Carta per la ricostruzione urbana

Trentacinque anni fa, Léon Krier, esponente del Neourbanismo, scrisse questo interessante manifesto.

Il riferimento sembra essere soprattutto a nuovi progetti, ma ci sono molti elementi in cui noi oltrarnini ci possiamo riconoscere.

Nel 2005, la Provincia di Firenze organizzò un dimenticato convegno attorno alle proposte del neourbanismo, con la presenza proprio di Krier.

Carta per la ricostruzione della città europea – Léon Krier

LeonKrier

Riportiamo qui di seguito la “Carta per la ricostruzione della città europea” (1980), di Léon Krier, architetto e urbanista neo-tradizionale (esponente di spicco del movimento del New Urbanism) ed autore del villaggio di Pounbury in Dorchester (GB)

Fonte: Il Covile

SVILUPPO E PROGRESSO
Il mito del progresso tecnico illimitato e dello sviluppo hanno condotto i paesi maggiormente “sviluppati” ai limiti dell’esaurimento fisico e culturale. La febbre del profitto immediato, l’impero del denaro, hanno razziato città e campagne.
La produzione industriale, cioè l’estremo sviluppo delle forze produttive, ha distrutto in meno di duecento anni quelle città e paesaggi che erano il risultato di migliaia di anni di fatiche, intelligenza e cultura dell’uomo.
Dobbiamo ora riconoscere il valore assoluto delle città preindustriali, delle “città di pietra”. Non porre termine alla distruzione di queste enormi fatiche dell’uomo significherebbe condannare noi stessi e le generazioni future alla produzione e al consumo di un insieme di oggetti inconsistenti. L’enorme lavoro che attende la nostra generazione per ovviare ai danni e alle distruzioni degli ultimi trent’anni deve essere intrapreso nella prospettiva di PERMANENZA materiale.

ZONING E POLITICA
La politica delle infrastrutture industriali è stata fondata sulla separazione spaziale (e territoriale) delle funzioni.
Tutti gli stati industriali, indipendentemente dalle loro ideologie, hanno promosso e imposto una funzionale DIVISIONE IN ZONE delle città e delle campagne con uguale brutalità e con argomenti pseudo-scientifici, contro ogni resistenza delle popolazioni urbane o rurali.
La divisione funzionale in zone non è uno strumento innocente; si è rilevato il mezzo più efficace per distruggere il corpo sociale e fisico, infinitamente complesso, delle comunità urbane preindustriali, della democrazia urbana e della cultura.
La Divisione Funzionale in Zone della città e della campagna è stato un progetto autoritario e in nessun luogo è stato la risposta a una domanda democratica.
La Divisione in Zone è l’ASTRAZIONE di città e campagna. Noi ora sappiamo che una filosofia antiurbana condanna ipso facto la campagna.
Non si possono distruggere le città senza distruggere anche la campagna.
La Divisione in Zone è l’ASTRAZIONE di comunità; riduce anche la più orgogliosa delle comunità a una mera entità statistica, espressa in cifre e densità.
La Divisione in Zone, imposta dalle grandi industrie e dai loro imperi finanziari e amministrativi, può essere combattuta solo dalla pressione democratica che richiede la ricostruzione di comunità urbane dove RESIDENZA, POSTO DI LAVORO e CENTRI RICREATIVI siano distribuiti entro distanze percorribili a piedi.

ZONING, MOBILITA SOCIALE, CONSUMI ENERGETICI
La Divisione funzionale in zone su territori estremamente estesi ha avuto come risultato di portare al massimo livello i consumi energetici. La schiavitù degli spostamenti a cui è stato condannato ogni cittadino lo obbliga a sprecare tempo ed energia in trasporti quotidiani, e contemporaneamente lo ha fatto diventare un agente potenziale e involontario di spreco di energia.
Nessuna politica per i trasporti, PUBBLICI o PRIVATI, può ovviare allo spreco di energia materiale e sociale causato dalla divisione funzionale in zone.
Una politica intelligente dei consumi energetici è possibile soltanto integrando le principali funzioni urbane in quartieri (DISTRETTI) di limitata ampiezza territoriale.
Qualsiasi politica di risparmio dell’energia che non riconosca questa condizione è destinata a condurre a misure totalitarie di coercizione e controllo sociale.
CONTRO LA DISTRUZIONE TOTALE DELLA CITTÀ E DELLA CAMPAGNA DI CUI SIAMO TESTIMONI, FORMULIAMO UN PROGETTO FILOSOFICO POLITICO E TECNICO GLOBALE DI RICOSTRUZIONE

CITTÀ E CAMPAGNA sono nozioni antitetiche
La ricostruzione del TERRITORIO deve essere definita all’interno di una stretta dialettica fisica e legale di CITTÀ e CAMPAGNA.
Dobbiamo prima di tutto procedere a una drastica riduzione dei perimetri edificati delle città e ridefinire con precisione le aree rurali, per stabilire chiaramente che cosa è città e che cosa è campagna.
Qualsiasi nozione legale di divisione in zone deve essere abolita. Ogni intervento futuro sulla città deve escludere la costruzione di strade e autostrade urbane, di zone monofunzionali, di “spazio verdi” residui.
Non ci devono essere zone industriali, zone pedonali, centri o zone di vendita… ci possono essere solo quartieri urbani che integrano tutte le funzioni della vita urbana.
Le nozioni di CENTRO METROPOLITANO e di PERIFERIA devono essere abolite.

I QUARTIERI
Una città grande o piccola può essere riorganizzata solo con un certo numero, grande o piccolo, di quartieri urbani, in una federazione di quartieri autonomi.
Ogni quartiere deve avere un suo centro, una sua periferia e suoi limiti.
Ogni quartiere deve essere “UNA CITTÀ DENTRO LA CITTÀ”
Ogni QUARTIERE deve integrare tutte le funzioni giornaliere della vita urbana (residenza, lavoro e svago) all’interno di un’area che sia rapportata alla comodità di un uomo che vada a piedi, e non deve superare i 35 ettari di superficie e i 15.000 abitanti.
La stanchezza pone un limite naturale alla distanza che un essere umano può percorrere a piede giornalmente, e questo limite ha insegnato all’uomo nel corso della storia quale deve essere l’ampiezza delle comunità urbane o rurali.
Pare al contrario che non esistano limiti naturali all’ampiezza di una ZONA funzionale; la NOIA che prende l’uomo quando è al volante gli fa dimenticare qualsiasi sensazione di limite fisico.

LE STRADE E LE PIAZZE
La FORMA della città e dei suoi spazi pubblici non può essere oggetto di sperimentazioni personali.
Gli spazi pubblici possono essere previsti soltanto sotto forma di STRADE e PIAZZE.
Devono presentare caratteri permanenti familiari; le loro dimensioni e proporzioni saranno attenute e verificate da una millenaria cultura di strade e piazze.

CONTRO L’INDUSTRIALIZZAZIONE DELL’EDILIZIA
L’industrializzazione dell’edilizia deve essere considerata un fallimento totale. La sua vera spinta non è mai stata la dichiarata proletarizzazione del benessere materiale ma, al contrario, la massimalizzazione dei profitti a breve termine e il consolidamento dei monopoli economici e politici.
L’industrializzazione non ha portato alcun significativo miglioramento tecnico nell’edilizia.
– Non ha ridotto i costi di costruzione.
– Non ha abbreviato i tempi di produzione.
– Non ha creato nuovi posti di lavoro.
– Non ha aiutato a migliorare le condizioni di lavoro degli operai.
– Al contrario, ha distrutto un lavoro artigiano millenario e altamente progredito.
– È stata incapace di trovare soluzioni per la complessità tipologica, sociale e morfologica dei centri storici.
– E sebbene l’edilizia sia tuttora organizzata secondo forme di produzione artigianale, l’artigianato come cultura autonoma è stato distrutto dalla divisione del lavoro industriale e sociale.
– Una cultura architettonica ed edilizia deve essere basata su una tradizione molto evoluta di costruzione manuale e non sulla formazione di “Corpi professionali specialistici”.
– L’industrializzazione ha alla fin fine soltanto facilitato la centralizzazione del potere economico e politico, tanto privato che pubblico.

IL PLURALISMO STILISTICO? Il KITSCH E L’ESPRESSIONE INDIVIDUALE
Non esiste né un’Architettura autoritaria né un’Architettura democratica.
Esistono soltanto modi autoritari o democratici di produrre e di usare l’architettura.
Una fila di colonne doriche non è più autoritaria di quanto sia democratico un tetto di Frei Otto.
L’architettura non è politica, può solo essere usata politicamente.
Quando l’architettura esiste, riesce sempre a superare la politica.
Gli edifici appaiono inumani non a causa della loro architettura ma solo a causa della loro mancanza di architettura.
Gli edifici diventano inumani quando prescindono dall’architettura o si rivestono di falsa architettura.
Il Kitsch è sia astrazione che falsa apparenza.
Negli ultimi duecento anni gli stati industriali si sono mascherati con stili che mutavano di generazione in generazione, e oggi di stagione in stagione. Dapprima neo-classico, poi neo-gotico, poi il moderno; e ora il Kitsch trionfa da Las Vegas a Mosca a Pechino.
Il Pluralismo stilistico e la sua epitome nel Kitsch non è in alcun modo sintomo di prosperità culturale, di felicità, di democrazia e di ricchezza. E’ l’inquietante ansia dell’individuo che contempla con disperazione e impotenza il brutale livellamento della propria identità individuale ed etnica.

CONTRO L’ASTRAZIONE E L’ESPRESSIONISMO
Il pluralismo culturale segna quel momento della storia in cui la disperazione e le ossessioni private soppiantano la cultura collettiva.
L’architettura non è il mezzo per esprimere la soddisfazione personale e sociale del cliente o dell’architetto.
L’architettura può esprimere idee, individuali o collettive, sul progresso, le speranze o i sogni, il tempo o lo spazio.
Lo “Zeitgeist” non riguarda l’architettura.
Lo “Zeitgeist” comunica se stesso nonostante se stesso.
Non esiste un’architettura rivoluzionaria o reazionaria.
Esiste solo l’architettura o la sua assenza, cioè la sua astrazione.
Non ci sono mai state proteste contro l’architettura.
Ci sono state proteste solo contro la mancanza di architettura, contro la sua assenza attraverso l’ASTRAZIONE.
L’architettura non può esprimere altro che la sua logica costruttiva, ovvero la sua origine dalla natura, dalla fatica dell’uomo e dall’intelligenza.
L’architettura e l’edilizia riguardano solamente la creazione di complessi edificati che siano belli e solidi, gradevoli, abitabili ed eleganti.

EDILIZIA E ARCHITETTURA
L’edilizia è la cultura materiale della costruzione. Come attività, riguarda la costruzione di strutture residenziali, di luoghi di lavoro, di magazzini, di opere di ingegneria; generalmente riguarda l’erezione di fabbricati urbani e complessi edificati che formano le strade di una città, le sue delimitazioni, i ponti ecc… La cultura edilizia si occupa prevalentemente della ripetizione di pochi tipi edilizi e del loro adeguamento alle condizioni locali di uso, di materiali e di clima.
L’architettura è la cultura intellettuale dell’edilizia. In quanto arte, si occupa dell’imitazione e della trasformazione degli elementi dell’edilizia in un linguaggio simbolico, che esprime in un sistema fisso di simboli e analogie l’origine stessa dell’Architettura dalle leggi immutabili della natura e dell’intelligenza dell’uomo.
Condizione prima per l’esistenza dell’architettura è raggiungere una stabilità materiale e soprattutto intellettuale.
Non può essere compito dell’architettura esprimere funzioni sempre variabili.
Alcuni tipi edilizi finiscono per essere legati a determinate funzioni e celebrazioni. Spetta alla scultura e alla pittura aiutare e sostenere questi collegamenti.
L’Architettura ha come scopo l’erezione di edifici e monumenti pubblici, e la costruzione di pubbliche piazze.

CITTÀ, ARCHITETTURA, EDILIZIA
Solamente un rapporto dialettico tra Architettura ed Edilizia, tra cultura classica e popolare, tra pubblico e privato può far assumere agli insediamenti umani la dignità i cultura collettiva.
Solo una grande complessità funzionale può condurre ad un’articolazione degli spazi, dei quartieri urbani e della città come insieme che sia leggibile, chiara, durevolmente soddisfacente e bella.
Semplicità e chiarezza devono essere gli obiettivi della complessità stessa del piano e del profilo urbano.
Una città si articola in
Spazi pubblici e privati
monumenti e fabbricati urbani
Architettura ed edilizia
piazze e strade
e in questo ORDINE

VERNACOLARE E CLASSICO
Una cultura che si opponga alla produzione e al consumo di oggetti deperibili crea problemi non di recupero ma di ricostituzione.
Da un punto di vista filosofico, Classico e Vernacolare sono basati non su distinzioni di classe ma sulla distinzione tra collettivo e individuale, tra monumenti e fabbricati urbani, tra palazzi pubblici e abitazioni private.
La cultura classica e quella vernacolare sono basate sulla ripetizione di alcuni TIPI COSTRUTTIVI E SPAZIALI fondamentali, che sono espressione universale delle attività umane, del lavoro e del piacere collettivi e individuali.
Per evitare i continui mutamenti di tendenza del mercato, l’architettura e l’edilizia sia classica che vernacolare devono essere concepite come sistemi mimetici (imitativi) di produzione basati su tradizioni artigianali, dove le facoltà intellettuali e manuali siano esercitate in accordo e non in contraddizione.
Tutti i sistemi non mimetici di conoscenza e di produzione hanno sempre dato come risultato l’eclettismo e l’immediata sclerosi.
In una cultura mimetica e artigianale, le innovazioni materiali o intellettuali vengono accettate solo per i miglioramenti tecnici o artistici che comportano, e non quando siano frutto di immaginazione sfrenata o di allucinazioni individuali. Questo processo di lenta e costante chiarificazione ed elaborazione che coinvolge l’abilità e l’intelligenza del singolo artigiano o artista è fonte di quel vero piacere che sta alla base delle culture autentiche.
L’architettura classica come elaborazione simbolica dell’edilizia vernacolare non considera l’innovazione una virtù. Non riconosce gli stili ma solo uno Stile che è fisso e immutabile nella sua essenza tipologica e morfologica, come lo sono gli oggetti in natura, ma che è infinitamente variato nelle sue realizzazioni.
L’architettura e l’edilizia non sono oggetti di consumo; possono essere ricostruiti solo in una prospettiva di permanenza materiale.
Senza tale permanenza, senza un’architettura che sopravviva ai suoi ideatori è impossibile immaginare spazi pubblici come espressioni collettive artigianali o artistiche.

IL LAVORO DI UNA GENERAZIONE
La sfida al nostro tempo è rifiutarsi di costruire ora.
Protestare contro la trasformazione e la distruzione delle città non porta a nulla se non abbiamo un piano globale alternativo di ricostruzione in mano. Una critica che non è in grado di fornire un progetto non è che un altro aspetto di una società totalmente frammentata, della quale città è solo un esempio.
Una critica senza una visione guarda al futuro con la stessa impotenza con cui uno storico senza un progetto guarda al passato.
Il criticismo professionistico ha ucciso la critica come la storiografia ha ucciso la storia.
Il progetto che la nostra generazione deve elaborare combatterà la distruzione della società urbana a tutti i livelli, culturale, politico, economico.
Soltanto con questo progetto di ricostruzione possiamo definire il nostro ruolo come architetti. Possiamo definire quale bilancio questa società deve stanziare per dar inizio a questo gigantesco lavoro di ricostruzione.
Non possono più essere i bilanci a breve termine a decidere la forma dell’architettura della Città, ma devono essere l’Architettura e la città a stabilire la forma di bilanci a lungo termine.
Questa è la ragione per la quale dobbiamo rifiutarci di addestrare gli architetti ad accondiscendere alle manchevolezze della legislazione e della programmazione economica attuali.
Paradossalmente, siamo gli unici che possano un giorno realizzare questo vasto progetto di ricostruzione, se oggi ci rifiutiamo di costruire.

LE SCUOLE
Una cultura architettonica deve necessariamente essere basata su una cultura manuale altamente sviluppata e professionale.
Le scuole sono gli unici luoghi dove la ricostruzione di tale cultura sia possibile; basata sull’apprendistato e temporaneamente liberata dalle contingenze della produzione materiale e dalle pressioni del mercato edilizio.
Sebbene le scuole e le università continuino a vivere sul falso prestigio e sulla supremazia della cultura intellettuale rispetto a quella manuale, tuttavia nelle società ad industrializzazione avanzata il lavoro intellettuale è diventato alienante e degradante come il lavoro manuale.
Questi falsi miti potrebbero essere definitivamente distrutti dando una nuova dignità sociale al lavoro manuale attraverso il conferimento di diplomi universitari per professioni artigianali altamente sviluppate e ponendole quindi allo stesso livello della ricerca scientifica, dell’ingegneria, della professione medica, che sono tutte alla fin fine basate sul lavoro manuale.

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204 risposte a Carta per la ricostruzione urbana

  1. Mauricius Tarvisii scrive:

    Se vogliamo possiamo tutti trasferirci in una bella arcologia, dove l’auto non serve più
    https://en.wikipedia.org/wiki/Arcology

    Almeno, questa era l’ambizione di Soleri
    http://www.ilpost.it/2013/04/10/la-citta-di-paolo-soleri/

    Poi, però, in concreto abbiamo fatto il Serpentone.

    • Miguel Martinez scrive:

      “Se vogliamo possiamo tutti trasferirci in una bella arcologia,”

      Architetti creativi, insomma 🙂

      Comunque è vero che una popolazione concentrata inquina di meno di una popolazione diffusa: la “suburbia” verde, in stile usano-padano, è quanto di meno ecologico ci possa essere.

  2. Roberto scrive:

    Interessante ma che dire? Quanta illusione e quanta realtà?
    Ad esempio mi colpisce
    “RESIDENZA, POSTO DI LAVORO e CENTRI RICREATIVI” tutti da raggiungere a piedi.
    Ma come puoi realizzare una cosa del genere, costruendo dei mega grattacieli? Immagino poi che posto di lavoro non siano industrie o concerie che nessuno vuole sotto casa

  3. PinoMamet scrive:

    Il capitolo sulle scuole però non ha tutti i torti…

    • Roberto scrive:

      Sinceramente è la parte che mi infastidisce di più perché mi puzza molto di “convinci il figlio del l’operaio di quanto sia figo fare l’operaio basta che sia lui a farlo”….magari sbaglio e vuole solo dire che non tutti possono fare i filosofi e in quel caso non avrei nulla da aggiungere

      • PinoMamet scrive:

        Mmm devo dire che se l’avessi letta in questo senso avrebbe infastidito molto anche me…

        a conti fatti, un po’ tutto l’articolo, o saggio che sia, mi sembra un insieme di intuizioni, di idee anche valide, di indicazioni di direzione, che però non sono un “piano” e non devono essere prese come un dogma.

        C’è del vero nel fatto che il lavoro “intellettuale” è ormai altrettanto frustrante e poco riconosciuto socialmente di quello manuale;
        e credo sia giusto, d’altra parte, che il lavoro manuale recuperi di considerazione e di riconoscimento.
        In un paese come l’Italia, di “artiggiani daa qualità” come diceva la Ferilli nella pubblicità, in effetti ha poco senso che molti mestieri anche bellissimi (e magari potenzialmente ricercati) spariscano, per far posto a schiere di laureati in… più o meno intercambiabili.

        Ho conosciuto addirittura delle persone (pazzi, dal mio punto di vista, ma so’ gusti) che si sono dedicate con gioia alla campagna, lasciando lavori più “fighi”, anche senza nessun particolare legame famigliare con essa…

        il brutto sarebbe se invece diventasse prassi il “tuo padre fa l’artigiano? e fallo anche tu, che almeno campi”.

        • Moi scrive:

          … se l’ aziendina non gli fallisce prima !

          Diffusissime da noi le micro-ditte Cognome & Figlio che si occupano sostanzialmente di “ciappini” e trasporti … ne udii uno lamentarsi del duro scontro fra ideologia e prassi:

          io sono di Sx e credo nei Valori, nei Diritti e bla-bla-bla MA con Berlusconi il camioncino (concretamente, l’ azienda stessa, ndr) me lo lascian scaricare dalle tasse, con Prodi invece me lo tartassano !

        • Miguel Martinez scrive:

          “C’è del vero nel fatto che il lavoro “intellettuale” è ormai altrettanto frustrante e poco riconosciuto socialmente di quello manuale”

          Il problema sta nel distinguere i tipi di lavoro manuale.

          Esistono i lavori manuali da bestia – cassiera al supermercato, facchino precario, eccetera.

          Nessuno vorrebbe fare questi lavori, li deve fare se no non campa, sono brutti e decisamente inferiori.

          Esistono però anche lavori da bestia che manuali non sono – pensa all’orrore del venditore di contratti-truffa per l’Enel, o quello che deve suonare tutti i campanelli per conto di una società immobiliare, o simili, che sono psicologicamente anche più degradanti dei lavori fisici.

          Poi esistono lavori manuali di tutto rispetto, almeno oggi. Che vanno da quello che fa borse di cuoio a mano e le vende a 500 euro ai turisti, ai muratori, ai giardinieri, agli idraulici.

          Sono lavori che richiedono tanta “flessibilità”, ma permettono di guadagnare in maniera discreta; e lo stigma sociale che una volta li accompagnava, almeno da noi, mi sembra molto minore di una volta.

          Perché mai la figlia di un impiegato comunale non dovrebbe sposare un muratore?

  4. Moi scrive:

    Il progetto della città-piramide di Shimizu a Tokyo, lo conoscevate ?

    https://en.wikipedia.org/wiki/Shimizu_Mega-City_Pyramid

    versione 2 minuti e 23 secondi :

    http://www.youtube.com/watch?v=aS2ob2wAnmU

    versione 40 minuti

    http://www.youtube.com/watch?v=_hwAu0epG-k

    ————-

    Sembra fatta apposta perché vengano dei Daikaiju a distruggerla … non so come dire.

    SCUSATE avevo sbagliato post …

  5. Peucezio scrive:

    Miguel,
    questo è un uomo illuminato.
    E come tutti gli uomini illuminati, temo che nessuno gli darà mai ascolto.
    Ma questo era scontato dall’inizio. Ma almeno fa piacere leggere una diagnosi così lucida della situazione.

  6. gotcha scrive:

    a me le idee “totalizzanti”, l’architettura è questo, l’architettura non è questo, la coscienza collettiva si, il pluralismo culturale no, non so perché, mi puzzano.

    • Z. scrive:

      Condivido. Capiamoci, certe cannonate espresse da un adolescente sono comprensibili, ma se persistono durante la maturità, quando si presume che chi si esprime abbia avuto a che fare con prospettive diverse dalla propria…

      Nel merito, alcune cose mi sfuggono. Capisco i vantaggi che si spera di ottenere dal punto di vista del “vivere il proprio quartiere”, per dirla con Miguel: responsabilizzare il cittadino, aiutarlo a creare vincoli di solidarietà coi vicini, e più in generale immaginare un quartiere che sia casa propria e non un “non luogo”. Per una serie di ragioni, di cui talvolta si è già discusso, ritengo che questo aspetto assuma particolare importanza nella mia città.

      Però non capisco come si potrebbe “riformare” una città a quella maniera senza un aumento notevole della cementificazione, enormi diseconomie di scala e moltiplicazione ulteriore delle emissioni inquinanti. Per non parlare delle centrali elettriche e delle industrie rumorose e inquinanti, che nessuno di noi vorrebbe di fianco alla camera da letto…

    • Roberto scrive:

      In effetti….

    • Peucezio scrive:

      Gotcha, guarda che ciò che c’è ora è il prodotto proprio di idee totalizzanti, di pianificazioni a tavolino, di applicazione meccanica di idee elaborate da qualche parte del mondo da qualche architetto.
      Questo Krier mi sembra che dica proprio il contrario. Poi, certo, una volta che niente (o quasi) succede più dal basso, per poter riequilibrare la situazione si è costretti a far diventare teoria e a cercare di imporla dall’alto (ma tanto non ci si riesce, perché per farlo si deve avere il poetere) ciò che per secoli è stato pratica spontanea.
      Trovo un’inaccettabile mistificazione aderire alla modernità, che è il prodotto di tutto un insieme di utopie (illuminismo, liberalismo, socialismo) applicate e poi criticare qualunque dissenso in quanto ritenuto utopico o ideologico.

      • Z. scrive:

        Peucè, per me il problema non è tanto l’ideologia – vivere il proprio quartiere, la solidarietà tra vicini etc., tutte nozioni sulle quali in una città di fuorisede (non solo studenti) non si insiste mai abbastanza – quanto i problemi pratici.

        Che in una città di quel tipo non vedo come si potrebbero evitare (e infatti a quanto ne so la “città” da lui progettata ha circa 6000 abitanti, cioè meno di un decimo rispetto al mio quartiere).

        Poi per carità, può darsi che sbagli.

        • Peucezio scrive:

          E dove sta scritto che le città debbano avere più di seimila abitanti?

          • Z. scrive:

            Da nessuna parte, ci mancherebbe. Il punto è un altro: su quanti chilometri quadrati pensi che verrebbe spalmato il mio quartiere rispettando i criteri dell’ estensore?

            Immaginiamo un quartiere autosufficiente di seimila abitanti, con tutto ciò che serve: scuole, ospedale, FF.OO., municipio e amministrazione, ufficio tributi e riscossione, industrie, università e studentati, giudice di pace e così via. Alberi e parchi niet per ragioni di spazio.

            Quanta superficie occuperebbe a tuo avviso? Così cominciamo a parlare di numeri e di proporzioni e ci facciamo un’idea.

            Tralasciamo per ora tutti gli altri problemi.

  7. gengiss scrive:

    Segnalo:
    I 13 DOGMI DELL’ARCHITETTURA MODERNISTA

    http://www.progettocomenio.it/archidogmi.htm

    Krier ovviamente sta tra i “salvati”

  8. Miguel Martinez scrive:

    “a me le idee “totalizzanti”, l’architettura è questo, l’architettura non è questo, la coscienza collettiva si, il pluralismo culturale no, non so perché, mi puzzano.”

    E’ un “manifesto”, un proclama.

    E ci sono diversi punti problematici, anche per me.

    Ma il dato fondamentale è qualcosa di cruciale per noi, in una città in cui vogliono trasformare il centro storico in un parco divertimento/rete di uffici e banche, con attorno ghetti per ricchi da una parte, ghetti per poveri dall’altra, il tutto collegato da mezzi inquinanti di trasporto.

  9. gotcha scrive:

    @ PEUCEZIO E MIGUEL

    1) chiaramente sono d’accordo sul fatto che una città debba venire gestita dal basso (forse anche questo concetto è moderno..). parma sta vivendo situazioni di degrado analoghe a quelle di cui parlava miguel: un centro squallido pieno di locali squallidi popolato da truzzi squallidi; periferie che stanno scivolando verso l’abbandono. una mia conoscente mi ha detto che i “comitati di quartiere” non hanno più alcuna influenza sul potere centrale. gli immigrati sono ghettizzati, e, purché la loro pericolosità effettiva sia quasi pari a zero (e quando dico pericolosità effettiva escludo il fatto che siano semplicemente più vitali ed energici di noi..), il fatto di isolarli rende sia noi che loro più cattivi e diffidenti.

    2) io starei attento a criticare la modernità e a rimpiangere l’età dell’oro della coscienza spontanea. mi sbaglierò, ma di tutti i commentatori penso di essere il testimone più ravvicinato di una cultura vecchia che non merita tutta la nostalgia che a volte mi sembra di avvertire.

    3) io non credo che quello che c’è ora sia stato completamente pianificato e deciso a tavolino. non credo ai complotti e non trovo nel barone haussmann l’incarnazione del demonio. penso invece che per fare una cosa ci vogliano delle competenze: se devi fare trasloco puoi chiamare un’azienda specializzata, o tre ragazzi “del popolo” che stavano lì a bighellonare (che chiaramente non hanno lo stesso potere contrattuale.)

    4) il potere è giusto che venga dal basso; siccome ultimamente si sta allargando la forbice tra alto e basso stanno nascendo dei problemi. di solito, quando tra due parti ci sono dei problemi, le responsabilità sono 50 e 50.

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      un centro squallido pieno di locali squallidi popolato da truzzi squallidi; periferie che stanno scivolando verso l’abbandono

      Ma questo è proprio il modello che si forma “dal basso”. Dal basso significa spontaneo, naturale, che segue le dinamiche proprie della società (della vera società, non del nostro modello ideale di società).
      Ai miei coetanei quei locali “squallidi” (o “fighi”, è solo un giudizio personale) piacciono, quindi nascono spontaneamente. Vuoi chiuderli? Qualcuno li riaprirà per venire incontro ai bisogni del popolo (uso questa parola di proposito) che li reclama.
      “Dal basso” non significa che decido tutto io anche se non sono l’Imperatore del pianeta ma uno stronzo qualsiasi.

      • gotcha scrive:

        sarei anche d’accordo, ma se al popolo non offri nient’altro che un lavoro da schiavetto, dalle 8 del mattino alle 6 di sera, che cazzo vuoi che faccia, oltre andare al centro commerciale e al bar.

        a me sinceramente non dispiace neanche così; mi preoccupa il fatto che tra una ventina d’anni mi sa che non sappiam manco più parlare.

        ribadisco che sono contro i complotti.. però so che molti locali fighi aprono con l’appoggio incrociato di politica e malavita (uno chiude un occhio di qua, l’altro mette una buona parola di la, e così via): di sicuro non ci stiamo circondando di gente che apre librerie o cinema d’essai.
        boh, forse perché ho la speranza che se in un gruppo di persone comincia ad entrare un po’ di intelligenza magari si divertono pure di più.

      • Miguel Martinez scrive:

        “Ma questo è proprio il modello che si forma “dal basso””

        In un certo senso sì – visto che il potere oggi è sostanzialmente seduttivo, e la gente ama farsi sedurre – ma non per questo va necessariamente assecondato.

        • Z. scrive:

          Non in un certo senso, Miguel. In ogni senso. Da sole, spontaneamente, crescono solo le erbacce. Se vuoi un campo coltivato devi lavorarci duro, in modo per nulla spontaneo.

          • Peucezio scrive:

            Questa poi…
            Spontaneo nel discorso che stiamo facendo vuol dire non centralizzato, non che si fa da solo per opera dello Spirito Santo.
            Grazie al cavolo.
            Per inciso, credo si facciano molto più culo i muratori e se lo facessero i capimastri di una volta di Fucsas e Renzo Piano.

          • Moi scrive:

            Bella questa immagine di Zeta da “Massoneria Bucolica” 😀 in cui le Eminenze Grigie, le Teste d’Uovo di turno sono i Sommi Agronomi del PD 😉 …

          • Moi scrive:

            … e per Roberto, senz’altro d’accordo nella sostanza, della UE. Come si chiederebbe Giacobbo, “è forse un caso” che D’Alema abbia messo su un Latifondo (sul cui territorio però il Piano Kalergi NON è applicato 🙂 …) ?!

          • Moi scrive:

            Però ci vorrebbe un nome nuovo per questa Società Segreta, visto che dalla metafora di “costruire” (la Futura Umanità della Gerusalemme Celeste in Terra …) si passa a “coltivare”.

          • Z. scrive:

            Peucè,

            converrai che una decisione che viene presa dopo una discussione collettiva – mi pare sia il modello di cui parla Miguel – non ha nulla di spontaneo e molto di centralizzato.

            Anzi, sembra quasi l’enunciazione dei principi del centralismo democratico!

            • Miguel Martinez scrive:

              “Anzi, sembra quasi l’enunciazione dei principi del centralismo democratico!”

              Penso che ci siano vari elementi importanti.

              Il fatto che ognuno contribuisca realmente qualcosa.

              Che ognuno ceda qualcosa all’altro, comprese persone con cui si è letihati fino al giorno prima.

              Che si cerchi sempre di arrivare all’unanimità e non allo strapotere della maggioranza.

              Una volta ci siamo trovati a dover decidere violentemente a maggioranza, e la cosa ancora mi fa restare male. Si trattava però di una persona (per il resto splendida, a cui voglio un gran bene) che aveva da qualche parte un legame inscindibile con qualcuno dell’amministrazione comunale. E quindi ha dovuto fare gli interessi dell’amministrazione contro tutti.

              Poi, siccome è una persona profondamente aristocratica nel senso migliore del termine, lei ha saputo tirarsi indietro quando si è vista messa in minoranza. E speriamo di poterla recuperare.

    • Miguel Martinez scrive:

      Per Gotcha

      “1) chiaramente sono d’accordo”

      Condivido buona parte delle tue riflessioni.

      1) il quadro è proprio quello

      2) infatti, il punto non è rimpiangere un’età dell’oro: ciò che crea la comunità, da noi, non è la fedeltà a un passato, ma le pietre, la maniera fisica in cui è strutturato il rione.

      3) Certamente nel caso di Firenze, a parte le devastazioni tardo-ottocentesche del Poggi, non si può parlare di pianificazione o di complotto.

      4) Sì, il problema è creare qualcosa che “dal basso” riesca a organizzarsi.

    • Peucezio scrive:

      Magari si trattasse di Haussmann. Io parlo della merda che si fa dal dopoguerra a questa parte (con qualche sperimentazione precedente).
      E non è tanto una questione di complotti mondiali segreti (anche se non ho motivo di ritenerli così implausibili), ma del fatto che un intellettuale completamente avulso dalla comunità che abiterà e utilizzerà le sue realizzazione, che non ha mai preso in mano un mattone, trasforma in mostri di cemento i suoi deliri onirici e i suoi onanismi estetici.

      Non mi ricordo il nome di un sociologo italiano che faceva analoghe accuse di autoreferenza del mondo degli architetti. Tra l’altro è uno che dovrebbe stare simpatico a quelli di voi che si sentono progressisti e pro-immigrati, perché ebbe problemi giudiziari in Francia per essersi incazzato per aver assistito, sullo stesso aereo di linea del volo che aveva preso, a un’espulsione forzata di un immigrato in forme violente e odiose, quindi non è né un reazionario né uno che agogna una società chiusa e autosufficiente.

      Comunque, quando parlo di architettura dal basso, non voglio dire che oggi sia riproponibile così com’è (non ha torto Mauricius dicendo che oggi farebbe più danni che altro).
      Oggi per forza di cose ci si deve affidare a persone consapevoli, qualificate, se no, come diceva un mio conoscente veneto, il risultato sono le villette orrende che hanno invaso tanta parte della pianura padana.
      Il punto è in vista di chi e di che cosa si costruisce. Se di deliri estetici autoreferenti o dell’utilizzo da parte di persone, famiglie, comunità, insomma, dell’utente, delle sue esigenze e preferenze.
      Cioè, l’architettura che deve servire all’architetto e al suo narcisismo e l’urbanistica che deve servire alle speculazioni di qualche decina di miliardari, a scapito di tutti gli altri milioni di persone non mi convince (suona un po’ ovvio, ma se il discorso di Krier suscita tanta perplessità, forse non è così ovvio).

      Con questo, ovviamente le nostre sono pure speculazioni intellettuali.
      Perché comincino a cambiare i paradigmi forse ci vuole una guerra mondiale atomica o chissà quale altro passaggio traumatico, non certo le dotte disquisizioni di noialtri qui dentro.

      • gotcha scrive:

        concordo su molte cose, ma se per cambiare un paradigma ci vuole una guerra atomica, mi tengo quello attuale.

        a mio modesto avviso, se cerchi di costruirti qualcosa nel tuo piccino e rendi partecipi chi hai intorno, qualcosa già smuovi (e considera che per alcuni è già un trauma..)

        e se fossero più utili le nostre “dotte disquisizioni”?

      • Peucezio scrive:

        Ah, ma io mica la auspico la guerra atomica.
        E’ come uno che dice: hai la febbre a 39, ma per guarire ti devi tagliare un braccio.
        E per la verità è solo un’ipotesi: non sono mica così sicuro che un a guerra atomica cambierebbe i paradigmi.

        Circa le nostre dotte disquisizioni: servono a noi per ammazzare il tempo.
        Meno inutile l’attività di Miguel: se ci fosse un Miguel e altri come lui in ogni quartiere di ogni città, probabilmente il mondo sarebbe più vivibile.

  10. Grog scrive:

    MALEDETTI ARCHITETTI
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  11. Moi scrive:

    .. In Toscana ci sono i Condomìni Solidali ?

    http://www.er-comunitaefamiglia.org/condomini-solidali

    —————————–

    “Le parole chiave di questa esperienza sono: condivisione, sobrietà, accoglienza, solidarietà”

    […]

    La vita in un Condominio Solidale è considerata un dono e nella memoria di ciò che hanno ricevuto, le persone si impegnano a versare una quota libera e secondo coscienza all’ Associazione che ha affidato loro un immobile.

    [cit.]

  12. Miguel Martinez scrive:

    Per Roberto

    ““convinci il figlio del l’operaio di quanto sia figo fare l’operaio basta che sia lui a farlo””

    Non so in Lussemburgo, in Italia non esistono più gli operai, o se esistono hanno in media sessant’anni.

    Per quanto riguarda “mio figlio” (nel senso di qualcuno con cui mi identifico io):

    1) se ha delle fisime intellettuali, gli consiglierei di seguirle fino in fondo, a costo di trovarsi a quarant’anni senza lavoro e senza casa, ma con una bella capacità di guardarsi attorno e godere e soffrire della vita

    2) se non ha fisime intellettuali, gli consiglierei di imparare sin da piccolo le basi di un mestiere artigianale, che possa durare nel tempo ed essere utile quando tutti i mestieri di altro tipo saranno stati spazzati via dalla storia. Non mi dispiacerebbe avere un figlio cuoco oppure idraulico ad esempio – penso che le tubature cambieranno meno delle auto, infatti non ho detto “un figlio meccanico”.

    Idealmente – e in questo mi sento profondamente sanfredianino – vedrei un mestiere artigianale e indipendente, che si associ a letture, riflessioni e impegno.

    • Roberto scrive:

      ” in Italia non esistono più gli operai”

      Mi hai fatto pensare ad una mia carissima amica che è venuta a trovarmi in primavera che alla domanda “ma tu cosa fai?” Se ne è uscita con una supercazzola per poi chiarire “insomma, sempre operaia, ma fa più Figo”

    • Z. scrive:

      Miguel, devo dire che non sono particolarmente d’accordo…

      Dissento sul fatto che in Italia non esistano più gli operai: secondo me ce ne sono, e parecchi.

      Dissento sul seguire le proprie fisime intellettuali fino in fondo. Non perché sia sbagliato in sé, capiamoci: semplicemente è qualcosa che le nuove generazioni, a mio avviso, non si possono permettere. Il che, per inciso, è del tutto normale. Per un breve periodo indulgere alle proprie inclinazioni è stato possibile, e precisamente lo è stato per la generazione nata più o meno intorno alla metà del secolo scorso [1]: molti di quella generazione credono sia la norma, ma non lo è. Non lo è mai stato prima e non lo è più stato dopo. Oggi, nella gran parte dei casi, dire “voglio diventare archeologo”, “voglio diventare antropologo”, “voglio diventare avvocato”, “voglio diventare architetto” equivale a dire “voglio diventare barone dell’Austria-Ungheria”.

      Sono invece abbastanza d’accordo sul mestiere artigianale. Anzi, posso tranquillizzarti in certa misura sul figlio meccanico: da queste parti i giovani meccatronici, a quanto ne so, trovano lavoro in modo relativamente facile nonostante la crisi.

      Ma a dirla tutta, il primo e unico consiglio che darei a un figlio sarebbe quello di emigrare.

      Z.

      [1] Certo, anche in quel caso un medico guadagnava di più di un professore di liceo. Ma chiunque poteva diventare professore di liceo in tempi ragionevolmente brevi se si impegnava, e sono d’accordo che sia meglio diventare buoni professori per amore che cattivi medici per forza, quando è possibile.

    • Lanzo scrive:

      Con tutto il rispetto e la stima che ho per te, MA, per seguire le “fisime” ci vogliono soldi (la metto proprio sul pane al pane).
      Se poi il figlio di un artigiano ripudia il padre…
      Faccio un esempio, Roma: nel mio quartiere c’e’ un elettrauto (ma non solo, come si diceva) il “vecchio” l’ho sempre chiamato “principale” come si usava, il principale – un tipo alto, bell’uomo, con delle mani che facevano paura, sinceramente cortese, 2 bei figli che mandano avanti la baracca, il padre ormai con le centraline era ormai inadeguato. Bella famiglia e vanno alla grande. Sempre disponibili ed esperti nel loro lavoro, cosa rara per Roma.

      • gotcha scrive:

        non credo che scegliere una diversa strada equivalga a “ripudiare” il padre artigiano.

        i soldi ci vogliono sia per seguire le fisime che per fare qualsiasi altra cosa, tipo mantenersi un’azienda artigiana, metter su famiglia, comprarsi da mangiare.

        per me, uno deve fare quello che gli piace, non c’è una “seconda occasione”.

        • gotcha scrive:

          @ Z

          “Non perché sia sbagliato in sé, capiamoci: semplicemente è qualcosa che le nuove generazioni, a mio avviso, non si possono permettere.”

          io credo che se uno ha voglia si può permettere qualsiasi cosa; magari segue le sue fisime lavorando.
          l’unica cosa che uno non si può permettere è fare le cose contro voglia, non si combina un cazzo.

          • Z. scrive:

            Goccia, siamo seri: se io volessi una villa con piscina e Ferrari e servitù non avrei comunque una possibilità su un milione di ottenerla.

            Anche non odiare il proprio lavoro è importante, per carità, ma come in tutte le cose bisogna trovare un compromesso.

            La classe dirigente formatasi nel Sessantotto ci ha imbottito di balle di segno contrario: ma sono balle, appunto. Tranne che per loro, che si sono trovati in un periodo di espansione economica mostruosa, in cui persino chi si laureava in lettere aveva un futuro garantito come professore.

            Poi la bazza è finita e loro hanno continuato a rivenderci la loro favoletta. Ma come sempre sta al compratore non farsi gabbare.

          • gotcha scrive:

            io vorrei una casa con due camere da letto, un lavoro che appassiona, e se possibile un’alfa romeo giulietta. minchia, non mi sembra di chieder tanto dalla vita!

            per quanto riguarda gli studi umanistici, sono convinto che una briciola di selezione in più non guasta.

          • Peucezio scrive:

            “Goccia, siamo seri: se io volessi una villa con piscina e Ferrari e servitù non avrei comunque una possibilità su un milione di ottenerla.”

            C’è gente che è diventata miliardaria partendo dal nulla, persino in epoche di scarsa mobilità sociale.
            Avevano una fortissima motivazione e un particolare genio nel riuscire a farlo (che non è intelligenza in senso generale, è un tipo di capacità pratica specifica).

          • Z. scrive:

            C’è anche gente che ha fatto sei al superenalotto, Peucè. Purtroppo, però, “volere è potere” solo nei film con una trama puerile.

      • Miguel Martinez scrive:

        “Con tutto il rispetto e la stima che ho per te, MA, per seguire le “fisime” ci vogliono soldi (la metto proprio sul pane al pane).”

        vabbene, ma il discorso è partito da un altro punto.

        In breve, Roberto (credo che fosse) diceva, “parlare bene del lavoro manuale vuol dire condannare il figlio dell’operaio a continuare a fare l’operaio [mani/miseria], mentre mio figlio continua a fare il signore [intellettualismo/ricchezza]”.

        Che credo fosse davvero un problema fino al 1974 circa. Solo che da allora è cambiato tutto.

        Infatti, tu poni il problema esattamente contrario, chiedendomi di non condannare mio figlio a una miseria da intellettuale.

        • gotcha scrive:

          come mai dici dal 1974 è CAMBIATO TUTTO?

          • Miguel Martinez scrive:

            E’ un’intuizione di Marino Badiale, che mi trova in pieno accordo.

            Non so se sia unicamente colpa della famosa crisi petrolifera che seguì la guerra del Kippur nel 1973, ma fu esattamente da allora, che in tutto il mondo – stranamente a partire dalla Nuova Zelanda laburista – che nacque il nuovo modello dei tagli allo stato sociale.

            Mentre fino al 1974, i governi indifferentemente di destra o di sinistra erano keynesiani, dopo il 1974, indifferentemente di destra o di sinistra, diventano thatcheriani (per capirci).

          • Z. scrive:

            Miguel,

            al di là delle teorie politico-economiche, nel merito delle quali non entro, sono in parte d’accordo con te, ma con una precisazione.

            A mio avviso tutto è semplicemente ritornato a com’era fino a quindici-venti anni prima. Alla normalità, insomma: meno ricchezza in giro, meno mobilità sociale, meno possibilità per tutti.

            La classe dirigente che ha fatto la nostra storia per decenni si è formata negli anni Sessanta, e credeva che la mobilità sociale verso l’alto fosse la norma. Purtroppo, almeno secondo me, lo è stato soltanto per la loro generazione.

            • Miguel Martinez scrive:

              “A mio avviso tutto è semplicemente ritornato a com’era fino a quindici-venti anni prima. Alla normalità, insomma: meno ricchezza in giro, meno mobilità sociale, meno possibilità per tutti.”

              OMDAZ…

              La bolla energetica ha proiettato tutti verso il sogno di “futuro”, “progresso”, eccetera (liberale, nazionalista, comunista, socialdemocratico, americanista).

              La bolla si sgonfia e si torna verso la “normalità”.

              Però non ci si torna esattamente come prima: tutto è fluido: Con Costanzo Preve, credo che siamo arrivati alla fine della borghesia, anche se gli sfuggiva l’elemento energetico.

  13. alberto scrive:

    Questo Krier, seppur tradotto, immagino, lo si legge cosi’ incantati da farsi mancare il respiro.
    Pfhhh……
    Come quelli del collettivo Tiqqun.
    Quasi fosse la stessa penna.
    Quasi

  14. gotcha scrive:

    “è la parte che mi infastidisce di più perché mi puzza molto di “convinci il figlio del l’operaio di quanto sia figo fare l’operaio basta che sia lui a farlo”

    la parte insopportabile della teoria nella storia è proprio questa; mi ricorda marx, quando sembrava essere il depositario di una teoria che era sempre stata del proletariato, ma che si era cristallizzata grazie a LUI. oggi bauman, presente con centinaia di titoli su tutti gli scaffali delle odierne “librerie liquide”, ci parla di quanto la nostra società dei consumi faccia schifo, e noi siamo animali liquidi eccetera eccetera. sembra che tutti costoro non ci siano per nulla dentro!

    c’è una distanza insopportabile tra la teoria e la realtà, o meglio, tra la maggior parte dei teorici e la realtà.

    • Miguel Martinez scrive:

      “sembra che tutti costoro non ci siano per nulla dentro!”

      Noi ci siamo dentro, a ogni sfratto, a ogni mafioso che si prende i beni pubblici, a ogni volta che mi trovo la buca delle lettere e il cestino della bicicletta pieni di bottiglie di birra abbandonate da finti studenti americani, ai concerti che ti tengono sveglio alle due di notte ma li fa un amico dell’assessore, ai pullman turistici di due piani dove i turisti si divertono a guardare dentro le finestre delle persone, al panettiere che deve chiudere perché il padrone vuole affittare a un localino, a tutti i Suv piantati in mezzo alla strada che bloccano gli autobus.

      Proprio per questo ci ribelliamo, poi se la nostra rivolta vi infastidisce, peggio per voi 🙂

      • gotcha scrive:

        @MIGUEL

        stavo parlando dei teorici, non degli abitanti del tuo quartiere, anzi.

        credo poi che dall’unione delle diverse disperazioni possa nascere qualcosa di buono (motivo per cui i ghetti sono doppiamente malevoli, rispondendo al principio del divide et impera).

        • Peucezio scrive:

          “stavo parlando dei teorici, non degli abitanti del tuo quartiere, anzi.”

          Cioè dalle singole situazioni non si deve per induzione ricavare qualche minima regola generale per orientarsi nella pluralità delle situazioni?
          Nel mondo premoderno che tanto poco stimi effettivamente non ce n’era bisogno, ma oggi è inevitabile.

          • gotcha scrive:

            ma lo dici anche tu che gli architetti che non prendono manco in mano il mattone non possono pretendere di fare abitare la gente nei loro deliri onirici!

            io non è che non stimo il mondo premoderno.. io stimo il MIO mondo, se fossi nato in quello premoderno (che sarebbe stato il moderno), avrei stimato quello!

          • Peucezio scrive:

            “ma lo dici anche tu che gli architetti che non prendono manco in mano il mattone non possono pretendere di fare abitare la gente nei loro deliri onirici!”

            Ma infatti ci vuole un equilibrio.

        • Miguel Martinez scrive:

          “stavo parlando dei teorici, non degli abitanti del tuo quartiere, anzi.”

          ma meno male che c’è qualcuno che sa teorizzare quello che noi viviamo quotidianamente. Compreso tutto ciò a cui è giusto anche rinunciare.

  15. izzaldin scrive:

    concordo con Mauricius
    il modello di gestione dal basso spesso prota proprio a iper movida.
    Palermo è un ottimo esempio. quella che un magazine definì “la città più cool d’Italia” si basa su un imprenditoria in gran parte mafiosa che “dal basso” si adatta ai cambiamenti globali: spariscono i mercati tradizionali a favore dei supermarket? bene trasformiamo ogni “putìa” (bancarella) in un locale dove vendere alcool a un euro.
    così, dal basso.
    Il discorso pianificazione-spontaneismo in urbanistica è terreno scivoloso: entrambi possono essere strumenti liberatori o strumenti di controllo. bisogna capire caso per caso

    • gotcha scrive:

      ok, ma bisogna anche capire il tizio della bancarella, che magari di sera può anche riflettere sul panopticon, però deve pure arrangiarsi.

      • izzaldin scrive:

        assolutamente
        infatti io non ho soluzioni.
        il mio discorso è: sia la pianificazione sia lo spontaneismo, in urbanistica, possono avere effetti devastanti o effetti positivi. non ho eccessiva fiducia in nessuna delle due, diciamo che un mix forse può essere la soluzione migliore

        • gotcha scrive:

          diciamo che va bene quello che c’è. con i se e i ma puoi sperare di mettere a posto il sistema di iniezione della tua macchina (se non è la batteria è la pompa..), non i “paradigmi sociali”.

    • Z. scrive:

      Il discorso “spontaneismo” va benissimo, ma per le spine abusive del CSOA X, spinoff giovanile del più noto CSOA Y (in quest’ultimo caso la “a” vale “autorizzato”). Fa buon marketing e contribuisce alla vendita di birra.

      Seriamente, il problema è sempre lo stesso dagli anni Sessanta: quando la gente è d’accordo con me è “popolo”; quando non lo è “massa abulica” o “insieme di individui soli”. Il problema non è nelle definizioni, è nelle cose…

    • Miguel Martinez scrive:

      “il modello di gestione dal basso spesso prota proprio a iper movida.”

      Il modello di gestione dal basso non significa “seguire il mercato”.

      Significa trovarsi tra genitori, bambini, anziani, giovani e cercare di capire insieme cosa sia meglio per tutti.

      • izzaldin scrive:

        questo io lo chiamerei “modello persone civili ed educate, interessate al benessere collettivo”.
        soluzioni del genere qui sono estremamente difficili da ipotizzare

      • Mauricius Tarvisii scrive:

        Significa trovarsi tra genitori, bambini, anziani, giovani e cercare di capire insieme cosa sia meglio per tutti

        No, vuol dire che a comandare sono quelli che partecipano e che riescono ad influenzare il pensiero degli altri. Tradotto: significa che io non conto in ogni caso un bel nulla 😀
        Cioè si crea un’élite locale di quartiere che impone ai singoli cosa fare con le proprie cose, che può dire “no, tu qui non vendi alcolici, no tu non sfratti il tuo inquilino che non paga l’affitto”, ecc. Magari è bellissimo, magari è giusto, magari è equo, ma sicuramente non è né spontaneo né dal basso, ma è un’imposizione di un gruppo su tutti gli altri.

        • PinoMamet scrive:

          In effetti nel link postato da Moi sui condomini solidali (alcuni dei quali, scopro, sono qui vicino), nella pagina di uno di questi si legge:
          “Siamo partiti dalla volontà di un gruppo di famiglie che, attraverso un percorso partecipato, in cui le decisioni non sono state prese a maggioranza, ma con il metodo del consenso, ha partorito un progetto ad hoc”

          unito a frasi come questa, sempre dallo stesso link:
          “Si ricerca uno stile di vita sobrio, essenziale nei consumi, ma anche nelle idee.. ”

          dà l’impressione di una certa imposizione di idee “giuste”, di cui “devono” venire convinti tutti.

          Probabilmente quello che fanno, e lo stile di vita che ne risulta, è utile, bello, e così via, anzi ne sono sicuro.

          Che sia “dal basso” e “spontaneo” invece è discutibile: può esserlo come no; c’è dietro la volontà delle famiglie, ma più o meno guidata, e ci sono dietro architetti, immobiliaristi ecc.
          che sia

          • Miguel Martinez scrive:

            “Che sia “dal basso” e “spontaneo” invece è discutibile”

            Vero.

            Infatti, democrazia e maggioritarismo non sono affatto sinonimi.

            La “maggioranza” segue naturalmente la via più comoda, le cose più appariscenti e gli istinti più forti, e non è capace di darsi un’organizzazione razionale.

            Quindi, normalmente, la “maggioranza” segue quindi chi riesce a strutturare per lei immagini apparescenti e soddisfazioni istintive.

            La democrazia si struttura invece attorno a un soggetto, il demos appunto, che si organizza, si autocontrolla, prende decisioni che spesso non soddisfano il primo istinto, ragiona sulle cose.

            Numericamente può essere maggioranza o minoranza, secondo il momento.

          • Moi scrive:

            La differenza Democrazia Vs Maggioritarismo … però mica sorge dal basso, mi sa che date ragione a Zeta.

            Ripeto : è più “Vox Populi Vox Dei” Laura Boldrini o Joe Formaggio, sui “Profughi” ? … E Diego Fusaro che, unico de’ 😉 3*, ha la Lettura Marxista “Divide et Impera” ?

            PS

            Il dialetto è ancor più sessista 😉 , con “tri” vs “trài” …

          • Mauricius Tarvisii scrive:

            “La “maggioranza” segue naturalmente la via più comoda, le cose più appariscenti e gli istinti più forti, e non è capace di darsi un’organizzazione razionale.”

            Finalmente abbiamo dismesso il concetto di “popolo” e abbiamo adottato quello di “massa” o, come preferisce qualcuno, di “feccia” 😉

            • Miguel Martinez scrive:

              “Finalmente abbiamo dismesso il concetto di “popolo”

              A me il concetto di “popolo” non interessa come definizione retorica.

              Mi interessa come forma di organizzazione storicamente data, il demos greco, il popolo dei comuni, le assemblee di villaggio del Messico o del Vietnam, le riunioni davanti alla parrocchia la domenica mattina in mezza Europa.

              Questa è una cosa diversa dalla semplice maggioranza matematica.

              Che non è “feccia”, essendo costituita da tutti noi ed essendo mossa dalle nostre stesse pulsioni.

              Semplicemente, nel momento in cui andiamo tutti ad applaudire la nascita del figliolo del barone, siamo “maggioranza”.

              Nel momento in cui invece andiamo a capire se il barone ha veramente i titoli per chiederci di regalargli una vacca a testa per il compleanno del figliolo, e uno di noi si mette pure a imparare a leggere e a scrivere per capirlo, diventiamo demos/popolo eccetera.

              Anche se magari la maggioranza dice, “ma no, chissa cosa ci fa il barone se gli diciamo di no, e poi se vedono che so leggere, mi prenderanno in giro tutti”.

              Mi sembra un concetto semplice, che non ha bisogno di particolari giudizi moralistici, da una parte o dall’altra.

              Poi se il termine “popolo” vi sembra abusato, pazienza.

          • Z. scrive:

            Come sempre, io eviterei troppi riferimenti all’etimo. Anche perché per gli antichi greci la democrazia era proprio il governo della maggioranza, o peggio. Per Aristotele, come si diceva, era addirittura la dittatura della maggioranza, il governo con cui la maggioranza fa i propri interessi anziché quelli di tutti i cittadini.

            Visto che governare significa decidere, e quindi tagliare, io direi proprio che la democrazia è una cosa e la ricerca del consenso unanime una cosa molto diversa.

            C’è anche un altro aspetto cui accenna anche MT: essere influenzati dalla pubblicità commerciale, dalla cultura cinematografica o dal miglior oratore dell’assemblea non credo siano cose tra cui passa una radicale differenza di qualità. E’ sempre qualcuno più pervasivo di te, capace di farti cambiare idea.

  16. mirkhond scrive:

    “Ma a dirla tutta, il primo e unico consiglio che darei a un figlio sarebbe quello di emigrare.”

    E dove?

    • Miguel Martinez scrive:

      ““Ma a dirla tutta, il primo e unico consiglio che darei a un figlio sarebbe quello di emigrare.””

      E se invece gli dicessi, innamorati di ogni singola pietra, nota ogni singola persona che abita tra queste pietre, pensa a tutti quelli che ci sono vissuti anche loro e che avrebbero delle storie da raccontarti?

      • PinoMamet scrive:

        sì, ma poi che ci mette nella pignatta, le pietre?

        • Miguel Martinez scrive:

          “sì, ma poi che ci mette nella pignatta, le pietre?”

          Se alla fine ci toccherà, sarà pur meglio che metterci il nulla.

          • Z. scrive:

            Miguel,

            — E se invece gli dicessi, innamorati di ogni singola pietra, nota ogni singola persona che abita tra queste pietre, pensa a tutti quelli che ci sono vissuti anche loro e che avrebbero delle storie da raccontarti?–

            Mi sembra un’ottima idea per il tempo libero, ma per vivere serve anche un lavoro. Meglio se dignitosamente retribuito, così da potersi cucinare cibo più idoneo delle pietre 🙂

          • gotcha scrive:

            secondo me se ad un ragazzo gli parli di “possibilità che non si può permettere”, e poi di “trovarsi un lavoro se possibile dignitosamente retribuito”, un po’ di confusione la crei.

            io con un figlio mi manterrei sul “fai tu”.

          • Z. scrive:

            Sei abbastanza intelligente per riformulare i concetti in modo più semplice, su!

            Tipo: “vuoi fare l’avvocato? ottimo, ma poi non lamentarti quando farai la fame” 😀

          • gotcha scrive:

            yes, ma se devi fare la fame, tanto vale farla per qualcosa che ti piace.

          • Z. scrive:

            Scusa, ma dove sta scritto che devi fare la fame? Mica è obbligatorio!

          • gotcha scrive:

            minchia z, come mi rigiri la frittata.. ; )

            io mica la voglio fare, la fame.

            ma se devo farla sia inseguendo le mie fisime che lasciandole perdere, tanto vale inseguirle!

          • Z. scrive:

            Goccia, scusa, ma tu l’hai bruciata a forza di tenerla da una parte sola. Quella sbagliata, per giunta.

            Perché anzitutto vivere, poi filosofare: quindi prima di tutto non fare la fame, accettando i sacrifici che questo comporta. Non sto dicendo “fare i soldi fitti”, eh, sto dicendo “non fare la fame”. Tipo arrivare a fine mese e cercare di mettere via qualcosa per i momenti bui.

            Poi certo che se devo fare la fame preferisco farla per qualcosa in cui credo e non per qualcosa che mi fa schifo, che discorsi 🙂

          • Peucezio scrive:

            Z., ma spiegami una cosa: quale sarebbe la tua meravigliosa ricetta per essere sicuri di non fare la fame?
            A che attività bisognerebbe dedicarsi?

          • Z. scrive:

            Domanda difficile, ma se vuoi ti posso elencare ricette quasi sicure per farla, la fame. Ma le conosciamo tutti.

            Z.

            PS: la smetti di difendere la sinistra postsessantottina, per favore? 😀

          • Peucezio scrive:

            Eheh, la sinistra postsessantottina non va bene per le uniche cose positive 😛

            Sì, ho capito, alla fine sai solo dire come si fa a fare la fame.
            Quindi uno dovrebbe rinunciare a fare una cosa che gli piace per fare la fame comunque.

          • gotcha scrive:

            la maniera migliore per non fare la fame è diventare un “camaleonte” come jarod.

          • Z. scrive:

            Peucè,

            tutti sappiamo, o dovremmo sapere, quali posizioni professionali sono richieste e quali sature. Sono informazioni facili da reperire.

            Non è una ricetta sicura per non fare la fame, naturalmente. Però in un Paese con tanti disoccupati è un buon inizio.

            Poi come sempre si cercherà un compromesso 🙂

          • Roberto scrive:

            “quale sarebbe la tua meravigliosa ricetta per essere sicuri di non fare la fame?
            A che attività bisognerebbe dedicarsi?”

            Se hai voglia di studiare, ingegnere (magari meccanico), se non hai voglia di studiare, idraulico, elettricista.

            Sii sincero con te stesso, se non sei portato per gli studi non perdere tempo.

            Sennò venite in Lussemburgo con un camioncino che fa porchetta, pizzette, arancini, piadine e cose così, dieci anni di lavoro duro e poi vi ritirate su qualche isola tropicale 🙂

          • Z. scrive:

            La piadina la faccio io, Peucezio fa la focaccia barese, Izz gli arancini… si può fare!

          • Peucezio scrive:

            “Se hai voglia di studiare, ingegnere (magari meccanico), se non hai voglia di studiare, idraulico, elettricista. ”

            Trovo più convincente la seconda.
            Di idraulici o elettricisti disoccupati non penso ce ne siano (anche perché lavorano in proprio).

  17. mirkhond scrive:

    E Pino dove intende emigrare? 😉

  18. Moi scrive:

    Per un breve periodo indulgere alle proprie inclinazioni è stato possibile, e precisamente lo è stato per la generazione nata più o meno intorno alla metà del secolo scorso [1]: molti di quella generazione credono sia la norma, ma non lo è. Non lo è mai stato prima e non lo è più stato dopo. Oggi, nella gran parte dei casi, dire “voglio diventare archeologo”, “voglio diventare antropologo”, “voglio diventare avvocato”, “voglio diventare architetto” equivale a dire “voglio diventare barone dell’Austria-Ungheria”.

    [cit.]

    ——————————-

    Purtroppo è così, e l’ Eredità AustroUngarica, con pessima pace 😉 di Habsburgicus, si è ridotta _ Um Gottes Willen !_ al Bon Ton Politically Correct di Frau Dietlinde su La7 !

    In Italia, tuttavia, la cosa del Ritorno al Dinastismo Professionistico, è meno traumatica che altrove … visto che chi non era Figli* 😉 d’ Arte ha sempre necessitato _ in buona misura persino in Emilia Romagna ! _ delle “Bazze” , degli “Amici degli Amici”, in un Sistema di Familismo Amorale Congenito.

    Nondimeno, in questo Sdoganamento Retrivo … il Partito _mediante la Finestra di Overton più “pesa” nella Storia del Diritto … _ ha tradito sé stesso.

    Analisi di Diego Fusaro :

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/24/lo-sciopero-diventera-presto-un-reato/2064239/

    https://www.youtube.com/watch?v=EKK5CFTYc8M

    Sintesi di Michele Baia 😉 :

    http://www.youtube.com/watch?v=XYlTick_xjU

    • Moi scrive:

      In effetti sentire il Giovin Allievo Prediletto di Costanzo Preve (che ha pochi anni più di mio padre) Diego Fusaro (che ha qualche anno in meno di me) con quel linguaggio “Frattocchiofono” 😉 lì fa un po’ impressione ; specie se penso ai PreUmarell 😉 di Radio Digggèi 🙂 che vogliono figheggiare da foreveriàngh 😀 decantando il Frivolo Supremo fin da quando andavo alle Elementari (e BRISA “Primarie” … neanche fossero scuole per scegliere i Candidati del PD 😉 !) però non è detto che qualche personaggio che “stianca” 😉 gli schemi sia un male. 😉

      • Moi scrive:

        Pardon: Costanzo Preve (scusate: me lo immagino sempre vivente, visto quanto è importante per Miguel che lo cita …) , se fosse “ancora al mondo”, avrebbe pochi anni in meno (!) di mio padre, che c’è ancora.

      • Z. scrive:

        Abbi più rispetto per le Frattocchie, che non meritano di essere accostate a quel signore.

      • Miguel Martinez scrive:

        “Giovin Allievo Prediletto di Costanzo Preve”

        Io credo di aver conosciuto Costanzo Preve abbastanza bene.

        Certo, tendeva sempre a dire quello che pensava, piuttosto che “chi frequentava”; comunque ogni tanto mi parlava delle persone che lo seguivano. Anche perché io ero stato l’unico in Italia a raccogliere i suoi scritti e metterli in rete, e quindi ogni tanto mi segnalava nomi di persone interessate.

        Ora, io di Fusaro ho iniziato a sentire solo dopo la morte di Preve.

        Non è una prova che non fosse un Allievo; ma certamente non era quello Prediletto.

        • Moi scrive:

          @ MIGUEL

          https://www.youtube.com/watch?v=lJgkLKVqyXc

          Costanzo Preve: dialogo con Diego Fusaro, a partire da una definizione di marxismo

          ————————————–

          Non che “provi” chissà che … però qui vediamo Diego Fusaro e Costanzo Preve, assieme, in una discettazione-intervista del Giovine (non particolarmente) Tormentato al Vecchio (che non ci tiene a sembrare troppo, direi) Saggio …

          😉

          … un po’ iniziatico 😉 ipso facto, ma interssante.

          • Miguel Martinez scrive:

            “Non che “provi” chissà che … però qui vediamo Diego Fusaro e Costanzo Preve, ”

            ok, sicuramente sarà la prova che si conoscevano. L’unica certezza che ho che Costanzo non ha mai detto che Fusaro era il suo Erede.

          • Moi scrive:

            PS

            Non capisco ‘sto genere di interviste/conversazioni (ne ha fatte anche Maurizio Blondet) al bar / ristorante … con il rumoroso apporto audio di gente del popolo 😉 che lavora o radio o tv accese …

          • Moi scrive:

            l’allusione alla “saggezza non cercata” di Preve è quando dice che il futuro è inconoscibile … con l’equilontananza 😉 da Positivismo e Messianesimo.

        • habsburgicus scrive:

          @Miguel
          ho iniziato a sentire solo dopo la morte di Preve.

          buon esempio di OTTIMO metodo storico-critico 😀
          in effetti nel 95 % dei casi (talora 99, 99 %) qualcuno/qualcosa è associato con qualcosa/qualcuno solo ex post e non all’epoca (o, almeno, se lo è, solo in modo marginale)
          la difficoltà, specie nella storia antica, sta-come noto-nel fatto che non sempre è facile rilevare ciò (problemi di cronologia, di fonti ecc ecc)
          qui invece c’è la testimonianza oculare 😀
          e confido che nel 3224, qualche oscuro storico venusiano, studiando Preve e Fusaro* (chessò, magari allora trasformati in Preve-Fusaro, stile Marx-Engels, quasi fossero un unicum :D) tenga conto della tua testimonianza coeva 😀

          *P.S
          sia chiaro che dico ciò scherzosamente, ci mancherebbe..fra l’altro ho molto stima di Fusaro e del suo neo-previanesimo (se così si può dire)

  19. Moi scrive:

    “L’Esercito Industriale di Riserva”
    [cit. Karl Marx] :

    https://www.youtube.com/watch?v=SY7mOIOAQxM

    Diego Fusaro
    (con tanto di Redde Rationem per il Politically Correct 😉 )
    … peccato, però, per quel “puttosto che” alla Meneghina.

  20. Moi scrive:

    Fusaro dev’essere uno dei (relativamente) pochi ad aver letto il Capitale di Marx in Tedesco … detto come se fosse il Corano in Arabo 😉 !

  21. mirkhond scrive:

    minchia z, come mi rigiri la frittata.. ; )

    E’ il suo mestiere di avvocato! 😉

  22. Roberto scrive:

    “Perché mai la figlia di un impiegato comunale non dovrebbe sposare un muratore?”

    Certo, perché no?
    Credo che ci sia un equivoco perché non ho nulla contro il lavoro manuale, figuriamoci, e come sai vedo solo del positivo negli ascensori sociali

    Il mio punto è che mi infastidiscono filosofi, sociologi, intellettuali che vogliono convincere il figlio del muratore che fare il muratore sia il suo unico destino. Ho avuto questa impressione leggendo il paragrafo sulla scuola ma ho aggiunto che forse è una mia impressione e l’autore voleva dire altro

  23. mirkhond scrive:

    Fossero solo intellettuali, sociologi, filosofi, Roberto.
    E’ la società, le barriere sociali ad impedire, o quantomeno rendere difficili certe ascese sociali.
    I meravigliosi anni ’60 sono finiti da un pezzo, come ci ha ricordato Zanardo, ma c’è chi non se ne è ancora accorto…….

    • Z. scrive:

      Specie a sinistra.

      • Moi scrive:

        Il ché comporta una peserrima 😉 conseguenza sul concetto di “pubblica istruzione”, specie oggi che con internet la cultura “generale” specialmente “umanistica” è smerciabile come _ somma blasfemia orrorifica ! _”cazzeggio” 😉

  24. Moi scrive:

    La “Democrazia” antica con gli “occhi” odierni era “Oligarchia” …

  25. Moi scrive:

    Interessante quando Preve rivela che Hannah Arendt scriveva dei Greci senza sapere [o almeno senza tenerne conto, ndr] che Logos è anzitutto “calcolo” (un termine NON di “Doxa”, NON di “Pathos”), e NON il “Public Speech” (come dice Preve) … insomma: indice di come la Arendt sia stata un po’ sopravvalutata, almeno in parte.

    • PinoMamet scrive:

      Preve a parte;

      ma a me- faccio outing- dà un po’ fastidio questa mania di giocare con i termini greci (o latini o che ne so, cinesi) dicendo che volessero dire “in realtà”.

      Come se non fossero, insomma, parole. Che la gente usava per parlare. Per capirsi.
      Mi immagino sempre questi filosofi odierni, catapultati nell’antica Grecia, impegnatissimi a correggere gli antichi Greci:
      “Non stai usando la parola logos nel modo giusto! e il tuo uso di sophia è del tutto sballato! ma come, non lo sai che in realtà vuol dire…”
      😉

      • Moi scrive:

        Be’ però, specie per lingue molto remote / diverse un po’ di philo-logia dovrà pure accompagnarsi alla philo-sophia, no ?

        PS

        Capisco cosa vuoi dire … a meno che non si decida che la persona istruita _ nella stessa “comunità linguistica” _ è “più di madrelingua” di quella che non lo è.

        Questione tutt’altro che semplice e scontata …

        • PinoMamet scrive:

          Hai ragione, e naturalmente ci vogliono un po’ tutte e due, la filologia e la filosofia.

          E occorre tenere presente che ogni lingua è sempre intraducibile, ogni cultura ha i suoi particolari rimandi, il significante e il significato, la denotazione e la connotazione e così via.

          Però, a volte si esagera un pochino
          🙂

          • Peucezio scrive:

            Ma spesso c’è semplice degrado e banalizzazione dovuta a mera ignoranza.
            Hai voglia a dire che un italiano che dice ìnfimo volendo dire infìdo, essendo un madrelingua, sta esprimendo delle sfumature della lingua o risemantizzando… questo può valere per un dialetto. In realtà è solo che non sa che infimo è qualcosa che si trova molto in basso, non un tizio di cui si deve diffidare.

          • Z. scrive:

            Alla fine degli anni Ottanta si diceva “infimo” per dire “pessimo”, “sfigato”, “parecchio fuori moda”, ma non ho mai pensato che fosse una versione deformata di “infido”. Anzi, mi sembrava quasi un vezzo culturale!

      • Andrea scrive:

        @ Pino

        “ma a me- faccio outing- dà un po’ fastidio questa mania di giocare con i termini greci (o latini o che ne so, cinesi) dicendo che volessero dire “in realtà”.

        Come se non fossero, insomma, parole. Che la gente usava per parlare. Per capirsi.”

        Sono pienamente d’accordo!
        Ma poi, secondo me non c’è alcuna incoerenza nel fatto che “lògos” possa significare, al tempo stesso, “calcolo” e “discorso (di qualsiasi ambito, anche politico)”. Perché, a mio modestissimo avviso, il “lògos” greco è l’equivalente (pressoché) esatto della “ratio” latina, con il senso originario e primitivo di “rapporto” letteralmente inteso, ossia di “misura”, “confronto tra grandezze”. Del resto, i numeri razionali sono quelli esprimibili come rapporto di interi sin dai tempi del mitico Pitagora. E l’ “a-lògon”- l’irrazionale – è ciò che non può essere espresso nella maniera suddetta (conosciamo tutti i casi del rapporto tra circonferenza e diametro del cerchio, tra diagonale e lato del quadrato, etc.): ciò che, quindi, andava a minare tutto il complesso edificio di convinzioni mistico-aritmo-geometriche che, secondo i Pitagorici, costituiva la Ragione (ossia la razionalità) del Cosmo. Perché credo sia proprio questo che significhi “lògos”: “ragione”, la stessa facolta (quasi) esclusivamente umana che sta alla base del contare, del calcolare e del parlare (il linguaggio è l’immagine razionale di un mondo rappresentato razionalmente, ossia attraverso il pensiero astratto). L’uomo non è l’unico animale in grado di discernere intuitivamente le quantità (ricordo di avere letto che i corvi ed altre specie hanno capacità intuitive analoghe…), ma siffatta intuizione diventa sempre meno efficace all’aumentare delle quantità in gioco: ad esempio, siamo in grado di distinguere perfettamente tre biglie su di un tavolo, ma non saremmo in grado di distinguerne trentatré (potremmo dire, al più, che “ce ne sono una trentina”). Eppure, l’uomo è l’unica specie in grado di estendere indefinitamente la successione numerica per induzione, ossia tramite una facoltà del pensiero logico-astratto, con tutto ciò che ovviamente ne consegue… Anche la produzione di un qualsiasi discorso di senso compiuto è demandata al pensiero astratto, dato che non ci può essere linguaggio senza rappresentazione logico-astratta, senza concettualizzazione del mondo.
        Infine, “noi” utilizziamo il termine “ragione” sia nel senso di “argomentazione ragionevolmente fondata (discorso [anche] politico)”, sia (come nel caso di una progressione geometrica) nel senso di “rapporto tra elementi numerici (calcolo)” [“la progressione geometrica di *ragione* q …”]. Per quale astrusa e inverosimile ragione 🙂 , dunque, dovrei meravigliarmi se i Greci antichi facevano (più o meno) la stessa cosa? 🙂
        Arendt è stata sopravvalutata?? Mah… 🙂

        • Andrea scrive:

          Uno spendido anno a tutte e tutti!!

        • Peucezio scrive:

          Anche a te.
          In effetti il concetto di calcolo, di ratio credo anch’io si avvicini molto a quello di lógos.
          Ma anche quello di “discorso” non è che sia derivato.
          In fondo non dimentichiamo che il significato primo è per sempre quello di “raccolta” e légein è “raccogliere le parole”, quindi “parlare”.
          Così come il calcolo è una raccolta ordinata, secondo una ratio appunto, e così come per i latini “leggere” era “raccogliere”.
          Che poi è sempre quello: l’it. raccogliere è re+ad+colligere, cioè cum legere.

          • Andrea scrive:

            @ Peucezio

            Quello che hai scritto è molto interessante! E, secondo me, comprova che non c’è affatto da meravigliarsi se lo stesso termine viene utilizzato nel senso di “misura/confronto/rapporto/calcolo” e di “parola/argomentazione/discorso”.
            Ciao!

          • izzaldin scrive:

            un professore dell’Università di Palermo che ho avuto l’onore di seguire usava “logos” come sinonimo di “nutrimento”…

          • Andrea scrive:

            @ Izzaldin

            In quale contesto usava “lògos” come sinonimo di “nutrimento”?

          • izzaldin scrive:

            andrea,
            storia della musica.
            logos è un concetto centrale in musicologia antica

          • Moi scrive:

            Antichità in cui, a ragione, la musica era imprescindibile dalla matematica :

            https://www.youtube.com/watch?v=AJgkaU08VvY

          • izzaldin scrive:

            Andrea (e tutti) scusami, sono un minchione
            In realtà si riferiva a nomos, non a logos.
            Così giovane e così rimbambito 🙁

          • Andrea scrive:

            @ Izzaldin, Pino, Peucezio (e chiunque ne sappia…)

            “In realtà si riferiva a nomos, non a logos.”

            Figurati… 🙂
            Se io dovessi tradurre “nomos”, lo tradurrei come “legge positiva”, “legge di Stato”… Mi viene in mente adesso lo scontro Antigone/Creonte come quello tra legge di Natura (Physis) e ragione di Stato (Nomos)…
            Consultando il dizionario greco antico/italiano on-line 🙂 , mi accorgo che effettivamente “nòmos” può significare, al tempo stesso, “consuetudine/costume -> legge” e “tono musicale”. Non c’è menzione del significato di “nutrimento”. Però, “nomòs” viene tradotto come “luogo di pascolo”, che invece ha attinenza… Non so se, e in che modo, i due termini siano correlati… Sarebbe interessante approfondire…

          • Mauricius Tarvisii scrive:

            Se io dovessi tradurre “nomos”, lo tradurrei come “legge positiva”, “legge di Stato”

            Come legge positiva o come legge di Stato? Sono cose molto diverse tra loro. Se vogliamo comprenderle tutte, traduciamolo come “diritto”

        • PinoMamet scrive:

          ” L’uomo non è l’unico animale in grado di discernere intuitivamente le quantità (ricordo di avere letto che i corvi ed altre specie hanno capacità intuitive analoghe…),”

          Mica solo i corvi.
          Da (quasi) ex pescatore, ricordo che le carpe sanno contare fino a 6 (se ricordo bene);
          credo anzi che tutti gli animali abbiano una capacità in questo senso.

          ” ma siffatta intuizione diventa sempre meno efficace all’aumentare delle quantità in gioco: ad esempio, siamo in grado di distinguere perfettamente tre biglie su di un tavolo, ma non saremmo in grado di distinguerne trentatré (potremmo dire, al più, che “ce ne sono una trentina”).”

          Non sono troppo sicuro neanche di questo.
          Credo che il limite oltre il quale il numero a colpo d’occhio diventa “indistinto” varii molto da persona a persona…
          Lisa?

          • PinoMamet scrive:

            Comunque sono d’accordo col senso generale del discorso…

            in greco popolare moderno, “àlogo” è il cavallo!

          • Moi scrive:

            Ci sono comunque anche “costruzioni ingegneristiche” fatte da bestie anche “semplici” che “tengono botta” perfino di più di quelle fatte da certi Umani … le dighe dei castori, gli alveari, i termitai, i formicai … non a caso le società autocratiche-collettiviste totalitarie iper-comunitarie vengono paragonate a quelle degli “insetti sociali”.

          • Moi scrive:

            Sicuramente c’è più volontà di lavorare e produrre, più senso del dovere, dell’organizzazione, dell’ istituzione, della cooperazione e coordinamento nel lavoro, dell’ autentica collettività e dello “Stato” fra le formiche che fra i FanKazzisti Fuorisede 😉 😀 …

          • Moi scrive:

            I CSOA sono, botanico-entomologicamente parlando per metafora, dei pini marittimi coltivati in mega-serre … con le cicale sopra ! 😉

          • Andrea scrive:

            @ Pino

            “Non sono troppo sicuro neanche di questo.”

            Sì, ma infatti la storia delle 3vs33 biglie me la sono inventata 🙂 … Non è che l’abbia letta da nessuna parte… Quel che mi interessava era sottolineare che, per quanto alta possa essere la capacità di intuire quantità numeriche, essa non può oltrepassare una certa soglia… Mentre, il principio di induzione ci permette di concepire che ogni numero naturale, non importa quanto grande, deve avere un conseguente: e, così, di concepire l’infinita successione dei naturali nei termini di una relazione indefinitamente estesa (senza bisogno di riuscire ad intuire l’Infinito con la “I” 🙂 !!) … Penso tutto il resto consegua da ciò…

            E’ interessante notare – ma anche in tal caso va invocato l’aiuto di Lisa 🙂 – che, stando a quanto mi ricordo, le specie dotate di quello che potremmo definire un vero e proprio “linguaggio” (addirittura con varianti “dialettali” fondate sulla base del “gruppo”, se non sbaglio…), ossia alcune specie di cetacei, sono anche quelle le cui facoltà “razionali” sono più vicine a quelle umane…

          • Mauricius Tarvisii scrive:

            “Credo che il limite oltre il quale il numero a colpo d’occhio diventa “indistinto” varii molto da persona a persona…”

            Per me credo che sia 3. Già il 4 forse lo vedo come 2+2 (anche se quando gli elementi sono abbastanza ravvicinati forse riesco a coglierlo al volo, ma non ne sono sicuro) e il 5 sicuramente come 3+2.

          • PinoMamet scrive:

            Tu sei fatto tutto a modo tuo;

            non hai neanche un cappotto!! 😀

          • Peucezio scrive:

            SEcondo me siamo anche influenzati da certe configurazioni, da certe forme.
            Se vedo sei arance in due file da tre, penso subito al numero 6, perché ci sono i dadi, i cerchi gialli del sei di denari, ecc., così come se vedo quattro elementi più uno al centro penso al 5 per lo stesso motivo.
            Se invece le 5 o 6 arance sono in fila, non dico che devo mettermi a contarle, ma la cosa è meno immediata, meno icastica.
            Ma secondo me dal 7 in poi facciamo fatica.

  26. Moi scrive:

    “If you wanna make real money, you don’t gotta find a job … you gotta invent one !” [quot.]

  27. Moi scrive:

    A proposito di “Logos” : la Astrologia NON è scienza … però ne ha i suffisso.

    Di fatto, seppur con presupposti superati e rivelatisi falsi È comunque calcolo, soprattutto trigonometrico … però all’atto pratico è “chiacchiera”, tuttavia NON si chiama “Astrolalìa” o simili …

    Comunque continua ad essere presa assolutamente sul serio, soprattutto _ curiosamente ! _ dalle donne: la triste dipartita di Margherita Hack ha ridotto notevolmente la percentuale di quelle che NON ci credono; a parte Lisa Paniscus, in Italia ne restano davvero pochissime altre.

    C’è gente che trova impossibile che nell’ Era di Internet si possa ancora credere a una “cagata” [relata refero] come le Settanta (ho notato che c’è una specie di Asta Halal degli Imam, su questo …) Vergini Celeste dei Jihadisti … eppure (!) l’ Astrologia la continua a prenderla dannatamente sul serio !

    Anzi : se è giustamente ritenuto intollerabile discriminare (farsi pre-giudizio circa) le persone per sesso / gender 😉 , religione, cosiddetta “razza”, origine etnica eccetera … farlo in base a orario/giorno/mese/anno diventa “Ah, be’ … ma son Le Stelle a dirlo !” …

    • PinoMamet scrive:

      “Comunque continua ad essere presa assolutamente sul serio, soprattutto _ curiosamente ! _ dalle donne: la triste dipartita di Margherita Hack ha ridotto notevolmente la percentuale di quelle che NON ci credono; a parte Lisa Paniscus, in Italia ne restano davvero pochissime altre.”

      Eh che esagerazione!

      A me pare che ci sia moltissima gente- in maggioranza donne, sì- che prende l’oroscopo per quello che è, un passatempo senza troppa importanza, a cui fingere di credere quando fa comodo.

      • Peucezio scrive:

        Io comunque non capirò mai questo fatto di pretendere patenti di scientificità secondo i modelli epistemologici correnti per le scienze naturali contemporanee, da discipline o dottrine che non c’entrano nulla, che sono legate ad orizzonti e modelli conoscitivi e interpretativi della realtà che con tali paradigmi non hanno nessuna relazione storica né intrinseca.

        L’astrologia non è come la biologia o la fisica.
        Resta il fatto che io sono vergine ascendente vergine (è l’unico segno di cui conosco le caratteristiche) e sono un pignolo rompicoglioni al cubo. Dice: è un caso. Sarà pure. Ma se a forza di casi poi i modelli funzionano, chissenefrega.

        • Mauricius Tarvisii scrive:

          Anch’io sono un pignolo rompicoglioni. Altre volte sono invece un tollerante lassista.
          Le persone non sono maschere, quindi qualsiasi loro ritratto, anche se sparato completamente a caso, avrà una qualche somiglianza con l’originale.

          • Peucezio scrive:

            Sì, vabbè, se di un attaccabrighe rissoso dici che è un mite bonaccione, non direi che ci prendi.

          • Mauricius Tarvisii scrive:

            Quindi esiste il segno zodiacale dei rissosi? Temo proprio di no: la pignoleria è relativa (tutti lo siamo in una certa misura), mentre lo scatenare risse no.

          • PinoMamet scrive:

            “Anch’io sono un pignolo rompicoglioni. Altre volte sono invece un tollerante lassista.
            Le persone non sono maschere”

            aldilà del discorso sui segni zodiacali e presunte loro caratteristiche, quello che dici è assolutamente vero.

            Credo di essere arrivato a pensare che il carattere di una persona dipenda soprattutto da chi gli sta intorno, e da come questi la vedano.

            Naturalmente ognuno di noi ha delle caratteristiche proprie, e po’ essere più o meno portato a arrabbiarsi, può essere più o meno estroverso, più preciso o più disordinato e così via;

            tuttavia, la stessa persona che in un gruppo fa da guida intraprendente, o da simpaticone battutista e così via, in un altro gruppo può essere il musone o il pigro o l’eterno scontento…
            e parlo di gruppi del tutto analoghi, perché i gruppi, in effetti, sono del tutto analoghi, sono formati da esseri umani, non da alieni di diversi pianeti…

            perciò credo che, oltre ai segni zodiacali, che perlomeno pochissimi prendono sul serio, siano abbastanza spazzatura anche quelle teorie che dividono le persone in “leader” o “alpha” e così via, winner o loser e le altre stronzate che, si direbbe, rovinano la vita di migliaia di adolescenti americani…
            (ho delle studentesse che leggono romanzi statunitensi ambientati nel mondo della scuola: la trama è: c’è una sfigata che ha delle odiose amiche fighe, e lei si innamora del bullo della scuola…. io li proibirei).

            C’è di buono che il derivato di queste teorie sono i manuali “impara a essere un vincente”, che sono parimenti spazzatura, ma non pretendono di essere altro, e magari (spero) insegneranno come essere meno musoni, solitari e così via: se uno ne sente il bisogno, naturalmente.

          • izzaldin scrive:

            OMDAP

          • Peucezio scrive:

            “e parlo di gruppi del tutto analoghi, perché i gruppi, in effetti, sono del tutto analoghi, sono formati da esseri umani, non da alieni di diversi pianeti…”

            Mah, secondo me già ogni essere umano rispetto a un altro, per il fatto che non sono la stessa persona, è un alieno verde con le antenne.

          • PinoMamet scrive:

            Boh, in questo io la vedo proprio all’opposto.

            Homo sum ecc. ecc.

            Anche i comportamenti o le mentalità più lontane dalla mia
            (qua dentro, per il poco che posso notare, direi: la tua e quella di Mauricius)
            hanno le loro cause e loro motivazioni, e una volta capite queste risultano perfettamente logiche e direi conseguenti.

          • Peucezio scrive:

            Poi è vero che molti sono diversi in contesti diversi, ma anche questo avviene secondo modalità diverse in base ai tipi.
            Se ci fate caso, un tipico introverso si estroverte in contesti molto intimi e soprattutto collaudati, e in generale si sente relativamente a suo agio in contesti formali.
            Un estroverso è più o meno sempre sé stesso, tranne però a recitare in modo smaccatamente finto, fino alla caricatura, in contesti formali, in cui si sente totalmente come un pesce fuor d’acqua (poi recita anche negli altri contesti, ma in un modo che gli è congeniale e, in fondo, senza accorgersene).

          • Peucezio scrive:

            Mauricius:
            “Quindi esiste il segno zodiacale dei rissosi? Temo proprio di no: la pignoleria è relativa (tutti lo siamo in una certa misura), mentre lo scatenare risse no.”

            Se lo dici mi fido: a quanto pare sei molto più esperto di me 🙂

          • Peucezio scrive:

            Pino:
            “Boh, in questo io la vedo proprio all’opposto.

            Homo sum ecc. ecc.

            “Anche i comportamenti o le mentalità più lontane dalla mia
            (qua dentro, per il poco che posso notare, direi: la tua e quella di Mauricius)
            hanno le loro cause e loro motivazioni, e una volta capite queste risultano perfettamente logiche e direi conseguenti.”

            Sì, ma prima di arrivarci, prima di sviluppare quest’empatia universale, questa conoscenza profonda degli uomini, può volerci una vita.
            E ci sarà sempre qualche elemento irriducibile, che non torna.

          • Z. scrive:

            Peucè,

            ti dirò, per la mia esperienza essere introversi o estroversi non implica maggiore o minore agio nelle occasioni formali. Cioè, i casi che dici tu certamente esistono ma mi sembra che ne esistano anche altrettanti di segno opposto.

          • Mauricius Tarvisii scrive:

            Da introverso (-22 al test di Eysenck), nonché da timido, posso dire che effettivamente una certa formalità nelle occasioni formali mi aiuta tantissimo: è utile a non creare una fastidiosa falsa familiarità, a sapere sempre come comportarsi e a mantenere in un certo senso le distanze. Non è che sarò più a mio agio rispetto ad un estroverso, ma semplicemente si nota di meno la mia difficoltà di rapportarmi con gli altri: l’etichetta è prima di tutto uno scudo.

          • PinoMamet scrive:

            Non sapevo manco che esistesse il test.

            L’ho fatto mo’: dice che -50 è la massima introversione, +50 la massima estroversione
            (discutibile che l’estroversione venga connotata col segno “positivo”, ma vabbè)
            e 0 il perfetto bilanciamento.

            Io ho preso +10.

          • roberto scrive:

            l’ho fatto pure io e ho preso +14

            • Miguel Martinez scrive:

              Io ho dato un’occhiata, poi mi sono accorto che alla maggior parte delle domande, l’unica risposta per me sarebbe stata, “a volte sì e a volte no” per cui ci ho rinunciato 🙂

          • Z. scrive:

            Ne ho fatti tre diversi: due dei risultati sono l’uno l’opposto dell’altro, e il terzo mi mette esattamente al centro.

            Che poi, come ci ha insegnato Renzi, è esattamente il posto dove conviene stare. Finché dura 😀

          • roberto scrive:

            “l’unica risposta per me sarebbe stata, “a volte sì e a volte no”

            in effetti è vero e credo che il test vada preso come un divertissement interessante e nulla più

          • Mauricius Tarvisii scrive:

            Z è ambiverso 😉
            Probabilmente anche Miguel

          • PinoMamet scrive:

            Io sono ambistronzo e ho risposto “non so” a quasi tutto, perché in effetti non so, a volte sì e a volte no…
            ad altre domande ho risposto un po’ a sentimento del momento.

            In ogni caso credo anche io che il test valga come tutti i test, come divertissement.

            Il migliore, nel senso di più divertente, era quello “vedi cose che altri non vedono? vuoi fare il fiorista?” chissà se lo hanno cambiato… 😀

  28. Moi scrive:

    orario/giorno/mese/anno … di nascita.

    ———————————–

    Il bello è che ci sono “aggiustamenti” continui con le decadi, le cuspidi, gli ascendenti e altri cazzi e para-cazzi vari … qualcun* 😉 si avventurò con l’esser maschi o femmine (evocando il Fuoco e l’ Acqua Elementali …) ma è una moda durata poco, probabilmente per evitare la Gender Binary Stiffness Solidity o come accidenti si chiama nei Libri Elitari prima e _ mediante le Finestre di Overton … _ nelle Proposte di Legge poi !

  29. Moi scrive:

    Evitiamo per un attimo gli Ellenismi: ma … il funzionamento della Natura, dell’ Universo NON è soggettivo NON cambia a seconda dell’osservatore … e allora come può essere “soggettivo” /”relativo” il funzionamento della società (evitiamo di dire “comunità” che mi sa sempre più di Lucca Comics di Stato 😉 …) , del convivere civile fra esseri umani ?! Ci deve essere una sostanza (sociale) universale a prescindere dalla forma (di governo), o no ?

    NON è una domanda retorica … e forse l’ho anche espressa male.

    E so anche che dai tentativi ” Utopistici ” dell’ Ottocento di “matematizzare” il Sociale si sono rivelate le “Distopie” del Novecento.

    • Z. scrive:

      Nìcce l’aveva detto: meglio una brodaglia con pezzi di tutto quanto mischiati tra loro (liberalismo, socialismo, nazionalismo…) che un piatto unico con uno solo di quei pezzi. E direi che aveva ragione.

  30. Moi scrive:

    “Ho preso” 😉 … – 8 !

    Però in diverse occasioni ho messo “non so” come sinonimo di “abbastanza” … ma questa sinonimia NON corrisponde al vero ! Quindi … boh.

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      Devo confessarti che in realtà il tuo risultato non mi sorprende più di tanto. Ah, e credo confuti la teoria che ti vuole infiltrato della Digos 😀

      • PinoMamet scrive:

        mmm questa non l’ho capita: la Digos non assume i leggerissimamente introversi?

        • Mauricius Tarvisii scrive:

          Non credo che la carriera nelle forze dell’ordine attragga troppo questo genere di persone.

          • PinoMamet scrive:

            Mah… perché no?

            In fondo c’è un certo ordine, appunto, una gerarchia psicologicamente defatigante. Ti dicono persino come vestirti!

            Secondo le forze armate/forze dell’ordine attraggono sia estroversi che introversi, anche se forse per motivi opposti.

            Un po’ come tutti i lavori…

  31. Moi scrive:

    Poi credo che un Levantino “Introverso Patologico” 😉 corrisponda a un “Norreno Normale” 😉 !

    • PinoMamet scrive:

      Mah, secondo me no…

      può essere che ci siano più introversi in Nord Europa (anche se a dire il vero i nordici che ho conosciuto mi sono sembrati abbastanza casinisti) ma un estroverso è estroverso e un introverso è introverso.

      Voglio dire “preferisco stare in casa a leggere un libro piuttosto che uscire con gli amici” è uguale in Svezia e a Malta…

      • Moi scrive:

        Be’ sì, però ti ricordo che Malta è un po’ come l’ India 😀 : la popolazione autoctona presenta una piccola percentuale di gente antipatica … che se la tira da Inglese ! 😉

  32. Moi scrive:

    Però credo che lo stereotipo sia che i popolipiù estroversi sono in Africa Nera … i più introversi in Estremo Oriente (poi ti vedi certi Otaku fare robe assurde …)

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      Moi, credo che tu confonda l’introversione/estroversione con le abitudini sociali, che invece non c’entrano nulla. Gli introversi sono una percentuale molto bassa della popolazione, non coincidono con i timidi e, almeno secondo il già citato Eysenck, sono persone che semplicemente si caratterizzerebbero per una maggiore attivazione corticale (ovvero una maggiore risposta neurologica agli stimoli esterni). L’introverso quindi può divertirsi gridando e facendo scoppiare petardi (è sufficiente che lo faccia da solo o in compagnia di poche persone), mentre l’estroverso può benissimo divertirsi in una pacatissima declamazione pubblica di poesie in compagnia di una ventina di soci del club letterario.

  33. Moi scrive:

    Test a risposta chiusa : non di rado se devo scegliere fra A e B …manca C ; A, B e C … manca D ; A, B, C e D …manca E !

    … E così via 😉 ! Immagino / spero di non esser l’unico, qui. Dovrebbe essere quella roba chiamata Lateral Thinking , suppongo.

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      A volte hai solo un numero limitato di opzioni. Un test è una simulazione di una situazione in cui hai solo alcune opzioni possibili.

  34. Moi scrive:

    @ MIGUEL

    Credo che tu sia paradigmatico di come incida la contestualizzazione : NON voglio dire che con l’ esperienza Oltrarno sei passato da “Misantropo” a “Carismatico” … però quasi ! 😉 😀 🙂

  35. Moi scrive:

    Ma “Ambiverso” che vuol dire, esattamente ? Mi sembra uno di quei termini da conferenza di Gianfranco Amato 😉 …

  36. Moi scrive:

    Però, vedi … uno potrebbe dire :

    … “ExtroVerted” , “IntroVerted” ? Cos’è ‘sto Binarismo ClericoFascista ?!
    Come dite ? “AmbiVerted” ?! Bah … siete antichi, come dei “walkman” ! 😉 Io invece sono “Verted-Bender”; anzi : “Verted-Fluid” !

    E ora, per ciascuno di ‘sti 100 punteggi (anzi, 101 con lo “0” …) strolghiamo centouno neologismo AngloAmericani, mischiando allegramente Latinismi, Ellenismi e Slang da Rapper Yo-Yo Gangsta Nigga Modafucka wanna gonna gotta gotcha whaddafuck in da Ghetto “Whatchoo talkin’ ‘bout” [quot.] 😀

    • Moi scrive:

      E con ambistronzo di Pino siamo a 102 ! 😉

      PS

      In AngloAmericano Globale, come lo traduciamo ? 😉

      “AmbiAssHole” 😉 ?!

  37. Moi scrive:

    Insomma, gli USA sono cambiati parecchio dai tempi del Pragmatism di Charles Sanders Peirce (1839 – 1914) e han sviluppato degli ” UCAS ” 😉 tutti loro di portata non indifferente …

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