerca di sopravvivere, ma senza le tenebrose preoccupazioni caratteristiche della mente.”

      Questo stesso fenomeno è auspicato nella pratica buddhista.

      La pratica meditativa mira, fra le altre cose, come base proprio (io non sono molto brava con le parole ancora nella descrizione degli stadi e stati meditativi) a far rientrare il pensiero nel corpo, diciamo così.
      Questo non è tutta la meditazione è solo uno stadietto piccolino, uno dei primi, ma fondamentale.

      Ben conosciuto dagli zen quando abbinano la pratica meditativa all’attività fisica, che può essere l’arte marziale come la scalata o il free climbing o altro ancora.

      Conosciuto anche dal buddhismo tibetano, tanto che vi è un controverso insegnante occidentale, di una altrettanto controversa scuola buddhista tibetana, originario di Dusseldorf o giù di lì, che pare faccia fare paracadutismo o esercizi preliminari ai suoi discepoli proprio allo scopo di far fare una esperienza in cui prendere atto di questo stato in modo tale da poterlo riconoscere quando si presenta nell’esercizio meditativo, e da poterlo più facilmente riprodurre.

      Purtroppo in alcuni casi, esaltato ed reificato, questo fenomeno diventa egli stesso un fine quando invece non lo è, ma è solo strumento.

      Ma, ecco, non avevo mai pensato che la gente andasse a cercare proprio questo in una rissa o altro … ora che ci penso mi vengono in mente persone che conoscevo e che si lanciavano in gare automobilistiche notturne (ovviamente proibite) … dove ogni tanto qualcuno ci rimaneva pure secco, e forse il motivo era lo stesso.

      Ripeto, è una banale condizione, non è un fine, e normalmente una meditatrice mediocrissima come me lo raggiunge in una ventina di minuti, mezz’ora di seduta … ma questa cosa da sola non serve a niente e non pensavo che per qualcuno potesse essere un evento straordinario o addirittura una droga.
      Cioè lo so anche io che quando sei nel pericolo, tipo fare a botte, succede, ma la cosa non mi esalta affatto.

      Quando mio padre cercò di uccidermi – una delle tre volte – e aveva stretto la gola tanto che cominciavo a vedere bianco … non volava un pensiero e sapevo esattamente solo quello che stava succedendo.
      Ammetto che a quel livello non ci sono parole per descrivere di cosa si tratta.

      • Tortuga scrive:

        … cioè fra le altre cose quella presenza mentale lì si usa come strumento di padronanza di sé per esercitare il grado più rigoroso di moralità… non so se rendo l’idea, siamo proprio agli antipodi.

    • Francesco scrive:

      scusa ma io, per quella roba lì, giocavo a pallacanestro

      e mi manca da pazzi, da quando le ginocchia e le caviglie hanno ceduto

      qualche bella mazzata sotto canestro ci scappava ma non era necessaria

      ciao

      F.

  11. Miguel Martinez scrive:

    Per Mauricius

    “Magari ce li ha persi, ma vuoi mettere in tal caso quanto diventa più frizzante la cosa?”

    Ma pensa che magari diventava più frizzante, perché poteva succedere anche a me, e quindi il rischio era reale, non era solo un gioco.

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      In genere (parlo per me, almeno) quando si fa qualcosa di altamente imprudente non si pensa alla conseguenza negativa: si è virtualmente immortali e per questo è bello.

      • Moi scrive:

        O forse è quel “Meglio Morire Giovani che Diventare Vecchi”, quel “Sibilo della Serpe” [cit.] che a un Cattolico dovrebbe “Puzzare di Zolfo” [cit.] , perché “la Regina della Pace a Međugorje lo ha detto chiaramente: Satana è Sciolto dalle Catene !” [cit.] ecc …

      • Francesco scrive:

        >> non si pensa alla conseguenza negativa: si è virtualmente immortali e per questo è bello.

        Ma il fatto che io pensi che una cosa del genere è stupida da quando avevo … otto anni, è segno di quanto io sia represso e timoroso?

        Proprio non mi viene di fare qualcosa di altamente imprudente per l’adrenalina, pur apprezzando molto un gesto gratuito, fatto al di fuori di una gretta visione utilitaristica.

