Una coppia.
Lui dall’aria distaccata e ironica, lei che dà un’impressione di grande energia.
Lei si versa il prosecco, e inizia a parlare con un inglese di cui si gode ogni suono.
“Questa è l’ora magica, e mi piace guardare quei cipressi. Li ho contati, sono centottantacinque, e li ha piantati ad uno ad uno sua nonna. Prima, su questa collina di Firenze, non ce n’era uno di cipressi.”
Confermo, ho visto anche le foto delle colline sotto Fiesole cent’anni fa, cave brulle di pietra serena prima che arrivassero gli inglesi.
Io sono nata ottantaquattro anni fa nei Caraibi, avevo quattro nonni.
Uno ebreo polacco; una indiana; uno africano; una polacca cristiana. Erano tutti in fuga da qualcosa.
Un giorno di settantanove anni fa, il nonno ebreo ci chiama e ci dice, se non conoscete Shakespeare, non capirete nulla della vita!
E prese un rasoio di quelli che usavano allora, praticamente un coltello a scatto, e iniziò a farsi la barba davanti a noi. Poi si tagliò di proposito, si toccò il sangue con le mani e gridò con le parole di Lady Macbeth:
“Out, damned spot! out, I say!”
Per questo, ho passato trent’anni a fare la regista di opere di Shakespeare.”
Un altro sorso di prosecco.
“Dovevo fare la regia di un’opera teatrale di Wole Soyinka in Inghilterra, e lui mi disse che per capirla, dovevo visitare la Nigeria.
Io e lui eravamo all’università di Ibadan. Mi riceve il rettore e mi porta alla facoltà di musica, dove mi accoglie il direttore, un uomo piccolo piccolo. Mi porta nell’aula dove si insegna tamburo. Con i suoi allievi schierati davanti con i loro strumenti.
In silenzio, l’omino si piega e si piega ancora, poi resta fermo. Si alza lentamente e nell’attimo in cui si è raddrizzato, iniziano a suonare i tamburi.
Ma non ha nulla a che fare con i tamburi che conosciamo noi: suonano con dieci dita, come se fosse un pianoforte, e ogni dito crea suoni diversi.
Alla fine, silenzio.
Poi l’omino dice, “era il tuo nome”.
“I was truly gobsmacked.
Quando mi vedono in Africa, mi prendono per una di loro dall’aspetto, ma in realtà sono occidentale, e a differenza degli africani, noi ci chiediamo sempre, “cosa significa?”
Morale: il prosecco è buono ma scioglie troppo le redini della fantasia!
😉
@ Martinez
Sul tamburo posso confermare. Ho ascoltato di persona un Africano che suonava dei tamburi. In una esecuzione durata venti minuti senza interruzione, è passato impercettibilmente dal classico tam-tam dei film di Tarzan a un pezzo jazz. Effettivamente usava tutte e dieci le dita. Applausi a scena aperta del pubblico entusiasta.
Ciao!
Andrea Di Vita
a differenza degli africani, noi ci chiediamo sempre, “cosa significa?”
frase razzista o corretta? cosa vuole dire non chiedersi “cosa significa”?