“Camminò senza fermarsi” (III)

Scusate, Cocco ha scritto un commento talmente importante al mio ultimo post, che lo inserisco qui per intero, come se fosse uno della serie.

Credo che anche fuori dalla Palestina e/o fuori dall’islam esista una reazione simile a quella di Fatima e che non ha nulla a che vedere con il suicidio o la disperazione. E’ la reazione di una madre che vuole proteggere suo figlio. Un figlio che qualcuno le sta ammazzando.

In quel caso nessuno di noi avrebbe da dire. Capirebbe il gesto, anzi s’immedesimerebbe nella persona e direbbe a se stessa “anch’io avrei fatto così per mio figlio”.

Anche Fatima cerca di difendere suo “figlio”, solo che nella sua cultura e nella sua storia, il figlio non si esaurisce con il suo bambino ma è la sua terra, che non è solo la sua casa ma è la terra del suo popolo.

Ricordo il filmato riprodotto in tv di una donna palestinese che rivolta ai soldati israeliani ed indicando dei bambini dice: “ quelli diventeranno tutti guerriglieri”.

Non mi ha dato l’idea di una donna che si esprime colta dalla disperazione ma di una persona con una profonda convinzione sociale.

In un mondo individualista non si è capito e non si può capire fino in fondo come un arabo viva se stesso, la sua relazione col mondo che lo circonda. Perciò si interpretano comportamenti alla luce di categorie che prescindono dal contesto culturale e sociale che vorrebbero interpretare. Si finisce per chiamare disprezzo per la vita ciò che è invece amore per essa. Solo, non è un amore individuale che si esprime avendo come termine di riferimento la propria vita, la vita del piccolo mondo familiare, ciò che noi chiameremmo l’”utile”, l’”opportuno”. Ma utile a cosa? Opportuno a cos’altro?

Ho letto (alla fine l’ho letto) “La caduta di Bagdad”. Se provi a leggere quel libro applicando ad esso le categorie che siamo soliti applicare, la storia di Shadi sembra il gioco di un fanciullo fantasioso che si lascia trasportare dagli eventi e un giorno, da adulto, si sveglierà dalla sua fantasia e riderà di se stesso.

Ma non era partito solo lui per la jihad. Quelli che come lui sono partiti, neanche si chiedevano, come se fosse un fattore determinante, se sarebbero morti oppure no. “Andare” veniva prima che pensare all’”opportunità” individuale. E allora cambia tutto. Cambia tutto il senso che si dà alla vita. Non si va a morire. Si va a combattere. E le due cose sono perfettamente distinte. L’una può implicare l’altra oppure no.

Completamente diverso dal soldato occidentale che va a combattere una guerra che nella maggior parte dei casi non gli appartiene. Penso ad un sentire diffuso oggi. Non so come fosse ieri. La guerra del suo governo o la guerra che potrà cambiare la sua personale esistenza.

Ecco che Fatima diventa suicida o disperata.

Disperata senz’altro lo era ma non è dalla disperazione che nasce il suo gesto.

La disperazione può generare il suicidio, non la battaglia.

A parte. Scrivo qui ma non so bene in quale dei tre ultimi post ho letto.

Dai vari commenti sulle mani di Fatima mi è rimasto appiccicato addosso un altro messaggio che non condivido: il gesto di Fatima, che presuppone una forza d’animo non indifferente, è un gesto maschile. Scusate ma mi sembra un discorso che origina da una cultura maschilista.

Uomo forte, donna debole. E una donna che compie un gesto forte dev’essere per forza un po’ maschile.

 Come non è affatto vero il suo contrario: un uomo che piange è debole, è femminile.

Non è affatto vero.

La forza che ho visto nella donna del gruppo che difendeva a mani nude gli uomini chiusi nella moschea, con il dito in faccia al soldato armato davanti a lei, è indimenticabile.

La debolezza che trovo in un uomo che conosco, alto, massiccio, che solo a vederlo dovrebbe mettere paura……anch’essa è difficilmente dimenticabile.

Ho cercato di riportare alla memoria le mani delle contadine delle mie parti e delle donne anziane con le dita deformate dall’artrosi dell’età. Polsi grossi, e forme piegate nella direzione dell’uso che se ne fa.