  12. Marcello Teofilatto scrive:

    Ci sono coincidenze che manco a farle apposta. Si esibiranno in un locale che si trova in una via intitolata a un attore elegante e raffinato come Alberto Lionello. Che però ha anche doppiato magistralmente Peter Finch in “Quinto potere” (“Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!”)..
    Un saluto da Marcello Teofilatto

  13. Moi scrive:

    Il termine “Huga” di “Huga Flame” _ per ammissione degli stessi Giovani Giovani Varesini (se di Varese città) o Varesotti (se di Varese provincia) in un’ intervista rilasciata alla giornalista Francesca Polignano _ deriva da una storpiatura di “Yoga” in un “pionieristico” videogioco di arti marziali; denota così un’ origine davvero “Nerdissima” : -) per il nome di una band che tanto “ribelle” e “trasgressiva” vuole apparire:

    http://en.wikipedia.org/wiki/Dhalsim

    PS

    In maniera forse non troppo dissimile, in seguito al disastro nucleare di Fukushima un “Otaku” (termine nipponico di non facile definizione, anche se per certi versi riconducibile a “Nerd”… ho l’impressione che il Giappone sia il Paese più tollerante al mondo nei riguardi dei “Bambinoni” !) elargì un’offerta molto generosa a un orfanotrofio seriamente danneggiato firmandosi in maniera pseudo-anonima come “Naoto Date” [sic]. Sono seguite emulazioni di questo gesto anche fuori dal Giappone.

    Triste però che per farsi venire in mente esempi di generosità si debba fare ricorso a dei personaggi immaginari. Ma tant’è !

  14. Moi scrive:

    Quella faccenda delle donazioni agli orfani firmate “Naoto Date” c’è perfino su Wikipedia :

    In Inglese

    http://en.wikipedia.org/wiki/Tiger_Mask_donation_phenomenon

    In Giapponese

    http://ja.wikipedia.org/wiki/%E3%82%BF%E3%82%A4%E3%82%AC%E3%83%BC%E3%83%9E%E3%82%B9%E3%82%AF%E9%81%8B%E5%8B%95

    stranamente NON in Italiano … o almeno, non ancora.

  15. Roberto scrive:

    “Viviamo di norma in uno stato semipnotico e insensibile, sospesi tra ricordi e aspirazioni/paure, in cui non siamo quasi mai presenti nel presente. Nell’attimo di estremo rischio, invece, corpo e mente diventano tutt’uno e siamo qui e ora.”

    Veramente non capisco

    Per essere qui e ora non hai bisogno di rischio estremo ma di svolgere una qualsiasi attività:

    per me, e tenendo conto anche delle attività di quando avevo delle caviglie, giocare a basket, arbitrare una partita di calcio, cucinare, giocare a scacchi, studiare, scrivere, suonare il flauto, spaccarmi la testa su un fascicolo, fare sesso, guardare il calcio in tv, guardare un film, aiutare mia figlia a fare i compiti di matematica, cercare di memorizzare un nuovo kanji, nuotare, discutere una questione giuridica con un collega, fare lezione…immagino che per ognuno di noi ci siano altre 200 attività

    Il mio problema casomai è che sono sempre qui ed ora…

  16. Miguel Martinez scrive:

    Per Roberto

    “Per essere qui e ora non hai bisogno di rischio estremo ma di svolgere una qualsiasi attività: “

    Tortuga, hai trovato il tuo maestro.

    Le vie del karma sono lunghe e tortuose, ma sicure.

    • Tortuga scrive:

      🙂

      molto zenamente Roberto ha ragione … ed essere presenti a ciò che si fa è un’ottima cosa … ma quando ci si ferma … la mente comincia a muoversi indietro su ciò che stavamo facendo e avanti su ciò che faremo poi, ed allora per essere qui ed ora dobbiamo sempre star facendo qualcosa … bisogno di continua fruizione … mmmh … è per questo che è anche utile sedersi immobili in silenzio a prender bene le misure di questo qui ed ora e constatare invece il continuo brusio della mente 😉

      santa notte a tutti

    • PinoMamet scrive:

      Miguel è di scuola Rinzai, Roberto è di scuola Soto
      😉

      • Tortuga scrive:

        Caro Pino, tu ci scherzi, Miguel è una grande curiosità per me (nel senso migliore ovvero estremamente benevolo), io lo osservo, lo scruto, lo studio, per quanto possa una mente come la mia, molto limitata ed assai più semplice della sua nella misura più o meno da 1 a 300 (1 a 100 era poco, uno a 1000 era troppo), e gli trovo una straordinaria capacità naturale di avere una visione dharmica della realtà.
        Per inciso è la persona più “buddhista” che io abbia incontranto in questi anni, insieme ad altre due o tre che conosco.
        Fra le sue qualità quella però di riuscire a non farsi mettere e non mettersi alcuna etichetta.
        Poi qui mi fermo per non fare la mia solita parte di libro aperto che dice tutto ciò che sente e pensa.

  17. Roberto scrive:

    Per l’allieva tortuga, non voglio dire che tutto deve essere un moto perpetuo, ma più semplicemente che per essere “qui e ora” non c’è affatto bisogno di farsi spaccare la testa da un celerino…una partita di tressette va più che bene.
    Poi certo, ogni tanti ti fermi a pensare, ma non credo che miguel su riferisca alla pausa. Lui ci parla di cosa fare tra una pausa ed un’altra per sentirsi vivi (fra parentesi pensare al futuro ed al passato non è un modo per essere qui ora?)

