Peter Bellamy, con il suo meraviglioso accento del Norfolk, ha cantato l’Inghilterra profonda e poi, a quarantasette anni, si è suicidato.
Dedicò buona parte della sua vita a mettere in musica e cantare le poesie che Rudyard Kipling aveva dedicato alla vita e alla morte dei soldati inglesi ai tempi del più esteso impero del mondo.
Kipling sarebbe stato condannato, decenni dopo la sua morte, come apologeta dell’Impero; ma non è così semplice.
Oggi ho sostenuto un’interessante discussione con chi, da italiano, confrontava Kipling con il Libro Cuore. E ci si chiedeva, quanto fossero educativi entrambi.
Il Libro Cuore è educativo (o diseducativo) di sicuro: è una storia inventata di sana pianta, perché il lettore commosso si comporti come il protagonista.
Ora è chiaro che il consenso (nella misura in cui esiste) su “come bisogna comportarsi” cambia ogni dieci anni, per cui per forza tutti i ‘testi educativi’ di ogni epoca finiscono nella pattumiera.
Ma credo che Kipling abbia fatto una cosa diversa: ha raccontato cosa volesse dire sentirsi parti dell’Impero, nel bene e nel male, e se noi ci rifiutiamo di ascoltare cosa la gente che ha fatto la storia sentiva dentro di sé, non capiremo nulla della storia.
Perché l’essenza migliore dello spirito inglese, quello che ha inventato il romanzo e la biografia, è la capacità di entrare dentro le vite delle persone, cogliendo tutte le sfumature delle loro passioni, con un affettuoso distacco che sa ascoltare le loro passioni, senza giudizi.
Nella nostra Isola dei Morti, giace ciò che resta di Walter Savage Landor che visse il passaggio del mondo dall’Ancien Régime alla modernità. Sto sfogliando (non oso di più) la biografia che ne scrisse John Forster (che ebbe per un periodo lo straordinario incarico di Commissioner in Lunacy del governo inglese).
Sono circa settecento pagine, se non di più, di descrizione della vita di una persona che (a parte essere un mio vicino di casa) non fu di enorme importanza; con un delicatissimo equilibrio tra ammirazione mai eccessiva, discussione franca dei suoi numerosi e pittoreschi difetti e un mettersi, per quanto possibile, dal punto di vista suo, senza mai perdere di vista il mondo in cui viveva.
Tra le innumerevoli poesie di Kipling, spicca una sul bottino, “Loot“, l’elementare motore che ispirava i poveri soldati della Regina a recarsi al capo opposto del mondo.
Ho conosciuto molte persone semplici e molti ladroni – due categorie difficili da distinguere – e non ne conosco una descrizione migliore.
Se hai mai rubato un uovo di fagiano alle spalle di un guardacaccia,
se hai scippato il bucato steso su di un filo,
se ti sei mai ficcato un’oca dentro lo zaino,
capirai questa mia canzoncina.
Ma le regole di servizio sono dure, e questo ci viene negato,
perché non sta bene con l’etica inglese.
E chiamano un uomo ladro se riempie la roba che si porta in marcia
con il —
Loo! loo! Lulu! lulu! Loo! loo! Loot! loot! loot!
Ma è proprio questa la roba che fa alzare in piedi i ragazzi e sparare!
Uguale per cani e uomini,
se vuoi farli andare avanti
spingili avanti con il bottino!
Cucciolo mordi!
Se hai fatto fuori un negretto mentre cercava di ammazzarti, e
devi stare attento a lasciarlo dove è caduto;
e ringrazi le stelle e la divisa se non hai sentito il suo coltello,
e che non ti impongono pure di seppllirlo.
Allora i soldatini sudati, mentre scavano la fossa alla canaglia
si chiedono perché mai saccheggiare dovrebbe essere un delitto;
Allora, se vuoi ascoltare la mia canzone, ti racconto chiaro e tondo
come pagarti se ti fanno fare gli straordinari per combattere.
Adesso ricordati, se stai combattendo attorno a un dio birmano dorato
i loro occhi sono spesso fatti di pietre preziose;
e se dai a un negretto una giusta dose di bastonate
è probabile che ti mostri tutto ciò che possiede.
Quando non tira fuori più niente
butta un po’ d’acqua per terra
sentirai un rumore sordo sotto lo stivale.
Dove il terreno inizio ad affossarsi, ficca la baionetta nella buca
e di sicuro toccherai la —
Loo! loo! Lulu! Loot! loot! loot!
Ow the loot! . . .
Quando c’è da dare la caccia di casa in casa, lavorate sempre in due —
dimezza il guadagno, ma starai più al sicuro —
perché un uomo da solo lo incastrano sulle scalinate tutte storte,
arriva una donna e ti accoppa alle spalle.
Quando li hai messi sossopra, e sei sicuro ogni oltre dubbio
che non ne resta abbastanza da spolverare un flauto,
prima di richiudere lo zaino, dai un’occhiata ai tetti,
perché è sotto le tegole che nascondono il bottino.
Di solito puoi portare dalla tua parte il sergente e il furiere,
se ci sai fare;
io non ho mai potuto tenermi quello che ho preso
ma ti ho insegnato tutto ciò che so,
ma non dire mai che te l’ho detto io!
E ora ti saluto, che vado a bere qualcosa,
e vedo che c’è un altro che si appresta a suonare la tromba
Allora, buona fortuna a coloro che indossano i vestiti delle vedove,
Il diavolo mandi loro tutto ciò che vorranno saccheggiare!
Bottino
nei vestiti e nella schiscetta e nello stivale!
E’ lo stesso per uomini e cani,
se vuoi lanciarli
mandali avanti con…
Loo! loo! Lulu! Loot! loot! loot!
Heeya!
acchiappali, cane!
Loo! loo! Lulu! Loot! loot! loot!
Bello! (il testo, la canzone ancora non l’ho ascoltata)
due note veloci prima di uscire:
– mi ricorda la serie inglese, carina, Sharpe, ambientata nelle guerre napoleoniche e anche in India (non so se mai tradotta o passata in Italia) con le durezze e il rigido classismo dell’esercito britannico
-ho da qualche parte un libro, corredato di fotografie, su una spedizione antropologica italiana in Tibet negli anni Trenta. Raccoglie, e questo è interessante, i diari non del capo spedizione (un antropologo credo, ma ora non ho tempo di controllare) persona colta, che parlava con i lama tibetani della loro religione e in certi casi gliela insegnava ;
ma del suo braccio destro, un militare sveglio e buono per le faccende pratiche, che ogni tanto si ricorda di fregarsi il prezioso reperto che al capo piace tanto e di cui i tizi locali ignorano il valore, o di barattare lattine vuote per manoscritti ecc.
“una spedizione antropologica italiana in Tibet negli anni Trenta.”
Credo che si riferisca alla spedizione di Giuseppe Tucci:
https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Tucci
Ho controllato ora: era una delle spedizioni di Tucci infatti (peraltro non l’unica spedizione italiana da quelle parti).
“Oggi ho sostenuto un’interessante discussione con chi, da italiano, confrontava Kipling con il Libro Cuore. E ci si chiedeva, quanto fossero educativi entrambi.”
Credo che l’unica cosa che Kipling e De Amicis avessero in comune è che fossero entrambi massoni.
lo zaino, capo, non il zaino
il bottino è uno dei motivi per cui sono molto più pacifista che guerrafondaio
ciao
Per Francesco
“il bottino è uno dei motivi per cui sono molto più pacifista che guerrafondaio”
Faccio fatica a capirti.
Andare da Manchester nella giungla dell’India, beccandosi malattie e frecce avvelenate, mi sembra un buon motivo per diventare pacifista.
La possibilità di riportare comunque a casa abbastanza da comprarti una casa nuova, sempre a Manchester, mi sembra un buon motivo per diventare guerrafondaio.
P.S. Il/lo zaino è un classico di testi riscritti una decina di volte, dove avevo messo prima un sostantivo, e poi l’ho cambiato, senza badare però al contorno.
La penso come Francesco.
Ed entrambi – il buon Francesco non me ne vorrà – la pensiamo come Gino Strada, nel punto in cui osserva che, ogni volta che si decide una guerra, si devono mettere in conto alcune conseguenze come ineliminabili.
impossibile: io non la penso mai come Gino Strada
🙂
La vedo come Miguel.
https://www.youtube.com/watch?v=SdxvbH6Kwgc
Miguel ha ragione dal punto di vista del soldato coloniale, indubbiamente.
Personalmente, provo istintivo orrore per le prevaricazioni di ogni sorta, ivi incluse quelle più veniali e oggettivamente trascurabili.
Sicché tendo a simpatizzare di più con l’indigeno depredato.
Per Z
“Personalmente, provo istintivo orrore per le prevaricazioni di ogni sorta, ivi incluse quelle più veniali e oggettivamente trascurabili.”
Non dimentichiamo che spesso la povertà rende cattivi.
Il punto non è però giustificare o simpatizzare o condannare. Il punto è sapersi immedesimare in ogni aspetto della vita umana, che è in grandissima parte è fatta di prevaricazioni.
Il fatto che io possa scendere al Conad e comprarmi un pezzo di maiale a un prezzo ridicolo, mi rende sicuramente sprezzante nei confronti del soldatino del video linkato da Pino Mamet. Anche perché magari per colpa di quel soldatino, un contadino sarà morto di fame.
Ma a capirlo, lo capisco, come capisco quasi tutti i delinquenti.
Non si tratta di essere sprezzanti. Qui non c’entra il disprezzo ma la mia sensibilità: detesto le prevaricazioni, comunque circostanziate e denominate.
a capirlo ci si riesce, concordo
ma anche a capire quale male sia quell’azione non ci vuole un dottorato in teologia morale o in economia politica!
Mah, non credo che siano simpatie esclusive. Immagino che gli indigeni potessero essere altrettanto stronzi dei soldati italiani in Africa, per esempio: e per questo riesco a identificarmi con loro.
Con i santi faccio più fatica 😉
Pino,
— Immagino che gli indigeni potessero essere altrettanto stronzi dei soldati italiani in Africa —
Beh, immagino proprio di sì. Non penso proprio che le prevaricazioni siano esclusiva dei popoli europei.
È più che altro una questione di com’è fatto ognuno di noi.
Certamente.
Ma c’è tutta una lunga storia di rappresentazioni di persone di dubbia moralità sulle quali si sospende il giudizio, da Morgante e Margutte in poi…
da Archiloco e Ipponatte anzi 😉
Considerato che l’unico dei quattro di cui abbia sentito parlare è Archiloco, temo sarebbe conveniente sospendere il giudizio sulla mia dubbia cultura!
Farò finta di crederti 😉
No, te lo giuro, so chi era Archiloco. Davvero. Era quello dello scudo e della lancia – o secondo una tesi che credo sia ormai dominante, della plancia 😀
Non riesco bene a capire cosa si possa trovare di positivo nel fare bottino, come in ogni forma di rapina o di attentato alla proprietà di persone più deboli, non attrezzate per difendersi (altrimenti non si riuscirebbe a fare).
Il positivo nel fare bottino è solo per chi lo fa il bottino.
OMAD!
Come per uno stupro: si diverte solo lo stupratore.
E, per inciso, per divertirsi a fare una cosa del genere dev’essere persona molto squallida e contemporaneamente molto disturbata.
Per Peucezio
“Come per uno stupro: si diverte solo lo stupratore.”
Ma il bottino lo vedo più semplice: è come andare a caccia per mangiare.
C’è sicuramente un elemento (per me misterioso) di piacere nella violenza, come nello stupro.
Ma c’è un grosso elemento pratico e il piacere (per me comprensibile) di mangiare.
Poi, certo, il piacere è tutto dalla parte del cacciatore.
Ma io non trovo nulla di positivo neanche nelle storie di ladri, puttane, truffatori, briganti ecc.
nondimeno, adoro il genere picaresco e L’armata Brancaleone.
trovo sbagliato rubare: ma adoro I soliti ignoti (film).
ecc.
Vabbè, ma rubare alle banche o ai portavalori è tutt’altra cosa, è quasi un atto di giustizia.
Anch’io amo le storie di ladri, puttane, truffatori, briganti ecc.
Ma quella è gente un po’ ai margini, ex lege.
Il brutto del bottino è che è un sorpuso dei forti (o comunque più forti delle loro vittime) contro i deboli, contro la povera gente.
Non ho letto i libri e le opere di Kipling, ma vidi un film tratto da un suo racconto, L’uomo che volle farsi re, di John Juston con Sean Connery e Michael Caine del 1975.
Ambientato naturalmente al tempo del colonialismo britannico in India, nel 1885-1888, il racconto narra le vicende di due avventurieri inglesi nel remoto Kafiristan (oggi Nuristan), terra di frontiera tra Afghanistan e India britannica (oggi Pakistan).
Il Kafiristan ancora nel tardo XIX secolo era rimasta l’ultima area pagana tra Afghanistan e India, e i due avventurieri inglesi vi si recano con l’obiettivo di arricchirsi, sfruttando i conflitti tribali dei suoi abitanti.
Però uno dei due inglesi, Daniel Dravot, grazie alla sua abilità militare viene scambiato per un discendente di Alessandro Magno (Sikander in lingua locale) e dunque una divinità da parte degli abitanti.
Dravot viene proclamato re dai Kafiri, e comincia a montarsi la testa, credendosi in grado di fare del Kafiristan una potenza mondiale.
Poi, incurante della contrarietà del clero locale, vuole sposarsi e fondare una dinastia.
Ma la ragazza prescelta, spaventata dall’idea di avere rapporti con una divinità e dunque di essere contaminata, lo morde il giorno del matrimonio.
Vedendogli uscire il sangue, i sacerdoti kafiri si convincono che Dravot è un impostore e lo uccidono scaraventandolo da un ponte tibetano.
L’altro inglese viene invece crocifisso, ma sopravvissuto e ferito, viene liberato e scacciato dal Kafiristan, tornando in India da Kipling (che sia nel romanzo che nel film, è colui che narra la storia), raccontandogli ciò che era successo in quei tre anni e estraendo dal sacco che portava con se, la testa di Dravot con ancora addosso la corona di Alessandro Magno, come prova della veridicità del suo racconto.
Nel racconto un tema centrale è la Massoneria, a cui appartengono sia Kipling sia i due avventurieri, i quali, prima di partire avevano stipulato proprio col futuro narratore un contratto che li impegnava nell’impresa nel remoto Kafiristan.
E simboli massonici aiutano i due inglesi nella loro avventura (Dravot sta per essere ferito per ordine dei sacerdoti kafiri, quando scorgendogli appeso al collo, il simbolo della Massoneria, si convincono che sia il discendente tanto atteso di Sikander/Alessandro Magno; infatti lo stesso trono reale contiene incisi i simboli della Massoneria).
Quanto al Kafiristan, ancora praticamente semisconosciuto agli Occidentali nel XIX secolo, sarebbe stato islamizzato a forza nel 1895-1896 dall’emiro dell’Afghanistan Abdur Rahman (1880-1901), dopo che erano giunte a Kabul, notizie di una missione protestante britannica intenzionata a convertire i Kafiri al Protestantesimo.
Dopo l’islamizzazione, il Kafiristan venne rinominato Nuristan (Terra della Luce).
Solo alcune migliaia di Kafiri, sfuggirono a questa islamizzazione forzata, in quanto stanziati sul versante indiano (oggi pakistano) del confine.
E ci sono ancora oggi, noti come Kalash, in numero di circa 3000 persone, stanziate in tre vallate della regione pakistana del Chitral, e ancora legati alla loro ancestrale religione pagana:
https://en.wikipedia.org/wiki/Kalash_people
Le donne non portano il velo, ma solo un copricapo tondo sui lunghi capelli raccolti in trecce, e un abito con gonna lunga.
Interagiscono liberamente con gli uomini, tranne nel periodo della gravidanza, quando si rifugiano in particolari abitazioni per tutto un periodo considerato di purificazione pre e post partum.
La loro religione, che contempla anche l’utilizzo del vino, ha delle somiglianze con aspetti di quella vedica antica, e del paganesimo iranico prezoroastriano.
Fin dalla fine del dominio britannico, l’area dei Kalash è stata sottoposta a forti pressioni da parte del confinante ambiente islamico, e molti hanno dovuto negli anni convertirsi all’Islam.
Però grazie all’interesse suscitato dagli studi di antropologi come Fosco Maraini e al conseguente flusso turistico nella regione, attualmente il governo pakistan cerca di proteggere i Kalash dalla minaccia fondamentalista.
Per i Kalash molto si è speso il governo romeo, in base ad una teoria (non supportata però ne dalla genetica, ne dall’antropologia, ne dalla linguistica – i Kalash parlano una lingua di ceppo dardico, famiglia indoeuropea di transizione tra le lingue iraniche e quelle indiane) che vorrebbe i Kafiri/Kalash discendenti dei soldati e coloni greco-macedoni al seguito di Alessandro Magno.
L’opera del governo romeo ha fatto si che venisse creato un alfabeto e testi scritti per i Kalash, in modo da poter preservare la propria lingua indoiranica e le proprie tradizioni che erano solo tramandate oralmente.
Da parte dei Kalash per togliere argomenti all’ostile propaganda dei confinanti musulmani di tipo talebano, nel 1999 fu abolita l’usanza del Budulak, un rito di iniziazione che coinvolgeva i ragazzini giunti al dodicesimo anno d’età (un ragazzino, compiuti i 12 anni, veniva mandato da solo per tutta l’estate sugli alpeggi col gregge, ma ogni notte poteva tornare nel villaggio nativo e fare l’amore con qualsiasi donna desiderasse, compresa la propria madre).
Ancora oggi comunque, la situazione di questo ultimo avamposto di paganesimo indoeuropeo è sempre sotto pressione e minaccia da parte del talebanesimo musulmano che ormai circonda le valli dei Kalash da entrambi i lati della frontiera afghano-pakistana.
errata corrige: John Huston
Sempre sui Kalash e la frontiera afghano-pakistana, nel 2008 la rai produsse un documentario, Sulle orme di Marco Polo, del giornalista barese Duilio Giammaria.
Purtroppo non è più reperibile su internet (quando clicco sul sito della rai, mi dice video non supportato).
Ho trovato i “lyrics”:
https://mainlynorfolk.info/peter.bellamy/songs/loot.html
If you’ve ever stole a pheasant-egg be’ind the keeper’s back,
If you’ve ever snigged the washin’ from the line,
If you’ve ever crammed a gander in your bloomin’ ‘aversack,
You will understand this little song o’ mine.
But the service rules are ‘ard, an’ from such we are debarred,
For the same with English morals does not suit.
(cornet: Toot! toot!)
W’y, they call a man a robber if ‘e stuffs ‘is marchin’ clobber
With the—
Chorus (repeated after each verse):
Loo! loo! Lulu! lulu! Loo! loo! Loot! loot! loot!
Ow the loot!
Bloomin’ loot!
That’s the thing to make the boys git up an’ shoot!
(cornet: Toot! toot!)
It’s the same with dogs an’ men,
If you’d make ‘em come again
Clap ‘em forward with a Loo! loo! Lulu! Loot!
Whoopee! Tear ‘im, puppy! Loo! loo! Lulu! Loot! loot! loot!
If you’ve knocked a nigger edgeways when ‘e’s thrustin’ for your life,
You must leave ‘im very careful where ‘e fell;
You can thank your stars an’ gaiters if you didn’t feel ‘is knife
That you ain’t told off to bury ‘im as well.
An’ then the sweatin’ Tommies wonder as they spade the beggars under
Why lootin’ should be entered as a crime;
But if my song you’ll ‘ear, I’ll show you plain an’ clear
‘Ow to pay yourself for fightin’ overtime.
With the—
Now remember when you’re ‘acking round a gilded Burma god
That ‘is eyes is very often precious stones;
An’ if you treat a nigger to a dose o’ cleanin’-rod
‘E’s like to show you everything ‘e owns.
But when ‘e won’t prodooce no more, pour some water on the floor
An’ where you ‘ear it answer ‘ollow to the boot
(cornet: Toot! toot!)
When the ground begins to sink, shove your baynick down the chink,
An’ that’s where you’re sure to touch the loot
You touch the—
When from ‘ouse to ‘ouse you’re ‘unting, you must always work in pairs—
It ‘alves the gain, but safer you will find—
For a single man gets bottled on them twisty-wisty stairs,
An’ a woman comes and clobs ‘im from be’ind.
But when you’ve turned ‘em inside out, an’ it seems beyond a doubt
As if there ain’t enough to dust a flute
(cornet: Toot! toot!)
Well before you sling your ‘ook, at the ‘ousetops take a look,
For it’s underneath the tiles they ‘ide the loot.
They hide the—
You can mostly square a Sergint an’ a Quartermaster too,
If you only take the proper way to go;
I could never keep my pickin’s, but I’ve taught you all I knew—
But don’t you never say I told you so.
So now I’ll bid good-bye, ‘cos I’m gettin’ rather dry,
An’ I hear another tunin’ up to toot
(cornet: Toot! toot!)
So ‘ere’s good-luck to those that wears the Widow’s clo’es,
An’ the Devil send ‘em all they want o’ loot!
They want the—
Chorus (repeated after each verse):
Loo! loo! Lulu! lulu! Loo! loo! Loot! loot! loot!
Ow the loot!
Bloomin’ loot!
In the tunic an’ the mess-tin an’ the boot!
(cornet: Toot! toot!)
It’s the same with dogs an’ men,
If you’d make ‘em come again
Whoop ‘em forward with a Loo! loo! Lulu! Loot! loot! loot!
Heeya! Sick ‘im, puppy! Loo! loo! Lulu! Loot! loot! loot!
Vedo altresì delle “acca aspirate” eliminate … come se a cantare fossero degli Italiani che “han fatto Inglese a Scuola” 😉 !
So che è un fenomeno comune in alcuni dialetti inglesi (credo anche nel cockney)
In fonetica sintattica è fenomeno comune anche nell’inglese americano, cioè spesso, soprattutto certi pronomi o particelle inizianti in h-, quando preceduti da parola terminante in consonante, perdono l’h-: per es. about him viene realizzato come about ‘im. La perdita dell’aspirazione consente anche il passaggio di [t] a [ɾ], che è possibile solo in posizione intervocalica, per cui il risultato è [əˈba̝ʊ̯ɾ ɪm].
Ciò significa che l’ordine di applicazione (in sincronia, s’intende) prevede che la cancellazione di /h/ preceda la regola /t/ → [ɾ].
L’ordine di applicazione, sia chiaro, non è una successione temporale, ma uno schema (inconscio) nella mente del parlante, che regola l’interazione fra varie regole tutte attive in sincronia, che si applicano cioè anche a neologismi, ecc.
Scusa Miguel, perché hai tradotto “nigger” con “negretto” ? … mica è “nigglet” !
Lo avrei fatto anch’io – in questo contesto, “negretto” rende meglio l’idea di “ometto pauroso e tremante”.
Poi dà anche un segno d’affetto, quasi. Il che non esclude il disprezzo o anche l’odio.
A parte uno zio, con cui non ho avuto modo di parlare di queste cose, ricordo il nonno di un amico, reduce dall’Africa (“poi mi hanno catturato gli inglesi e ho cominciato a stare bene…”) che raccontava di come, di routine, tutti i libici fossero chiamati Alì, senza distinzioni. Alì, vieni qua, Alì, va’ di lì…
“Alì” tentava di norma di fregare o rapinare gli italiani, e viceversa. Ma tutto raccontato senza particolare astio, come una cosa normale. Molto più che con Alì, i problemi del nonno dell’amico riguardavano altri soldati disonesti o criminali, oppure gli esaltati per la guerra e la loro passione insana per la prima linea.
In famiglia abbiamo avuto anche uno di questi ultimi, però nella Prima Guerra.
Ah … elemento lessicale : in Inglese,la parola “loo” non significa “cesso” [termine grezzo, intendo proprio] più o meno ? Può essere “voluto” come effetto ?
fra l’altro è molto Britannico … gli Americani preferiscono (mai capito perché) dire “John” per “cesso” in senso grezzo …
Capire non significa approvare
Oh ma io sono sprezzante, crudele e nichilista!
Dev’essere faticoso!
🙂
“Allora è meglio la dottrina nazional socialista. Almeno, ha alla base l’ethos” 😉
(cit.)