“Camminò senza fermarsi” (IV)

Non riusciamo a capire Fatima,perché non osiamo capire noi stessi.

E’ una variante della questione del collo del pollo.

Io non sono vegetariano, ma i vegetariani hanno ragione nel dire che lo diventerei, se dovessi tirare io il collo al pollo che mangio. Per me, il pollo è una cosa che si trova dentro un contenitore di plastica, prodotta in un’apposita fabbrica. La fabbrica, riesco a illudermi, prende le sue materie prime da una pianta o da una cava.

A patto di ingannarci così, riusciamo ad avere il meglio dei due mondi.

Infatti, riusciamo (mi riferisco al 20% del pianeta ovviamente) a consumare più carne di quanto si abbia mai fatto nella storia umana, e anche a essere la prima generazione in cui la maggioranza non ha mai ucciso, e forse nemmeno maltrattato un animale. Il che non fa stare meglio gli animali, ma certamente fa stare meglio noi.

Basta non guardare mai dentro una macelleria.

La colpa si distanzia e si disperde, e il sangue versato non richiede più alcun rito.

Io butto nel cestino fette intere di una mucca che due giorni fa campava orrendamente dentro una macchina di morte, eppure mi posso permettere di guardare con disprezzo chi non costruisce una cuccia abbastanza calda per il suo cane. E’ questa, in sostanza, l’intera superiorità morale dell’Occidente.

Il folle consumo di carne è certamente un problema. Ma, se ci pensate, è anche un problema il fatto che io non riesca a fare ciò che tutti i miei antenati hanno sempre fatto con naturalezza: tirare il collo al pollo.

Ciò che si spaccia, si pavoneggia, si esalta come etica, non è altro che divisione del lavoro.

Sta tutta lì la forza, e anche la miseria, del pacifismo, che ha mosso milioni di ragazzi allegri, sotto vessilli multicolori, a sentirsi migliori dei guerrafondai, finché non c’era nessun nemico da definire, nessun assassino a cui dire, mi auguro dal profondo del cuore che ti uccidano.

Uri Grossman, figlio di David, mangiava più carne in una settimana, di quanta ne mangiasse Fatima in un anno, ma non tirava mai la coda ai gatti. O almeno è lecito immaginare che fosse così, magari era un vegano, o faceva una dieta, o un medico gli aveva fatto qualche speciale prescrizione su misura.

Fatima, figlia di Omar, invece, tagliava il collo a un agnello, con un bismillah che era insieme soffio e santificazione, metteva un piatto sotto per raccogliere il sangue, e tornava a ridere con i figli.

Lo stesso vale per l’uccisione di esseri umani. Non si è mai investito tanto in armi, e le armi servono o per uccidere, oppure per arrugginire in qualche deposito.

La guerra e le spedizioni militari sono tornate a essere cose normali. Le chiamiamo, "missioni di pace", con lo stesso spirito con cui la ditta di carni si presenta con l’immagine di un maiale che sorride mentre ti porge gustose porzioni di qualcosa. Senza che ci rendiamo conto che quelle porzioni altro non sono che brandelli dello stesso maiale.

La guerra è per noi accettabile solo a condizione che lo faccia qualcuno specificamente delegato. E anche lì, l’omicida per delega deve delegare i propri omicidi a sua volta, a strumenti che permettano di uccidere a una certa distanza.

Racconta William Broyles, marine nel Vietnam, parlando di quello che provava a maneggiare le armi dell’epoca, a debita distanza dal bersaglio:

"Basta muovere il dito in maniera impercettibile, appena un desiderio che passa per un istante nella tua mente come un’ombra, nemmeno una piena sinapsi cerebrale, e puff! in uno scoppio di suono e di energia e di luce, un camion o una casa o anche la gente scompare, tutto vola via e poi ricade di nuovo giù, sotto forma di polvere".[1]

Se non era una sinapsi, non poteva certo essere un omicidio.

Insomma, impastare una famiglia nel muro della sua casa, lanciando una bomba da duemila metri, va bene.

Non va bene, invece, entrare in casa della stessa famiglia e uccidere i familiari a coltellate, a uno a uno.

Certo, per la famiglia il risultato non cambia minimamente, però il soldato si sente meglio così, come io con il mio pollo.

O forse si sente meglio a uccidere da vicino. Se ci lasciassimo andare, tu e io, anche noi godremmo a fare strage di polli, e di uomini, perché la nostra aureola elettronica non ci protegge dalla nostra eredità biologica.

Ma questo godimento resta un intimo segreto tra colui che è stato delegato all’omicidio e lo Stato delegante, come racconta un altro marine statunitense che aveva combattuto nel Vietnam:

"Tagliavamo loro le orecchie. Avevamo un trofeo. Se qualcuno ne portava una collana, era un buon killer, un buon soldato. Ci incoraggiavano a tagliare le orecchie, a tagliare i nasi, a tagliar via il pene agli uomini. A una donna, le tagliavi il seno. Ti incoraggiavano a fare queste cose. Gli ufficiali si aspettavano da te che le facessi, altrimenti era segno che c’era qualcosa che non andava in te".[2]


NOTE:

[1] Citato in Joanna Bourke, An Intimate History of Killing. Face to Face Killing in 20th Century Warfare, Basic Books, 1999.

[2] Ibidem, p. 30.

Questa voce è stata pubblicata in Uncategorized e contrassegnata con , . Contrassegna il permalink.

24 risposte a “Camminò senza fermarsi” (IV)

  1. rubimasco scrive:

    Questo mi fa venire in mente una piccola equazione che tratteggiava Herbert nella sua saga di Dune. Un’ esercito per essere veramente invincibile deve avere, prima della superiorità fisica e di armamento:

    -la convinzione di essere superiore al proprio nemico per una questione razziale, culturale o mentale.

    -fanatismo misticheggiante che li convince di essere sempre e comunque nel giusto, perchè dio è dalla loro parte.

    I “Fremen” e i “Sardaukar” inventati da Herbert erano così. I turchi prigionieri in India nella seconda guerra mondiale sopravvivevano per questo. E così sono oggi gli americani, gli hezbollah, la milizia palestinese, gli israeliani…. infine ci sarebbe anche un’ altra cosa:

    i soldati devono avere la sicurezza di essere protetti nel caso che sia colpevole di atti atroci o ingiustificati; altrimenti non lavorano più.

    saluti

    Rubimasco

  2. utente anonimo scrive:

    Miguel, non c’è niente di nuovo sotto il sole. Già agli inizi del secolo scorso circolava la cosiddetta “domanda del mandarino”, che suonava più o meno così:”Se premendo un bottone fossi sicuro di uccidere all’istante un mandarino in Cina, lo premeresti?”.

    La mente dell’essere umano è molto complicata e, in genere, quando si tenta di semplificare i suoi meandri e i comportamenti da essa indotti lo si fa con un preciso scopo politico. A buon intenditor…:-)

    Ciao

    Ritvan

    P.S. Quella di Uri Grossman che se magna in una settimana più carne di Fatima in un anno mi sembra una bieca propaganda di stampo bolscevico indegna di te:-). Mi vien voglia di ribattere che nonna Fatima rapiva di notte bambini israeliani per cucinarseli allo spiedo:-).

  3. utente anonimo scrive:

    Molto buona l’analisi della guerra a distanza. Ma c’è un ma, non nella tua analisi, ma nei fatti, che scompagina la guerra “chirurgica” che tanto piacerebbe fare a certe teorie militari d’occidente. Finché si tratta di distruggere un territorio, la guerra a distanza va benissimo. Ma se si vuole averne il controllo, per interessi di strategia politico-economica, occorrono in loco i “fantaccini” terrestri. E le cose si complicano maledettamente. L’iraq insegna, e spero insegni anche agli illusi teocon che pensavano di vincere solo con la potenza missilistica,p

  4. utente anonimo scrive:

    “i soldati devono avere la sicurezza di essere protetti nel caso che sia colpevole di atti atroci o ingiustificati; altrimenti non lavorano più.

    Rubimasco”

    In effetti mi pare che la politica americana in materia sia quella di difendere i propri militari sempre e comunque, evitando che siano sottoposti a processi da o in stati esteri.

    Cosa che si tenta di fare sia in maniera ufficiale, tentando di dare, con l’accorta ratifica o non ratifica di trattati, uno status di ingiudicabilità alle azioni compiute da militari americani all’estero o evitando perlomeno che siano giudicati da tribunali stranieri, anche di paesi alleati;

    sia in maniera ufficiosa, ma non per questo meno evidente, tipo quando si comminano pene dopo tutto secondarie ai responsabili del Cermis o si fa miracolosamente sparire il soldato Lozano che ha sparato su Calipari.

    Insomma, il soldato americano deve sapere che il suo governo lo proteggerà, qualunque errore o schifezza abbia combinato all’estero.

    Poi somministrano mediaticamente la propaganda pura di serie tipo la JAG che mandava raidue, roba che manco il Minculpop.

    Paolo

  5. utente anonimo scrive:

    >Poi somministrano mediaticamente la propaganda pura di serie tipo la JAG che mandava raidue, roba che manco il Minculpop. Paolo<
    La JAGg sarà da M’inculpop:-), d’accordo, ma mettere nello stesso sacco chi fa collane di nasi e orocchi umani con il pilota del Cermis e con chi spara in Iraq ad una macchina non identificata che avanza velocemente verso di lui, mi pare un po’ da Pravda:-)

    Ciao

    Ritvan

  6. utente anonimo scrive:

    Ritvan, c’hai un po’ il complesso da postcomunismo, sai? Non che non sia comprensibile, oltretutto per chi viene dal regime di Honxa, ma davvero spandi “Pravda, Kompagnitudine, bolscevismo strisciante” e compagnia con troppa facilita’. Mi sembra una scorciatoria un po’ comoda, e lo dico perche’ sono stato personalmente colpito dalla tua fatwa liberale.

    Ripropongo qui un quesito che ti ho fatto piu’ sotto, forse troppo piu’ sotto, tanto che non hai guardato e non hai risposto. Davvero ti piace Guareschi, scrittore a mio parere mediocre e strapaesano? O anche questo mio giudizio proviene dalla mia (magari inconscia) Kompagnitudine?

  7. utente anonimo scrive:

    p.

    ma quella lezione non era già stata data dal Vietnam?

    quanto sono stupidi i pianificatori della guerra in Iraq?

    roba da credere alla teoria per cui il loro scopo era il caos. peccato che il caos generi vendite di petrolio ai cinesi e potere per gli iraniani, e allora non so più cui prodest.

    Francesco

  8. utente anonimo scrive:

    La storia insegna, ma gli studenti non si impegnano 🙂

    Z.

  9. utente anonimo scrive:

    >Ritvan, c’hai un po’ il complesso da postcomunismo, sai?<
    Perché non ti firmi, kompagno? Aspetta che mo’ faccio una bella denuncia alla Securitate di Kelebek e ti mandiamo in Siberia:-)

    Sì, il complesso ce l’ho e me ne vanto. Ma mi ritengo più fortunato di migliaia di altri albanesi a cui la ferocia del regime ha lasciato ben più serie conseguenze psichiche, che di solito vengono curate dagli psichiatri. Ritieniti fortunato, a tua volta, di non aver vissuto in quelle condizioni.

    >Non che non sia comprensibile, oltretutto per chi viene dal regime di Honxa,<
    Si chiamava Hoxha.

    >ma davvero spandi “Pravda, Kompagnitudine, bolscevismo strisciante” e compagnia con troppa facilita’. Mi sembra una scorciatoria un po’ comoda, e lo dico perche’ sono stato personalmente colpito dalla tua fatwa liberale.<
    Quale fatwa? Non so di che parli.

    >Ripropongo qui un quesito che ti ho fatto piu’ sotto, forse troppo piu’ sotto, tanto che non hai guardato e non hai risposto.<
    Beh, di solito non rispondo agli anonimi:-). E a volte non mi riesce leggere tutto. Nessuno è perfetto.

    >Davvero ti piace Guareschi, scrittore a mio parere mediocre e strapaesano? O anche questo mio giudizio proviene dalla mia (magari inconscia) Kompagnitudine?<
    Non lo so da che provenga e francamente m’importa poco. Ovviamente kompagni a cui piacesse Guareschi non ne ho mai incontrati ed è comprensibilissimo il perché:-). A me piace infinitamente più di molti altri scrittori(anticomunisti compresi) che menano il torrone con la puzza sotto il naso sui massimi sistemi. Magari perché sarò mediocre e strapaesano (oltre che “diversamente comunitario”:-) ) anch’io e che come si dice “chi si assomiglia si piglia”. Però, credo che valga la massima “de gustibus non disputandum est” (e anche ovest, per par condicio:-) ).

    Ciao

    Ritvan

    P.S. Al ginnasio avevo un compagno (non kompagno:-) ) molto colto che sosteneva che le opere di Shakespeare erano una boiata pazzesca, roba scritta per essere applaudita da buzzurri inglesi gonfi di birra in miserabili teatrini itineranti. De gustibus, appunto.

  10. utente anonimo scrive:

    È vero, francesco, ma i neocon sono degli stolti attivisti. “L’ottimismo della volontà” è la più sciocca delle posizioni. Così loro pensavano di fare la “storia”, cambiare la “realtà” e gli altri dopo, ammutoliti e ammirati, dovevano registrare il cambiamento. Ma la storia e la realtà la devi registrare prima e farla (o meglio, lasciare che si faccia) dopo, non viceversa. Che è l’esatto contrario di volerla “cambiare”, come asseriva la spocchia di quei guitti in costume per recitare in pubblico “mission accomplished”, che è invece saperla assecondare. La confusione irachena è lo specchio fedele e tragico, purtroppo, della confusione mentale di quegli attorucoli da quattro soldi che hanno considerato washington come il palcoscenico ideale delle loro pessime recite.p

    Ps: Hai una memoria di ferro, aurora. Pur con tutte le enormi differenze culturali, in quelle scelte balugina un riflesso di quella concezione della vita descritta nell’articolo del maestro di caffè napoletano.

  11. utente anonimo scrive:

    p non è la memoria che è di ferro (scusa, il tuo punto di riferimento è per caso il fArro ? Sai , quel cereale…no, perchè se é così allora posso dire di averla di ferro, e altri ce l’hanno di amianto, di uranio, non so..) , ma è l’interesse che seleziona tra tante informazioni.

    Aurora.

  12. utente anonimo scrive:

    >È vero, francesco, ma i neocon sono degli stolti attivisti. “L’ottimismo della volontà” è la più sciocca delle posizioni. Così loro pensavano di fare la “storia”, cambiare la “realtà” e gli altri dopo, ammutoliti e ammirati, dovevano registrare il cambiamento. p.<
    Non a caso molti neocon (uno fra i tanti Ferrara) sono dei..ehm…come dire…vabbè, diciamo “stalinisti”, va:-) (Roberto, se mi dici che davanti a “stalinisti” non ci sta “dei” ti mando in Siberia:-) ) che hanno cambiato casacca.

    Ciao

    Ritvan

  13. utente anonimo scrive:

    Leninisti, Ritvan, leninisti è il riferimento culturale giusto. O addirittura Trotzky, che tanto voleva cambiare la storia da finire fatto fuori da Stalin, che di cambiare non ci pensava neppure.

    E’ che almeno questi sapevano che per fare una frittata bisogna rompere le uova, i neo-con pare si aspettassero che le uova si aprissero da sole entusiaste.

    Se c’è una cosa peggiore dei comunisti e dei progressisti e forse anche degli antagonisti dell’Impero sono gli incapaci. Li farei vivere a Teheran, li farei vivere, anche in incognito.

    Francesco

  14. utente anonimo scrive:

    È vero, ritvan, ferrara è quello di sempre. E a ulteriore conferma dell’assunto, ti voglio raccontare un aneddoto forse non così famoso del giovane comunista ferrara, ma che era molto noto nell’ambiente radicale di torino, almeno nel periodo, primi/metà anni ’80, in cui l’ho bazzicato parecchio. È noto che vigeva in italia una regola elettorale non scritta ma ferocemente applicata, per cui il simbolo del pci apriva la serie dei simboli stampati nelle schede elettorali e il simbolo dc la chiudeva. Un piccolo ma significativo segno della sostanziale connivenza di moscoviti e uoscintoniani nel mantenimento d’un certo ordine profondo, al di là della superficie increspata di polemiche, in questo paese. Quando il partito radicale d’allora decise di partecipare alle contese elettorali, dal ’76 in poi, dopo la grande visibilità ottenuta nel ’74 a sostegno del referendum sul divorzio, cercò di rompere questa ferrea legge. Bisogna sapere che l’ordine dei simboli sulle schede rispecchiava l’ordine con cui si presentavano le liste elettorali negli appositi uffici che si trovano nelle sedi di tribunale, e a torino nella sede di via corte d’appello. Per arrivare primi a presentare le liste, i radicali organizzavano veri e propri presidi, giorno e notte, davanti a quelle sedi, già parecchi giorni prima dell’apertura di consegna delle liste. Qualche ora di presidio l’ho fatta anch’io, ricordo, ed era piacevole chiacchierare, che so, col trans che passava un po’ del suo tempo tra persone da cui sapeva di essere accolto bene, o col vecchietto stravagante che raccontava la sua vita avventurosa, salvo scoprire qualche tempo dopo la sua foto sui giornali perché arrestato per avere in casa non so che quantitativo d’hashish. Bei tempi, dopotutto. E certo non rimpiango d’aver passato la mia giovinezza politica tra i radicali, che in certi gruppuscoli marxisti da paura. Ma non divaghiamo troppo, anche se aurora, magari, avrà apprezzato. Naturalmente tutta quella militanza non serviva a nulla, perché il giorno della presentazione delle liste si presentava puntuale anche la spedizione “punitiva” dei giovani comunisti, che “sgombravano” il fastidioso presidio radicale – davanti a un tribunale, senza che nessuno intervenisse! – e si fiondavano primi a depositare la loro lista. Era noto tra i compagni (così ci si chiamava allora tra radicali e forse ci si chiama ancora), per il ricordo recente e perché i militanti con più “anzianità di servizio” l’avevano vissuto di persona, che a torino, a capo di queste spedizioni, prima che spiccasse il suo fantastico volo nazionale, v’era il giovane ferrara. Be’, anche se ha indossato tutti i velli di “pecora” disponibili nel mercato politico, ferrara è rimasto sostanzialmente il lupo comunista di allora. Né m’infastidisce più di tanto che adesso anch’io mi dica comunista, che non è certo una banale omonimia a potermi confondere le idee d’una distanza abissale dal soggetto, semmai molto più accentuata oggi che ho fatto, nominalmente, la stessa scelta del giovane (e vecchio) ferrara.p

  15. utente anonimo scrive:

    E’ vero, p, apprezzo le tue divagazioni, e per me sono anche troppo brevi. Fortunatamente quel che tu non dici, io me lo invento. Così ti vedo davanti al palazzo di giustizia, piazzato tra il cemento cittadino, a chiacchierare coi compagni, muniti di bevande e sigarette ( non credo fumassi toscani, a quel tempo), a posizionarvi ora da un lato, ora dall’altro, godendovi la notte, lo sfondo buio e silenzioso, illuminato dai lampioni e dai fari delle auto, puntando chi vi avvicina incuriosito, per domandarvi e cogliere l’occasione di intrattenersi in piacevoli conversazioni, racconti di avventure di un vecchietto o di un transegender, comparse di una scena che finalmente non è caotica.

    Passano i netturbini, qualche tassista, altri reduci da non si sa dove, il ticchettio dei passi rimbomba, che sonno, arriverà mattina, si preparano i lupacchiotti a smantellarci il vello di dosso,… ti ricordi quella volta ? Beh, p, sono passati, volati, circa venti anni.

    L’arzillo anziano è finito in galera, ma un avventuriero non si lascia piegare da qualche disavventura. Sarà tornato in auge,cioè, a chiacchierare di notte.

    Tu invece sei qui. Più o meno.

    Se non divaghi altrove.

    Aurora.

  16. utente anonimo scrive:

    >Leninisti, Ritvan, leninisti è il riferimento culturale giusto.<
    Si Francesco, ma tu non stai mai attento alle sfumature. Se scrivevo “leninisti/trozkisti” (o semplicemente…ehm…l’omnicomprensivo “comunisti”, come era sottinteso:-)) senza “s” impura iniziale, come facevo poi a mandare Roberto in Siberia per la faccenda del’articolo determinativo?:-)

    Ciao

    Ritvan

  17. utente anonimo scrive:

    Sì, p., so della radicale “battaglia dei simboli”; vedevo la RAI fin dall’inizio degli anni ’70.

    Evidentemente la “base elettorale” di entrambi i grandi “consociativisti” (sono d’accordo con te, anche se Maria probabilmente s’inkazzerà come…Maria:-) ) era combinata piuttosto male nella calotta cranica, se aveva bisogno che il kompagno/fratello dirigente di turno gli spiegasse:”Attento, metti la crocetta sul primo/ultimo simbolo!”:-).

    Non sapevo, invece, della partecipazione di Ferrara nelle incursioni squadriste rosse. Ma la cosa non mi sorprende affatto.

    Ciao

    Ritvan

  18. utente anonimo scrive:

    Ah ah ritvan,

    ma allora anche i radicali erano messi male, se lo volevano anche loro il primo famoso posto, o lo facevano per rompere i c. ai biechi comunisti? Io propendo per la seconda:-)))

    MARIA

    maria

  19. utente anonimo scrive:

    lo facevano per acquisire visibilità per le loro zozze battaglie laiciste, naturalmente.

    R. sicuro che Lenin avesse delle remore a fare l’agente di viaggio (sola andata) con chi gli rompeva i marroni? non poteva mica farli fucilare tutti.

    p. sai che ci sto ancora male, e sì che sono nato nel 1968, per la complicità della DC con i comunisti? mai capito quale … di motivazione avesse, perchè dovessero spartirsi il potere coi rossi invece di gestirlo bene, una roba da bruciori di stomaco.

    eppure lo ho letto Guareschi.

    Francesco

  20. utente anonimo scrive:

    >ma allora anche i radicali erano messi male, se lo volevano anche loro il primo famoso posto, o lo facevano per rompere i c. ai biechi comunisti? Io propendo per la seconda:-))) maria<
    >lo facevano per acquisire visibilità per le loro zozze battaglie laiciste, naturalmente. Francesco< Bbboni:-), una cosa non esclude l’altra. Come si dice, riunire l’utile al dilettevole:-) >R. sicuro che Lenin avesse delle remore a fare l’agente di viaggio (sola andata) con chi gli rompeva i marroni? non poteva mica farli fucilare tutti.<
    E l’ha fatto. Ma hai capito male (anche se il mio discorso era un po’ contorto, lo ammetto, ed era di natura puramente semantica e indirizzato a Roberto), io non faccio distinzioni fra “leninisti” e “stalinisti”. Quel sistema lì non poteva che produrre mostri e il fatto che Stalin fosse il più feroce e paranoico non cambia una virgola nel giudizio.

    >p. sai che ci sto ancora male, e sì che sono nato nel 1968, per la complicità della DC con i comunisti? mai capito quale … di motivazione avesse, perchè dovessero spartirsi il potere coi rossi invece di gestirlo bene, una roba da bruciori di stomaco.<
    Evidentemente i DC erano diventati incapaci di “gestirlo bene”, pertanto il consociativismo divenne strada obbligata. Sulle cause remote del fenomeno, glisso con nonchalance:-).

    Ciao

    Ritvan

  21. utente anonimo scrive:

    Francesco: p. sai che ci sto ancora male, e sì che sono nato nel 1968, per la complicità della DC con i comunisti? mai capito quale … di motivazione avesse, perchè dovessero spartirsi il potere coi rossi invece di gestirlo bene, una roba da bruciori di stomaco.

    Ehm…però qualche opinione in merito te la sarai fatta, suppongo…

    Z.

  22. utente anonimo scrive:

    A proposito, giusto per non fraintenderti…cosa intendi per “spartizione del potere”?

    Z.

  23. utente anonimo scrive:

    Scusa Francesco batti e ribatti, con piena legittimità intendiamoci, sul fatto che non ti spieghi come mai i democristiani dovessero tener conto dei comunisti.

    Eppure ti è stato detto e ridetto cosa rappresentassero nella società italiana, milioni e milioni di voti, amministrazioni comunali, regioni, intellettuali, uomini e donne comuni di tutti i ceti. Insomma non c’erano ragioni recondite.

    Oh, te lo ricordo soltanto per evitarti ulteriori brucioni di stomaco:-), non per altro.

    maria

  24. utente anonimo scrive:

    Maria

    che fossero tanti non è certo in dubbio. Come non lo è che, almeno i capi, fossero comunisti.

    Quindi invitarli (o anche solo accettarli) al tavolo del gioco democratico non ha senso.

    Un pò come far entrare Hezbollah in un governo democratico del Libano, per chiarirmi.

    O, se preferisci posso giocare la solita H-card: ci sono entità politiche che con la democrazia non c’entrano, lo dichiarano e, appena possono, lo dimostrano.

    Il che non significa che sappia bene cosa farne.

    Francesco

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *