Rom e Redentori, nonché un contrabbandiere di mattoni e una piccola Gianfranco Fini

Rom vuol dire tante cose, e probabilmente la maggior parte dei Rom non li vedete nemmeno. Quando io dico Rom, voglio dire quelli che provengono dai paesi ex-comunisti, che sono una minoranza. Ma probabilmente anche voi, quando dite Rom, intendete quelli.

I Rom suscitano forti emozioni. In un certo senso, lo capisco.

Mi ricordo di un Herdelezi, la festa in cui si sacrifica un agnello.

Lui era seduto a un tavolo, con venti bottiglie di birra sopra, e ogni bottiglia che finiva, la lanciava furiosamente contro un muro, facendo urlare di rabbia le madri con le loro lunghe gonne. Lo abbiamo portato via, delicatamente, a lui che aveva un figlio annegato non si sa più in quale fiume.

Lo abbiamo adagiato su una poltrona rimediata in una discarica, e improvvisamente, parlando in italiano, serbo, romanè e turco, ha cominciato a recitare con la voce delicata di un prete cattolico, poi di un imam musulmano, rendendo ogni sfumatura della trasversale ipocrisia clericale; e poi ci ha raccontato la storia di un tale, che passava sempre il confine con un carretto pieno di mattoni, e le guardie lo perquisivano fino in fondo, cercando di capire cosa contrabbandasse, e non trovavano mai niente. E lo vedevano sempre meglio vestito e più ricco, e si affannavano a capire cosa nascondesse tra i mattoni. Così non si accorsero mai che contrabbandava proprio mattoni.

Raccontato così, non è niente, non avete nemmeno sorriso; mentre io ero sconvolto tra le lacrime e le risate e l’impotenza del suo destino di profugo e di paria e di genio fallito. Passati gli anni, non mi ricordo più il suo nome, e forse non è scritto da nessuna parte.

Posso solo essere testimone e ascoltatore: l’attore e il contrabbandiere di mattoni era lui, a me restano solo i documenti (ormai) sicuri e il fatto che talvolta mi danno del lei, e che non cammino tra gli escrementi.

O quella che vendeva vestiti, ammucchiati nel cofano della macchina fin da Istanbul, i cui figli erano morti bruciati vivi nella baracca, lei musulmana come era cristiana Gabriela che si era fatta chiudere le tube dopo il quinto figlio e mi parlava di Gesù, e qualche mese dopo lessi che due dei suoi bambini erano morti a Natale soffocati dal gas nel loro vecchio furgone.

E anche i malvagi, coloro che massacravano di botte le mogli per rifarsi sul mondo, le avvelenatrici vere e presunte, coloro che piangevano per tutta la vita i figli portati via, i malati, gli storpi, i fratelli clandestini nascosti dentro i cofani delle macchine, i cantori ciechi, i soldi a mucchi sepolti sotto terra, le autoradio con musiche assordanti su vecchie cassette che si srotolavano, i bambini silenziosi, i dispetti, i coltelli nella notte che sfregiavano per gelosia le macchine nuove, le liti furiose, gli abbracci con le lacrime agli occhi, la paura di morire, le risate che fanno tremare le pareti, le erbe raccolte la notte per lavarsi i capelli, le bastonate che spaccano le ossa, i parenti traditori, le truffe, i castelli di menzogne e le cicatrici e le bruciature, le rettitudini inossidabili, le carte false, gli amori proibiti puniti con la morte, i giuramenti sui figli, i fannulloni arroganti e ubriachi, le ragazze promesse con un gioco di carte, i vestiti stirati e pulitissimi tra il fango e i topi.

E tutti i segreti che io posso raccontare, perché dei loro segreti non gliene importa niente a nessuno.

Forse ho molta più paura io degli zingari, di tanti altri. Intanto, perché ce n’è uno che uccise un tale e ne bruciò il corpo, complice la sua amica incinta, che mi cerca ancora perché aiutai sua moglie a fuggire, seppure di tanto in tanto io venga a sapere che mi stima perché sono stato più furbo di lui. Ma più di lui ho paura di Fatima, vecchia già giovane, triste e con l’occhio acuto, che aspetta che io, con qualche euro, risolva l’infinito abisso di una vita fatta da una casa bruciata dai serbi, un marito malato e una caterva di bambini che passano l’inverno senza stufa in una baracca che stanno per buttare giù a colpi di ruspa.

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Per risolvere i problemi hai bisogno di un bel foglio di carta davanti, e due colonnine dritte che dividono, come dicono gli anglosassoni, the pros and cons. E per essere un problema, pure… Per chi non scrive e non legge, non c’è soluzione perché non c’è problema.

Non tutti gli italiani urlano contro i Rom.

Innanzitutto ci sono i Pari, gente altrettanto disgraziata, oppure che ci traffica, o ci litiga di brutto, ma da uomo a uomo, per uno sgarbo e non per un’etnia, insomma.

Poi ci sono i Cooperatori, che sono di tutti i tipi e fanno ogni sorta di iniziativa. Non sono il mio genere, ma si tratta di un compito duro e  difficile, che dà poche soddisfazioni e capisco quando si sfogano in privato, raccontando tutto ciò che non possono dire in pubblico, a rischio di giocarsi il mestiere.

Ci sono gli Osservatori, cioè gli studenti che vanno a farci la tesi, o gli antropologi, o altra gente, che hanno un merito: sono i soli interessati ad ascoltare invece che a parlare.

Infine ci sono i Redentori. Il Redentore funziona a senso unico: ha qualcosa da dire a te o al mondo che prescinde completamente da te e dal mondo stesso. Per capirci, il Redentore dei Rom è l’esatto contrario di un Rom. Si fonda infatti sulla Grande Astrazione del Cittadino, un concetto che ha senso solo se lo scrivi su un libro e per definizione non corrisponde ad alcun essere umano vivente. Il Cittadino Astratto e Universale va in giro con i suoi inderogabili Diritti, che non sorridono e non si innamorano e non odiano. Il Fardello dell’Uomo Bianco e la Missione di Prometeo, pascere pecore è mestiere di occidentali e, appunto, di Redentori.

Quando arrivano i Redentori, non sorprende che i Rom raccontino ogni sorta di barzelletta su di loro, sospettando che intaschino soldi e si facciano un nome sulla loro pelle; mentre cercano comunque di vedere se il Redentore può procurare loro una scheda telefonica o una stufa o un po’ di medicine, e quando va molto bene, pure una nomina a Zingaro Ufficiale in qualche convegno dove si mangia bene.

A Roma, il prefetto ha anche il fantastico titolo di commissario per l’emergenza nomadi. Cioè gente che sta in giro, e nei guai, da almeno mille anni, fa "emergenza", nel senso che siccome i media se ne accorgono con i loro tempi isterico-sincopati, i politici devono correre a fare qualcosa, qualunque cosa, e di corsa.

E il prefetto ha fatto qualunque cosa subito: assieme al sindaco di Roma, ha programmato una decina di "villaggi attrezzati", vigilati giorno e notte da telecamere, con obbligo di identificare chi entra, divieto di ospitare parenti o amici dopo le 22, un presidio fisso di vigili urbani o guardie giurate che segnano le presenze, e così via. E gli ospiti dovrebbero anche pagare le proprie bollette. Il tutto gestito da una pletora di agenzie: il comune, l’Asl, i  vigili del fuoco, polizia, carabinieri e un delegato rom.  Insomma, controllare, sorvegliare, ordinare l’incontrollabile, né più né meno di quanto avvenga in un albergo popolare per barboni o in un ospedale.

Chiaramente, nessuno è obbligato a viverci, ci si viene ammessi, e solo per un periodo massimo di due anni. La maggioranza dei Rom non vedrà mai questi campi, o perché sono cittadini italiani con regolare casa e lavoro, o perché si arrangiano altrove, o perché sono clandestini e non possono chiedere l’ammissione.

Proposte come queste fanno sorridere per la loro futilità. Tutta la programmazione crollerà al primo sgombero di un ennesimo campo, quando l’umanità cacciata dovrà pure venire mandata da qualche parte. E verrà mandata, "solo in emergenza", "temporaneamente" in uno di questi villaggi già al limite della propria capienza. Chi rappresenterà, poi, il "delegato Rom", tra gente che non delega mai niente e dove l’unica autorità è il capofamiglia? Rappresenterà se stesso e la propria famiglia, ovviamente, contro tutte le altre.

Sappiamo già che non esiste alcun motivo per cui i musicisti della Romania debbano essere messi nello stesso campo dei fabbri della Bosnia. Si è già visto come queste grandi e confuse aggregazioni creino situazioni spaventose, in cui decade anche l’autorità familiare, e in cui ragazzi allo sbando entrano facilmente in loschi giri di italiani. Sappiamo che le bollette non verranno pagate, e che quindi molti dovranno essere espulsi, per essere mandati dove, se non in altri campi? 

E sappiamo che arriveranno altri Rom ancora dai paesi dell’Est, e non sapranno dove piazzarli; e che alla fine gli abitanti del quartiere protesteranno tanto che se gli amministratori non vorranno perdere i loro voti, dovranno sgomberare anche questi villaggi.

Solo che non ho idea di quale possa essere l’alternativa. La questione dei Rom è un dramma grande come l’Europa, che nasce dall’incontro tra una particolarissima aggregazione antropologica di fuoricasta e la tempesta del neoliberismo globale, che spazza via chiunque non sia in cima alle classifiche, in tutti i sensi. Il vero problema non si chiama emergenza, non si chiama sicurezza e non si chiama razzismo. Si chiama capitalismo.

Pensiamo quanto sia difficile per un amministratore locale affrontare questo problema globale.

Primo dilemma. Se i Rom sono per natura dei minorati, possono avere diritto a compensazioni speciali, come avviene con le persone mentalmente handicappate. Se invece, sono persone come le altre, non hanno diritto a privilegi particolari. Come la giri, ne nascono guai.

L’amministratore potrebbe permettere ai Rom di accamparsi ovunque: anche gli stessi Rom più accorti capirebbero la conseguente rivolta degli "italiani" contro il "degrado".

Oppure si fa come a Cosenza sotto quel signore rinascimentale che si chiamava Giacomo Mancini, che per la sua piccola comunità storica di Rom, cittadini italiani, si consultò con gli antropologi e fece costruire un sistema di case popolari con un grande salone al pianoterra per ospitare tutti i parenti e gli amici e i visitatori, con piccole camere da letto al piano di sopra. E fece accompagnare tutto questo da un progetto per trovare loro dei mestieri consoni. Un bel gesto degno del migliore illuminismo borbonico. Anche se effettuato tramite un’associazione in cui dubito che ci sia un solo Rom, e con un uso disinvolto di fondi pubblici a fin di bene.

Immaginate adesso il comune di Roma che applica una campagna del genere, ma questa volta per migliaia e migliaia di persone che a stento parlano italiano; e che ricevono un tipo di aiuto che gli italiani si sognano. Inutile dire che i Rom, come chiunque, si passano la voce su dove si sta bene, e Roma si troverebbe a dover risolvere il problema mondiale dei Rom da sola. Anche il PD coglierebbe l’occasione per aggirare Alemanno da destra.

La risposta del prefetto-alle-emergenze non funzionerà, ma non funzionerà né meglio né peggio di qualunque altra.

E’ a questo punto che compare sulla scena l’immancabile comunicato stampa dell’Everyone Group, una costruzione tipicamente italiana a partire dal nome inglese.

Non ho mai conosciuto nessuno che avesse visto dal vivo qualcuno del Gruppo Everyone, anche se il loro sito riporta le bandiere di decine di paesi. Ma pare che il gruppo esista, e sia costituito da tre giovani artisti, che non credo abbiano una goccia di sangue Rom e che hanno ovviamente la stessa incidenza di qualunque altre tre persone scelte a caso.

I tre, dall’aria vagamente radicale, sono grandi ammiratori di Gianfranco Fini, cui si rivolgono continuamente. Un piccolo gioiello di comunicazione sentimentale, gli auguri per la nascita della seconda figlia del Presidente della Camera:

"I rom conoscono mille giochi e mille favole (gli "sfati") tutti basati sulla fantasia e la voglia di vivere: ti divertirai molto – in un mondo più ricco e vivo di quello di oggi – a giocare con loro, piccola bambina di Gianfranco Fini. Noi, insieme al tuo papà, ci impegneremo sempre per costruire il tuo "giardino" del futuro."

Non ho nulla contro le associazioni virtuali e il marketing virale, a patto che abbiano la chiara coscienza di essere uno scherzo: vogliamo sperare che il brano sopra sia un indizio di qualche spirito di lieve ironia nei tre.

A ritmo incalzante, l’Everyone Group emette comunicati stampa, che grazie al livello di decibel con cui sono scritti, vengono ripresi dai media: l’Everyone Group assume così, per un attimo, esistenza reale/virtuale. All’incirca come fa Forza Nuova, che però ha almeno qualche attivista vero.

I comunicati emessi dai "tre co-presidenti" Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau riguardano in genere il "razzismo", in particolare – ma non solo – contro i Rom. A volte, si denunciano fatti veri, come nel caso della ragazzina Rom a Napoli, arrestata con la falsa accusa di voler rapire un bambino. Altre volte, diremo generosamente che le denunce di Everyone sono un po’ fantasiose, come quando si annunciò urlando che i miti vigili di Firenze si sarebbero accaniti sadicamente a distruggere i miseri beni dei Rom.

Chi segue questo blog, dovrebbe aver capito perché possiamo condividere singole cause  sposate dai tre, ma mai lo spirito sottostante. Da una parte, per la sua estrema violenza, con la divisione dell’umanità in due categorie: da una parte ci sono i "razzisti", che sono i cattivi. Dall’altra, le "vittime", che sono simpatiche e innocue, ma anche abbastanza stupide da non potersi difendere da sole. Per fortuna c’è sempre un Bianco Buono pronto a salvare balene, negri e zingari dai macellai.

Ma proprio questa violenza maschera l’assenza di ogni critica sociale, del pur minimo accenno alle dimensioni storiche, antropologiche, economiche o di classe della questione Rom. Per parafrasare un vecchio detto, l‘antirazzismo è il socialismo degli imbecilli.

Il loro ultimo comunicato riguarda proprio il progetto romano di cui stavamo parlando. Se volete capire perché quei tre artisti, a differenza di tanti altri giovani squattrinati, riescono a emergere mediaticamente, ecco svelato il semplice segreto: spararla grossa.

"A Roma rinascono i ghetti, su modello – non è un’esagerazione – di quelli che i nazisti realizzarono in Polonia alle soglie dell’Olocausto"

gridano nel Comunicato Stampa, vincendo così il premio Revisionista storico più osè dell’anno. Omettono di precisare che a Roma si viene ammessi ad alloggiare nei "villaggi" solo dietro richiesta e solo per  due anni, mentre l’ingresso nei lager nazisti non era proprio altrettanto volontario e l’uscita era più problematica.

Poi, da autentici Redentori, i tre ragazzi proclamano di avere in tasca la Soluzione Finale (allegra) al problema Rom, al modico prezzo di 15 milioni di Euro.

Denunciando che per la questione Rom, il Comune ha speso 45 milioni di Euro, Everyone ci presenta, avvolta nel mistero, la sua proposta:

"con un terzo di quella cifra, il Gruppo EveryOne o un’altra associazione con esperienza avrebbe dato una risposta positiva e definitiva alla necessità  di integrazione e oggi avremmo un perfetto inserimento della comunità  Rom nella capitale, con un ritorno in termini di civiltà  e di immagine internazionale."

Io per 10 milioni di Euro non solo vi do la risposta positiva e definitiva e perfetta alla questione Rom. Ci metto pure la macchina del moto perpetuo con due fiocchettini rosa sopra. Uno per ciascuna figlia di Gianfranco Fini.

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85 risposte a Rom e Redentori, nonché un contrabbandiere di mattoni e una piccola Gianfranco Fini

  1. utente anonimo scrive:

    E io ci aggiungo anche un servizio di pentole! :-).

    Narcello Teofilatto

  2. utente anonimo scrive:

    Ovviamente "Marcello"… M.T.

  3. utente anonimo scrive:

    Senza dubbio si tratta di cose molto diverse, di situazione diverse. E poi, come disse Scajola quando insultò il defunto Biagi, bisogna guardare al contesto.

    Però ammetto che il villaggio con coprifuoco, il divieto di ospitare parenti per la notte e il delegato zigano hanno fatto pensare immediatamente alla Polonia e allo Judenrat persino a me.

    Insomma, è un po’ come quando si dice "razza ebraica". Mica si dev’essere per forza Goebbels. Però per suonar male, diGiamolo, suona proprio male.

    Z.

  4. karakitap scrive:

    Uno dei motivi che mi hanno spinto ad interessarmi al sito prima e al blog poi sono stati proprio gli articoli sulla questione rom (come ad es. quello sulla zingara rapitrice) li ho sempre trovati molto interessanti perché trattavano il problema con equità, senza criminalizzazioni o tendenze agiografiche (come a mio modesto avviso fa chi vede nei rom degli spiriti liberi romantici), ma per quello che sono, un gruppo umano (o una serie di gruppi umani) che vivono ai margini in una società che non è fatta per loro (in un certo senso, fuoricasta erano in India e fuoricasta sono rimasti anche qui), purtroppo non ho la soluzione a questo problema, nemmeno per cifre più alte di quelle proposte. talvolta penso che forse la soluzione migliore sarebbe uno stato (Romanestan?), da fondare in qualche zona poco popolata (di certo non si può rimandarli in India, anche perché mi pare che non ricordino affatto di provenire da quell’area, e credo che nessun rom abbia mai detto: "quest’anno qui, l’anno prossimo a Nuova Delhi" sempre che non ci dovesse andare per turismo o per affari) sul modello del tentativo (peraltro fallito) di staliniana memoria di dare agli ebrei sovietici un "focolare nazionale" nel Birobidjan (che esiste ancora, nonostante colà gli ebrei siano pochissimi), forse la mia idea sembrerà ottocentesca e retriva, nonché poco interessante per gli stessi rom (che evidentemente non ci hanno mai pensato), però almeno in questo momento non vedo altro modo affinché "sporco zingaro" significhi solamente "zingaro che non ha cura della propria igiene personale" (e che magari rivolga formali atti di protesta diplomatica quando avvengono lanci di molotov e sgomberi a go-go), sembrerà strano, ma neppure le persecuzioni naziste sono riuscite a "sdoganare" i rom, ricordo che una volta parlari di questo evento ad un mio amico (persona tra l’altro di idee centriste e benpensante fino al midollo) che mi rispose: "i nazisti non dovevano essere un granché, passi non riuscire a eliminare gli ebrei, passi gli omosessuali o i comunisti, ma nemmeno gli zingari?"
    Salutoni. Karakitap
    PS: risposta preventiva a chi dovesse chiedere "perché non si fonda lo stato rom dove vivi tu?" La mia regione (la Campania) è la regione dove si trova Ponticelli, il luogo dove dopo la notizia di un tentato rapimento di una bambina da parte di una ragazza rom si è arrivati ai limiti del pogrom (e forse lo si sarebbe superato se non ci fosse stata una massiccia presenza di forze dell’ordine), se lo fondassero qua avrebbe una vita non molto facile (probabilmente si dovrebbe dotare di un esercito sul modello di Tsahal o IDF che dir si voglia).

  5. utente anonimo scrive:

    L’antirazzismo è il socialismo degli imbecilli.

    Vai così, Miguel, mashallah 😀

    Erika, che ha un debole per gli slogan, ma solo quelli fighi

  6. utente anonimo scrive:

    (no, non lo so perché continuo a dire mashallah a casaccio. mi viene così, OK?)

    E. (e anche i commenti inutili) (scusa Miguel)

  7. kelebek scrive:

    Per Karakitap n. 4

    Credo che lo Stato Rom sarebbe una catastrofe.

    Uno, perché fuori dall’Antartico, non è che c’è un posto per mettere un popolo, senza cacciarne un altro.

    Due, perché i Rom sono soprattutto una struttura sociale non statale e statalizzarli significherebbe quindi abolire i Rom.

    Miguel Martinez

  8. kelebek scrive:

    Per Z n. 3

    Ma nemmeno a me piacciono le telecamere e tutte quelle cose lì, figuriamoci.

    Solo che non sono diverse da qualunque dormitorio per barboni, comunità di recupero o – come dicevo  – ospedale: lo stato offre una struttura in cui persone in stato di disagio possono vivere gratuitamente, in cambio però del rispetto di rigorose regole finalizzate a evitare il collasso della struttura stessa.

    Il problema semmai è quanto la cultura delle regole e degli orari sia applicabile in questo contesto.

    Miguel Martinez

  9. karakitap scrive:

    Per Martinez n. 7:
    Purtroppo quello che dici è perfettamente vero, ma purtroppo la struttura sociale Rom non riesce a essere vista come accettabile dagli altri abitanti di una data zona dove essi abitano, passi se il coltello dalla parte del manico l’avessero i Rom,  potrebbero anche infischiarsene del risentimento che cova nei loro confronti, ma siccome ce l’hanno gli altri (ovvero noi) è chiaro che c’è motivo di conflitto, in un certo senso, mi sembra che i rapporti Rom-non Rom sembrano simili a quello che cerca di inserire un quadrato in uno stampo rotondo, purtroppo, non che la loro storia sia stata sempre rose e fiori (tutt’altro), ma credo che difficilmente per loro il futuro sarà roseo (anche se spero di sbagliarmi, ma ci vorrebbe un cambiamento di prospettiva davvero radicale).
    Salutoni, Karakitap
    PS: qualche tempo fa nel mio paese ho incrociato una giovane donna dai lineamenti caratteristici dei rom, che però non chiedeva l’elemosina, ma aveva un cesto di chincaglieria varia (del tipo di quella che vendono quella varia umanità che un tempo veniva definita vù cumprà ed ora più asetticamente extracomunitari), mi s’è avvicinata chiedendo se volessi qualcosa, ma con lo stesso tono che avrebbe usato se avesse dovuto chiedere l’elemosina, per incoraggiare questo tentativo di "integrazione", ho preso una spilletta, chiedendomi se il suo fosse un tentativo isolato oppure fosse segno di un diverso atteggiamento dei Rom verso gli altri (cercare di vendere qualcosa è sempre meglio che presentarsi solo con la mano distesa,  non trovate?).

  10. rigirandola scrive:

    Ciao, bellissimo post.

  11. utente anonimo scrive:

    Chiedo scusa a tutti. Sono io quello che, essendo la mia e-mail finita in mano a uno del Gruppo Everyone, ho inoltrato a Martinez i messaggi del Gruppo sui Rom (l’ultimo proprio cinque minuti prima di leggere il post sul blog). L’ho fatto perchè so che Martinez si interessa dei Rom senza essere razzista; e Martinez è praticamente l’unica fra le persone che conosco, sia di persona sia via web, a non essere razzista verso i Rom. Al di fuori del blog di Martinez e delle canzoni di De Andrè ignoro praticamente tutto di Rom e simili (so solo che sono nomadi, che vengono dall’India e che pur parlando lingue indoeuropee furono sterminati dai nazisti). E’ per puro pregiudizio intellettuale ed illuministico che ho rifiutato di condividere coi miei familiari e conoscenti l’altrettanto pregiudiziale zingarofobia (si dice così?). In Polonia il regime sovietico cerco’ di trasformarli senza successo in sedentari, e il fallimento attizzo’ la zingarofobia dei polacchi (nella famiglia di mia moglie sono considerati colpevoli di parecchi furti, e l’argomento è tabù). Quando un paio di volte ho visto un mendicante chiedere l’elemosina al mercato con un bimbo di pochi mesi in braccio ho telefonato immediatamente al 112 perchè l’abuso dei minori per la questua è un reato; ma ho constatato di persona che le Forze dell’Ordine intervengono ore dopo, quando ormai il mendicante è sparito col bimbo, dal che deduco che la protezione dei deboli non è sempre una priorità. Credevo che i Rom fossero essenzialmente mendicanti in mala fede, sfruttatori di di infanti e ladruncoli finchè non ho fatto un viaggio in Montenegro e Kosovo e ho visto che molti da quelle parti si comportano alo stesso modo senza essere Rom; il che per analogia mi fa pensare che vi siano Rom che lavorano come me, pagano le tasse ecc. anche se personalmente non ho mai visti. Detto questo, non sono d’accordo con Martinez quando dice che ”il problema si chiama capitalismo”. I Rom erano poco o nulla integrati ben prima del capitalismo e della globalizzazione. Come gli Ebrei, erano utili ma non erano considerati parte integrante della società. La zingarofobia è un tratto comune della società preindustriale, tant’e’ che ha ispirato in epoca romantica musiche e romanzi anbientati in tale epoca (”Trovatore”, ”Il gobbo di Notre Dame”). Credo che il problema stia più a monte. Martinez dice che uno Stato zingaro sia una contraddizione in termini. Ora, Toynbee dice che il conflitto base fra comunità umane è stato fra sedentari e nomadi, e che solo di recente i nomadi hanno perso defintivamente la partita (lui mette come paletto immaginario la data della conclusione della costruzione della Transiberiana). Oggi non si dà società che non sia sedentaria: lo stesso Web è fatto di gente che sta seduta davanti al PC, non di gente a cavallo o in viaggio su qualche carro. Strutture sociali intrinsecamente non sedentarie sono dunque irrimediabilmente estranee. La radicalità di tale contrapposizione appare chiara se si si ricorda che ad esempio la principale accusa fatta a Comunisti ed Ebrei fosse quella di essere dei senza terra, senza patria, senza radici. Quando gli Hippies cercarono di costruire una alternatica radicale alla società moderna abbandonaronola sedentarietà. Per contro, la Chiesa canonizza Cirillo e Metodio che sono diventati apostoli degli Slavi dop che queti sno diventati sedentari, e ricorda le date della conversione al Cristianesimo di interi popoli come date della conversione al Cristianesimo dei monarchi dei rispettivi regni, che in quanto tali sono strutture sedentarie. Non è altrettanto nota la storia della evangelizzazione degli zingari: in quanto nomadi, è difficile assegnarli ad una qualche parrocchia, la Chiesa avendo mutualo la struttura territoriale del tardo Impero Romano. Semmai abbiamo esempio del contrario: popolazioni sedentarie organizzate in regni con eserciti regolari, e monarchi convertiti al Cristianesimo che sterminano popoli pagani e immancabilmente nomadi. Esempi sono ovviamente il Far West, ma anche i Cavalieri Teutonici contro i Baltici e Wojodejowski contro i Tartari. (Non so nulla di una eventuale presenza Rom nel mondo islamico).

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  12. utente anonimo scrive:

    Sembra fatto appoasta, ma ho appena letto sul Corriere questo articolo (il grassetto è mio):

    Domenica 17 Gennaio 2010
    Gli zingari in Europa quando erano amati
    http://www.corriere.it/romano/10-01-17/01.spm

    Scorrendo le pagine di un suo libro ho avuto modo di conoscere la storia della regina montenegrina Elena e soprattutto ho appreso che in quei tempi gli zingari erano spesso oggetto di curiosità. Vorrei una sua opinione su come si sia arrivati oggi a stravolgere radicalmente questa visione.

    Giovanni Valletta, | airclack@hotmail.it

    Caro Valletta, Fino agli inizi del Novecento gli zingari erano un gruppo etnico relativamente omogeneo con stili e tradizioni di vita alquanto diversi da quelli di altri gruppi nazionali. Ma appartenevano a una categoria sociale europea piuttosto diffusa: quella degli artigiani ambulanti che si spostavano da una città all’altra per aggiustare gli ombrelli, arrotare i coltelli, riparare le pentole. In questa categoria gli zingari erano noti soprattutto come maniscalchi, calderari e per la loro esperienza, nel maneggio dei cavalli. Rispetto agli altri girovaghi avevano tre particolari talenti: erano acrobati, ballerini e musicisti. Come acrobati potevano essere abilissimi ladri, ma anche eccellenti artisti di circo. Come musicisti ebbero una certa influenza sulla musica di alcuni Paesi europei (Spagna, Ungheria, Russia, Boemia), e le loro orchestrine divennero una delle maggiori attrazioni dell’Europa centro- orientale. Vi fu un lungo periodo durante il quale gli zingari furono considerati una romantica ed esotica decorazione della vita europea. Gli artisti di Parigi si chiamavano bohémiens, dal nome della regione (la Boemia) in cui gli zingari erano particolarmente numerosi. Il «violino tzigano» divenne la principale attrazione di molti ristoranti. Le più note e popolari sigarette francesi si chiamavano Gitanes. Un grande scrittore, Lev Tolstoj, ambientò il primo atto di un suo dramma (Il cadavere vivente) in un cabaret zingaro. E nella trama di alcune famose operette viennesi gli zingari – ora pittoreschi, ora malefici – erano spesso presenti. Piacevano nei Paesi europei, ma anche nei Paesi comunisti e soprattutto nella Russia sovietica. Stalin li costrinse ad abbandonare il vagabondaggio e a diventare operai o contadini, ma autorizzò l’apertura a Mosca di un Teatro Rom. Negli ultimi anni dell’Unione Sovietica esistevano orchestre tzigane che venivano affittate per intrattenere gli ospiti di una festa. Conosco almeno due film di Nikita Michalkov, girati prima del crollo dell’Urss, in cui un’orchestrina tzigana entusiasma e commuove gli ascoltatori. I guai cominciarono dopo il crollo dei regimi comunisti quando molte aziende anti-economiche delle democrazie popolari dovettero licenziare il loro personale (penso in particolare alla Slovacchia dove gli zingari erano impiegati soprattutto nelle fabbriche d’armi). Liberi di viaggiare, ricominciarono a girovagare per l’Europa. Ma l’economia della società dei consumi ha ormai ridotto il numero dei mestieri ambulanti, il gusto musicale delle popolazioni è cambiato e l’arte circense è praticata molto meno di quanto accadesse in passato. Restano purtroppo le loro doti peggiori: mendicare e rubare. Ma non possiamo continuare a scaricarli da un Paese all’altro. Occorre un programma europeo per la loro accoglienza e, soprattutto, costringerli a mandare a scuola i loro figli. È dalla scuola dei figli che può cominciare la loro integrazione.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  13. Peucezio scrive:

    Io credo che per poter individuare una soluzione a un problema bisognerebbe prima di tutto capire qual è il problema. E soprattutto se esiste, perché non si può risolvere un problema inesistente.
    Io ancora non ho capito qual èil problema rom. O, più in generale, relativo agli zingari (ci sono zingari non rom, come i Sinthi o i Calé).
    Tra l’altro quando qualcuno vuole risolvere qualche problema, a me vengono i brividi, perché in genere le soluzioni dei problemi hanno creato una miriade di nuovi problemi e peggiorato di molto la situazione.
    In Italia, grazie all’idea folle di far entrare la Romania nell’Unione Europea (in realtà la follia è la nostra permanenza nell’Ue., anzi, l’esistenza stessa dell’Ue), ci siamo trovati una quantità di zingari stranieri (nel senso di nuovi arrivati, estranei a quelli già presenti da generazioni), difficili da gestire. ma questo è un problema contingente, un’emergenza che non ha nulla a che fare con la secolare questione degli zingari e del loro rapporto con i popoli europei.
    In ogni caso, al di là dell’emergenza contingente, che andrebbe risolta con misure emergenziali (rimpatrio forzato di tutti gli zingari giunti dopo l’entrata della Romania nell’Ue), secondo me la difesa dello statu quo è sempre la ricetta migliore. Con buona pace di tutti gli assistenti sociali, pedagoghi, antropologi (quelli che vogliono intervenire, non quelli che si limitano a studiare e si dedicano alla nobilissima arte della conoscenza in sé), che, tanto più si facessero gli stramaledetti c…i loro, invece di voler integrare l’universo mondo all’interno di un modello che si è stabilito arbitrariamente essere valido per ogni homo sapiens sapiens che abita l’orbe terraqueo, tanto meglio sarebbe per l’umanità.
    Quanto alla scuola, secondo me non dovrebbero andarci neanche gli italiani, ma tant’è, noi ormai siamo stati irrimediabilmente rovinati, gli zingari sono ancora in tempo a salvarsi.

    Un’altra cosa, a propposito del radicamento e della stabilità. Non so chi è che diceva che la patria del gitano es su propia sangre. Quando l’alternativa era fra gli zingari e i contadini, in un mondo agricolo-artigianale tradizionale, gli zingari potevano forse essere considerati più sradicati. Oggi sono senz’altro molto più radicati di noi, perché, anche senza una collocazione fisica stabile nello spazio, mantengono molto più di noi la loro cultura, mentre noi possiamo abitare decenni nello stesso posto (cosa che accade comunque sempre meno), ma siamo completamente estranei alla nostgra stessa tradizione, viviamo in un altro universo rispetto a quello dei nostri nonni e intratteniamo una rete di relazioni con mezzo mondo. Loro praticano ancora una relativa endogamia, hanno sistemi sociali abbastanza stabili, pur con la loro flessibilità e hanno comunità e sistemi famigliari decisamente più integrati e compatti dei nostri.

  14. kelebek scrive:

    Per Andrea n. 11

    Qualche precisazione:

    1) Dici giustamente che i Rom non sono mai stati integrati; semplicemente, vivevano in società meno competitive in cui trovavano utili nicchie in fondo alla scala.

    2)  Se una madre senza documenti e senza casa chiede l’elemosina, dovrebbe forse legare il bambino (parlo di quelli molto piccoli) nella baracca da solo? Molte madri lasciano i propri bambini ai parenti quando vanno a fare manghela, altre se li portano dietro perché non hanno dove tenerli, altre ancora ci marciano per commuovere la gente. Ma non mi verrebbe da chiamare la polizia, senza avere qualche alternativa. Sarebbe diverso se si trattasse di bambino in età scolare, ovviamente.

    3) attenzione, i Rom non sono mai stati nomadi: i nomadi sono comunità che seguono l’andamento delle stagioni, delle piogge e simili.

    I Rom hanno sempre seguito, invece, l’andamento dei non-Rom, scavando piccole nicchie nelle loro discariche (in tutti i sensi); se si muovono, è perché si esauriscono le nicchie.

    Perché tutto questo dovrebbe farsi "stato", peraltro nel momento preciso in cui gli Stati nazionali si disintegrano, non riesco a capire.

    Miguel Martinez

  15. utente anonimo scrive:

    Per Martinez #14

    1) ”nicchie”
    Sì, ma il pregiudizio anti-zigano (uso il tyermine ‘zigano’ per brevità, anche se so che puo’ essere improprio) è molto più antico del capitalismo, tant’e’ che se ne tyrovano tracce fino nell’Impero Bizantino
    http://en.wikipedia.org/wiki/Antiziganism

    2)  ”Se una madre senza documenti e senza casa chiede l’elemosina, dovrebbe forse legare il bambino (parlo di quelli molto piccoli) nella baracca da solo?”
    Mi dispiace per la durezza della mia risposta, ma mi tocca osservare che se una madre gagè arriva al punto di dover andare a chiedere l’elemosina col bimbo in braccio allora giustamente i servizi sociali intervengono e le tolgono il bambino, che non dove pagare per la miseria materna. Il mio incorreggibile relativismo culturale mi impedisce di capire perchè discriminare fra bambini gagè e bambini rom. Non è che se vedo un bambino in braccio a una mendicante con gli occhi azzurri e i capelli biondi non chiamo i Carabinieri. Visto che illuministicamente la libertà di ciascuno finisce dove inizia quella degli altri: io non ho il diritto di tirare dritto e di non chiamare i Carabinieri. Lascio volentieri ai cultori dei Valori della Tradizione l’ammirare la Fedeltà Dei Rom Alle Proprie Radici E Alla Propria Cultura, con tutto l’annesso codazzo di superstizione e di pidocchi che tipicamente la Tradizione si porta dietro. Se questa è giacobina intolleranza, viva la giacobina intolleranza (è notevole che gli zingari non siano stati fra le vittime di Robspierre e dei suoi compari, che pure non hanno risparmiato vandeani, brétonnants e affini).

    3) ”non sono mai stati nomadi”
    Leggo su http://en.wikipedia.org/wiki/Romani_people (il grassetto è mio):
    ”In Spain, attempts to assimilate the Gitanos were under way as early as 1619, when Gitanos were forcibly sedentarized, the use of the Romani language was prohibited, Gitano men and women were sent to separate workhouses and their children sent to orphanages. Similar prohibitions took place in 1783 under King Charles III, who prohibited the nomadic lifestyle”. Non sto dicendo che il nomadismo piaccia agli zingari. Ma se ci si limita ad esaurire le nicchie, il nomadismo rimane una ineludibile condanna. Un razzista con la passione dello storicismo potrebbe contestare agli zingari la ‘colpa’ di non essersi formati (magari con la forza, quand’era ancora possible, come ai tempi delle invasioni barbariche) uno Stato come i Magiari o i Bulgari. Quello che certamente pagano adesso è l’incapacità di vendersi sul mercato globale dell’immaginario, ossia di piazzare pubblicamente una propria immagine positiva, come certi indios da cartolina del Rio delle Amazzoni. Se ci fosse qualche profezia alla moda della fine del mondo basata su un calendario Romani invece che un calendario Maya sarebbe certamente molto più difficile trovare l’esagitato che butta molotov sui campi nomadi. Da questo punto di vista vale per gli zingari la stessa critica che si puo’ avanzare agli immigrati musulmani in Italia: l’incapacità di superare le divisioni interne impedisce di cominciare una campagna di pubblice relazioni più efficace del mendicante all’angolo.

    4) ”capire”
    Non ho detto che sia giusto o doveroso che gli zingari diventino sedentari. Affermo che purtroppo aumenta la probabilità di un nuovo samudaripen se non lo diventano,  o se almeno non cambiano i loro addetti alle pubbliche relazioni (non sto scherzando). In fondo non sono loro fra le popolazioni europee più vicine alle vagheggiate Radici dell’Identità? Fu proprio questo -e il fatto di avere lingue ariane- a rallentare inizialmente i dervisci con la svastica. In tempi di impudicizia come i nostri il pudore familistico è un suicidio. Perchè non sono loro ad essere intollerabili, siamo noi ad essere (sempre più) intolleranti.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  16. utente anonimo scrive:

    Per Martinez #14

    1) ”nicchie”
    Sì, ma il pregiudizio anti-zigano (uso il tyermine ‘zigano’ per brevità, anche se so che puo’ essere improprio) è molto più antico del capitalismo, tant’e’ che se ne tyrovano tracce fino nell’Impero Bizantino
    http://en.wikipedia.org/wiki/Antiziganism

    2)  ”Se una madre senza documenti e senza casa chiede l’elemosina, dovrebbe forse legare il bambino (parlo di quelli molto piccoli) nella baracca da solo?”
    Mi dispiace per la durezza della mia risposta, ma mi tocca osservare che se una madre gagè arriva al punto di dover andare a chiedere l’elemosina col bimbo in braccio allora giustamente i servizi sociali intervengono e le tolgono il bambino, che non dove pagare per la miseria materna. Il mio incorreggibile relativismo culturale mi impedisce di capire perchè discriminare fra bambini gagè e bambini rom. Non è che se vedo un bambino in braccio a una mendicante con gli occhi azzurri e i capelli biondi non chiamo i Carabinieri. Visto che illuministicamente la libertà di ciascuno finisce dove inizia quella degli altri: io non ho il diritto di tirare dritto e di non chiamare i Carabinieri. Lascio volentieri ai cultori dei Valori della Tradizione l’ammirare la Fedeltà Dei Rom Alle Proprie Radici E Alla Propria Cultura, con tutto l’annesso codazzo di superstizione e di pidocchi che tipicamente la Tradizione si porta dietro. Se questa è giacobina intolleranza, viva la giacobina intolleranza (è notevole che gli zingari non siano stati fra le vittime di Robspierre e dei suoi compari, che pure non hanno risparmiato vandeani, brétonnants e affini).

    3) ”non sono mai stati nomadi”
    Leggo su http://en.wikipedia.org/wiki/Romani_people (il grassetto è mio):
    ”In Spain, attempts to assimilate the Gitanos were under way as early as 1619, when Gitanos were forcibly sedentarized, the use of the Romani language was prohibited, Gitano men and women were sent to separate workhouses and their children sent to orphanages. Similar prohibitions took place in 1783 under King Charles III, who prohibited the nomadic lifestyle”. Non sto dicendo che il nomadismo piaccia agli zingari. Ma se ci si limita ad esaurire le nicchie, il nomadismo rimane una ineludibile condanna. Un razzista con la passione dello storicismo potrebbe contestare agli zingari la ‘colpa’ di non essersi formati (magari con la forza, quand’era ancora possible, come ai tempi delle invasioni barbariche) uno Stato come i Magiari o i Bulgari. Quello che certamente pagano adesso è l’incapacità di vendersi sul mercato globale dell’immaginario, ossia di piazzare pubblicamente una propria immagine positiva, come certi indios da cartolina del Rio delle Amazzoni. Se ci fosse qualche profezia alla moda della fine del mondo basata su un calendario Romani invece che un calendario Maya sarebbe certamente molto più difficile trovare l’esagitato che butta molotov sui campi nomadi. Da questo punto di vista vale per gli zingari la stessa critica che si puo’ avanzare agli immigrati musulmani in Italia: l’incapacità di superare le divisioni interne impedisce di cominciare una campagna di pubblice relazioni più efficace del mendicante all’angolo.

    4) ”capire”
    Non ho detto che sia giusto o doveroso che gli zingari diventino sedentari. Affermo che purtroppo aumenta la probabilità di un nuovo samudaripen se non lo diventano,  o se almeno non cambiano i loro addetti alle pubbliche relazioni (non sto scherzando). In fondo non sono loro fra le popolazioni europee più vicine alle vagheggiate Radici dell’Identità? Fu proprio questo -e il fatto di avere lingue ariane- a rallentare inizialmente i dervisci con la svastica. In tempi di impudicizia come i nostri il pudore familistico è un suicidio. Perchè non sono loro ad essere intollerabili, siamo noi ad essere (sempre più) intolleranti.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  17. utente anonimo scrive:

    Per Peucezio #13

    qual’e’ il problema rom”

    http://en.wikipedia.org/wiki/Antiziganism

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  18. PinoMamet scrive:

     "qualche tempo fa nel mio paese ho incrociato una giovane donna dai lineamenti caratteristici dei rom, che però non chiedeva l’elemosina…"

    "Non è che se vedo un bambino in braccio a una mendicante con gli occhi azzurri e i capelli biondi non chiamo i Carabinieri. "

    Due mesi passavo a Milano a quasi davanti alla Stazione Centrale ho visto un gruppetto di donne zingare, che litigavano rumorosamente (in un modo che sarebbe stato normalissimo in un "cortile" all’epoca di mia nonna, ma che adesso destava il disgusto dei passanti);
    per curiosità, e sapendo (giuro!) che su questo blog se ne sarebbe parlato, le ho censite "antropologicamente":

    cinque/sei, vestite un po’ diversamente, sarebbero passate assolutamente inosservate in India;
    due potevano benissimo essere italiane, magari meridionali (anche se poi la parte "scura" della mia famiglia è quella settentrionale, ma vabbè);
    una infine era biondissima e con gli occhi chiari, fisionomia dell’Europa dell’est, la avresti detta più polacca che moldava, tanto per fare un esempio.

    Una ragazza di origine zingara che conosco, una parmigiana che non si vergogna della sua origine ma se ne vanta (zingaro era il nonno, i bisnonni cambiarono il cognome "italianizzandolo", così mi pare che mi abbia detto), è di capelli rossi e carnagione chiarissima, ma non credo faccia testo.

    Ciao!!

  19. PinoMamet scrive:

     Noto che non conosco, a nessun livello, zingari maschi, è che è più facile incrociare le donne: forse sono semplicemente più riconoscibili.

    Ma ora che ci penso, ho avuto a che fare, per motivi di "locations" (poi non se ne fece nulla) con una famiglia di giostrai: cognome italiano, lineamenti "misti" come quelli delle donne di Milano ma con netta prevalenza di quelli "italiani", credo fossero di origine zingara
    (dico zingara perchè la distnzione tra Rom, Sinti, Calè, Maouche ecc., aldilà di differenze dialettali, di stanziamento tradizionale o robe così, non mi pare sufficiente come motivo di distinzione del popolo "rom" nella sua totalità).

    Fine parentesi antropologica non richiesta;
    ciao!! 🙂

  20. PinoMamet scrive:

     Ah, no, supplemento; scusate!

    Se tanto mi dà tanto, credo sia in parte zingaro anche il ragazzo protagonista del film di Di Robilant ambientato a Taranto, Mar Piccolo;
    ha un cognome cèco e appartiene a una famiglia di giostrai o circensi, non ricordo, Di Robilant lo ha scovato con un casting nelle scuole.
    peraltro è molto bravo.

    Ciao!

  21. utente anonimo scrive:

    riaprendo la parentesi di pino, per il po’ che ho fatto da carceriere per un gruppetto di bambini zingari in una scuola media, basandomi sui lineamenti non ne avrei riconosciuto nessuno "zingaro" (su sei, due sembravano polacchi, e gli altri, avessro avuto dei vestiti appena meno zozzi*, sarebbero benissimo passati per italiani)

    roberto

    *giostrai a parte che sembravano dei pariolini

  22. kelebek scrive:

    Per Andrea n. 16

    Direi che la faccenda è un po’ più complessa.  I Rom hanno subito persecuzioni tremende, e tuttora vengono discriminati come nessun altro. Ma queste persecuzioni e queste discriminazioni agiscono su qualcosa, che è il "modo di vivere" dei Rom.

    Non è la loro religione, i loro nomi, il loro aspetto fisico, a essere oggetto di persecuzione e di discriminazione, bensì il loro "modo di vivere". Che non è un modo di vivere a parte, tipo appunto nomadi, ma un modo di vivere inscindibile dalla nostra stessa società.

    Ribadisco continuamente il concetto di fuoricasta, che fu il loro ruolo originario in India e che è estraneo alla struttura sociale occidentale, in cui anche i servi della gleba sono dentro la comunità e non fuori.

    Miguel Martinez

  23. Peucezio scrive:

    Andrea, ma non potremmo fare che i servizi sociali si fanno i cavoli loro nell’uno e nell’altro caso, tranne in casi veramente estremi (il padre che violenta la figlia, la fa prostituire…)?
    Sei relativista e vuoi applicare la logica dei servizi sociali (che, per inciso, sono una delle sciagure del mondo, peggio delle pestilenze e delle carestie) a una cultura con caratteristiche di Gemeinschaft (in senso tönniesiano) completamente estranea a una concezione illuminista e statalista moderna, che è quella che produce cose come i servizi sociali?

  24. Peucezio scrive:

    Per meglio chiarire la mia posizione: io rivendico il sacrosanto diritto degli zingari, rom o sinthi che siano, di vivere a modo loro, di gestirsi i loro figli e la loro società, secondo le loro leggi e usanze e senza che nessun agente esterno possa prendersi alcuna libertà di intervenire, ingerire, scolarizzare "civilizzare" (tra l’altro mi paiono molto più cives loro nella loro comunità che noi nella nostra società anarchica e atomizzata).
    E che noi gagé abbiamo il sacrosanto diritto di difenderci, allorquando ci pestano i calli. Ma, s’intende, con una difesa proporzionata all’offesa e che soprattutto non implica che noi ci arroghiamo il diritto di trasformare loro secondo le nostre stupidaggini liberali, democratiche, sociali, i nostri diritti umani e altre amenità.
    Date queste basi si può anche interagire senza scannarci, nella misura in cui le nicchie (per usare l’appropriato termine di Miguel) residuali consentono loro di sostentarsi nella nostra società. Nella misura in cui non lo consentono si può cercare una soluzione, ma non può mai essere nel senso del "io ti devo assimilare", perché una soluzione che annienta una delle due parti nelle sue caratteristiche peculiari non è una soluzione, nella migliore delle ipotesi è un genocidio culturale, nella peggiore un genocidio fisico.

  25. Peucezio scrive:

    Infine, scusa Miguel, sono d’accordo fino a un certo punto con la frase "Ribadisco continuamente il concetto di fuoricasta, che fu il loro ruolo originario in India e che è estraneo alla struttura sociale occidentale, in cui anche i servi della gleba sono dentro la comunità e non fuori.".
    Il fatto è che gli zingari hanno avuto la sfortuna di arrivare in Europa sullo scorcio del Medioevo, in sostanza in coincidenza con l’inizio dell’Età Moderna, della Riforma nei paesi d’Oltralpe, della Controriforma da noi ecc.
    La pretesa di disciplinare, di assorbire, di non lasciare niente fuori dal proprio spazio di intervento è tipica della modernità, che inizia allora e culmina forse nell”800, forse nei totalitarismi novecenteschi.
    Ma nel Medioevo c’era il concetto di diritto personale, per cui c’erano gruppi etnici o sociali che avevano un diritto proprio, pur stando gomito a gomito con altri gruppi, c’erano i Germani che venivano giudicati secondo il diritto germanico, i latini, cioè noi, gli autoctoni, secondo quello romano, c’erano comunità che si autogovernavano, c’era tutto un complesso di realtà sociali, cetuali, etniche, politiche, corporative ognuna con ampi spazi di autonomia e senza veri agenti di coordinamento centrale E soprattutto senza la pretesa della reductio ad unum, dell’assimilazione dell’alterità.
    Poi tali comunità, ceti, corpi potevano scontrarsi anche con veemenza e in modo sanguinario, ma si trattava sempre di fenomeni dal basso o, quantomeno stratificati, in cui comunque le minoranze erano accettate e avevano i loro spazi, senza che nessuno cercasse di livellarle od omologarle.
    In questo senso più che di Occidente parlerei della parabola dell’Occidente degli ultimi cinque secoli o poco più.

  26. kelebek scrive:

    Per Andrea n. 15

    Riflessioni molto interessanti.

    Sì, ma il pregiudizio anti-zigano è molto più antico del capitalismo, tant’e’ che se ne tyrovano tracce fino nell’Impero Bizantino

    Certo. Sto parlando del problema di "cittadinanza" oggi, cioè cose come lavoro, casa, ecc.

     Il mio incorreggibile relativismo culturale mi impedisce di capire perchè discriminare fra bambini gagè e bambini rom.

    Mi sa che intendevi "antirelativismo" 🙂

    La domanda è:

    1) perché una madre deve lasciare a casa un infante, se mendica?

    2) la madre, dove dovrebbe lasciare il bambino in tal caso?

    3) il bambino starebbe meglio in una qualche Istituzione che in una comunità che vive per i bambini, come quella di una famiglia Rom?

      ”non sono mai stati nomadi”
      Non sto dicendo che il nomadismo piaccia agli zingari. Ma se ci si limita ad esaurire le nicchie, il nomadismo rimane una ineludibile condanna.

    sì, qualcosa del genere. Ma tutti i Rom che conosco io vorrebbero avere una casa.

    Quello che certamente pagano adesso è l’incapacità di vendersi sul mercato globale dell’immaginario, ossia di piazzare pubblicamente una propria immagine positiva, come certi indios da cartolina del Rio delle Amazzoni.

    Qui sono in disaccordo radicale con te.

    I Rom come collettività non esistono: non esiste alcuno stato, ideologia, organizzazione, movimento, religione o simile.

    Esistono famiglie e basta.

    Non devi dire che "i Rom non sono riusciti a…". Devi chiedere, come mai la famiglia Calderash non riesce a vendersi ecc. ecc.

    Non riesce per due motivi: primo, perché sta pensando a procurarsi una stufa per non crepare al gelo; due, perché la sua cultura è orale, e quindi non ragiona proprio nei termini che dici tu.

    Da questo punto di vista vale per gli zingari la stessa critica che si puo’ avanzare agli immigrati musulmani in Italia: l’incapacità di superare le divisioni interne impedisce di cominciare una campagna di pubblice relazioni più efficace del mendicante all’angolo.

    Sui musulmani, potrei essere d’accordo: sono l’opposto dei Rom, in quanto la loro presunta unità è tutta basata su un libro.

    Affermo che purtroppo aumenta la probabilità di un nuovo samudaripen se non diventano sedentari,  o se almeno non cambiano i loro addetti alle pubbliche relazioni (non sto scherzando).

    Dieci punti a favore, perché almeno non dici porrajmos http://kelebek.mond.at/occ/lecco07.htm

    🙂

    Ripeto, non esistono i Rom e quindi non possono avere un addetto alle PR; e aggiungo per inciso che non esiste nemmeno una storia dei Rom, che è totalmente una ricostruzione dei gagè: la memoria culturale, come dice Assmann, coincide con la scrittura.

    Miguel Martinez

  27. utente anonimo scrive:

    Per Miguel (ma rispondo allo stesso tempo anche a Peucezio)

    "cittadinanza"

    Almeno a giudicare da Wikipedia, sembra che dai tempi di Bisanzio in poi
    lavoro, casa e simili gli zingari se li siano presi dove e come potevano,
    certo non glieli hanno benignamente concessi.

    ‘"antirelativismo"

    No, no, intendevo proprio ”relativismo”. Mi spiego con un OT lunghetto,
    che piacerà immagino sopratutto a Peucezio. Relativismo non significa  che tutte le culture sono uguali. Significa che le loro differenze sono e hanno da restare irrilevanti rispetto alle norme del vivere comune. Tali norme dovranno quindi valere indipendentemente dalla cultura professata (Valori, Radici, Identità, Tradizioni) dal gruppo umano cui il singolo individuo appartiene. Il classico esempio di una simile norma è ‘la libertà di ciascuno finisce dove inizia la ibertà degli altri’. In base a tale norma
    io non ho il diritto di passare col rosso (limito la libertà altrui di
    oltrepassare in sicurezza la starda) o (evidentemente), nè di stuprare una
    persona (limito la sua libertà di gestire il suo corpo, libertà per il
    futuro nel caso sia un infante), nè tantomeno di mutilarla per poi
    trascinarla a chiedere l’elemosina impietosendo i passanti. Ma in base a
    questa stessa norma io non ho il diritto di escludere un bambino
    dall’accesso all’istruzione (un ignorante nella società moderna è a tutti
    gli effetti un handicappato, e negare l’istruzione a un bambino equivale a
    storpiarlo), nè ho il diritto di lasciare che un bambino resti al freddo e
    senza acqua potabile. E’ da qui che nascono tutte le cose poco care a
    Peucezio come la vaccinazione obbligatoria, i servizi sociali, il
    giacobinismo, la Croce Rossa, l’istruzione obbligatoria, il terzomondismo,
    il controllo delle nascite,  ecc. Da qui nasce anche ad es. la condanna dei
    Testimoni di Geova che negano ai figli malati le trasfusioni di sangue
    ritenute eventualmente necessarie dai medici. Si capisce quindi come il
    relativismo sia una ‘feroce’ forma di intolleranza. Scrivo ‘feroce’ fra
    virgolette perchè il relativismo rende impossibili le altre intolleranze
    non perseguitandone i  seguaci , ma solamente mettendo a nudo
    l’arbitrarietà dei loro contenuti. L’aveva già lucidamente capito il
    filosofo cattolico Del Noce, che l’illuministica Dichiarazione
    dei Diritti dell’Uomo era la base di un totalitarismo sottile e pervasivo.
    E meno male. L’istruzione, l’igiene e la vaccinazione sono obbligatorie. La
    miseria degli altri non è un diritto. (Mi rendo conto che questo slogan sa
    un po’ di adunata oceanica. Del resto, non è stato il cattolico Francesco
    in questo stesso blog a definirmi ‘stalinista metafisico’?) Un naturale
    nemico dell’intolleranza relativista è la Chiesa cattolica con la
    Tradizione da essa incarnata, per cui ӏ meglio rinunciare a un occhio,
    piuttosto che entrare con tutti e due gli occhi nella geenna”. Fuori dal
    cristianesimo i nemici del relativismo sono almeno due: il totalitarismo,
    che riserva le proprie attenzioni a una supposta Gemeinschaft eletta (di
    Popolo, di Sangue, di Valori, di Classe o come si dice adesso di Identità),
    e il liberismo oggi trionfante, che riserva di fatto le proprie attenzioni
    all’èlite dei proprietari dei mezzi di produzione e confonde la libertà
    economica con una presunta Libertà Individuale, ignorando che un conto è
    quello che l’individuo ha diritto di fare e un conto è quello che
    l’individuo puo’ concretamente fare -v. ad es. gli studi di Amartya Sen
    sulle cause delle carestie. In contrasto, in omaggio al rasoio di Ockham e
    al relativismo il pensiero epicureo, agnostico e razionalista  non
    privilegia un gruppo umano sull’altro. Mentre le prime due opzioni sono
    state in vari momenti storici opportunisticamente giudicati dalla Chiesa
    compatibili col proprio insegnamento -chè basate sull’adesione a Valori
    postulati, e non sulla pratica di regole indipendenti dai Valori- la terza
    opzione è stata identificata come frontalmente contrapposta al
    cristianesimo da Ratzinger e identificata con il modo di pensare
    dell’Anticristo dall’ortodosso Solovev (http://www.popian.it/). E a buon
    diritto. Difatti, ”ciò che ci divide non è il fatto che noi non troviamo
    nessun Dio, né nella storia, né nella natura, né dietro la natura, – ma che
    quello che è stato adorato come Dio noi non lo troviamo affatto "divino",
    ma al contrario pietoso, assurdo, dannoso, non solo perché è un errore, ma perché è un crimine contro la vita” (Nietzsche, L’Anticristo)

    ” perché una madre deve lasciare a casa un infante, se mendica”

    Perchè inevitabilmente il bambino prende freddo, le sue difese immunitarie crollano ecc. E illuministicamente daro’ prova di arrogante intolleranza ottocentesca negando a chiunque il diritto di lasciare consapevolmente prendere freddo a un bambino. Così come di non mandarlo a scuola, o -nel caso dei Testimoni di Geova- di non fargli fare le trasfusioni di sangue se necessarie. E se così infrango qualche Tradizione e manco di rispetto a qualche Identità, me ne frego altamente.

    ”dovrebbe lasciare il bambino in tal caso”

    Dai parenti (v. più sotto)

    ”una comunità che vive per i bambini”

    Una comunità ‘che vive per i bambini’ non lascia che prendano freddo stando in braccio a una madre mendicante -indipendentemente dal fatto che la madre sia appartenente alla stessa comunità o no. Questa mia intolleranza, si badi, non è antiziganismo: vale anche per i gagè che votano per chi spende in armi mille volte la cifra bastevole a sollevare dalla miseria i poveri. Appunto, fu il solito Orwell a identificare la carica di intolleranza insita nel pacifismo di chi -come me- esprime tale opinione.

    ”Rom […] scrittura”

    Sono completamente d’accordo. Il punto è che la società moderna gagè è
    individualista solo a parole: in realtà è un continuo scontro di gruppi,
    come e più che nel Medioevo di Peucezio. Infatti oggi come allora il
    potere, come ricorda il solito Orwell, è la capacità di danneggiare altri,
    ed è collettivo. Il disoccupato da solo si spara: il disoccupato che sale
    sul tetto della fabbrica spinge anltri dieci a fare come lui: così viene la
    TV che fa la riprese, e allora il sindacalista e il politico aggiustano
    qualcosa per paura di perdere consensi. Il negro da solo è linciato: tanti
    negri fanno casino, e hanno la possibilità di creare un caso nazionale e di
    promuovere un cambiamento (magari non immediato, magari dopo anni) della situazione. Per paura del male che ci possono fare le lobbies avverse modifichiamo impercettibilmente il nostro linguaggio, e con esso il nostro modo di pensare (ancora Orwell, lo so che è una barba, ma che ci posso fare se aveva capito così tanto?). Il politically correct è seguito
    all’affermarsi delle lotte per i diriti civili, ed è passato di moda con la
    reazione liberista delle élites seguita al tramonto della Grande Paura
    Della Rivoluzione con la caduta del Muro. Ma la situazione è così fragile
    che di spazio di manovra ce n’e’ ancora. E’ brutto a dirsi, ma è così:
    nessuno ti si fila se crepi di freddo. Se poi ti nascondi nella nicchia,
    cornuto e mazziato: non hai capito niente. Da qui si capisce che delle due
    l’una:  o gli zingari accettano il consiglio che Sartre dava agli Ebrei per
    combattere l’antisemitismo, ossia si fanno casta, lobby, classe, Minoranza,
    Gruppo di pressione e si creano le loro Antidefamation League…, oppure
    rinunciano a ogni mezzo di difesa che la maggioranza gagè è in grado di
    riservare loro.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  28. kelebek scrive:

    Per Andrea n. 26

    Un po’ di socratismo selettivo… cioè credo che il dialogo, nel senso socratico e non nel senso wojtylo-rutelliano, sia una delle poche fonti di saggezza; però non si può dialogare su tutto, per un semplice problema di tempo.

    Quindi, su tutti i punti importanti che hai tirato in ballo, te ne contesto solo uno:

    ” perché una madre deve lasciare a casa un infante, se mendica”

    Perchè inevitabilmente il bambino prende freddo, le sue difese immunitarie crollano ecc.

    A me sembra il discorso attribuito, pare falsamente, a Maria Antonietta, sulla fame e le brioche.

    Cos’è la "casa"? Ho dato un esempio concreto, credo: quello di Gabriela, una rumena evangelica che ho conosciuto quando mendicava all’ospedale di Imola.

    Lei non si portava dietro i bambini a mendicare. E non voleva che prendessero freddo.

    E così due sono morti soffocati dalla bombola del gas, nella loro kampina.

    E se è successo a Natale, non è colpa di qualche propagandista astuto, ma del caso.

    Miguel Martinez

  29. paniscus scrive:

    Aggiungo incidentalmente, portando l’acqua al mulino di una delle questioni che mi appassionano di più: uno dei modi migliori per rafforzare le difese immunitarie di un bambino piccolo è quello di allattarlo al seno il più a lungo possibile.

    Quindi, se veramente ci si preoccupa delle difese immunitarie di un bambino zingaro di pochi mesi, si dovrebbe sapere che è di gran lunga preferibile che se ne stia tutto il giorno a contatto con la madre, anche se questa mendica per strada… piuttosto che nutrito col latte artificiale (o peggio ancora, col normale latte vaccino annacquato "da poveri" ) per essere affidato ai parenti mentre la madre è lontana.

    Ovviamente, sarebbe meglio ancora se non ci fosse da scegliere tra queste due opzioni, e se potesse starsene tranquillo in una solida casa riscaldata, con la madre riposata e ben nutrita.

    Ma se proprio si deve scegliere tra la fascia-marsupio legata al petto della mamma ad un incrocio stradale, e la baracca fredda e pericolante con la nonna che ne accudisce distrattamente altri cinque con un paio di biberon condivisi tra tutti e sciacquati approssimativamente a mano senza detergente, molto meglio la prima. 

    Molto diverso sarebbe il caso di un bambino in età scolare, che venisse portato a mendicare INVECE di andare a scuola (luogo in cui, oltre a ricevere una qualche forma di istruzione, se ne starebbe anche al caldo per diverse ore al giorno e mangiando a una mensa decente).

    In quel caso sarei la prima a non avere nessuna comprensione, perché sarebe evidente che il bambino viene effettivamente "usato" in modo deliberato, o per commuovere i passanti, oppure per addestrarlo allo stesso genere di attività.

    Ma finché si tratta di un poppante di pochi mesi, mi sembra talmente OVVIO che il posto migliore per lui sia a contatto con la madre, che non riesco proprio a vedere alcun secondo fine nel portarselo dietro.

    Io personalmente, me li sono portati centinaia di volte, i figli neonati, in posti e situazioni in cui c’è sempre qulcuno che storce il naso perché sono considerate socialmente "inadatte ai bambini". Non l’avrei fatto con un treenne, e tantomeno con un seienne, ma con un poppante sì…

    Lisa

  30. Peucezio scrive:

    Miguel, perché a me non hai risposto? Sarei interessato a sentire il tuo parere sulle questioni che ho sollevato.

    Lisa #28 Sono pienamente d’accordo. Consentimi di dire che se tutte le madri pensassero come te, nel giro di una generazione avremmo un’umanità molto migliore.

    Andrea #26:
    si tratta di intenderci sui termini. Io col termine relativismo intendo il relativismo culturale, che è quanto di più lontano da ciò che tu propugni.
    Il relativismo come lo intendi tu mi pare una forma di relativismo individuale: se ogni individuo è misura e fondamento di sé stesso, del suo pensiero e del suo agire, è logico che ci debba essere un sistema sociale e giuridico che gli consenta di esplicare questa autonomia e questa autoreferenza (non intesa in senso necessariamente negativo, come isolamento), sia dandogliene gli strumenti primi (istruzione, condizioni di vita accettabili, sia impedendo intrusioni di altri soggetti o di altre comunità o istituzioni che lo condizionino e lo dirigano dall’esterno.
    Questa è sostanzialmente, mi pare, una concezione liberale, anche se non liberista o liberalcapitalista. Cioè il valore è l’autonomia e l’intangibilità dell’individuo e la sua ppossibilità di esplicare tutte le sue potenzialità, inclinazioni e valori. Nel momento in cui un sistema capitalista pone molte persone in condizioni di sussistenza minima insufficiente ad esplicare tali potenzialità o, addirittura, come nei fatti accade, sotto la stessa soglia di sussistenza, entra in contrasto con un modello veramente liberale, perché tali libertà sono garantite in astratto, entro un quadro giuridico formale, che non garantisce che però vi siano le condizioni materiali perché esse vengano esplicate fattualmente.
    In genere mi pare che il termine "relativismo" venga impegato, oltre che nella mia accezione, di relativismo culturale in senso antropologico, anche nel senso di adesione a un orientamento culturale, ideologico, religioso, filosofico, e quindi della pari dignità dei vari orientamenti possibili: come dire, se uno è cattolico, è giusto che possa pensare ed agire da cattolico, se uno è materialista, deve poter subordinare i suoi atti e le sue scelte a tale orientamento ecc.
    Ciò che proponi tu è simile, ma leggermente diverso: cioè non ci sono tanto correnti culturali quanto individui e sono loro la categoria a cui relazionarsi: tutto è relativo al singolo uomo e la società ha l’unico vincolo obbligatorio di consentire a questo singolo di vivere secondo il suo proprio pensiero e inclinazione, imponendogli come unico limite di rispettare l’eguale prerogativa altrui.
    A me, ripeto, pare una concezione liberale radicale, ma si può in effetti definire come una sorta di relativismo individualista.

    Un’ultima cosa: tu, rispondendo a Miguel, fai riferimento alle lobby e alla solidarietà di gruppo. E’ vero, ma secondo me con dei significativi limiti. Ci sono le lobby che consentono a una serie di minoranze, o non- minoranze, di avere degli spazi di tutela in cui far valere alcune loro ragioni. Ma i veri decisori sono altri (determinate minoranze e lobby) contro cui nessun’altra lobby o insieme di tutte le lobby al mondo può nulla. Se anche tutte le lobby, le maggioranze o le minoranze del mondo coalizzate si mettessero d’intralcio ai piani di una certa élite di anglosassoni (protestanti) ed ebrei, ti assicuro che verrebbero schiacciate come vermi o, quantomeno, messe in condizioni di non agire.
    Ciò non toglie che, visto che agli zingari non interessa dominare il mondo ma solo poter essere lasciati in pace in condizioni di vita migliori, fare lobby a loro gioverebbe. Solo che non lo faranno mai, perché non è nella loro indole o, meglio, non è nella loro cultura né nella loro struttura sociale, che è disarticolata, basata su rapporti personali, famigliari, di clan, senza nessuna capacità di proiezione in un ambito più grande e più influente (il che, dal mio punto di vista, è il sengo della nobiltà della loro cultura, ma per loro è, ahimè, anche una grossa fregatura). Su questo credo che Miguel abbia compreso bene e in modo realistico le caratteristiche dei rom. D’altronde ne ha un’esperienza e una conoscenza diretta, diversamente da me e, credo, anche da te.

  31. karakitap scrive:

    Per Martinez e Andrea dI VIta,
    non sono mai stato un sostenitore degli stati nazionali, perché per me al primo posto vengono gli individui, che poi si associano per amore o per forza in famiglie, clan, tribù fino allo stato, il problema de Rom non è esattamente il problema dei nomadi (in Europa esistono gruppi etnici che praticano il nomadismo o lo praticavano fino a non molto tempo fa, mi riferisco agli Irish travellers irlandesi o agli Jenisch dell’area germanica, costoro somaticamente non sono molto diversi dagli irlandesi o dai tedeschi sedentari, eppure "godono" degli stessi pregiudizi e stereotipi dei Rom, come il voler imbrogliare negli affari e la tendenza a delinquere), quanto di una serie di gruppi  (che spesso non vanno nemmeno d’accordo tra loro) che vengono visti come estranei dagli altri (i gagé) e potenzialmente pericolosi (l’idea di una Anti-defamation League non sarebbe affatto malvagia, avrebbe anche troppo lavoro da svolgere), il problema dei Rom attuali è simile agli Ebrei dell’epoca diasporica, costoro spesso dovevano affidarsi alla protezione del feudatario o dell’ecclesiastico di turno per essere protetti, mentre il popolino avrebbe voluto sovente linciarli, così oggi i Rom vengono assistiti  (in qualche modo) dalle istituzioni civili o religiose, mentre la cittadinanza li manderebbe volentieri a quel paese (quale non importa, basta che non sia il proprio. Per questo penso che l’unica soluzione potrebbe essere un focolare nazionale (lo so che è impossibile per non ledere i diritti di chi già c’è, ma poniamo il caso che sorga dal mare un’isola di una certa estensione, magari in acque internazionali quindi sarebbe terra nullius, almeno credo) dove nessuno potrebbe mandarli via.
    Facendo dell’ucronia, se esistesse uno stato Rom non ci sarebbero problemi a costruire case con ampie stanze al piano terra per ospitare parenti e amici, e nel ’99  avrebbe potuto organizzare un ponte aereo per trasportare i Rom del Kosovo cacciati dalla regione dagli Albanesi, oppure avrebbe potuto essere un punto di arrivo per le migliaia di Rom rumeni che hanno lasciato il paese (a proposito, non so se seguite la politica interna ungherese, da qualche tempo è attivo un partito, lo Jobbik, di estrema destra, che in nome dell’identità magiara ha nell’anti-ziganismo uno dei suoi cavali di battaglia, pare che nel paese il tasso di natalità dei Rom sia maggiore di quello dei magiari, per cui si prevede che tra qualche decennio potrebbero essere un quarto o un terzo della popolazione.
    Forse è vero che hanno perso l’occasine per essere stato nel medioevo, sono arrivati tardi in Europa, intorno al ‘400, bulgari e magiari invece nell’alto medioevo, curiosamente la storia della sedentarizzazione di questi due popoli ha avuto esito diverso: i proto-bulgari parlavano una lingua turca, ma sono stati abbastanza presto assimilati dagli slavi, invece i magiari (nella storiografia ungherese il periodo dell’insediamento nella piana del Danubio viene definito "conquista della patria", quando l’ho sentita la prima volta mi sembrava un ossimoro) sono riusciti a imporre la loro lingua alle popolazioni pannoniche, se fosse avvenuto qualcosa del genere per i Rom, forse avremmo oggi uno stato nel cuore dell’Europa che parla una lingua indo-aria… ucronia a parte, i Rom purtroppo non sono  riusciti a integrarsi quando la congiuntura andava bene (ovvero quando si portavano avanti ideali di progresso e uguaglianza), figurarsi in questo scenario segnato da paure e deriva securitaria.
    Salutoni, Karakitap

  32. utente anonimo scrive:

    Per Paniscus #28 e kelebek #26

    Contrariamente a quanto puo’ apparire dalla bella disamina di Martinez (http://kelebek.mond.at/occ/lecco09.htm) uno degli argomenti portati più comunemente contro gli zingari è l’apparente trascuratezza (eufemismo) che essi avrebbero verso i propri figli, sia in Italia sia in Polonia (fidatevi: chi pensa che gli Italiani siano fra gli Europei più zingaròfobi ha di che ricredersi. Le uniche vere litigate furiose che ho avuto in Polonia vertevano sugli zingari. Se vado a riportare la frase di Martinez sulle comunità di zingari che si curano dei loro bambini sono capacissimi di togliermi il saluto). Il fatto che gli zingari appaiano rifuggire dal chiedere un supporto materiale per i propri figli -proprio allo scopo di evitare tragedie come quella della bombola del gas- è vista come riprova di tale trascuratezza. Proprio il non voler organizzarsi per chiedere quello che -anche solo per demagogia- gli verrebbe facilmente concesso per evitare tragedie a danno dei bambini supera la capacità di comprensione di molti gagè. A quel punto il portar via i bambini dalle famiglie sembra a molti quasi un dovere.
    (Mi scuso con Martinez per la lunghezza della mia risposta, ma volevo rispondere insieme a lui e a Peucezio 🙂

    Per karakitap #30

    ”politica interna ungherese”

    Un paio di mesi fa, al bancone di un pub, una donna sui 40 anni, capelli rossi ricci e ben curati, si avvicina e mi urta. "Scusa", mi fa. ”Prego", rispondo. E’ rimasta accanto al bancone a fissarmi. Poi, con una grossa alitata di vino e una voce sguaiata, mi fa: "Zsido vagy?" Mi chiede se sono ebreo. Due settimane dopo, un sabato sera, era un po’ tardi e tornavo a casa. Tre persone come tante, da lontano, ci chiedono: "Ariàk vagytok?", siete ariàk? Per me l’aria è quella che respiro. La persona accanto a me, invece, capisce e fa cenno di lasciar perdere. Ci han chiesto se eravamo ariani.

    http://it.peacereporter.net/articolo/15654/L%27aria+d%27Ungheria

    Per Peucezio #29

    ”Nel momento in cui un sistema capitalista pone molte persone in condizioni di sussistenza minima insufficiente ad esplicare tali potenzialità o, addirittura, come nei fatti accade, sotto la stessa soglia di sussistenza, entra in contrasto con un modello veramente liberale, perché tali libertà sono garantite in astratto, entro un quadro giuridico formale, che non garantisce che però vi siano le condizioni materiali perché esse vengano esplicate fattualmente.”

    Che è , come noto,  il motivo per cui molti ‘si sono buttati a sinistra’, come diceva Toto’.

    ”fregatura”

    Chi pecora si fa, il lupo se lo mangia. Come i gagè devono imparare che non si tirano le molotov su campi zingari 🙁 così gli zingari devono imparare a rappresentarsi nel mondo reale, in cui i gagè sono maggioranza.

    Per il resto concordo in toto.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

    Andrea Di Vita

  33. paniscus scrive:

    "…Il fatto che gli zingari appaiano rifuggire dal chiedere un supporto materiale per i propri figli -proprio allo scopo di evitare tragedie come quella della bombola del gas- è vista come riprova di tale trascuratezza. Proprio il non voler organizzarsi per chiedere quello che -anche solo per demagogia- gli verrebbe facilmente concesso per evitare tragedie a danno dei bambini supera la capacità di comprensione di molti gagè.  "

    ———————

    Però, contemporaneamente, se invece capita qualche caso in cui l’aiuto lo chiedono (o perché si tratta di una singola famiglia particolarmente combattiva, oppure perché sono stati ben seguiti da qualche operatore sociale che li ha incoraggiati a farlo)…

    …allora le stesse persone che normalmente si scandalizzano per la mancanza di iniziativa nel chiedere aiuti, scattano prontamente a indignarsi per l’impudenza e l’arroganza di chi osa chiedere aiuti "quando invece ci sono tante famiglie perbene italiane che non ricevono nulla".

    Non ti risulta?

    Lisa

  34. utente anonimo scrive:

    Per Lisa #32

    ”Non ti risulta?”

    Certo che mi risulta. Appunto per questo dà poco frutto che si muova una famiglia rom da sola. Deve essere necessariamente l’intera etnia a muoversi per ciascuno dei suoi membri. Tanto più che a differenza di molti immigrati  la maggioranza degli zingari il passaporto italiano ce l’ha già. In fondo centoventimila persone votano -o almeno possono minacciare di farlo. Se i rom, come spiega Martinez, hanno una struttura sociale essenzialmente familiare, ebbene stando il relativamente poco peso che la famiglia ha in Italia -nnostante decenni di governo dei Difensori Dei Valori- sarà bene che si diano una mossa e si organizzino a livello sovrafamiliare. Se non lo fanno loro nessuno ci penserà al posto loro. Tanto più che -come spiega Martinez nel suo sito- ci sono molti più gagè  che parlano di rom dei rom che parlano di se stessi. Gli assenti hanno sempre torto. Insisto molto su questo punto perchè dalla parte polacca della mia famiglia mi si conferma che è vero che -come ricorda sempre Martinez nel suo sito- gli unici ad avere provato a integrare con succeso i rom sono stati i governi comunisti dell’epoca sovietica. Ma è vero anche che prima della caduta del Muro in Polonia i rom hanno di fatto rifiutato l’integrazione, restando nomadi e facendo cosi’ sprecare i soldi, le case iservate a loro ecc. al governo polacco. Cosa questa che ha fatto infuriare le famiglie gagè che per anni hanno dovuto coabitare in attesa che venisse assgnata una abitazione per famiglia: e parliamo di tre stanze per famiglie di dieci persone. Legittima difesa di un modo di vivere zingaresco? Non so: di certo un clamoroso autogol mediatico, di cui gli zingari non si sono forse neppure resi conto. Il che, in questi tempi di revisionismo, è pericoloso per la loro stessa incolumità.

    Banalmente (già vedo Martinez che mi insegue per prendermi lo scalpo con qualche coltello rituale maya :-): ve l’immaginate Chiambretti che fa un reality in un accampamento rom invece che nei soliti, abusati ritrovi vacanzieri del terzo mondo?

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  35. kelebek scrive:

    Per Peucezio n. 29

    Trovo molto interessanti i tuoi commenti, e anche un po’ più vicini alla realtà dei Rom di quanto siano molte cose apologetiche nei loro confronti.

    Non c’è dubbio che il sistema di vita Rom sia molto più "tradizionale" di quello del mondo che rifiuta i Rom, e questo genera proprio l’ambiguità per cui i Rom hanno contro sia quelli di "Destra" che quelli di "Sinistra", i primi li vorrebbero espellere, i secondi li vorrebbero "integrare", entrambi li vorrebbero annientare.

    In questo, bisogna tenere in conto due elementi:

    1) la cultura orale non conosce alcuna ideologia o astrazione, per cui non c’è alcun "tradizionalismo", non ci sono "valori", c’è semplicemente la vita concretamente vissuta, in quella maniera. Questa forse è la cosa più difficile per i non Rom da capire: sento sempre cose tipo, "ma perché hanno scelto di vivere così? perché non cambiano mentalità?", ecc.

    2) questo vissuto può essere tremendo, drammatico e tragico, per non dire mortale, anche se indubbiamente contiene un in più sul piano umano che è incomprensibile per noi: i due aspetti sono inseparabili.

    Ora, la domanda è, la tragicità dà diritto a terzi, che magari vanno in giro con enormi travi negli occhi, di cercare di "salvare i bambini Rom" sequestrandoli e rinchiudendoli in istituti, come tante si è fatto in passato e come talvolta si fa ancora oggi?

    Prendiamo il caso peggiore (e piuttosto raro), quello di una famiglia che si mantiene mendicando con la partecipazione dei bambini.

    Il bambino partecipa felicemente alle imprese della famiglia, viene trattato con grande amore e affetto da tutto: in fondo, è per lui che la famiglia lavora; gioca tutto allegro nella discarica, rischiando le peggiori malattie.

    Ma è possibile stabilire astrattamente che crescerebbe meglio senza una famiglia?

    Miguel Martinez

  36. kelebek scrive:

    Per Andrea n. 33

    Deve essere necessariamente l’intera etnia a muoversi per ciascuno dei suoi membri.

    E’ esattamente questo che non ha senso, nel nostro caso. Non esiste alcuna "intera etnia", dotata di "membri".

    Vuoi dire che le singole famiglie Rom dovrebbero "associarsi" a qualcosa, e a volte lo fanno: girano attorno a una parrocchia, a un’associazione di volontariato, o nei paesi dell’Est attorno a un potentato di qualche tipo, sperando nelle sue grazie.

    Miguel Martinez

  37. Peucezio scrive:

    #34 Miguel:
    sì, sono pienamente convinto che la famiglia sia, con poche eccezioni, sempre meglio di qualsiasi istituto o istituzione pubblica. Il guaio è che si guarda il livello di vita materiale dei genitori, quasi che la povertà o l’ignoranza (ignoranza sempre in base ai nostri opinabili parametri) rendessero delle persone indegne di fare i genitori. E comunque, anche laddove sia assolutamente palese tale indegnità (come dicevo prima, padre che violenta la figlia o la fa prostituire ecc.), è preferibile inviarli immediatamente in affidamento a un’altra famiglia, sia pure provvisoriamente, in attesa di un’adozione fatta con criteri più ponderati, rispetto anche a pochi giorni in un istituto, che sarà sempre una realtà anonima, fredda e alienante e come tale, per un bambino, foriera di traumi indicibili.

    Sulla cultura orale: l’uomo occidentale contemporaneo in effetti fa un po’ fatica a concepire l’idea di cultura orale, ma non dobbiamo dimenticare che, fino a un paio di generazioni fa anche presso noi italiani "bianchi" , gagé ecc.  esisteva, accanto alla cultura scritta, che era appannaggio di una piccola parte della popolazione, una cultura orale ricca e complessa.
    Io, che studio per passione queste cose, passo le ore a occuparmi di cultura orale dei miei antenati (di cui qualcosa mi è arrivato anche in forma diretta).
    Gli zingari non possono essere "tradizionalisti", nel senso di un’adesione mediata e ideologica ai valori della tradizione, perché essi la vivono, se la tramandano e la danno per scontata. Possono però sì, io credo, avere dei valori, se con valori intendiamo non qualcosa di codificato storicamente in forme documentabili e fisse. Il rispetto per gli anziani, per il capofamiglia, l’adesione a una serie di regole non scritte, il sentimento di appartenenza alla comunità io li definirei senza problemi valori, anche laddove siano impliciti e chi vi aderisce non sarebbe in grado di esprimere tale adesione in forma mediata e definita.

  38. Peucezio scrive:

    Andrea #31
    Ma gli ungheresi NON sono ariani! In senso linguistico, beninteso. Una razza ariana non esiste nemmeno secondo i canoni dell’antropologia fisica classica.

    Tu dici "gli zingari devono imparare a rappresentarsi nel mondo reale, in cui i gagè sono maggioranza.". Scusami, ma in tutta franchezza mi sembra una bella dichiarazione di intenti, ma del tutto teorica e irrealistica. Ammesso che sia giusto che facciano ciò che dici (e secondo me non lo è), ciò non accadrà mai. O, meglio, se mai accadrà, non saranno di fatto più zingari, ma saranno identici a noi, ma con qualche bel libro sulla storia degli zingari su uno scaffale e degli antenati rom di cui inorgoglirsi, come quelli che in base al proprio cognome sostengono di aver scoperto chissà quale bizzarra ascendenza e la propinano al malcapitato interlocutore.
    Per assurdo non sono nemmeno d’accordo sul fatto che il gagiò non deve tirare le molotov all’accampamento zingaro. E’ ovvio che è un comportamento che non va bene, crudele, violento, esagerato, che oltretutto colpisce anche degli innocenti, dei bambini ecc. ma di per sé il fatto che lo zingaro faccia lo zingaro e vada anche a rubare al gagiò è nell’ordine delle cose, come lo è il fatto che il gagiò di conseguenza s’incazzi e reagisca violentemente, non andando a bruciare il campo rom ovviamente, ma magari andando a fare un paliatone all’autore del furto. Ed è anche giusto che la polizia arresti lo zingaro che ha rubato, ma perché noi gagé abbiamo diritto a difenderci, non perché ci sia qualcosa di eticamente ingiusto nell’atto del rom, che agisce in base alle leggi della sua comunità, non della nostra e fa bene. Per lui quindi, rubare o non rubare a noi è più una questione di opportunità pratica (se mi beccano, mi arrestano…) che di principio.

  39. Peucezio scrive:

    #32 Lisa,
    sì, ma le prime sono di sinistra e le seconde di destra, quindi ognuna delle due dirà: "ma tu non devi dar retta a quell’altro". 🙂
    Scherzi a parte, è proprio come dici tu.

  40. utente anonimo scrive:

    Per Peucezio #37

    ” gli ungheresi NON sono ariani”

    Noi due lo sappiamo, e anche l’autore dell’articolo che ho citato. Penso che gli autori della domanda riportata dall’autore dell’articolo intendessero ‘ariano’ nel senso di ‘non ebreo, non negro’  (e paradossalmente anche ‘non zingaro’).

    ”d’accordo”

    E difatti di accordo si tratta. Se uno zingaro decide che hai ragione tu, allora fa bene lui a rubare e il gagè a tirare la molotov, e si continuerà così fino al prossimo samudaripen. Altrimenti, come tutti, ridurrà la propria etnia a qualcosa di simile ai volumi che stano sullo scaffale (espressione bellissima, complimenti): il ridurre l’etnìa e la tradizione a qualcosa di libresco, in ultima parola l’autoetnocidio, è precisamente il prezzo da pagare per la pace. Anzi, almeno dal tempo delle guerre di religione in poi è il prezzo al quale tutti noi in Europa abbiamo comprato la pace (ha ragione da vendere Evola quando dice che la società moderna è fondata sull’abbandono della Tradizione, ma hanno ragione da vendere anche i nominalisti quando dicono che le Tradizioni altro non sono che flatus vocis, fiati della voce). Ancora Epicuro: il senso di appartenenza ad una etnia, ad una tradizione, è un bisogno naturale ma non necessario, perseguire il quale puo’ mettere in forse il soddisfacimento di quell’altro bisogno, naturale E necessario, che è la sopravvivenza. Non diversamente i neonati haitiani che saranno adottati da famiglie italiane cresceranno italiani, impareranno a tifare Totti e ad evadere il fisco, ecc., e non sapranno del voodoo che dai libri. Chiunque sostenga che sarebbe meglio rimanessero ad Haiti dovrebbe andare a condividerne la sorte.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  41. utente anonimo scrive:

    Per Martinez #35

    ”E’ esattamente questo che non ha senso, nel nostro caso”

    Ma io sono ancora più radicale, nel mio  consapevole totalitarismo relativista 🙂 Come tu stesso hai giustamente denunciato, i portavoce gagè degli zingari sono più comuni deigli zingari che parlano per sè. Questo comporta il pericolo della futura creazione di una nomenklatura di professionisti dell’integrazione zingara, un po’ come quel demi-monde di sedicenti rappresentanti dell’islam italiano che pretendono di rappresentare gli immigrati islamici, demi-monde di cui parlate spesso tu e Salamelik (www.salamelik.blogspot.com). L’unico modo di depotenziare tali nomenklature è quello di garantire un percorso di accesso alla cittadinanza non solo formale (visto che formalmente molti zingari sono già italiani) ma sostanziale (il che vul dire accesso garantito ai servizi pubblici controbilanciato da un controllo poliziesco maggiore, non minore o uguale, rispetto agli Italiani che non hanno bisogno di integrazione). Un esempio di questa situazione applicato agli immigrati è ben descritto nella lettera di oggi a Sergio Romano sul Corrier della Sera (il grassetto è mio):

    Mercoledi’ 20 Gennaio 2010
    ASSIMILAZIONE E INTEGRAZIONE COME SI DIVENTA ITALIANI
    http://www.corriere.it/romano/

    Tutti auspicano, o al contrario non vogliono, la «integrazione» degli extracomunitari in Italia. Ma che vuol dire integrazione? Dobbiamo prima capire se parliamo della stessa cosa. Vogliamo, per esempio, che gli extra diventino «come noi», ossia che parlino l’italiano, vestano come noi, seguano la religione cattolica, mangino i nostri cibi, tengano la casa pulita e in ordine come (alcuni di) noi, apprezzino le nostre battute? E quindi integrati perché simili. Oppure ci basta che parlino l’italiano e rispettino le nostre usanze, anche se mantengono la loro lingua, il loro abbigliamento, la loro religione, mangiano i loro cibi, tengono la casa come sono abituati e proseguono nei comportamenti sociali dei loro genitori o dei loro nonni? E quindi accettabili, ma ognuno al posto suo. Che debbano obbedire alle leggi non c’è discussione, anche se contrastano con le loro usanze, è chiaro. Qual è allora l’integrazione che abbiamo in mente quando diciamo di volerla o di non volerla? E’ importante avere le idee chiare.

    Giuseppe Alunni , giusalu@tele2.it

    Caro Alunni,
    Delle due ipotesi prospettate nella sua lettera, la prima non è chiamata integrazione ma assimilazione, ed è stata la formula preferita dagli Stati nazionali, anche democratici, negli anni in cui si riteneva che gli immigrati, a differenza delle minoranze storiche, dovessero assorbire integralmente la cultura della società che li aveva accolti. Fu questa, incidentalmente, la ragione per cui molti ebrei tedeschi e austriaci, nel corso dell’Ottocento, decisero di convertirsi al cristianesimo. Amavano il loro Paese, volevano immedesimarsi completamente nelle sue aspirazioni e decisero che il passaggio alla confessione dominante avrebbe coronato il loro percorso. Walter Rathenau, grande industriale e ministro degli Esteri della Repubblica di Weimar, disse che gli ebrei tedeschi erano semplicemente «un’altra tribù tedesca», non diversa da quelle dei sassoni, degli svevi, dei bavaresi e dei prussiani che avevano concorso alla formazione del grande Reich germanico. È assurdamente tragico che un uomo così profondamente patriottico sia stato ucciso da un commando di terroristi antisemiti. Oggi, dopo il declino degli Stati nazionali e del concetto di patria, preferiamo parlare di integrazione: una formula che consente ai nuovi arrivati di conservare le loro tradizioni, le loro credenze, il loro stile di vita, ma esige il rispetto delle leggi e della Costituzione. La politica dell’integrazione èmolto più liberale di quella dell’assimilazione, ma l’esperienza multiculturale di questi anni ne ha rivelato gli inconvenienti. Gli immigrati, soprattutto quando sono numerosi, creano gruppi omogenei ed esprimono una leadership comunitaria che li rappresenta di fronte ai pubblici poteri e ne tutela gli interessi. Ma in molti casi questa leadership si comporta come una nomenclatura e cerca di conservare le proprie posizioni accentuando la separazione fra i nuovi arrivati e i «padroni di casa». S’instaura in tal modo un circolo vizioso. Quanto più gli immigrati si sentono indesiderati, tanto più tendono ad auto-amministrarsi come un corpo estraneo. Quanto più si comportano come estranei, tanto più suscitano la diffidenza e la paura degli indigeni. I due fenomeni, in altre parole, si alimentano a vicenda. Questo non significa che il multiculturalismo sia da buttare via. Ha svolto la sua funzione e continuerà a svolgerla ancora per qualche tempo.
    Ma l’obiettivo che dovremmo proporci è quello di ridurre progressivamente il potere delle nomenclature. Questo accadrà naturalmente se sapremo dimostrare agli immigrati che ciascuno di essi ha la ragionevole speranza di essere accolto come cittadino. È questa la ragione per cui abbiamo bisogno di una legge sulla cittadinanza che offra all’immigrato tempi certi e procedure trasparenti.

    Ora, tempi certi e procedure trasparenti non vuol dire forse prendere le impronte, chè è anticostituzionale riservare un simile trattamento solo a una categoria di persone, ma vuol dire monitorare da vicino l’assenteismo scolastico, i mezzi di sussistenza ecc. Un programma non dissimile da quello del regime comunista polacco, ma coi metodi del moderno controllo sociale. Per concludere: una società nomade a base familiare e a tradizione orale come quella delle famiglie di zingari fuoricasta, checchè se ne dica, è irrimediabilmente incompatibile con una società stanziale basata su uno Stato che faccia sua la Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Noi -e quando dico noi dico tutti noi da Ratzinger ad Amnesty International alla Quarta Internazionale a Wall Street- pretendiamo -ingenuamente gli uni, per calcolo gli altri- che certi diritti siano validi per tutti e per sempre (come ad esempio il diritto dei bambini a ricevere una istruzione e a non essere mandati in giro a mendicare). Non possiamo dunque tollerare l’esistenza di  una cultura che non riconosce i diritti che noi riconosciamo. Come ho già spiegato a Peucezio in un altro mio post, presso tutti noi l’alternativa al samudaripen è l’etnocidio. Analogamente -è cronaca odierna- tutti noi esecriamo il padre che rapisce la figlia per costringerla a sposare chi è scelto dalla famiglia. Arrestare il padre, liberare la figlia, e proceder verso l’etnocidio della originale cultura del gentiore è tutt’uno. Mai come in questo caso la mancanza di chiarezza è dannosa. La destra specula sul razzismo per lasciare le cose come stanno; chi crede alla fondamentale disuguglianza degli eseri umani colpirà i futuri Rathenau zingari per dimostrare a posteriori con la forza del fatto compiuto che gli zinari sono intrinsecamente non integrabili. La sinistra -il cui pensiero, applicato coerentemente, porta dritto alle conseguenze che ho cercato di descrivere- ha paura della propria ombra e balbetta. Il medico pietoso fa la piaga purulenta. (Se poi si conclude che la ‘questione zingara’ -per usare un termine che sarebbe andato bene negli anni Trenta- dimostra come in fondo ogni pensiero sia per sua natura totalitario, si finisce per concordare col solito Orwell).

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  42. Peucezio scrive:

    Andrea #39
    Le rispettive posizioni direi che sono chiare.
    Mi verrebbe da dirti che se il prezzo della pace è l’autoetnocidio (in realtà non l’auto-, perché ciò di cui parliamo è stato imposto dall’uomo occidentale, anzi, dagli anglosassoni a tutti gli altri popoli del mondo, quindi è un eteroetnocidio), allora vada a farsi f…ere la pace.
    Ma in realtà è l’assunto d’origine che secondo me è falso. Infatti col diffondersi della globalizzazione (in senso lato) si sono diffuse le guerre e sono diventate di massa, con mezzi sempre più potenti e distruzioni e lutti sempre più ampi.
    I villaggi neolitici erano pacifici. Avevano mura in terra battura per non far entrare gli animali selvatici, ognuno nasceva nello stesso luogo in cui moriva e se nella vita si allontanava di venti chilometri, era tanto. Erano le comunità organiche, statiche, autoreferenti nella loro espressione più piena.
    La guerra si identifica col progresso, con il dinamismo, lo spostamento, lo sconvolgimento di equilibri, il nomadismo (non quello degli zingari, che è il nomadismo dei subalterni, che non hanno mai organizzato guerre né costituito élite guerriere). I Romani, che pure io ammiro per tante ragioni, è innegabile che hanno unificato l’Occidente di allora, diffuso un modello culturale e civile omogeneo, ma l’hanno fatto con la guerra, con la conquista, con la forza. La stessa cosa è accaduta con gli Spagnoli in America Latina, l’impero coloniale britannico. Senza Napoleone non si sarebbe diffusa in Europala democrazia liberale moderna e i diritti individuali a te tanto cari. Infine, l’imperialismo americano: senza le bombe degli Alleati, l’incenerimento di migliaia di abitanti di Dresda, l’Olocausto nucleare di Hiroshima e Nagasaki, col cavolo che oggi berremmo tutti la Coca Cola, ascolteremmo più o meno la stessa musica in tutto il mondo, vestiremmo con magliette, jeans ecc. ecc.
    Tu dici che il prezzo della pace è l’omologazione. A me pare invece che il prezzo dell’omologazione siano guerre devastanti. Francamente, consentimi di dire, se per evitare che lo zingarello vada a rubare al gagiò e che il gagiò lo acchiappi e gli faccia una caricata di botte, ci vuole la bomba atomica e l’uranio impoverito, preferisco cento volte i furtarelli dello zingaro e i caricatoni del gagiò.

  43. utente anonimo scrive:

    Per Peucezio #41

    ”pace”

    Questione di gusti. Chi ha visto la serie di acqueforti di Goya sulla guerra probabilmente la pensa diversamente da te. Era Corradini che ciarlava di
    ”guerra sola igiene del mondo”.

    ”I villaggi neolitici erano pacifici”

    La prima causa di morte fra gli indigeni della Papuasia (i soli che fino a poco tempo fa si potevano dire vivere ancora come ai tempi del Neolitico) è la guerra fra diversi villaggi. Il primo genocidio di cui si abbia notizia -con deportazione di civili inermi e loro successivo sterminio in luoghi a cio’
    espressamente deputati- lo hanno compiuto i Maori dell’età della pietra a danno di tribù vicine sconfitte in guerra (J.Diamond, ”Armi acciao e malattie”). La tecnologia neolitica era così fragile che al primo aumentare della popolazione le risorse alimentari finivano, e si doveva andare in cerca di proteine animali altrove, che fossero di origine umana o no. Il cannibalismo rituale di molti popoli precolombiani in origine non era rituale affatto, ma dettato da semplici esigenze aliemtari (”Cannibali e re”, di Harris). Il fatto di avere intere generazioni che non sanno che cosa sia una guerra lo dobbiamo esattamente al razionalismo agnostico soggiacente al progresso tecnologico e al corrispondente abbandono della Tradizione che -si noti- ha sempre nei suoi miti un fondo militare. La Pax Romana è frutto di un Imperium, di un comando militare; ma se ne cominciano a godere i frutti appunto quando finisce la guerra
    e il potere nato dalle armi conquista il consenso coi dividendi della pace. Più che il prezzo della pace, l’omologazione è la sua necessaria conseguenza (persino nelle Scritture sta scritto più o meno -cito a memoria- ”ogni ginocchio, di Greco e di Barbaro, di Romano e di Giudeo, si piegherà a cantare la gloria del Padre”). Era un ministro sudafricano all’epoca dell’apartheid colui che apostrofo’ i Brasiliani con l’epiteto per lui insultante di ‘popolo caffelatte’. L’episodio, che sfioro’ l’incidente diplomatico, mi illustro’ i vantaggi del meticciato. Personalmente non credero’ ad un ”novus ordo saeclorum” alla Virgilio finchè non vedro’, come preconizzato da Clarke in un suo bel racconto, negri coi capelli rossi e gli occhi blu cantare la ninna nanna a figlie col naso maya e i capelli biondo oro.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  44. utente anonimo scrive:

    >> Il fatto di avere intere generazioni che non sanno che cosa sia una guerra lo dobbiamo esattamente al razionalismo agnostico soggiacente al progresso tecnologico e al corrispondente abbandono della Tradizione

    bello questo Mito, dove lo hai letto? Esiodo? Omero? il tuo amato Kant? Pannella?

    molto molto divertente. e falso

    ciao

    Francesco

  45. utente anonimo scrive:

    Per Francesco #43

    ”falso”

    Caro il mio dadaista, vuoi spiegarci perchè sarebbe falso?

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  46. utente anonimo scrive:

    "”I villaggi neolitici erano pacifici”

    La prima causa di morte fra gli indigeni della Papuasia (i soli che fino a poco tempo fa si potevano dire vivere ancora come ai tempi del Neolitico) è la guerra fra diversi villaggi. Il primo genocidio di cui si abbia notizia -con deportazione di civili inermi e loro successivo sterminio in luoghi a cio’
    espressamente deputati- lo hanno compiuto i Maori dell’età della pietra a danno di tribù vicine sconfitte in guerra (J.Diamond, ”Armi acciao e malattie”)."

    ————————–

    Anche gli scimpanzé si fanno delle guerre a tutti gli effetti, con sconfinamento nel territorio di un altro gruppo, saccheggio di risorse, pattugliamenti di confine, scontri duri con morti e feriti, e perfino rudimenti di trattative di pace successive  🙂

    Lisa

  47. utente anonimo scrive:

    …il cannibalismo non é soltanto il bisogno di proteine animali, ma il bisogno del nutrimento  sacro dell’antenato, la necessità di mantenere l’armonia fra il mondo visibile e quello invisibile dell’ancêtre. Senza una appropriata collezione di teste umane, non si é né potenti, né coraggiosi e non si é nemmeno capaci di neutralizzare gli spiriti nefasti che continuamente sono in agguato per impedire che le cose siano come devono essere. Bisogno di teste umane quindi per poter dimostrare la propria potenza il proprio coraggio ed essere degni dell’antenato e quindi aver assolto il proprio ruolo sociale ed avere le prerogative per poter sposarsi ed essere capaci di allontanare le calamità. Era soltanto uccidendo il  responsabile di  eventi nefasti e mangiandone lo stomaco ed il cervello che la pace poteva essere ritrovata. La guerra dei melanesiani o dei mahori é incomparabile alle guerre espansioniste occidentali, sono piuttosto necessità psico-spiritualie, rituali indispensabili all’armonia dell’universo. La relazione che il cosidetto selvaggio ha con la morte é completamente diversa dalla nostra, per loro morire é diventare degli dei,  morire é essere più potenti dei vivi,e vivono questa convinzione sulla pelle, quindi x loro guerra ha veramente un’altro significato…. adesso che hanno smesso di mangiarsi, mangiano l’ignam che per loro non é altro che il corpo dell’antenato.  ciao,jam

  48. Peucezio scrive:

    Andrea, che ti devo dire.
    Sulla guerra, sola igiene del mondo, mi pareva di aver detto il contrario: non sono pacifista, ma ti assicuro che non stravedo affatto per la guerra. Gli slogan futuristi avevano un gran valore estetico, erano belle boutades , suonano bene, ma la Prima Guerra Mondiale non dev’essere stata un gran divertimento per chi l’ha vissuta.
    Un conto sono le popolazioni contemporanee che accostiamo al neolitico per il loro modello di vita e produttivo, un conto il neolitico vero, il neolitico storico europeo. Il neolitico non è solo un sistema produttivo, è una civiltà con dei suoi connotati spirituali definiti (e qui torniamo al discorso della Gimbutas, del femminile ecc.). E comunque anche una guerra medievale è infinitamente meno devastante di una attuale.
    Sul fatto poi che oggi abbiamo generazioni che non sanno cosa sia la guerra: facendosela per procura, sulle spalle dei popoli del resto del mondo, che facciamo scannare fra loro, è facile. Bello schifo! In sostanza, stringi stringi, il mondo che consente il tuo caffellatte è questo. In Italia abbiamo gli immigrati, perché da quelle parti si schiatta di fame e di guerra e qui c’è un’economia pronta a schiavizzarli.
    Le magnifiche sorti e progressive di cui noi occidentali cosmopoliti ci beiamo, sono costruite sulla morte, lo sfruttamento, le malattie, le distruzioni ambientali, la fame di centinaia di milioni di esseri umani e sono ad esser organiche, le une e le altre sono due facce della stessa medaglia. Poi uno può anche ritenere che si tratti di un prezzo congruo: in fondo gli occidentalisti, cristianisti vari, filoamericani, liberali (non è che voglio paragonarti a loro, non fraintendermi) è questo che dicono: "ragazzi, vi fa comodo la luce elettrica, l’acqua calda, il telefonino, le vacanze a Sharm-el-Sheik? E allora non rompete le palle se si deve bombardare l’Iraq, l’Afghanistan, finanziare la gente peggiore in ogni parte del mondo ecc.". E’ un discorso cinico, ma ha la dignità di non essere ipocrita. Però a me di andare a Sharm-el-Sheik non me ne frega niente, se vivessi in un paese medievale non avrei bisogno del telefonino perché potrei raggiungere chiunque a piedi in brevissimo tempo e, fuori dal mio paese, praticamente non avrei contatti per tutta la vita, se non con qualche mercante di passaggio, quindi non capisco perché devo far morire milioni di persone che non mi hanno fatto niente, per avere un caffellatte che nemmeno volevo (e che mi fa pure un po’ schifo, perché quando non esisteranno più i biondi o i negrissimi, l’umanità sarà diventata una montagna di sterco omogeneo, in cui ogni parte ha lo stesso colore, consistenza e puzza allo stesso modo, perché dove non c’è varietà, c’è morte).

    Tra l’altro, a proposito del caffellatte, sul piano meramente genetico, non so se sai che le popolazioni più longeve sono quelle meno mischiate razzialmente. In Italia ciò vale per alcune zone del Cilento interno e soprattutto per la Sardegna, dove c’è un tipo razziale molto arcaico e meno contaminato praticamente di qualsiasi altro luogo d’Europa e dove ci sono villaggi dove nella stessa via abitano svariati pluricentenari. 

  49. Peucezio scrive:

    Lisa #45
    I bonobo no però, come tu ben sai. Loro risolvono la contesa in un altro modo… Beati loro! 🙂
    Per quale diamine di motivo dobbiamo prendere esempio dagli scimpanzè comuni e non dai bonobo? 

  50. utente anonimo scrive:

    Per Peucezio  #47   

    ”Andrea, che ti devo dire.
    Sulla guerra, sola igiene del mondo, mi pareva di aver detto il contrario: non sono pacifista, ma ti assicuro che non stravedo affatto per la guerra.”

    Ne sono sicuro. Pero’ io considero la guerra un male infinitamente peggiore del meticciato, genetico e culturale.

    ”Gli slogan futuristi avevano un gran valore estetico, erano belle boutades , suonano bene, ma la Prima Guerra Mondiale non dev’essere stata un gran
    divertimento per chi l’ha vissuta.”

    Il che non ha impedito a molti di continuare a cantarla. Non penso solo allo Junger delle ‘Scogliere d’acciaio’, che molti hanno sospettato di paleonazismo, e nemmeno all’adorazione gentiliana dell’Azione. Penso più che altro a certi insospettabili saggi della raccolta ‘Present Concerns’ del cattolicissimo Lewis autore di ‘Narnia’. Del resto, fu il cattolico Chesterton di ‘Ortodossia’ a bestemmiare ‘dobbiamo molta santià morale alle nostre riviste da un soldo’, quelle che all’epoca della sua infanzia propagandavano l’ingenuo e violento nazionalismo ‘jingoism’. Penso alla demicisiana ‘Vedetta lombarda’ della mia infanzia. Del resto, pochi ani dopo la prima guerra mondiale ‘Niente di nuovo sul fronte occidentale’ di Remarque fu accolto nelle sale cinematografiche tedesche dai fischi dei reduci che si mischiavano a quelle dei primi dervisci in camicia bruna.

    ”Un conto sono le popolazioni contemporanee che accostiamo al neolitico per il loro modello di vita e produttivo, un conto il neolitico vero, il neolitico
    storico europeo.Il neolitico non è solo un sistema produttivo, è una civiltà con dei suoi connotati spirituali definiti (e qui torniamo al discorso della
    Gimbutas, del femminile ecc.).”

    E’ vero che le popolazioni dei secoli più vicini a noi sono equiparabili al neolitico ‘solamente’ per via del loro livello tecnologico. Scrivo ‘solamente’
    per amore di discussione, ammesso e non concesso che Marx abbia torto, e che non siano proprio il livello tecnologico e gli annessi rapporti di produzione a costituire la caratteristica fondamentale di una società. Non abbiamo registrazioni di come parlavano,cantavano ecc. gli uomini del Neolitico. Pare addirittura che pure i Neanderthal avessero una propria capacità di elaborare simboli complessi, tant’e’ che si è pure parlato di cosmetici neanderthaliani. Quindi non so dire come distinguere il ‘vero’ neolitico. Non vedo nemmeno come tesi tipo Gimbutas contrastino con quello che ho detto io.

    ”E comunque anche una guerra medievale è infinitamente meno devastante di una attuale.”

    In termini di numero di morti certamente, e probabilmente anche di percentuale fra il numero delle vittime e la massa della popolazione. In termini di crudeltà no: sia perchè la crudeltà umana trova difficilmente un limite in ogni epoca e sotto ogni bandiera, sia perchè gli eserciti medievali si mantenevano saccheggiando le popolazioni dei paesi atrraverso i quali si trovavano a passare, anche neutrali.

    ”Sul fatto poi che oggi abbiamo generazioni che non sanno cosa sia la guerra: facendosela per procura, sulle spalle dei popoli del resto del mondo, che facciamo scannare fra loro, è facile. Bello schifo! In sostanza, stringi stringi, il mondo che consente il tuo caffellatte è questo. In Italia abbiamo gli immigrati, perché da quelle parti si schiatta di fame e di guerra e qui c’è un’economia pronta a schiavizzarli.
    Le magnifiche sorti e progressive di cui noi occidentali cosmopoliti ci beiamo, sono costruite sulla morte, lo sfruttamento, le malattie, le distruzioni ambientali, la fame di centinaia di milioni di esseri umani e sono ad esser organiche, le une e le altre sono due facce della stessa medaglia. Poi uno può anche ritenere che si tratti di un prezzo congruo: in fondo gli occidentalisti, cristianisti vari, filoamericani, liberali (non è che voglio paragonarti a loro, non fraintendermi) è questo che dicono: "ragazzi, vi fa comodo la luce elettrica, l’acqua calda, il telefonino, le vacanze a Sharm-el-Sheik? E allora non rompete le palle se si deve bombardare l’Iraq, l’Afghanistan, finanziare la gente peggiore in ogni parte del mondo ecc.". E’ un discorso cinico, ma ha la dignità di non essere ipocrita. Però a me di andare a Sharm-el-Sheik non me ne frega niente, se vivessi in un paese medievale non avrei bisogno del telefonino perché potrei raggiungere chiunque a piedi in brevissimo tempo e, fuori dal mio paese, praticamente non avrei contatti per tutta la vita, se non
    con qualche mercante di passaggio, quindi non capisco perché devo far morire milioni di persone che non mi hanno fatto niente, per avere un caffellatte che nemmeno volevo”

    Concordo con te, ma guarda che stai sfondando una porta aperta. Tu descrivi correttamente il modo di accumulazione imperialistico, in modo simile a quello utilizzato da Lenin nel suo ‘Che fare?’. (Il fatto che l’URSS procedesse sostanzialmente nello stesso modo giustifica la definizione di ‘capitalismo di Stato’ attribuita in passato al potere sovietico). Questo modo di accumulazione ha sostituito il modo di produzione feudale, basato sulla servitù della gleba di masse di contadini. Ma non è in alcun modo una conseguenza necessaria del razionalismo agnostico. Non lo è dal punto di vista morale e non lo è dal punto di vista logico. Sia Epicuro dell’amicizia fra esseri umani (quello della Lettera sulla felicità) sia il Kant del ‘Progetto per una pace perpetua’, sia il Russell del ‘Perchè non sono cristiano’ hanno mosrato come la guerra fra esseri umani senzienti e consapevoli non sia affatto necessaria. Prima ancora che i bisogni primari, sono la manzogna consapevole, il servilismo intellettuale, la propaganda in monopolio mediatico che dipinge falsi nemici,  a spingere le persone a sgozzarsi nell’interesse di pochi. Viceversa, si dà progresso umano solo dove il razionalismo agnostico si afferma, liberando le persone dai falsi miti, dagli idoli della tribù denunciati già da Bacone.

    ”(e che mi fa pure un po’ schifo, perché quando non esisteranno più i biondi o i negrissimi, l’umanità sarà diventata una montagna di sterco omogeneo, in cui ogni parte ha lo stesso colore, consistenza e puzza allo stesso modo, perché dove non c’è varietà, c’è morte).”

    Sterco? Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori.  E’ precisamente l’imperfezione, che accumulandosi partendo dal diamante inizialmente puro, produce l’infinita varietà di gemme, smeraldi, corindoni, rubini ecc.  

    ”Tra l’altro, a proposito del caffellatte, sul piano meramente genetico, non so se sai che le popolazioni più longeve sono quelle meno mischiate
    razzialmente. In Italia ciò vale per alcune zone del Cilento interno e soprattutto per la Sardegna, dove c’è un tipo razziale molto arcaico e meno
    contaminato praticamente di qualsiasi altro luogo d’Europa e dove ci sono villaggi dove nella stessa via abitano svariati pluricentenari.”

    Inanzitutto longevità non significa salute. Lo sapevano già i Greci: Titone, che aveva ricevuto dagli Dèi l’immortalità, era condannato anche a una infinita vecchiezza. E poi l’elogio dell’imperfezione non vale solo per le gemme preziose, ma anche e soprattutto per gli esseri viventi.Lasciate che cento fiori fioriscano nei nostri giardini: e i giardini si concimano col letame. Maggiore è la mescolanza genetica, minore il rischio di insorgenza di malattie genetiche, e la probabiltà che si manifestino geni recessivi pericolosi per la salute. Il cretinismo colpisce le comunità isolate ricche di matrimoni fra consanguinei, così come l’anemia falciforme affligge le lande a lungo isoalte della Sardegna. L’emofilia flagello’ gli ultimi rampolli delle dinastie regnanti d’Europa, costrette a incrociarsi sempre fra loro per motivi politici. Diffuso è il tabù dell’incesto. La ‘bionda bestia’ vagheggiata dagli èmuli di Nietzsche è, appunto, una bestia (mi viene in mente l’amaro apologo di Philip Dick, ‘Non saremo noi’). La purezza è sterilità.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  51. utente anonimo scrive:

    Per jam #46

    ”il cannibalismo non é soltanto”

    Senza shcerzi: il tuo post lo si sarebbe potuto benissimo usare come parte dei manuali di storia per i quadri del Partito, nel capitolo: ‘La religione come sovrastruttura dell’economia”. Come ricorda Brecht, ‘Prima viene il riempirsi l pancia, poi viene la morale’. Dubito che un affamato pensi alle ninfe dei boschi quando va a caccia. Cercherà di placarne l’eventuale ira prima di buttasri sul cibo, questo sì: come diceva una nota canzone, ‘proviamo anche con Dio / non si sa mai’

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  52. utente anonimo scrive:

    Per Peucezio #48

    ”Per quale diamine di motivo dobbiamo prendere esempio dagli scimpanzè comuni e non dai bonobo? ”

    I bonobo sono una specie in via d’estinzione. Trombare non allontana i predatori. Il prode, civile Ettore è morto per le trombate di Paride; molti sultani finirono strangolati nell’harem; i morigerati Romani hanno civilizzato il mondo. E poi: se uccidere non ci riuscisse dolce, ci saremmo estinti vittime delle specie meno scrupolose di noi. Solo adesso, da poche decine di migliaia d’anni, la ragione puo’ addomesticare la bestia.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  53. utente anonimo scrive:

    Ancora per Peucezio #48

    Ho trovato dei brani di Livio, ecc. che sembrano rispondere in pieno alla tua domanda sui bonobo (cito dal sito http://uaarbologna.altervista.org/files/Superstizione_Gianni_Ghiselli.pdf>). Proprio vero che non c’e’ nulla di nuovo sotto il sole. Secondo Tito Livio sono turpi i Baccanali venuti a Roma dall’Etruria attraverso la mediazione di un Graecus ignobilis (Ab Urbe condita 39, 8). “Huius mali labes ex Etruria Romam veluti contagione morbi penetravit.” (ibidem 39, 9), la vergogna di questo male penetrò a Roma dall’Etruria come per il contagio di un morbo. Nel 186 a. C. il console Postumio fece un’indagine e la schiava Ispala rivelò che si trattava di riunioni notturne promiscue: “nihil ibi facinoris, nihil flagitii praetermissum. Plura virorum inter sese quam feminarum esse stupra. Si qui minus patientes dedecoris sint et pigriores ad facinus pro victimis immolari. Nihil nefas ducere, hanc summam inter eos religionem esse” (39, 13), nessun misfatto, nessuna turpitudine lì erano omessi. I connubi vergognosi tra maschi erano più frequenti che con le donne. Se alcuni erano meno meno disposti a subire il disonore ed erano troppo restii al misfatti venivano sacrificati come vittime. La perfetta iniziazione era
    non considerare nulla come illecito. Fas è la parola divina, simile a quella che si esprime nel fatum o "destino"; fas è il "diritto divino" e violarlo appunto è nefas. Il fas sta scritto direttamente nella natura (sembra Ratzinger). Esso costituisce la regola che prescrive di non commettere certe azioni di particolare gravità, la cui mostruosità è fuori discussione. Ad esempio nelle Phoenissae di Seneca l’incesto del figlio con la madre feconda è maius nefas rispetto all’assassinio del padre:"nullum crimen hoc maius potest natura ferre" (vv. 271-272), nessun delitto più grande di questo può comportare la natura. Tuttavia se ce n’è uno, lo commetteranno Eteocle e Polinice che si ammazzeranno a vicenda, prevede il padre loro. L’incesto è il delitto che l’ombra di Laio maledice sopra tutti :"maximum Thebis scelus- maternus amor est "(Oedipus, vv.627-628), il delitto più grande a Tebe è l’amore per la madre. Postumio riferì in senato, ed esso affidò ai consoli “quaestionem deinde de Bacchanalibus sacrisque nocturnis extra ordinem” (39, 14), l’inchiesta sui Baccanali e i riti notturni con mandato straordinario. Quindi Postumio convocò l’assemblea popolare e, salito sulla tribuna (rostrum) informò il popolo. Disse che gli strepiti e gli ululati notturni avevano già fatto avvertire il fenomeno diffuso in tutta Italia15 ma ancora non ne era conosciuta la turpitudine:
    Primum igitur mulierum magna pars est, et is fons mali huiusce fuit; deinde simillimi feminis mares stuprati et constupratores
    fanatici, vigiliis, vino, strepitibus clamoribusque nocturnis attoniti
    ” (39, 15), dapprima dunque la parte grande la fanno le donne, e tale è la fonte di questo male; poi maschi del tutto simili alla femmine, violentati e violentatori invasati, intontiti dalle veglie, dal vino, dalle urla e dai clamori notturni. Anche in questo caso fa parte della violenza la negazione del
    principium individuationis: i maschi non si distinguono più dalle femmine.
    La setta non ha ancora grandi forze ma le acquisterà “quod in dies plures fiunt”, poiché aumentano di giorno in giorno. I ragazzi vengono iniziati giovanissimi e da tale gioventù non si possono ricavare dei soldati. La forza dell’esercito, la sua disciplina, altro valore che entra nella sfera del fas, spariranno dunque con la santità della pudicitia:Hi cooperti stupris suis alienisque pro pudicitia coniugum ac liberorum vestrorum ferro decernent?” (39, 15), questi coperti delle vergogne sessuali proprie e altrui, combatteranno per la pudicizia delle mogli e dei figli vostri? Ecco che le orge bacchiche mettono in crisi alcuni valori forti
    della repubblica. Il contagio di tali turpitudini è pericoloso: “Nihil enim in speciem fallacius est quam prava religio. Ubi deorum
    numen praetenditur sceleribus, subit animum timor ne fraudibus humanis vindicandis divini iuris aliquid immixtum violemus

    (39, 16), niente infatti è più ingannevole per l’immaginario di una religione depravata. Quando la potenza degli dèi
    diviene pretesto di delitti
    (vero jam?), subentra nell’animo il timore che nel reprimere le colpe umane si violi qualche cosa del diritto
    divino confuso con esse
    . I culti stranieri sono stati tradizionalmente proibiti poiché niente dissolve la vera religioquam ubi non patrio sed
    externo ritu sacrificaretur
    ”, tanto quanto laddove si sacrifica non secondo i riti tradizionali ma quelli stranieri. Si pensi alla posizione dei leghisti padani nei confronti della religione musulmana. Si pensi viceversa al relativismo erodoteo. Bisogna dunque abbattere le sedi dei Baccanali, disperdere i “nefarios coetus”, le nefaste congreghe. Altro che libertà di culto: ricordate le polemiche leghiste contro le moschee. Dopo questa assemblea si diffuse il panico tra i seguaci della nuova religione. Molti tentarono di fuggire, ma furono arrestati dalle guardie poste alle porte, alcuni si uccisero. “Coniurasse supra septem milia virorum ac mulierum dicebantur” (39, 17), si diceva che i congiurati fossero più di 7000. Si trattava dunque di una vera e propria congiura contro la
    civiltà
    . Quindi i consoli furono incaricati della demolizione dei locali “In reliquum deinde senatus consulto cautum est ne qua Bacchanalia Romae neve in Italia essent ” (39, 18), per il futuro quindi con un decreto del senato si provvide che né a Roma né in Italia ci fossero i Baccanali. Nella Casina di Plauto si trova un’eco di questa vicenda: quando Mirrina, amica di Cleostrata sbugiarda il vecchio Lisidamo che giurava di essere stato depredato di un mantello dalle Baccanti: “Nugatur sciens. Nam ecastor nunc Bacchae nullae ludunt ” (v. 980), la vuole dartela a intendere e lo sa. Infatti i giochi delle Baccanti si sono chiusi.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  54. Peucezio scrive:

    Andrea #49:
    sul primo punto: le riflessioni di Epicuro e di Kant cui fai riferimento, sono elaborazioni teoriche. Ma non avremmo avuto Kant senza l’Illuminismo, che è connesso con la Rivoluzione Industriale e prima ancora con l’evoluzione sociale ed economica dell’età moderna, caratterizzata dalle esplorazioni geopgrafiche e dal conseguente colonialismo (oltre che dalla riforma protestante, ma questa è un’altra questione), quindi Kant è prodotto dallo stesso modello economico-sociale (e anche culturale) che ha prodotto il capitalismo di rapina moderno.
    Per Epicuro il discorso non è molto diverso: non avremmo avuto il cosmopolitismo dei filosofi di età ellenistica senza Alessandro Magno e il suo impero. Le póleis di età classica non hanno infatti prodotto pensatori cosmopoliti, ma, all’opposto, "politici", cioè legati alla pólis stessa, patriottici, diremmo oggi, laddove la patria s’identificava con una città e, in senso più esteso, poteva al massimo arrivare ad abbracciare i greci etnici, non mai i bárbaroi.
    Più in generale non abbiamo forme di cosmpolitisimo e di indagine sull’uomo in quanto tale e non in quanto appartenente alla comunità e al gruppo etnico prima della cosiddetta età assiale, cioè prima dello sviluppo dei grandi imperi.

    Il secondo punto: il mancato ricambio di materiale genetico alla lunga porta a malattie e, in prospettiva, persino all’estinzione, è chiaro. Infatti c’è una via di mezzo fra il villaggio minuscolo di montagna in cui ci sono dieci famiglie che continuano ad incrociarsi fra loro e il melting pot mondiale (tra l’altro sai bene come gli esploratori europei abbiano anche involontariamente provocato genocidi, portando malattie in continenti dove gli abitanti non ne erano immunizzati, lì non è una questione di incrocio genetico, ma intanto sono morti interi popoli di milioni di persone in onore all’incontro e ai viaggi degli uomini, il che è già di per sé una perdita irreparabile).
    Le società tradizionali non erano torri d’avorio autoreferenti e isolate al 100%. C’era un interscambio, a volte anche genetico, costante, ma sempre di piccola entità ed entro spazi e distanze limitate (il che faceva sì che, di passaggio in passaggio, certe innovazioni potessero arrivare pure dall’altra parte del mondo, ma in tempi lunghissimi), interscambio che le comunità e le popolazioni erano in grado di assimilare, assorbire ed elaborare senza esserne sfigurate e destrutturate nei loro equilibri e nella loro fisionomia (parlo sia dell’ambito etnico-biologico, sia di quello culturale, che ovviamente si modifica molto più velocemente, ma comunque molto più lentamente rispetto ai tempi attuali).

  55. Peucezio scrive:

    Andrea #52.
    Molti interessante. In effetti questi sono i disastri dell’importazione di riti esotici, che nel loro contesto hanno un senso e un valore preciso e che, fuori da esso, perdono di significato e diventano sfrenatezza, arbitrio, esotica stravaganza, barbarie. Il cannibalismo, come ha detto giustamente Jam, ha un preciso significato e un ruolo nelle società in cui veniva praticato tradizionalmente. Se vediamo in una città italiana una persona che ne mangia un’altra in mezzo alla strada, ci suscita una certa ripugnanza.
    Questo dimostra che anche la religione è un fatto culturale e non può essere intesa disgiunta dalla sua cultura di appartenenza. E questo è il grande limite delle religioni monoteistiche (e delle religioni storiche, rivelate da profeti, in generale, come buddhismo, zoroastrismo ecc.), che pretendono un’universalità che è una bestemmia contro la religione stessa.

  56. utente anonimo scrive:

    Per Peucezio  #53   

    ”sul primo punto: le riflessioni di Epicuro e di Kant cui fai riferimento, sono elaborazioni teoriche. Ma non avremmo avuto Kant senza l’Illuminismo,
    che è connesso con la Rivoluzione Industriale e prima ancora con l’evoluzione sociale ed economica dell’età moderna, caratterizzata dalle
    esplorazioni geopgrafiche e dal conseguente colonialismo (oltre che dalla riforma protestante, ma questa è un’altra questione), quindi Kant è
    prodotto dallo stesso modello economico-sociale (e anche culturale) che ha prodotto il capitalismo di rapina moderno.
    Per Epicuro il discorso non è molto diverso: non avremmo avuto il cosmopolitismo dei filosofi di età ellenistica senza Alessandro Magno e il
    suo impero. Le póleis di età classica non hanno infatti prodotto pensatori cosmopoliti, ma, all’opposto, "politici", cioè legati alla pólis stessa,
    patriottici, diremmo oggi, laddove la patria s’identificava con una città e, in senso più esteso, poteva al massimo arrivare ad abbracciare i greci
    etnici, non mai i bárbaroi.Più in generale non abbiamo forme di cosmpolitisimo e di indagine sull’uomo in quanto tale e non in quanto appartenente alla comunità e al gruppo etnico prima della cosiddetta età assiale, cioè prima dello sviluppo dei grandi imperi.”

    Il fatto che Kant e Epicuro siano stati resi possibili rispettivamente dall’Illumiminismo delle nazioni colonialiste e dall’espansionismo di Alessandro Magno nulla toglie al valore delle loro conclusioni (al limite, semmai, torna a merito del colonialismo e di Alessandro; quanto all’epoca moderna, ha generato un Russell…). Analogamente, la scoperta da parte di James Maxwell delle leggi dell’elettromagnetismo non è concepibile senza la rivoluzione industriale inglese dell’Ottocento, ambiente nel quale Maxwell visse e opero’. Ma non si puo’ partire dalle orripilanti, dickensiane condizioni della classe operaia nelle manifatture dell’epoca per affermare che l’elettromagnetismo di Maxwell non sia valido: rimane valido eccome, invece, ed è alla base della relatività e della scienza moderna. Si puo’ certo negare che nel merito Kant e Epicuro avessero ragione, così come si puo’ inmmaginare un esperimento i cui risultati diano torto a Maxwell anche dopo secoli: ma non valgono giudizi storici sull’età in cui questi autori vissero. Maxwell era un fisico matematico, mi obietterai: e il rigore delle argomentazioni, delle conclusioni e delle confutazioni in fisica matematica non è certo quello della ricerca filosofica e storica. Ebbene, anche restando nel campo delle scienze umane un discorso simile a quello che ti ho fatto su Maxwell si puo’ fare sull’azzeccata profezia dello storico dissidente Andrei Amalrik nel suo ‘Sopravviverà l’URSS fino al 1984?’, libro scritto alla fine degli anni Sessanta (e pubblicato in Italia da Coines, 1972, con prefazione di Carlo Bo). Stando all’interno di una università sovietica l’autore, ricercatore di storia, profetizzo’ in tale libro il collasso dell’URSS a seguito di una guerra perduta contro la guerriglia di un Paese dell’Asia centrale in un momento compreso nel decennio 1980-1990, con conseguente secessione della Bielorussia ed esplosione dei nazionalismi caucasici. L’averci azzeccato in pieno non dice nulla sulla vitalità o meno della società sovietica negli anni in cui Amalrik scriveva (semmai ci dice molto di buono sul livello dell’istruzione superiore sotto Brezhnev e compagni).

    ”Il secondo punto: il mancato ricambio di materiale genetico alla lunga porta a malattie e, in prospettiva, persino all’estinzione, è chiaro.
    Infatti c’è una via di mezzo fra il villaggio minuscolo di montagna in cui ci sono dieci famiglie che continuano ad incrociarsi fra loro e il melting
    pot mondiale (tra l’altro sai bene come gli esploratori europei abbiano anche involontariamente provocato genocidi, portando malattie in continenti dove gli abitanti non ne erano immunizzati, lì non è una questione di incrocio genetico, ma intanto sono morti interi popoli di milioni di persone in onore all’incontro e ai viaggi degli uomini, il che è già di per sé una perdita irreparabile). Le società tradizionali non erano torri d’avorio autoreferenti e isolate al 100%. C’era un interscambio, a volte anche genetico, costante, ma sempre di piccola entità ed entro spazi e distanze limitate […], interscambio che le comunità e le popolazioni erano in grado di assimilare, assorbire ed elaborare senza esserne sfigurate e destrutturate nei loro equilibri e nella loro fisionomia (parlo sia dell’ambito etnico-biologico, sia di quello culturale, che ovviamente si modifica molto più velocemente, ma comunque molto più lentamente rispetto ai tempi attuali).”

    In altre parole le società tradizionali avrebbero il vantaggio di garantire che il mescolarsi di geni e culture, sia pure necessario (non ci si bagna due volte nello stesso fiume), avvenga con la lentezza tale da ridurre i traumi a livello accettabile. Ora, a parte che questo ‘affrettati lentamente’ mi sa tanto di ‘armiamoci e partite’ (della serie ‘mescolatevi pure, ma con calma: lasciatemi godere in pace le mie usanze e le mie abitudini finchè campo’), notiamo che i mescolamenti sono avvenuti spesso e volentieri in modo rapido e brutale proprio nel passato che tu vagheggi, per mezzo di invasioni barbariche, guerre sante, crociate e affini. Puoi tenere latte e caffè separati, ma una volta che li metti in contatto è difficile regolare la loro velocità di mescolamento. Proprio la storia d’Italia è tutta picchiettata dagli sforzi inutili delle comunità locale di tenere lontani i turchi e i barbari vari con torri d’avvistamento, arroccamenti sui colli ecc.: quei pochissimi che hanno avuto successo hanno pagato con l’arretratezza il loro isolamento mentre il mondo intorno a loro progrediva. Considera la Puglia: le coste, devastate dai Turchi a Otranto e non solo e oggi mèta di albanesi e balcanici d’ogni sorta, furono al centro della vita dell’Impero Romano quando Virgilio e Orazio andavano a Brindisi per raggiungere la Grecia. Anche dopo che l’Islam ebbe rotto l’unità culturale del Mediterraneo relegando la Puglia ad un ruolo periferico, i castelli federiciani da Castel del Monte a Lucera -al centro della attività culturale delo Stupor Mundi- hanno garantito l’incontro fra le fedi, tanto che Federico venne scomunicato. Le Murge, invece, gelose del loro isolamento, sono rimaste talmente arretrate fino all’era moderna (mi baso sui racconti che da piccolo mi faceva la mia prozia, che piccolina seguiva il padre da San Severo fino al confine campano) che ancora ai tempi di Padre Pio l’analfabetismo rasentava il 98% della popolazione. La gloria d’Italia ha potuto rifulgere specialmente quando si è riusciti ad integrare i diversi: Genova raggiunge il suo splendore coi Durazzo, il cui cognome ricorda la loro origine di schiavi albanesi; secondo le recenti biografie Leonardo era figlio di serva balcànica; Dante apprezzava la cultura islamica; gli umanisti copiano i classici greci, e Beccaria applica e sviluppa le teorie razionalistiche d’oltralpe. Tutte le volte che ci si chiude in se stessi l’Italia soffoca nella sua pretesa d’autarchia: Fermi fugge le persecuzioni razziali della moglie, ‘messer Aprile ruba il cuore alle bambine nelle cascine’ mentre altrove creano Brecht e Duke Ellington. Spero solo che il sangue fresco che viene dall’Africa e l’apertura mentale ricevuta dai nostri ricercatori esiliati all’estero da una politica miope possano contribuire in un futuro non troppo lontano ad invertire la decadenza del nostro Paese.

    ”(il che faceva sì che, di passaggio in passaggio, certe innovazioni potessero arrivare pure dall’altra parte del mondo, ma in tempi lunghissimi)”

    Quanto ai tempi della diffusione dell’innovazione, il solito Toynbee distingue tre fasi nella storia umana. Nella prima l’evoluzione è più lenta della trasmissione delle informazioni, e ciascuna comunità evolve per suo conto. L’agricoltura viene scoperta così in tredici momenti diversi, e dimenticata quasi sempre perchè la comunità dove è stata scoperta si è estinta prima di riuscire a trasmettere l’informazione dell’avvenuta scoperta. La diffusione dell’informazione è essenziale: sette volte di queste tredici la scoperta dell’agricoltura è avvenuta nelle isolatissime vallate della Papuasia (J. Diamond, ”Collasso”) . Poi, la trasmissione accelera, e tutto il mondo raggiunge almeno potenzialmente lo stesso livello di informazioni: è l’epoca dei grandi imperi, prima a livello locale (come i Romani e gli Inca), poi a livello globale (il colonialismo). Stiamo entrando nella terza era, in cui la diffusione delle informazioni è così istantanea da dare una accelerata esponenziale allo sviluppo delle stesse, così che il progresso è così rapido da stordirci. E’ un equivalente laico dell’Era dello Spirito di Campanella, o della Era della Coscienza Cosmica di Teilhard de Chardin. Non diversamente, Fred Hoyle affermava che la possibilità di una comunicazione radio interstellare fra civiltà tecnologicamente avanzate dipendeva dal rapporto fra la durata media di una tale comunicazione (cioè la distanza media in anni luce fra le civiltà) e la vita media di una civiltà tecnologicamente avanzata. Se fra una civiltà …

  57. utente anonimo scrive:

    …Se fra una civiltà avanzata e l’altra ci sono mediamente ad es. 5000 anni luce allora una comunicazione richiede che ciascuna civiltà duri almeno 5000+5000 = 100000 anni, il tempo necessario cioè per mandare un messaggio e ricevere la risposta. Non stupisce che i tradizionalisti cristiani annoverino Teilhard de Chardin fra i peggiori eretici: le novità, finchè non le si digerisce, fanno sempre paura.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  58. utente anonimo scrive:

    x Andrea 44

    è fatto storicamente acclarato che il progresso tecnologico NON è connesso all’agnosticismo laicista, e che la Tradizione non è rifiutarsi di usare i mulini a vapore per restare fedeli a quelli ad acqua.

    saluti

    Francesco

  59. utente anonimo scrive:

    >> Le magnifiche sorti e progressive di cui noi occidentali cosmopoliti ci beiamo, sono costruite sulla morte, lo sfruttamento, le malattie, le distruzioni ambientali, la fame di centinaia di milioni di esseri umani e sono ad esser organiche, le une e le altre sono due facce della stessa medaglia.

    ehm, posso avere qualche indicazione su COME avverrebbe questa orrida medaglia organica? che mi sembri un prete progressista, con le stesse nozioni di economia …

    Francesco

  60. utente anonimo scrive:

    e per finire, Lewis non divenne mai cattolico

    😀

    Francesco

  61. utente anonimo scrive:

    Per Francesco #59

    ”cattolico”

    OK, raggiungiamo un onorevole compromesso 🙂
      (http://en.wikipedia.org/wiki/Clive_staples_lewis)

    A committed
    Anglican, Lewis upheld a largely orthodox Anglican theology, though in his apologetic writings, he made an effort to avoid espousing any one denomination. In his later writings, some believe he proposed ideas such as purification of venial sins after death in purgatory (The Great Divorce) and mortal sin (The Screwtape Letters), which are generally considered to be Roman Catholic teachings.’

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  62. utente anonimo scrive:

    Per Francesco #59

    ”cattolico”

    OK, raggiungiamo un onorevole compromesso 🙂
      (http://en.wikipedia.org/wiki/Clive_staples_lewis)

    A committed
    Anglican, Lewis upheld a largely orthodox Anglican theology, though in his apologetic writings, he made an effort to avoid espousing any one denomination. In his later writings, some believe he proposed ideas such as purification of venial sins after death in purgatory (The Great Divorce) and mortal sin (The Screwtape Letters), which are generally considered to be Roman Catholic teachings.’

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  63. utente anonimo scrive:

    Per Francesco #57

    ”è fatto storicamente acclarato che il progresso tecnologico NON è connesso all’agnosticismo laicista”

    Acclarato?

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  64. kelebek scrive:

    Per Andrea n. 49

    Bellissima discussione sui temi di fondo. Una piccola nota a margine:

    Penso più che altro a certi insospettabili saggi della raccolta ‘Present Concerns’ del cattolicissimo Lewis autore di ‘Narnia’. Del resto, fu il cattolico Chesterton di ‘Ortodossia’ a bestemmiare ‘dobbiamo molta santià morale alle nostre riviste da un soldo’, quelle che all’epoca della sua infanzia propagandavano l’ingenuo e violento nazionalismo ‘jingoism’.

    Lewis non era cattolico, bensì anglicano; ma di quella specie particolare di anglicanismo high church che ha un tale culto del Medioevo e una tale lontananza dal protestantesimo, da essere oggi più "cattolico" (almeno in senso estetico e filosofico) della Chiesa cattolica postconciliare.

    Non mi ricordo di Present Concerns, gli unici testi politici di Lewis che io mi ricordi erano contro il nazismo.

    Per quanto riguarda Chesterton, non dimentichiamo che faceva a botte con i nazionalisti ai tempi della guerra contro i Boeri, e mi ricordo vagamente che aveva scritto parole di fuoco contro il jingoism. I Boeri erano certamente pessimi oppressori dei neri, ma all’epoca facevano la figura di piccolo popolo che teneva testa all’impero inglese.

    Chesterton era casomai un piccolo-nazionalista, un sostenitore delle sane vecchie tradizioni inglesi contro l’impero. C’è anche un suo interessante e bizzarro romanzo fantareligioso, in cui immagina l’Inghilterra convertita all’Islam, presentato come una sorta di iper-relativismo. Per fortuna i fallaciani sono molto ignoranti e non si sono ancora accorti che quel romanzo esiste… Anche se l’eroe che salva l’Inghilterra dall’Islam somiglia più a un oste leghista che ai neocon americanisti.

    Miguel Martinez

  65. kelebek scrive:

    Nella discussione tra Peucezio e Andrea, c’è un nucleo segreto estremamente affascinante.

    Cosa molto rara, entrambi discutono con la massima disponibilità, e sono sicuro che appena l’uno riesce a demolire logicamente l’esempio portato dall’altro, l’altro dirà, "d’accordo, ammetto di aver avuto torto. Ma adesso ti porto un altro esempio che dimostra la mia tesi…"

    Che non è affatto una "tesi", ma qualcosa di molto più intimo e profondo.

    Perchè dietro tutti gli esempi che portate, c’è come un generatore primordiale, qualche cosa che viene prima della logica. Di solito, quando si tocca il Generatore Primordiale, la gente reagisce come belve assetate di sangue, e faccio triplici complimenti ai contendenti perché hanno la dignità di non farlo.

    Ma sarebbe interessante scoprire esattamente che cosa sono quei due Generatori, e perché non si riesce ad arrivare a qualcosa che vada oltre, in qualche maniera sintetizzandoli.

    Alcuni decenni fa, andava di moda buttare tutto in "psicologia", che so, ad Andrea gli davano le brioche per colazione e a Peucezio qualche tipica pasta pugliese. Ma, senza voler negare in assoluto il valore di tali ricerche, non credo proprio che esauriscano la questione.

    Che in fondo è uno dei motivi – il più nobile – per cui continuano a esistere, ectoplasmaticamente, una Destra e una Sinistra.

    Miguel Martinez

  66. utente anonimo scrive:

    x Andrea

    se tu mi fossi più simpatico e io meno tirchio, ti regalerei qualche libro di storia su tutti gli oggetti che sono stati inventati durante il Medioevo da tradizionalissimi cristiani (o musulmani o ebrei).

    Oppure un elenco di grandi scienziati ed inventori che, sorpresa, non erano agnostici razionalisti ma gente per bene (..) e religiosa.

    Non è che la tua conoscenza del Medioevo si limita al nome della rosa di Umberto Eco?

    ciao

    Francesco

  67. utente anonimo scrive:

    Per Francesco #64

    Il fatto che nel Medioevo siano stati inventati il fazzoletto e la forchetta per qualche signorotto non toglie che l’allungarsi della vita media e l’abbassarsi della mortalità infantile (per tacere di altre amenità come l’acqua corrente in casa, la lavatrice ecc.) siano un prodotto della tanto disprezzata era contemporanea. Magari otto o novecento anni fa qualche abate, fra un’accusa di eresia e un saccheggio, poteva anche togliersi il gusto di qualche disputa filosofica in più: ma sinceramente non farei a cambio. Si puo’ anche favoleggiare di una servitù della gleba vicina alla natura e deprecare magari l’innaturale uguaglianza promossa da uno Statuto dei lavoratori. Ci si puo’ esaltare a vedere la ricostruzione cinematografica di una scena di caccia col falcone. Si puo’ perfino assentire pensierosi davanti allo snobismo New Age ante litteram espresso nel giudizio del conoscente di Chesterton nel suo ‘The Everlasting Man’:

    ”George Wyndham once told me that he had seen one of the first aeroplanes rise for the first time and it was very wonderful – but not so wonderful as a horse allowing a man to ride on him.”

    un giudizio espresso più o meno negli anni in cui gli emigranti affollavano la terza classe del Titanic. Questione di gusti. Ma le pestilenze sono una cosa, e i vaccini per prevenirle un’altra. Le prime sono il segno dell’età dello Spirito, i secondi dell’età della ragione. L’igiene spirituale è l’igiene dell’acquasantiera. 

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  68. utente anonimo scrive:

    Per Martinez #62

    Premesso che consiglio all’universo mondo la lettura di quanto più Lewis è possibile, accetto volentieri la correzione (anche se lo stesso Lewis non sembrava dare molta importanza alle distinzioni ecclesiali: nelle Lettere di Berlicche si fa beffe -cito a memoria- della supponenza di chi presume di discettare delle differenze fra Chiesa Alta e Chiesa Bassa). Quanto a Chesterton, aveva una fissa con gli osti: considera il bere un’attività più sana del pensiero materialista nell’Ortodossia, chiama un romanzo L’Osteria Volante e credo ambienti in un pub una delle scene del Napoleone di Notting Hill. Comunque sempre nell’Ortodossia fa continuamente paragoni positivi a supposti eroisrmi bellici, e il suo culto della Tradizione lo spinge a dire che i morti votano per essa, i loro seggi elettorali sono i cimiteri e le loro schede sono le lapidi tombali: infatti ciascuna porta una croce. Splendido, ma -come acutamente noto’ Borges- da brivido. (Detto questo, confesso volentieri che. Chesterton e Lewis sono stati entusiasmanti compagni letterari della mia vita, e ricorro ad essi tutte le volte che dubito del mio agnosticismo).

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  69. utente anonimo scrive:

    x Andrea

    capisco che richieda un qualche sforzo (magari prova ad alleggerirti di un paio di tonnellate di pregiudizi) ma provare a sapere qualcosa del Medioevo?
    e di qualsiasi cosa preceda l’età moderna (e quando poi parte)?

    perchè sennò risulti spassoso, devo ammetterlo, ma non convincente

    e io l’acqua corrente e calda la apprezzo moltissimo

    ciao

    Francesco

    PS posso ricordarti da cosa è partito il Medioevo europeo? pretendere che inventassero il microscopio elettronico e la coca cola mi pare esagerato

  70. utente anonimo scrive:

    Per Martinez #63

    Ti ringrazio per le parole gentili, tuttavia non so rispondere alla tua stimolante provocazione sui Generatori. Certamente il tono pacato di Peucezio, la sua tolleranza -rara a trovarsi, anche in Rete- e la netta diversità delle sue opinioni dalle mie sono uno stimolo per me a confrontarsi con lui. Nel caso peggiore, so di uscire rafforzato nelle mie idee dal confronto dialettico di argomenti contrapposti: nel caso migliore, imparero’ cio’ che non so. Sarebbe un peccato sprecare un dialogo vero in un alterco ala Sgarbi o -il che è anche peggio- in un tentativo di conversione e/o di colonizzazione dell’altro nascosti da una veste di tolleranza e di dialogo. Due esempi di segno opposto tratti dal Corriere della Sera di oggi:

    http://www.corriere.it/cronache/10_gennaio_22/csm-rimozione-giudice-tosti-crocefisso-aula_152fed4c-0753-11df-8946-00144f02aabe.shtml
    (sulla finta laicità del nostro Stato)

    http://www.corriere.it/romano/10-01-22/02.spm
    (sugli zingari, giusto per non uscire dal tema del thread)

    Non girero’ attorno alla questione: la mia incapacità di rispondere alla domanda sui Generatori rivela verosimilmente un nascondimento di alcuni dei miei veri motivi personali, un eccesso di razionalizzazione (rivelato, me ne rendo conto, da una eccessiva mia tendenza al citarsi addosso, come quella già debitamente sputtanata da Costanzo Preve in un intervento sul sito di kelebek). Quello che so è che quali che siano i Generatori miei e quelli di Peucezio, essi sono ugualmente suscettibili di condurci a dire qualcosa di sensato:il che, se ce ne fosse bisogno, è una ulteriore conferma del relativismo etico che professo.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  71. utente anonimo scrive:

    Per Francesco #67

    ”da che cosa è partito il medioevo europeo”

    http://it.wikipedia.org/wiki/Ipazia

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  72. utente anonimo scrive:

    non vedo cosa c’entri una tipica bega dell’Età antica con il medioevo

    guarda che le tesi sulla lagrimevole storia di "EmmaBonino" Ipazia la conosco

    solo che io parlavo delle condizioni materiali in cui si venne a trovare l’Europa con il declino e poi il crollo dell’Impero Romano d’occidente

    saluti

    Francesco

  73. utente anonimo scrive:

    Per Francesco #70

    No, Francesco, Ipazia non è un caso, e non è una bega del mondo antico. Non è nemmeno solo medievale: se non ci fosse stato Robespierre, saremmo ancora ad Ipazia. Parlare di religione è parlare di un corpo di credenze, che non sono frutto di ricerca, a cui l’uomo aderisce come una rivelazione e quindi è l’accettazione di una verità frutto di una testimonianza superiore. Questo è quanto lo stesso Gesù disse ai farisei che gli dicevano che egli testimoniava solo se stesso e quindi era portatore di una testimonianza non valida. La risposta di Gesù fu che egli testimoniava il Padre (Gv, VIII, 13-16). Quindi: accettazione di un discorso circolare che proviene dall’alto, da una autorità superiore non discutibile, che esclude completamente la ricerca che ritorna solo come esigenza filosofica, in senso teologico, della giustificazione dei singoli passi della suddetta accettazione fino alla (impossibile o quasi) comprensione da parte dell’uomo della verità rivelata da Gesù che dovrà comprendere in sé il significato profondo. Come operare in modo che questo scopo
    possa essere raggiunto nel modo più efficace ? Con gli strumenti della filosofia greca che viene presa ed utilizzata, per ciò che serve, dai vari pensatori cristiani delle origini. La ragione deve solo aiutare a comprendere una cosa già data ed immodificabile con una Chiesa che, definendo i dogmi, chiude con recinti lo spazio di manovra della ragione medesima. In definitiva la libera filosofia dei classici greci è piegata e snaturata per dimostrare una tesi preesistente ed immodificabile. Ma vi è anche un altro effetto perverso molto più profondo. Il cristianesimo che diventa filosofia si presenta come il continuatore di quella filosofia che ha snaturato e come il massimo compimento di essa. Il primo Padre latino ed apologista che portò avanti questa tesi fu Giustino nel II secolo (anche se questa posizione sarà discussa dai Padri che vennero dopo perché ritenuta troppo semplicistica). Si è cercata una verità nei
    secoli precedenti? Bene, questa verità e’ ora data. La continuità e’ garantita dall’unità del Logos (con il molteplice significato  di Verbo divino, di
    Discorso e di Ragione), che Dio ha dato agli uomini tutti (ai pagani, ai profeti ebrei ed ai cristiani): ed è lo stesso Dio che ora àncora questo logos alla Rivelazione garantendone un sicuro fondamento. In tal modo la filosofia e la religione diventano un tutt’uno. Qualunque attività, anche quella scientifica, per poter espletarsi ha bisogno dell’autorità della Rivelazione nei riguardi dell’intelletto umano. Ed anche l’unità di filosofia e religione non è discutibile, rientra quasi nei dati incontrovertibili ed i vari pensatori cristiani lo danno come un qualcosa di ovvio e quindi da non discutere. Il problema, semmai, nasce per i non cristiani. I quali avevano e hanno a che fare con gente che dimostrava l’esistenza o la non esistenza di qualcosa usando argomenti quali ex fine, ex gradu perfectionis, excontingentia ex causa ed ex motu. Per chiarirmi, ammettiamo che un Giustino -o un Tommaso d’Aquino, o un  Ratzinger, se è per questo- intenda dimostrare l’esistenza di Qualcosa che la Chiesa afferma esistere. Per non essere inutilmente blasfemo, immaginiamo che
    questo qualcosa sia Babbo Natale. Allora, l’esistenza di Babbo Natale può essere provata attraverso 5 argomenti:

    Il primo argomento (ex-motu) deriva dall’evidenza del movimento dei regali di Natale: colui che intende donare un “regalo di Natale” deve prima procurarselo. Essendo evidente che i regali di Natale non si fabbricano da sé, ci deve essere un Donatore iniziale di regali di Natale cui viene dato il nome di Babbo Natale.

    Il secondo argomento (ex-causa) deriva dall’esistenza degli alberi di Natale. E’ certo e palese che esistono gli alberi di Natale. Ma nessun albero, se non viene opportunamente adornato, diventa albero di Natale. Chi adorna, quindi, un albero per trasformarlo in albero di Natale, lo fa sulla base di un precedente modello che ha visto. Ma siccome non si può andare indietro all’infinito, deve esistere un primo modello di albero di Natale e questo non può essere che opera di Babbo Natale.

    Il terzo argomento (ex-contingentia) deriva dall’esistenza delle immagini di Babbo Natale riconoscibili da tutti. Ogni immagine, tuttavia, non è che una
    rappresentazione basata sull’oggetto che rappresenta o su una precedente immagine di questo. Ma siccome non si può regredire indietro all’infinito nella rappresentazione delle immagini, deve esistere qualcosa riconoscibile come Babbo Natale perché è realmente Babbo Natale.

    Il quarto argomento (ex gradu perfectionis) deriva dall’osservazione dei gradi dello spirito del Natale: possiamo vedere persone che hanno diversi gradi dello spirito del Natale. Ma + o – possono essere solo in relazione di un Massimo. Perciò ci deve essere qualcuno che possiede lo spirito del Natale al massimo grado e questi non può essere altri che Babbo Natale!

    Il quinto argomento (ex fine) deriva dall’osservazione del comportamento dei bambini: man mano che il Natale si avvicina anche i bambini meno furbi agiscono in modo da dimostrare di essere stati  buoni. Ma nessun bambino sarebbe buono in vista del Natale se non vi fosse qualcuno chi certifica che egli è davvero buono. Questi è noto come Babbo Natale.    

    Questi modi di ragionare tipicamente medievali sono campati per aria, e il nostro orecchio moderno, post-Robespierre per intenderci (anche il tuo, non negarlo) se ne accorge immediatamente. Ma per quale motivo? Perchè tutti postulano un arbitrario legame, un nodo (così lo chiamava il mio insegnante di religione al liceo, un eccellente Gesuita) fra ontologia e gnoseologia, cioè fra essere e conoscenza. Il fatto che un ente del discorso (Babbo Natale, o Gesù, o l’immortalità dell’anima) abbia una qualche proprietà nulla ci dice sull’esistenza o meno di quell’ente: venticinque dollari pensati non sono necessariamente venticinque
    dollari pesati. Vedi la solita parola ‘necessariamente’? Come ha capito Del Noce. Cartesio l’ha intuìta, questa mancanza di necessità, questa crepa, e Kant l’ha esplicitata. Ma non è altro che la vecchia crepa che aveva già denunciato il censuratissimo Epicuro, quando aveva invitato il prossimo a cercare di capire che cosa fosse davvero necessario. Il prete puo’ censurare il pensiero con l’invocazione del mistero e la paura del peccato e dell’inferno, puo’ imbalsamarlo coi riti. Eppure il pensiero si muove.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  74. utente anonimo scrive:

    x Andrea

    di certo non sei l’unico che ama ripetere i propri dogmi, probabilmente sei uno dei più prolissi

    a che pro?

    Francesco

  75. utente anonimo scrive:

    Per Francesco

    ”A che pro?”

    Mi congratulo per la ricca articolazione della tua risposta. Comunque, repetita iuvant.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  76. utente anonimo scrive:

    repetita annoiant

    saluti

    Francesco

  77. utente anonimo scrive:

    e guarda  che un’esegesi seria delle dimostrazioni di Babbo Natale ti farebbe fare solo brutta figura, è che non ho così tanto tempo da perdere

    ciao

    Francesco

  78. utente anonimo scrive:

    Per Francesco #75

    ”brutta figura”

    Rinnovo i miei complimenti. Alla mia lista di argomenti ne hai appena aggiunto un altro: Nondum matura est, ossia la volpe e l’uva.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  79. utente anonimo scrive:

    senti, capisco quanto ti senti importante, ma tutti i tuoi esempi farlocchi si basano sull’ipotesi implicita che i regali di Babbo Natale ammettano come unica spiegazione l’esistenza di Babbo Natale

    quando dall’esistenza del mondo si deduce l’esistenza di Dio, lo si fa in quanto unica possibile causa adeguata del mondo

    saluti

    Francesco

  80. utente anonimo scrive:

    Per Francesco #77

    ”unica possibile”

    Programa ambizioso, se non altro.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  81. utente anonimo scrive:

    mica tanto

    che io sappia, l’alternativa è sostenere che la domanda non ha senso e che il mondo esiste e basta

    il che, a mio modesto parere, fa un pò pena

    ciao

    Francesco

  82. utente anonimo scrive:

    Per Francesco #79

    ”la domanda non ha senso […] pena”

    E dàlli. Ma perchè il mondo deve per forza avere un senso? Solo perchè se no ti fa pena? Andiamo!

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  83. utente anonimo scrive:

    modestamente, lo trovo un buon punto di partenza, per un percorso di ricerca filosofico

    Francesco

  84. utente anonimo scrive:

    Premesso che non ce la faccio a leggere tutti i commenti, mi son divertito a leggere il post per intero.
    Un solo appunto, quando scrivi "Chiaramente, nessuno è obbligato a viverci, ci si viene ammessi…" è proprio qui l'assurdo: in realtà si è "obbligati" a viverci, perché per molti la casa, un terreno dove sistemarsi, persino una cascina abbandonata, rimangono un miraggio, ed anche a riprendere il vecchio nomadismo si viene scacciati in ogni momento.
    Fabrizio

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