Le mani di un uomo e di una donna a me vicini. Le prime maschili per quanto detta la biologia ma lineari perché lui lavorava con la mente più che con esse, dirigeva la raccolta delle reti in cui le olive cascavano venendo giù dall’albero. Le altre dure e accompagnate da un polso forte finché ha lavorato la terra poiché tiravano erbe o raccoglievano olive una per una da terra.

Ancora a parte.

Il bimbo che dorme nella casa a Jabaliya è bellissimo. Ingrandite l’immagine e lo vedrete meglio. Io credo di averlo guardato per almeno un quarto d’ora. Cosa ho pensato nel frattempo è difficile da esprimere…..impossibile.

Cocco

(continua)

Questa voce è stata pubblicata in Uncategorized e contrassegnata con , . Contrassegna il permalink.

21 risposte a “Camminò senza fermarsi” (III)

  1. utente anonimo scrive:

    Ma come, Miguel!!!!!

    Proprio adesso che devo chiudere!

    Pensiero immediato: quelle che a me sembrano piccole conquiste della mia mente, per altri sono importanti.

    Comunque grazie e a domani.

    Cocco

  2. utente anonimo scrive:

    Cocco,

    Ho fatto io il commento sulle mani di Fatima, e ancora ho uno scrupolo di coscienza a soffermarmi su questo dopo che quel corpo è ridotto a brandelli.

    Però sono stata fraintesa, io avevo detto che le mani sono maschili, ma non ho fatto l’equazione : mani maschili =forza d’animo= gesto maschile.

    Se avessi visto spalle grosse, o muscoli potenti, avrei probabilmente fatto la stessa osservazione : tratti maschili.

    Poi ognuno tragga le conseguenze e le deduzioni. Certo io penso che, in linea generale, le armi , le guerre, la lotta fisica sono affari da uomini e che le donne , pur forti e decisioniste, sono più per la pace, la sedentarietà, la protezione e l’allevamento della prole.

    Se la natura umana è composta sia di elementi femminili che maschili, lo Yin e lo Yang, nelle donne dovrebbero prevalere i primi rispetto ai secondi.

    Se poi necessità impone, mancanza o carenza di uomini, la donna è capace di tutto, ovvio. Anche ricoprire il ruolo maschile.

    Ripeto che è un discorso generale, perché poi ci sono le donne che vogliono fare a meno degli uomini, o le iperforzute palestrate da body building o da Kick-boxing.

    Io non ho nessun complesso di inferiorità nel riconoscere che ricorro agli uomini quando non riesco a svitare il tappo di plastica delle bottiglie di acqua minerale, o devo avvalermi della loro maggiore forza fisica.

    La forza d’animo è un’altra cosa, e possono possederla sia uomini che donne, in diversa misura e senza poter dire che appartiene più a un sesso che ad un altro.

    In ogni caso sono d’accordo con Ritvan, la donna istintivamente preferisce, salvo eccezioni, tra due pretendenti, il vincitore della lotta, che le garantisce ( si fa per dire) una discendenza forte e una tutela maggiore.

    Quanto alle motivazioni del gesto, avete già sviscerato voi, e prendo atto che si sarebbe trattato di una sorta di “sacrificio”, atto sociale- tribale per la comunità.

    A questo punto però non capisco perché quella stessa comunità la volesse dissuadere.

    Aurora.

  3. utente anonimo scrive:

    E io, per par condicio – e se non fosse chiaro dal mio precedente commento a cui Aurora si riferisce – sono d’accordo con Aurora quando scrive:

    “La forza d’animo è un’altra cosa, e possono possederla sia uomini che donne, in diversa misura e senza poter dire che appartiene più a un sesso che ad un altro.”

    Ciao

    Ritvan

  4. utente anonimo scrive:

    Certamente Aurora. L’equazione, tu non l’hai fatta. L’ho fatta io.

    Se ho superinterpretato, la ritiro.

    Non credo però ci sia niente di male a fare certi passaggi, né consapevolmente e tantomeno inconsapevolmente. Io li faccio sepre e neanche me ne accorgo.

    Faccio un esempio.

    Un uomo e una donna entrano al bar e ordinano un caffè e un the, poi si siedono.

    Il cameriere porta loro le bevande e serve il the alla signora e il caffè al signore, poi si allontana.

    Lui e lei si scambiano allora le tazze poiché il caffè lo voleva lei ed il the lui.

    Magari ti stai sbagliando e il gesto del cameriere è stato del tutto casuale, però ti viene da pensare: “Forse perché tra un the ed un caffè, il the è più una bevanda da donna ed il caffè da uomo”.

    Comunque anch’io ricorro a chiunque mi stia vicino (maschio o femmina che sia) quando non riesco a togliere il tappo alla bottiglia, cioè sempre. Senza nessun complesso di inferiorità. 🙂

    “In ogni caso sono d’accordo con Ritvan, la donna istintivamente preferisce, salvo eccezioni, tra due pretendenti, il vincitore della lotta, che le garantisce ( si fa per dire) una discendenza forte e una tutela maggiore. –Aurora”

    Non ho ancora deciso (c’è tempo!) se si tratti di un fatto istintivo oppure di un fatto culturale da cui nessuno di noi è sgombro se non decide di opporvisi poiché in quei panni ci sta un po’ stretto.

    Inoltre, eventualmente, tutela maggiore è un conto, discendenza forte è un altro.

    Ma non mettiamo troppa carne al fuoco.

    M’interessa di più scrivere qualcosa a proposito dell’ultima tua frase:

    “A questo punto però non capisco perché quella stessa comunità la volesse dissuadere. -Aurora”

    E’ un osservazione interessante per la quale , più che dare una risposta, trascrivo alcune frasi del libro “La caduta di Bagdad”.

    Shadi, ventenne, parte per il jihad in Iraq lasciando un testamento e un messaggio su un quaderno: “Meglio martire [shaid] che vivo e impotente”.

    Il padre si mette in viaggio alla volta dell’Iraq per cercare il ragazzo e convincerlo a tornare o semplicemente per rivederlo un’ultima volta……

    La madre, pazza di dolore, chiama per nome il figlio…….in procinto di partire anche lei per Baghdad alla ricerca del figlio, afferma : “O torno con lui o muoio con lui accanto ai fratelli iracheni!”……….

    L’intera tribù di Shadi è in lutto: dalle missioni suicide i ragazzi non tornano. I parenti si disperano per la sua sorte, trepidanti ma inorgogliti.

    Ebbene, credo che in queste frasi si possa cogliere quell’intreccio interessante che fa dire che non si tratta di una decisione che nasce da un percorso semplice, univoco e frutto di una visione fredda dell’esistenza, come fuori dall’islam si tende a pensare e si vorrebbe affermare.

    “Sono come gli animali. Non hanno rispetto per la vita”, dicono.

    Cosa che equivale ad essere incapaci di entrare in un sistema il cui punto di riferimento è diverso dal proprio.

    Cocco

  5. utente anonimo scrive:

    Cooco, è come dici, i camerieri, usi a certe differenze nelle preferenze, sistemano regolarmente la birra davanti all’uomo e il latte caldo davanti alla donna, senza ricordare che “l’ordinativo” era l’ inverso.

    Il tuo esempio è bello, e unisce guerra e amore, come tra Capuleti e Montecchi: Giulietta vuole seguire Romeo e Romeo vuole seguire Giulietta, nella sorte della morte.

    Così la madre vuole morire con il figlio.

    Però io ricordo vagamente i commenti lontani di Kel e di p che trattavano il significato del sacrificio presso le comunità primitive, non so più se dei Maya o di altri popoli, un sacrificio che aveva il significato di preservare e perpetuare la specie, mentre il sacrificato si sentiva onorato del suo essere stato prescelto.

    Per la verità non so se il mio ricordo corrisponde a quello che era stato effettivamente descritto o voluto dire da Kel e da p, che riprendeva a sua volta altri autori, forse Bordiga.

    Sulla base di questo raffronto il significato primario sociale-tribale dell’atto della donna, di Fatima, mi sembrava ormai distinto dal significato delle sue personali passioni e dolorose esperienze., queste ultime divenute secondarie.

    Comunque si entra in una cultura che non comprendo.

    Aurora.

  6. utente anonimo scrive:

    A ciò che hai scritto ci penso dopo. Ora sono reduce da un lavoro di programmazione per il mio Down e non so neanche cosa sto leggendo.

    Mi ha colpito comunque il fatto che le esperienze dolorose di Fatima fossero, per te, diventate secondarie a fronte dell’atto di resistenza che decide di opporre. Perché?

    La stanchezza non mi ha impedito di vedere, però, che nel commento che ho scritto prima ho fatto un sacco di errori:

    – sepre al posto di sempre

    – caffé con la “e” accentata male

    – Baghdad senza la “h”

    – un’osservazione senza apostrofo

    E questi sono solo quelli che vedo. Figuriamoci quanti altri ce ne sono! 🙁

    E’ bene riposare

    Cocco

  7. utente anonimo scrive:

    Leggo cose molto belle, ben scritte, articolate, ma c’è tuttavia qualcosa che non mi convince, non mi convince pensare che la morte di un figlio sia qualcosa che fa parte allo stesso modo di un dolore e di una passione per il proprio paese, per me è l’inverso.

    Nella morte del figlio ci sta anche il resto, come d’altra parte anche in occidente, certo da noi non si vede per le diverse condizioni di vita.

    Conosco una signora a cui è morto un figlio adolescente, non si dà pace con nulla, e una volta a una domanda affettuosa di un parente stretto, ma dove vorresti essere, lei ha detto, non lo so, ma dove è lui.

    Ebbene io credo che se quella notte fatale avesse potuto essere con il figlio sulla strada avrebbe accettato di precipitare nel fosso e morire con lui senza alcun rimpianto per la vita.

    maria

  8. utente anonimo scrive:

    >Un uomo e una donna entrano al bar e ordinano un caffè e un the, poi si siedono. Il cameriere porta loro le bevande e serve il the alla signora e il caffè al signore, poi si allontana. Lui e lei si scambiano allora le tazze poiché il caffè lo voleva lei ed il the lui. Magari ti stai sbagliando e il gesto del cameriere è stato del tutto casuale, però ti viene da pensare: “Forse perché tra un the ed un caffè, il the è più una bevanda da donna ed il caffè da uomo”.<
    La mia, invece, sarà anche un’interpretazione viziata dallla mia ben nota ossessione kompagnesca:-) di hoxhiana memoria, ma in questo caso io penso:

    “Minchia, ecco un altro cameriere ipersindacalizzato il quale crede che chiedere semplicemente ai clienti: “Scusate, di chi è il caffè” sia un sanguinoso oltraggio allo Statuto dei Lavoratori”:-)

    Ciao

    Ritvan ‘O Krumiro:-)

  9. utente anonimo scrive:

    Cocco, deve essere complicato fare un programma per un Down. Non vorrei essere al tuo posto, al pensiero che a quel bambino non gliene importa niente di essere programmato eppure è necessario, perché la società altrimenti non gli dà spazio, non gli dà la possibilità di essere “diverso”.

    Se fossi io a decidere lo chiamerei dawn ( alba) non down (giù), per sottolineare non la sua inferiorità, ma il suo godersi uno stato “nascente”, una lenta evoluzione del suo affacciarsi al mondo, senza uniformarsi ai ritmi di crescita generali.

    Li ho visti quando sono tra loro : gioiosi , espansivi anche da grandi.

    E ‘ quando sono con noi, isolati tra i diversi da loro, tra coloro che li beffeggiano e li insultano, che si intristiscono. O mi sbaglio ?

    Aurora.

  10. utente anonimo scrive:

    oggi sono entrata in un bar e ho chiesto, un caffè per favore, subito dopo è entrato un signore e ha chiesto, un té ,e io ho pensato a voi:-)))

    maria

  11. utente anonimo scrive:

    X Aurora

    🙂

    Complicatissimo. Soprattutto se ci credi fino a un certo punto.

    Però non confondere l’apprendimento con la guarigione o l’insegnante con il guaritore.