    Miguel idea geniale, trovami allievi e dividiamo il compenso cinquanta e cinquanta (contare migliaia e migliaia di euro dovrebbe farti passare la voglia di farti menare)

    • Francesco scrive:

      >> pensare al futuro ed al passato non è un modo per essere qui ora?

      beh, no, direi che è la principale via di fuga da “qui ora”

      ma io di zen c’azzecco poco

    • lamb-O scrive:

      “fra parentesi pensare al futuro ed al passato non è un modo per essere qui ora?”

      Al massimo se ci pensi in termini di problemi pratici. Il più delle volte pensare al passato o al futuro focalizza su un oggetto ansiogeno, che produce una risposta anomala – l’ansia è la forma assunta dalla risposta al pericolo laddove non c’è il pericolo là fuori. Di fatto la presenza nella realtà è perduta, in quel momento.

  18. roberto scrive:

    Pino,
    le differenze fra la scuola soto e la scuola che ho appena fondato sono all’apparenza minime, ma in sostanza radicali.
    se vuoi saperne di più contatta miguel per le iscrizioni al mio corso. nelle prime lezioni insegno a respirare, poi a battere le ciglia per umidificare gli occhi, infine ad ascoltare il battito del cuore.
    🙂

    • Tortuga scrive:

      dopo tutto ciò che avete scritto del qui ed ora comincio a capire qualcuno dei metodi usati dai maestri zen tipo piantare un cazzotto sul grugno al discepolo o spezzargli le dita 😀

      Non c’è presenza mentale consapevole autentica in senso dharmico se e/o perché si è completamente presi, rapiti, attaccati a ciò che si sta facendo.
      Non basta una semplice presenza mentale su ciò che si sta facendo, è una presenza mentale particolare che si incastra in un certo tipo di consapevolezza per cui … se vivo quel certo grado di consapevolezza in linea di massima non occupo il mio tempo a giocare a tresette, per esempio.

      • roberto scrive:

        sul serio i maestri zen spezzano le dita agli allievi?

        non è esattamente l’idea di zen che mi facevo (conosci immagino l’espressione francese “je suis zen”)

        stavo per scrivere che posso aumentare il compenso a miguel al 60% prima di ricordarmi che sono quello non ha bisogno della violenza per essere qui ed ora

        • Tortuga scrive:

          Dunque, quello del dito spezzato, in particolare è un aneddoto, tuttavia l’insegnamento buddhista quando è filtrato nella civiltà nipponica che era molto violenta nell’educazione è stato estremamente contaminato sia dalle filosofie religiose presenti sia in generale dalla cultura nipponica.
          Vi è stato un lungo periodo quindi in cui il rapporto maestro-discepolo, particolarmente nello zen Rinzai, era permeato da un livello di violenza fisica e mentale che si uniformava di fatto a quello presente nella stessa cultura giapponese.
          Ovviamente questo tradisce profondamente l’insegnamento stesso.
          Naturalmente c’è chi dice che questa violenza esibita dai mestri zen fosse taqiya, recitata affinché il genitore suo figlio voleva questo trattamento affidasse l’allievo all’insegnante (normalmente i maestri zen erano insegnanti anche di altro, ovvero precettori), e che in buona sostanza ciò servisse in realtà a sottrarre i ragazzi ad un duro destino.
          Un po’ come comminare 100 frustate e poi ricoprire nasconstamente la schiena del condannato di cuscini.
          Ma la verità è che forse può essere esistito in qualcuno uno spirito simile, in realtà la scuola Rinzai si è caratterizzata per questa violenza e ne conserva ancora ideologicamente tutti i connotati.
          Pericò se sul tuo cammino incontri un maestro zen uccidilo tranquillamente: è il maggior conseguimento dell’insegnamento 😉

        • Tortuga scrive:

          pardon : il genitore, che per suo figlio voleva questo trattamento, …

  19. Miguel Martinez scrive:

    Per roberto

    “Miguel idea geniale, trovami allievi e dividiamo il compenso cinquanta e cinquanta”

    non vale, stai pensando al futuro!

  20. jam scrive:

    ..”fra parentesi pensare al futuro o al passato non é un modo di essere qui ora?”

    ..fra parentesi, credo proprio di si. si chiama:
    l’eterno presente.
    é soltanto se siamo qui ora, che possiamo essere anche nel passato e nel futuro.
    se non siamo qui ora, non possiamo essere da nessuna parte del tempo.
    ma essere qui ora é anche un modo di essere assenti. perché soltanto “nell’assenza” c’é presenza.. (nel mondo, ma non del mondo)
    ciao

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