Quando a terrorizzare Milano furono gli inglesi, articolo tratto dal quotidiano Liberazione, sabato 13 agosto 2005
13 agosto 1943, una pioggia di fuoco “alleato” investe centro e quartieri operai
di Antonio Camuso
La sera del 2 agosto 1943 gli italiani sintonizzati su radio Algeri ascoltarono un lugubre proclama lanciato dalle forze angloamericane: «Il governo Badoglio non ha ancora chiesto l’armistizio, attenzione italiani le nostre offerte di pace sono rimaste senza risposta.»
Cosa voleva dire quel proclama? Eppure gli italiani appena otto giorni prima erano stati lodati dalla stessa Bbc per le imponenti manifestazioni di giubilo per la caduta del fascismo, segno di come gli italiani volessero al più presto uscire dalla guerra disastrosa a cui li aveva condotti un regime che ormai aveva perso la faccia mentre i partiti e le organizzazioni antifasciste acquistavano consenso in tutti gli strati sociali.
Nonostante ciò nelle stanze del Gabinetto di Guerra britannico si disponeva un terribile attacco contro quelle stesse popolazioni che avevano manifestato per la pace.
A distanza di 62 anni, ancora oggi non si comprende l’imprenscindibile necessità per gli Alleati di scatenare l’inferno in prossimità del ferragosto del ’43 sulle città del triangolo industriale del Nord Italia: Milano, Torino e Genova. In tutte e tre le città la caduta del fascismo era stata accolta con giubilo. La stampa inglese ed americana ne aveva dato ampio risalto esprimendo simpatia per i milanesi, genovesi e torinesi ma, a quanto pare, in qualcuno ciò aveva destato qualche preoccupazione.
Forti movimenti di piazza accuratamente manovrati da agitatori comunisti e socialisti avrebbero potuto far crescere l’influenza dei partiti legati a Stalin e alla Terza Internazionale nel quadro politico italiano in veloce movimento, creando una forte ipoteca sul controllo politico militare della futura Italia occupata dalle forze angloamericane.
Queste città esprimevano la massima concentrazione operaia e lo sciopero del marzo del ’43 era stato la cartina tornasole di come la classe operaia del Nord stesse acquistando consapevolezza del proprio peso politico. Il governo Badoglio, in grande difficoltà, era stato costretto il 7 agosto, con regio decreto n 714, a proclamare sul territorio nazionale lo stato di guerra. Occorreva agli alleati lanciare un doppio segnale: al titubante governo Badoglio e ai sovversivi annidati nelle cinture operaie.
Bisognava che tutti capissero quanto grande fosse il potere distruttivo dei prossimi occupanti e di come sarebbero stati implacabili in caso di insurrezione comunista una volta liberati dal fascismo.
L’incarico fu affidato al dio della guerra inglese, sir Arthur Harris: l’Angelo della morte, lo sterminatore delle città tedesche, colui che aveva appena incenerito, il 27 e 28 luglio, Amburgo con tutti i suoi abitanti, il comandante del Bomber Command, l’enorme potenza distruttiva del Comando bombardieri strategici inglese, colui che aveva messo in pratica la teoria dei bombardamenti terroristici, quelli volti a colpire solo e unicamente le popolazioni e gli insediamenti civili onde distruggere la capacità di resistenza di ogni nazione nemica.
Dai documenti segreti dell’epoca si scopre che il 28 luglio, mentre i corpi di oltre 70mila abitanti di Amburgo continuavano a bruciare, dal Gabinetto di Guerra inglese partiva l’ordine di attaccare le città italiane. Sir Arthur Harris a questa richiesta rispose un po’ malincuore poiché, avendo un odio feroce per i tedeschi, avrebbe voluto continuare l’opera di sterminio sistematico nelle città naziste. La data del primo “assaggio” cadde nella notte a cavallo tra il 7 e l’8 agosto, un sabato.
Faceva caldo a Milano in quel torrido mese di agosto del ’43, molta gente era sfollata, ma tantissima, centinaia di migliaia, in particolar modo gli operai delle fabbriche belliche e le loro famiglie, erano nelle città anche di notte. A mezzanotte e cinquanta la prima a cadere nel terrore è Torino. Ben 74 quadrimotori Lancaster sganciano sulla città un vasto assortimento di ordigni: 27 “cookies” (“biscottini” li chiamavano gli inglesi) ovvero le orribili block -busters da 4mila e 8mila libbre. Uno solo è capace di devastare una strada e radere al suolo un isolato di tre edifici da sette piani in cemento armato. Ma ancora più terribili sono le migliaia di bombe al magnesio da 4 libbre che trasformano ogni casa in una fornace: rifugiarsi nelle cantine è inutile poiché si muore per l’enorme calore.
All’una e 11 dell’8 agosto bruciare tocca a Milano. Il punto di mira è Piazza Duomo ma vanno in pezzi il Castello Sforzesco, la Pinacoteca di Brera, l’Ospedale Fatebenefratelli; viene colpito persino lo Zoo, con le scimmie che vagano per la città. L’Innocenti, la Pirelli, la Bianchi sono devastate. Ben presto scoppiano seicento incendi che in teoria dovrebbero provocare quell’effetto “uragano di fuoco” che ha incenerito qualche giorno prima Amburgo. Fortunatamente Milano ha una bassa percentuale di case in legno, la gran parte sono in muratura e cemento e ciò impedisce il crearsi dell’attesa tempesta di fuoco. La fortuna aiuta Milano quella notte ed i morti saranno “solo” un centinaio, quasi altrettanti a Torino e Genova.
A questi risultati poco incoraggianti, sir Artur Harris risponde con un piano diabolico: concentrare su Milano e solo in parte su Torino l’intero potenziale bellico del Bomber Command, ovvero lanciare ben 500 bombardieri pesanti su Milano e 150 su Torino la notte tra il 12 e il 13 Agosto. La volontà è quella di colpire l’area nord della città, che comprende le fabbriche e l’intera cintura operaia con in testa uno dei quartieri covo di sovversivi e comunisti: Quarto Oggiaro.
All’una e dieci del 13 Agosto, in piena notte, scoppia l’inferno su Milano: in soli 12 minuti centinaia di bombe da 500 e 1000 libbre, più di cento enormi block-busters, forse centomila bombe incendiarie precipitano sulla città in una valanga di metallo, trinitol, benzolo, magnesio, termite. Interi blocchi di edifici si gonfiano e scoppiano come palle incandescenti, tocca prima ai quartieri operai a nord, poi il punto di mira cambia e sono colpite le zone “bene”. Per un errore di mira non riesce la concentrazione del bombardamento in un punto solo necessaria per creare quella tempesta di fuoco con venti a 250 chilometri orari che avevano distrutto Amburgo. Comunque si crea un vento da 50 chilometri l’ora che renderà difficile il lavoro dei pompieri attizzando numerosi piccoli fuochi secondari.
Il giorno dopo si conteranno i danni: Alfa Romeo, Innocenti, Isotta Fraschini sono tra le fabbriche colpite, ma anche la stazione, la Galleria, il conservatorio, 4mila le abitazioni distrutte e altrettante lesionate. I morti saranno circa mille, i senza tetto tra 130mila e 160mila. Ma il Bomber Command non è soddisfatto e gli attacchi saranno replicati ancora a ferragosto.
Alla fine della guerra secondo l’istituto di statistica l’Italia contò 64mila 354 morti civili a causa dei bombardamenti, la maggior parte di tipo terroristico sulle città. Di essi 20mila 952 prima dell’8 settembre 1943, ovvero quando eravamo ufficialmente in guerra contro gli angloamericani, ma ben 43mila402 quando formalmente essi erano nostri alleati nella liberazione dal fascismo. Purtroppo questa piccola differenza non ebbe posto nei cinici calcoli che si facevano nelle stanze dei bottoni degli strateghi militari alleati e dei propugnatori del terrorismo aereo.
Purtroppo finita la guerra in Europa, toccò al Giappone, prima con la tempesta di fuoco su Tokio, scatenata dagli americani prendendo esempio dai risultati avuti dal Bomber Command su Amburgo e Dresda, e poi con l’olocausto di Hiroshima e Nagasaki, esempio tragico e crudele di sperimentazione sul campo dell’arma atomica su esseri umani. Poi vennero l’equilibrio del terrore, la guerra fredda, l’angoscia per il possibile sterminio dell’umanità con le bombe termonucleari e batteriologiche, quindi fu il Vietnam ad essere devastato dai B-52 con l’equivalente di tutte le bombe della seconda Guerra mondiale… finché si arriva all’Iraq.
Ma questa è un’altra storia.