    Non ci credo, dicevo, in quella cosa che ho dovuto fare, ma l’ho dovuta fare perché fa parte dei compiti che mi sono assegnati.

    A me i ragazzini Down piacciono così come sono e m’insegnano un sacco di cose.

    Quando ho conosciuto G., per salutarlo gli ho appena sfiorato la spalla con la mano. Si è ritratto peggio che se gli avessi dato uno schiaffone e mi ha guardato malissimo.

    Oggi, senza che nessuno lo abbia obbligato o gli abbia insegnato come si deve fare, apre la porta furtivo, mi dice buon-buongiorno , e poi scappa. Se siamo vicini abbiamo imparato a salutarci poggiando il palmo della nostre rispettive mani uno contro l’altro. Tutt’e quattro le mani o solo due, dipende. E per farmi salutare un’altra persona di cui lui si fida e con cui vuole io sia amica, prende la mano di quest’altra persona e l’avvicina alla mia, senza parlare, senza chiedere. Poi sorride perché significa che siamo amici.

    Non ho fatto nessun programma perché lo facesse. Ho solo aspettato che decidesse di farlo e che stabilisse lui il modo.

    Del resto mille volte io stringo la mano a qualcuno che non sopporto e faccio finta di niente perché si fa così….. si deve fare così. Lui no. Lui è libero di scegliere. Io no. 🙁

    Insegnare agli altri bambini suoi compagni di classe che ci si saluta, è molto più difficile.

    Hai voglia a dirgli che il saluto non è solo una formalità ma è un modo per dire “Tu ci sei ed io ci sono. Ti ho visto.” . che è un sistema che apre alla comunicazione ……!

    Niente da fare! Soprattutto in certi ambienti in cui nessuno ritiene di poter avere qualcosa da dire o da ascoltare che non sia chiedere o peggio, pretendere…. vendere.

    Non so a te ma a me capita spessissimo di entrare in un negozio, salutare ed essere salutata con sorriso di contorno. Compro, esco, risaluto, e nessuno risponde. 🙁 Oppure entro entro nella sala d’attesa dello studio medico, saluto, e le persone lì presenti, anziché rispondere mi guardano fisso in faccia e, confusi, sembrano dirsi: “Oddio! Ha salutato! Che vuole questa?”.

    “Li ho visti quando sono tra loro : gioiosi , espansivi anche da grandi.

    E ‘ quando sono con noi, isolati tra i diversi da loro, tra coloro che li beffeggiano e li insultano, che si intristiscono. O mi sbaglio ? – Aurora”

    Aspetta Aurora.

    Tra i “diversi da loro”, no. Non si intristiscono. Sono capaci di giocare e divertirsi con chiunque. A me non sembra che si percepiscano diversi….. così come non si percepiscono uguali. Il problema non si pone per loro. Siamo noi che ce lo poniamo per loro. Nel bene o nel male.

    Se qualcuno li beffeggia o li insulta in qualsiasi modo allora si intristiscono come farebbe qualsiasi bambino, Down o non Down. Parlo di bambini poiché di adulti ne conosco uno solo al mio paese, con la sua individualità, certo!, ma perfettamente integrato nella realtà sociale che lo circonda.

    Sto pensando a G. mentre scrivo. Ma i Down non sono tutti uguali. L’unica cosa che li accomuna è l’avere una traslocazione del cromosoma 21, la quale può essere più o meno estesa e più o meno compromettente determinate funzioni.

    Ciao

    Cocco

  12. utente anonimo scrive:

    Pensa se avesse messo davanti a lui la tazzina del tuo caffé!!!!:-))

    Ciao

    Cocco

  13. utente anonimo scrive:

    Glielo avrei strappato di mano esclamamando, cristo, ma allora aveva ragione Cocco:-))))

    maria

  14. utente anonimo scrive:

    veramente interessante il post di cocco, con la fondamentale affermazione “i Down non sono tutti uguali”…io durante il servizio civile ho lavorato (fra le varie cose) in una casa famiglia per handicappati mentali, fra i quali molti down. alcuni persi in un mondo tutto loro, altri che invece lavoravano e tornavano da soli a casa la sera. alcuni con i quali non era possibile nessuno scambio altri con i quali la domenica si andava a tacchinare insieme le turiste (ero a firenze).

    un ragazzo, forse l’unico che potrei definire “amico” fra quelli che ho conosciuto, aveva inventato un gioco, che lui così descriveva : “appena vediamo una che ti piace vado da lei e faccio l’handicappato, poi tu intervieni, io mi calmo e la portiamo a bere. se fate un figlio lo chiamate domenico. Se vediamo una down che piace a me tu fai l’accompagnatore cattivo che mi tratta male”

    roberto

  15. utente anonimo scrive:

    >…io durante il servizio civile ho lavorato (fra le varie cose) in una casa famiglia per handicappati mentali…roberto<
    Anche tu come Z. hai schivato il servizio armato per la Patria, ecco perché vi trovate sempre d’accordo:-)

    Come vi chiamava Sgarbi?…Ah, ecco “culattoni raccomandati”:-). Salvo poi precisare ad minchiam che dalle parti sue (Ferrara e dintorni) “culattone” significava “uno che ha culo, che é fortunato”:-) :-).

    Ciao

    Ritvan

  16. utente anonimo scrive:

    non solo culattone vuol dire, come sanno tutti tranne sgarbi, un’altra cosa, ma egli ignorava pure che non c’è bisogno di nessuna fortuna nè raccomandazione per fare l’obbiettore: basta fare la domanda

    comunque si, ho fatto più di metà del mio servizio con gli handicappati ed il resto a occuparmi di alcuni ragazzetti zingari in una scuola (lì ho un po’ rimpianto di non aver fatto il servizio militare)

    roberto

  17. utente anonimo scrive:

    non solo culattone vuol dire, come sanno tutti tranne sgarbi, un’altra cosa, ma egli ignorava pure che non c’è bisogno di nessuna fortuna nè raccomandazione per fare l’obbiettore: basta fare la domanda R.

    maria

    confermo, bastava la domanda

  18. utente anonimo scrive:

    In realtà in Emilia – e presumo anche a Ferrara – si usano termini come “rottinculo” o “culattone” anche in senso benigno e metaforico, per indicare qualcuno che è stato molto fortunato…

    Ciò non toglie che lo Sgarbazzo intendesse usare quel termine termine nella sua accezione più offensiva e omofobica. Però spiega perché abbia cercato quella scappatoia, che poteva suonare persino plausibile a chi abita dalle nostre parti.

    Non credo che gli abbiano creduto in molti, comunque 🙂

    Z.

  19. utente anonimo scrive:

    Caro Z, nemmeno le “Iene” gli hanno creduto, anzi, sono andati a Ferrara e hanno intervistato un po’ di gente autoctona in merito. E tutti hanno detto che anche lì “culattone” ha solo e solamente quel significato lì. Poi hanno fatto vedere il tutto allo Sgarbi. Un vero spasso, lo Sgarbi che si arrampicava sugli specchi:-).

    Ciao

    Ritvan

    x Roberto&Maria: Scusate, con tutto il rispetto, ma se bastava la domanda per sostituire la naia col servizio civile, delle due l’una: o chi “sceglieva” comunque la naia (ovvero, la stragrande maggioranza) era un bieco e feroce guerrafondaio, oppure era un fesso autolesionista. La cosa non mi quadra…

  20. utente anonimo scrive:

    Confermo, di 1.000 cugini maschi che siamo solo un paio abbiamo fatto naja.

    Francesco

    Qui su al Nord culattone ha entrambi i significati (anzi di più quello sgarbiano, come insulto va di più frocio).

  21. utente anonimo scrive:

    Ritvan,

    fare l’obbiettore è un diritto non un favore che lo stato ti fa.

    ti assicuro che basta fare la domanda (e evere altri requisiti quali non avere il porto d’armi).

    molti alla mia epoca non facevano la domanda facendo questo calcolo: se eri in soprannumero come soldato saltavi la naja, mentre non esisteva la regola del soprannumero per gli obbiettori

    poi penso anche che fare il soldato non doveva essere così male (tutti i miei amici dicono di essersi divertiti, tranne quelli che cercavano di scansare ogni cosa e che si sono annoiati a morte)

    roberto

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *