Usi civici

David Bollier è un signore americano, che abbiamo conosciuto quando al giardino abbiamo ospitato un convegno internazionale (suona grandioso, ma ci stavano tutti sotto un albero dietro l’abside del Carmine) di esperti di Commons.

Nel suo libro, Think Like a Commoner, David racconta un episodio che ci aiuta a capire il concetto, proprio perché non parla di cose simpatiche, tipo acqua o boschi, ma della tonnellata di acciaio privato in cui si rinchiude l’americano medio. Eppure anche lì nascono dei commons.

A Boston, quando nevica forte, diventa impossibile parcheggiare le auto.

Gli spazzaneve del Comune prima o poi arrivano, ma non sono sempre efficienti e comunque è un lavoro costoso.

Allora, i residenti di certi quartieri hanno sviluppato insieme una pratica, che è anche una regola: se tu spazzi via la neve da un punto, finché dura la nevicata, puoi utilizzare quello spazio per te. E quando non ci sei, puoi lasciarci una seggiola pieghevole per indicare che quel posto è prenotato.

Chi viene da fuori spesso non conosce le regole, oppure approfitta della fatica altrui e sposta la seggiola.

In questo piccolo esempio, c’è tutto: i commons non sono infatti una cosa, non è un “posto macchina”, anche perché i commons in questo caso si sciolgono assieme alla neve.

Commons sono il modo in cui una comunità, dandosi regole e confini, condivide una risorsa, fuori sia dal mercato (non girano soldi) che dallo Stato (un vigile probabilmente darebbe ragione a chi “ruba” il posto liberato dalla fatica altrui). E occorre vegliare, perché una risorsa limitata deve avere dei confini.

Tutto insieme, i Commons sono una risorsa, una comunità che se ne vuole prendere cura,  regole condivise e confini.

Mentre in italiano, l’espressione beni comuni focalizza l’attenzione sui “beni” in sé: e infatti i politici e i funzionari tendono a interpretarli come “beni che lo Stato deve gestire nell’interesse della collettività”.

Infatti, l’approssimazione più adatta è il termine giuridico italiano, “usi civici”, che indica non tanto il bene, quanto l’uso e le usanze che regolano appunto l’uso.

La valle dell’Oddoene, un uso civico in Sardegna

Non a caso, il libro di David si intitola “pensa come un commoner”.

Il commoning è in effetti un modo di pensare. Che però non è un’ideologia, è piuttosto un modo di vedere ciò che si fa concretamente.

Tutt’attorno, si sente discutere di temi in apparenza fondamentali.

Stato o mercato? Europa o stato-nazione? Occupazione o difesa dell’ambiente? Identità o immigrazione? Progresso o tradizione? Per chi votare? L’uomo è egoista o è altruista?

Quando si inizia a pensare come un commoner, questi grandi temi non è che scompaiano; ma non si riesce più a vederli allo stesso modo.

P.S. Il commentatore Roberto aggiunge una nota su Boston:

Per averlo visto con i miei occhi, a Boston funziona un po’ diversamente (o almeno, precisiamo, Arlington che sta a Boston come Scandicci sta a Firenze).
Nevica?
Il comune pulisce le strade principali
Per le altre lo fanno cittadini che hanno un suv e un plow.
Nessuno mette sedie, ma i tizi con il suv sono a hero amongst us, hanno diritto a caffè e torta di mele da parte di tutte le vecchiette del quartiere.

Che poi a pensarci è più “commons” quello che ho visto io rispetto a quello che ha visto il vostro amico.
I miei heroes non privatizzano un parcheggio, puliscono solo perché gli piace farlo (o puoi dire per senso civico o senso di commoners)

Questa voce è stata pubblicata in ambiente, Firenze, resistere sul territorio e contrassegnata con , , , , . Contrassegna il permalink.

57 risposte a Usi civici

  1. MOI scrive:

    Altri “Commoners” 😉 … degenerazione semantica nell’attualità.

    https://www.quotidiano.net/esteri/meghan-markle-1.3767038

    https://www.telegraphindia.com/world/1200-commoners-for-harry-union-212823

    voialtri avrete avuto una tavolata con uno stile un po’ 😉 più umile, ma senz’altro vi sarete divertiti di più e degustato meglio !

  2. giovanni scrive:

    l’esempio non mi sembra molto da commoner. Insomma, tu spazzi il TUO spazio, e gli altri riconoscono che quello è il TUO parcheggio. Cosa ci sarebbe di common in questo?

    • Miguel Martinez scrive:

      Per giovanni

      ” Insomma, tu spazzi il TUO spazio, e gli altri riconoscono che quello è il TUO parcheggio”

      Dipende da come sia fatta la risorsa: tutti possiamo attingere a una fonte, mentre lo spazio in questo caso può essere occupato solo da un veicolo individuale alla volta.

      E’ il sistema messicano: si prende un grande campo, che è proprietà di tutti.

      Gli anziani assegnano a ciascuna famiglia uno spazio per quell’anno, che quella famiglia cura, evitando di fare danni ad altri; e insieme tutti rispettano gli spazi di quella famiglia.

      L’esempio di Boston è interessante, perché è un commons improvvisato, dove non esiste una proprietà comune, ma la comunità improvvisa regole di gestione, in cui le persone per poter usufruire dei vantaggi, hanno anche dei doveri. E queste regole sorgono appunto in contesto che normalmente è “privatistico”.

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      In effetti l’esempio mi sembra più calato nella mentalità del pioniere che in quella del commoner: c’è una risorsa “occupata” dalla natura e quindi il coraggioso e intraprendente Individuo che fa avanzare la Civiltà a colpi di badile ha diritto all’occupazione di ciò che ha conquistato.
      Poi arriva il Governo parassita che, quando arriva l’ultimo italiano o irlandese che, in nome di un asserito bisogno, vuole il suo spazio sulla pubblica via conquistata dalle fatiche dell’Imprenditore, prende le sue parti in nome di un collettivismo socialisteggiante.

      Si dirà: ma anche le terre comuni sono divise tra singoli. Vero, ma non è che in Cadore i regolieri spalano la neve dai prati e chi spala per primo meglio alloggia.

  3. PinoMamet scrive:

    Saprete tutti meglio di me che in effetti il grosso parco in centro a Boston si chiama Boston Common ed era in effetti (mi spiegò il mio amico che dottorava là) un pascolo pubblico
    (poi, leggo su Wikipedia, le famiglie più ricche hanno finito per portarci molte più mucche, rendendolo inservibile agli altri);

    comunque è stato allora che ho appreso il termine “common”.

    • PinoMamet scrive:

      E’ anche il luogo dove ho assistito al più brutto Shakespeare che abbia mai visto in scena: in compenso completamente gratis 😀

    • Miguel Martinez scrive:

      Per PinoMamet

      “poi, leggo su Wikipedia, le famiglie più ricche hanno finito per portarci molte più mucche, rendendolo inservibile agli altri);”

      Interessante…

      prima era privato (cioè un tizio sbarcato dall’Inghilterra ha detto al geometra,”tutto ciò che riesci a misurare, scrivi che è mio!”)

      poi viene venduto alla compagnia di Massachusetts, però lì c’era un rapporto molto ambiguo con la proprietà privata, quasi sin dall’inizio

      poi appunto i ricchi ci portano le vacche in più, che è esattamente il contrario del principio dei commons.

  4. Roberto scrive:

    Per averlo visto con i miei occhi, a Boston funziona un po’ diversamente (o almeno, precisiamo, arlington che sta a Boston come Scandicci sta a Firenze).
    Nevica?
    Il comune pulisce le strade principali
    Per le altre lo fanno cittadini che hanno un suv e un plow.
    Nessuno mette sedie, ma i tizi con il suv sono a hero amongst us, hanno diritto a caffè e torta di mele da parte di tutte le vecchiette del quartiere.

    • Miguel Martinez scrive:

      Per roberto

      “Per averlo visto con i miei occhi, a Boston funziona un po’ diversamente”

      interessante!

    • Roberto scrive:

      Che poi a pensarci è più “commons” quello che ho visto io rispetto a quello che ha visto il vostro amico.
      I miei heroes non privatizzano un parcheggio, puliscono solo perché gli piace farlo (o puoi dire per senso civico o senso di commoners)

      • Miguel Martinez scrive:

        Per roberto

        Che poi a pensarci è più “commons” quello che ho visto io rispetto a quello che ha visto il vostro amico.”

        è vero!

      • Miguel Martinez scrive:

        Per roberto

        “I miei heroes non privatizzano un parcheggio, puliscono solo perché gli piace farlo (o puoi dire per senso civico o senso di commoners)”

        Distinguerei il senso “solidaristico” da quello “mutualistico”, come si dice nel linguaggio giuridico.

        E’ “solidale” chi va incontro a persone che soffrono di un problema che non è nostro (tipo gli studenti americani che andarono a Firenze e aiutarono a spalare il fango nel 1966).

        E’ “mutualistico” chi cerca di risolvere da sé un proprio problema (come tutti quei fiorentini dimenticati che spalarono il fango da soli e si organizzarono per distribuire il cibo).

        In questo senso, i Commons includono sempre un elemento di interesse personale, di ricerca di “vivere bene”.

        Per questo, non è mai una solidarietà astratta. Ecco perché l’estraneo che arriva e approfitta del lavoro che tu hai fatto va contro il senso dei Commons.

  5. Roberto scrive:

    Ps io Boston l’ho vista così, non è facilissimo disseppellire la macchina per lasciare il posto
    🙂

    http://www.wbur.org/news/2015/01/30/charlie-baker-snowstorms

  6. Peucezio scrive:

    Miguel,
    era una sorta di risposta alla mia domanda sugli sceriffi o è stato un caso?
    Molto interessante comunque.
    Credo sia il vero elemento di fascino degli Stati Uniti (almeno per me).

  7. Peucezio scrive:

    OT.,
    per tutti i curiosi della linguistica, visto che ne abbiamo parlato qui in più di un’occasione:
    vi segnalo questa bella recensione di Tomasin al nuovo libro di Loporcaro sul genere grammaticale dal latino alle lingue romanze, cui accennai qui dentro poco tempo fa:
    https://www.academia.edu/36189266/Su_Michele_Loporcaro_Gender_from_Latin_to_Romance._History_Geography_Typology_Oxford_2018
    Temo che per leggerla dobbiate avere l’account ad Academia.edu (si può fare banalmente accedendovi da Google o Facebook).

  8. Moi scrive:

    da 9:20 in poi “cognomina” e tratti somatici …

  9. Moi scrive:

    @ MIGUEL

    A proposito di Resistere sul Territorio :

    http://www.ilgiornale.it/news/cronache/roma-i-residenti-si-trasformano-cecchini-zittire-movida-1506595.html

    Titolo un po’ “clìcch-béit” 😉 … ma rende bene l’ idea !

  10. roberto scrive:

    OT totalissimo per francesco

    ne avevamo parlato qualche giorno fa, ho fatto un paio di pizze con farina senza glutine e sono state un vero disastro. impossibili da lavorare, pasta debolisima che si buca appena provi a stenderla, impossibile metterle sulla pala ed infornarle senza distruggerle. bisogna per forza farle in teglia e sono curioso di sapere come fanno le pizzerie che propongono la pizza senza glutine

    • Francesco scrive:

      questo lo ammetto è un mistero per me. non guardo per non sapere.

      a casa le mie donne (moglie e figlia) sono ormai bravissime, dall’impasto alla stesura alla cottura giusta. rimane un’alea di incertezza maggiore rispetto alla pizza normale. si fanno assolutamente in teglia su carta da forno, hanno scoperto come evitare che ci si debba mangiare pure quella per rifiuto della stessa di staccarsi

      sì, lo ammetto, io sono buono solo a fare la spesa, preparare la tavola, sparecchiare e lavare i piatti. ma a fare la pizza sono uno zero totale!

      • paniscus scrive:

        Per quanto riguarda il senza-glutine, questa è di tre anni fa (quella di quest’anno è stata dedicata a Stephen Hawking, ovviamente) :

        http://www.paniscus.net/immag/2015/DSCN1590.JPG

        e la più piccola, quella che si vede solo in parte, era fatta proprio con l’impasto per celiaci, in considerazione di un paio di alunni che avevano dei problemi col glutine. Non era venuta proprio uguale, ma comunque perfettamente mangiabile sì, e con una consistenza materiale molto simile a quella standard.

        Faccio presente che era la prima volta in assoluto che provavo a usare quell’impasto, senza nessuno sforzo di esercitazione precedente.

        L.

        • Roberto scrive:

          Bella!
          Per me il problema è stata stenderla per condirla e soprattutto farla scendere dalla pala al forno.
          Decisamente l’avrei dovuta mettere in una teglia

          • paniscus scrive:

            Ma la mia comunque non è una pizza, è un “danubio”, una pasta briosciata con ripeno salato…

            Con la pizza vera e propria, di usare la farina senza glutine non mi è mai capitato.

        • Moi scrive:

          … in che senso “ovviamente” ?

          … i “nerdy days” non hanno date fisse ?!

          • Moi scrive:

            Imparo adesso che Stephen Hawking è morto il 14 Marzo: con i tiri incrociati fra Renzi, Di Maio e Salvini … la notizia è passata in sordina !

            • Moi scrive:

              in teoria, medicalmente era dato per spacciato già nel 1963 … conosco la sua biografia dal film “bàiopich”del 2014, valso l’ Oscar a un a dir poco “straordinario” interprete Eddie Redmayne !

          • paniscus scrive:

            Certo che hanno date fisse, ma se in più c’è da commemorare una grave perdita recente o da festeggiare un qualcosa di positivo recente, sempre a tema nerd, ci si aggiunge!

    • Moi scrive:

      Spiacente, ma … se la sono cercata ! 😉

      Avrebbero dovuto imparare un po’ dai propri “Omologhi” di Cuba e del Brasile che “Culture” vuol dire “gente che interagisce” …

      • Moi scrive:

        Ho notato che sta prendendo piede l’ espressione “AfroItaliani” … che dire, facciano pure ! MA … spero che NON scimmiottino (poche pugnette : è un verbo usatissimo anche per i Bianchi !) troppo gli “AfroAmericani”, chiudendosi “a riccio” in “safe spaces” presunti.

        • Z. scrive:

          Beh, la cultura afro-americana affonda le sue radici in un passato di schiavitù, segregazione e, appunto, Radici.

          Intendo, non era solo una questione di estetica o di costume. Era proprio una cultura altra rispetto alla cultura statunitense dominante, con un’altra origine, un’altro sviluppo e un ambiente spesso poco comunicante con quello cosiddetto WASP.

          In Italia non mi sembra che esista, o che sia esistito, nulla di lontanamente paragonabile.

          • werner scrive:

            Anche secondo me non ci sarebbero le basi perché nasca una cultura del genere, ma le mie esperienze mi smentiscono. Di ghetto boys ne ho conosciuti un po’ ..la maggior parte Senegalesi o Nigeriani e persino qualche magrebino. In pratica ci sono giovani “nigher” norditaliani che si stanno appropriando della cultura dei “niggher” Usani.
            Probabilmente l’imitazione non necessita delle forti radici che hanno generato il modello negli Usa. Il modello stesso e la costatazione di essere più poveri e con meno possibilità dei bianchi italiani pare sufficiente per generare lo scimmiottamento di cui scrive Moi.

            • Peucezio scrive:

              Alla faccia dell’integrazione…
              Avere classi sociali già ha un elemento di sgradevolezza intrinseca, perché implica disuguaglianze, ma avere una classe sociale che ci ha stampato in faccia in modo indelebile il fatto di essere in una posizione subordinata…

      • PinoMamet scrive:

        D’accordo con Moi, uno e due!!

  11. Francesco scrive:

    IT

    secondo me gli eroi di Boston lo fanno soprattutto per giustificare il fatto di avere speso un sacco di soldi per il SUVVONE

    😀

  12. Francesco scrive:

    Beh, il problema è che la cultura propria dei neri americani, che era molta più roba di quanto sospettassi, pare essersi suicidata. Ed è stata sostituita da un clamorosamente fake ritorno alle radici africane (eppure c’era già la storia della Liberia ad ammonire!).

    Temo di ripetermi: uno come MLK non aveva nulla da invidiare a nessuno. E neppure il pur pessimo Malcom X …

    Adesso c’è Beyonce e scusate se non è un bel salto in basso.

    • PinoMamet scrive:

      OMDAF

      ma poi vorrei far notare: e se, in risposta, i bianchi chiedessero ai neri di smetterla di mettersi giacca e cravatta?
      Di smetterla di fare musica classica? Di iscriversi a corsi di balletto, di scherma, o di pittura a olio?
      Suonerebbe un po’ razzista, vero?

      Eh, lo so, ma amici neri, capitemi… “vi state appropriando della mia cultura” 😉

      posso essere ancora un po’ incazzato, come diceva il Marchese del Grillo? 😉

      • Z. scrive:

        Eh, non hai mica tutti i torti.

        Posso dire che, secondo me, tutta questa cosa dell’ “appropriazione culturale” è sostanzialmente una gran sciocchezza? 🙂

      • Francesco scrive:

        Pino, sicuro che non lo abbiano fatto? ormai i neri americani si conciano “anti-bianco” a ogni costo

        non sanno studiare
        non sanno vestirsi
        non sanno parlare
        non sanno chi è Dio
        non sanno cosa è una famiglia

        a giudicare dai personaggi pubblici e di riferimento della comunità, sono in preda a delirio autodistruttivo senza paragoni; forse il meridione d’Italia passato da De Mita a Di Maio, da Pomicino a Salvini

        e vorrei sapere a chi dare la colpa perchè fino agli anni ’60-70 era tutta un’altra musica.

        l’FBI ha ammazzato i leader validi uno per uno?

  13. Moi scrive:

    Forse non tutti sanno che … su RadioPadania “tira” da anni e anni il Jazz ! 😉

    NON credo che l’ascolti solo Tony Iwobi !

  14. Moi scrive:

    @ PEUCEZIO

    https://votoarcobaleno.arcigay.it/

    … dicevi, sui Nonni Partigiani che combattevano per il Gender ? 😉

    • Moi scrive:

      @ PEUCEZIO

      In ogni caso, i numeri per fare statistica :

      https://votoarcobaleno.arcigay.it/news/

      ELEZIONI, ARCIGAY TIRA LE SOMME DI VOTOARCOBALENO: 417 ADESIONI, NESSUNA DAL CENTRODESTRA

      • Peucezio scrive:

        “Il maggior numero di adesioni è giunto dalla lista Liberi e Uguali, a partire da quella del leader Pietro Grasso: in tutto 146 firme. Seguono Potere al Popolo! (134 adesioni), Partito Democratico (51)”

        CVD

        E’ quasi uguale alla classifica che avevo fatto (senza aver visto questa pagina) dei partiti cui sono più ostile.

        Hai voglia a voler dimostrare che conta l’aspetto intrinseco, di merito: se vai a vedere gli orientamenti dei partiti e degli elettorati su queste cose, noti sempre che immigrazione, diritti LGBT, antifascismo e qualche altro tema simile sono tutti dalla stessa parte, come una tabella con le caselle, in cui non si danno mai configurazioni miste.
        Se si pensa che le questioni concrete che ci sono dietro sono invece diversissime, si capisce come le esigenze concrete delle persone interessate sono molto secondarie rispetto al dato di ortodossia ideologica.
        E il nemico è proprio questo, non certo i direttamente coinvolti dai temi in questione, che, essendo persone concrete con problemi concreti, ci si può sempre parlare, perché un problema pratico non è mai un absolutum metafisico e, come tale, è sempre negoziabile.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *