Animalisti con gli stivali di pelle e la menzogna fondante d’Italia

C’è una bambina di otto anni.

La nonna, italiana, la porta al circo. Un circo dove ci sono cammelli, topi, serpenti, tigri e canguri.

Bellissimo il circo, racconta la bambina.

Poi dice, “c’era gente davanti al circo con cartelli dove c’era scritto, il circo è tortura di animali.”

Con tutta l’intensità perplessa dell’infanzia credente, precisa:

“Ma lo sai che quelli con i cartelli portavano gli stivali di pelle?”

“E come fai a saperlo?”

“L’ha detto la nonna”.

Mi rendo conto che sto assistendo a qualcosa di enorme importanza, nella fabbricazione del carattere nazionale. Chi non se ne fa marchiare nell’anima, non sarà mai un Vero Italiano. Altro che Costituzione, Valori Cristiani, Resistenza o Romanità…

Innanzitutto, la nonna in questione, che è un po’ miope, non aveva alcun modo di sapere da lontano cosa portassero ai piedi i contestatori.

Quindi sappiamo che questa onesta signora se l’è inventata. Insomma, ha mentito.

Attenzione, non è stata una menzogna ideologica: la signora in questione non crede che sia fondamentale per il benessere del paese salvare i circhi, o che gli animalisti ci priveranno della bistecca fiorentina, e quindi che una piccola menzogna sia utile per una grande causa.

Anzi, è bene mettere da parte proprio ciò che gli italiani chiamano “ideologia”, perché altrimenti ci sfuggirà la natura vera di questa menzogna.

Si tratta infatti di una menzogna archetipo, che assume concretamente le forme poi dei propri pregiudizi. E’ intoccabile perché invisibile, ed è invisibile perché si nasconde dietro mille piccole sotto-menzogne, rappresentabili da frasi come queste:

Il comunista che ha i conti in banca in Svizzera

Il leghista che ha la colf filippina in nero

Il pio musulmano che beve whisky

L’ateo che vuole togliere il crocifisso in classe ma è favorevole al burqa

Il giovane estremista di sinistra che viene alla manifestazione sulla BMW

Il prete moralista che è omosessuale

Il dentista che denuncia un reddito inferiore a quello di un operaio

Il mendicante zingaro che ha la Mercedes

Lo statale che si porta il secondo lavoro in ufficio

E, come abbiamo visto, l’animalista con gli stivali di pelle.

L’accusa-archetipo è una menzogna sempre, persino quando è vera, perché viene mossa prima di avere la prova di alcunché. E’ quindi diversa dalla constatazione a posteriori di singoli casi di ipocrisia umana, che ovviamente esistono.

Ma perché una signora onesta si sente spinta a mentire davanti a una bambina di otto anni?

La prima funzione è quella di indurire le orecchie e l’animo.

Una persona mi dice che sto dando soldi a qualcuno che maltratta gli animali. Io posso riflettere su questa accusa, e decidere se accettarla oppure respingerla, o magari anche decidermi – perché no – che maltrattare gli animali è una cosa buona; ma posso anche fare una cosa più facile – dire, “io non ti ascolto nemmeno, e accuso te di essere un ipocrita”.

La seconda funzione è quella di convincere la gente sin da piccola a diffidare.

Si tratta di una diffidenza particolare: questa nonna mantiene in piedi con indefessa energia la menzogna di Babbo Natale, il grande produttore di regali che esige liste della spesa dai suoi innumerevoli clienti; e non diffida mai da ciò che sente alla televisione perennemente accesa.

Quindi la diffidenza non è generale, ma verso qualcosa di specifico.

Cioè verso persone che hanno storie diverse dalla mia, o che mi pongono davanti a cose cui forse non ho mai pensato prima.

Se l’accusa-archetipo entra in profondità, diventa un automatismo.

Ogni volta che incontriamo qualcosa di inatteso nella vita, invece di essere colti da curiosità, invece di chiederci se c’è qualcosa di vero, penseremo di avere già capito tutto. L’accusa-archetipo costituisce quindi un’educazione sistematica alla non empatia – nessuno vorrà mettersi negli stivali degli animalisti che protestano.

La natura automatica dell’accusa-archetipo ne fa una menzogna in buona fede: sorge da sola, e infatti si esprime con un tono di voce inconfondibile. E’ un tono basso, perché si sussurra un segreto; è leggermente divertito; e tradisce sempre una profonda stanchezza, perché si sta raccontando qualcosa che si è visto, o si crede di aver visto, mille volte.

E forse è per questo che sono rimasto talmente colpito, perché la bambina l’ha raccontata in tutt’altro tono: profondamente sorpresa dall’incomprensibile paradosso degli animalisti con gli stivali di pelle, che voleva capire.

Non lasciamoci integrare, mai.

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239 risposte a Animalisti con gli stivali di pelle e la menzogna fondante d’Italia

  1. Francesco scrive:

    riflessione molto interessante, e deprimente

    solo dubito che sia corretto immaginare sia qualcosa di italiano e non di almeno occidentale, giudicando da film e telefilm disponibili

    ciao

  2. Primadellesabbie scrive:

    Osservazione basic di prim’ordine, perfetto. Bravo Miguel.Se poi ti appropri del codice puoi vivere di rendita, se invece non ne tieni conto ti fai la vita difficile.

  3. Tortuga scrive:

    Il commento della nonna sembra denunciare una impossibilità di coerenza implicità nella cosa in sé.

    Gli animalisti protestano perché affermano che il circo è tortura degli animali, ma vivono in case per costruire le quali qualcuno è passato con le ruspe, e se avessero passato del tempo a contatto con la terra, la natura, la campagna, facendo qualcosa con le proprie mani ed impegnando più direttamente i propri sensi, saprebbero cosa significa il passaggio delle ruspe per l’innumerevole quantità di vite animali che sono nella terra.
    E prima delle ruspe è stata abbattuta la vegetazione.
    Probabilmente gli animalisti in questione non si pongono gli stessi problemi quando devono evitare di pestare una formica, o quando sono morsi dalle zanzare, o quando trovano uno scarafaggio in casa, e quando il loro cane viene attaccato dalle zecche … che sono animali anche loro.
    Un discorso molto lungo che certamente forse la nonna non ha la pazienza di spiegare alla nipote e finisce con un escamottage che però stimolerà la bambina a ragionare autonomamente ed approfondire.

    Non è che non sia d’accordo sul discorso dell’accusa-archetipo, ma il caso specifico non mi sembra la scelta migliore per rappresentarla.

    Anche l’empatia va contemperata con la ragione, altrimenti si rischia di lasciarsi tracinar via da qualunque cosa passi davanti ai nostri occhi per caso e di perdere anche la bussola della propria esistenza, salvo poi accorgersi che nessuno avrà avuto altrettanta empatia per noi.

  4. PinoMamet scrive:

    Però è vera la sistematica educazione alla non-empatia.

    Un paio d’anni fa sono andato a trovare la famigliola di amici neo-sposati con neo-figli, che non sapendo dove portarli si erano rassenati al più tranquillo (e brutto) mare d’Italia.
    Passa “il marocchino” e il bambino ciccio (“cinno scurzone”) dell’ombrellone vicino gli dice, con un tono davvero odioso e davvero da pensionato, con smorfietta da pensionata:
    “No, a NOI non serve niente…”

    Lo avrei preso a schiaffoni. Evidentemente qualcuno gli aveva insegnato non solo le parole, di per sè innocue (mica si può comprare a tutti i marocchini, in effetti) ma soprattuto il tono schifato e superiore: da vero piccolo colonialista, in effetti, gli mancava solo il casco di sughero e il frustino.

    Vabbè, me ne lamento con i miei amici (io sono un lamentone e un recriminone…) e salta fuori che il giorno prima il loro neo-figlio si era esibito in una prodezza del genere, non solo, che la mamma lo aveva a lungo magnificato per la sua intrapredenza (leggasi abilità a copiare).
    E parliamo di laureati e stralaureati, lei pure educatrice e psicologa!

    Ma niente, come è bello il mio bambino che dice no al marocchino, nei panni del marocchino nessuno ci si mette.

    Devono averti trattato male a te, almeno una volta, perché tu inizi a capire qualcosa. Dico davvero.

    Prendiamo le femministe: più che i contenuti, molti modi delle loro proetste mi irritano. Oppure i musulmani ecc. Ma se faccio il paragone con cose che toccano me personalmente (e che non dico qua) immediatamente le capisco e gli do ragione…

    • Tortuga scrive:

      – Però è vera la sistematica educazione alla non-empatia –

      Quello si. Assolutamente. Ma forse non è solo una questione di educazione alla non-empatia, ma negazione di valori nell’educazione.
      Vivo ormai in un mondo che non riconosco, dal quale mi sento profondamente tradita, che va in una direzione completamente opposta a quella che ho seguito, eppure ero convinta che tutti avessimo ricevuto la medesima educazione, invece mi sento profondamente estrane al mondo in cui vivo.

      A proposito di “vu cumprà” in spiaggia, questa estate un senegalese ha venduto un libricino di proverbi del suo paese a mio marito, molto carino 😉 L’unica cosa che recrimino dei vu cumprà di spiaggia è che vendono spesso cose troppo superflue che io non compro (le collanine).

    • Francesco scrive:

      l’ultimo vu cumprà a cui ho rivolto un sorriso empatico nel rifiutare la sua paccottiglia mi ha estorto un euro per il caffè, che gli ho dato più che volentieri

      perchè dal loro punto di vista ogni cedimento all’empatia è un invito a insistere

      una specie di cane che si morde la coda, solo che al ventesimo vu cumprà ti resta solo l’idea che fare la faccia stronza funziona

      ciao

      • daouda scrive:

        Bravo Francé, qua ciàvemo gente che nun capiscono come raggionano l’accattoni immigrati.
        Fatevela n pezzetto de vita coll’accattoni e poi parlate. Quelli non hanno dignità mica perché so io a dillo, ma perché NUN LA METTENO IN GIOCO co no straniero imbecille e frogio a cui vojono spillà la robba. Poi capita che ponno pure ripijalla dal taschino, ma è un favore ed un onore che fanno LORO a te, che sei un cojone.

        Semmai sò d’accordo sul copiare.

  5. Rock & Troll scrive:

    Tutto ‘sto terribile pippone quando la nonna, nella sua genuinità di donna di popolo, ha capito una cosa molto semplice, e cioè che gli animali esistono al servizio dell’uomo perché è per questo che sono stati creati, ed è impossibile fare a meno di “sfruttarli”.
    Che si facciano allevamenti per bistecche o che si abbattano i boschi per arare i campi e crescere vegetali, l’animale deve sempre farsi da parte.
    E se è così da sempre ed è inevitabile che sia così, un motivo ci sarà.
    Gli animalari, poverini, accecati da un’ideologia di odio, non riescono a riconoscere questo fatto e cercano di lavarsi la coscienza mangiando verdura (prodotta sterminando animali a iosa per arare i campi) o andando a inscenare queste ridicole proteste davanti ai circhi con l’obiettivo poi (questo veramente perverso) di indottrinare pure i bambini alle loro assurdità patologiche.
    Chissà quanto frignano gli animalari quando prendono gli antibiotici e sterminano milioni di poveri batteri nel loro corpo…

    • PinoMamet scrive:

      “con l’obiettivo poi (questo veramente perverso) di indottrinare pure i bambini alle loro assurdità patologiche”

      per puro sbaglio, suppongo, ti sei avvicinato all’argomento del post…

      • Ritvan scrive:

        —per puro sbaglio, suppongo, ti sei avvicinato all’argomento del post…(PinoMamet a Rock&Troll)—
        Beh, sai, era un pochino difficile infilarci l’antisemitismo e i “maomettani”:-):-)

        • daouda scrive:

          Non è che ci si è avvicinato. Ha semmai nascosto il punto, osssia che lo sfruttamento della natura com-porta lo sfruttamento dell’uomo.
          Gli animali vanno usati, non sfruttati ( volendo usare il termine sfruttare in senso negativo ).

          Tutto ciò deriva non solo dall’atteggiamento malsano umano, ma dalla pratica USURAIA che R&T non rigetta.

  6. mirkhond scrive:

    Sull’empatia mi sento di concordare con Tortuga.
    Quando si è piccoli e ci si apre alla vita, tutto puo’ sembrare un sogno, una favola e si è senza malizia, tutto è una meraviglia….
    Poi si cresce, e la vita con i suoi tanti, troppi calci che ti da, ti costringe ad indurirti, a scafarti, a diventare diffidente…
    Essere come bambini per entrare nel Regno dei Cieli è la cosa più difficile del mondo, perché costringe un adulto con un vissuto suo, a ritrovare la purezza, l’innocenza perduta dell’infanzia….
    Ma ciò che perso, è perso e forse solo Dio te lo puo’ ridare….
    Per questo ho una concezione escatologica zoroastriana e voglio credere in un DIO che alla fine PERDONA TUTTI, proprio in virtù di quanto detto sopra….
    Qui a parte San Francesco d’Assisi e Jam, non ho mai conosciuto o sentito di nessuno che riesce ad essere come un bambino.
    Jam poi è proprio senza peccato, e per lei tutto è puro, fiabesco, meraviglioso
    Tranne i Talebani ;), naturalmente…. 🙂

  7. Miguel Martinez scrive:

    Per Rock & Troll

    “Tutto ‘sto terribile pippone quando la nonna, nella sua genuinità di donna di popolo, ha capito una cosa molto semplice”

    A parte il fatto che la “genuina donna del popolo” in questione è stata preside di una scuola, è atea e ha sempre votato PCI 🙂

    Non vedo come il principio che gli animali vadano “sfruttati”, dimostri la veridicità dell’affermazione secondo cui i contestatori in questione indossavano stivali di pelle.

  8. mirkhond scrive:

    A proposito di empatia:

    “Almeno allo stadio lasciateci fischiare

    Dopo i cori razzisti contro Boateng nell’amichevole Pro Patria – Milan, la FIGC e il Viminale hanno deciso di varare la ‘linea dura’. Lo stesso giocatore preso di mira dai cori razzisti potrà rivolgersi all’arbitro che, in accordo col responsabile dell’ordine pubblico, potrà decidere per la sospensione temporanea ma anche definitiva della partita.

    Va da sé che il razzismo allo stadio é incivile, cretino e anche un po’ ridicolo (spesso i tifosi che contestano il ‘negher’ dell’altra squadra hanno tre o quattro giocatori di colore nella propria, il che, per la verità, attenua la gravità del fenomeno e fa dubitare che si tratti di razzismo vero e proprio).Tuttavia non sono d’accordo con la ‘linea dura’. Lo stadio di calcio non é solo un luogo di sport e di spettacolo, oggi anche, e forse soprattutto, di un business che sta svuotando questo gioco dei suoi contenuti mitici, rituali, simbolici, identitari che ne hanno fatto la fortuna per più di un secolo.E’ un’arena. Dove parte degli spettatori – non necessariamente solo i giovani – va per sfogare i propri istinti e quell’aggressività che una società moderna, civile, illuminista comprime in tutti i modi. Ma un ‘quantum’ di aggressività é necessaria all’essere umano perché fa parte della vitalità (quella vitalità che noi italiani abbiamo perduto e che ci fa cosi’ tremebondi davanti agli immigrati balcanici o magrebini che invece l’hanno conservata). L’aggressività non puo’ quindi essere completamente eliminata da una società, perché é vitale e perché, se troppo compressa, finisce poi per esplodere, all’improvviso, nelle forme più violente e pericolose, come il coperchio di una pentola tenuta troppo a lungo sotto pressione. Le società preilluministe lo sapevano benissimo e si sono ingegnate a creare istituti in cui canalizzare l’aggressività, senza annullarla, ma tenendola sotto controllo ed entro limiti accettabili. La festa orgiastica, la guerra ‘ ritualizzata ‘, (diembi) dei neri africani, ma anche il carnevale europeo durante il quale ci si poteva permettere cose proibite durante il resto dell’anno, hanno questo significato. Non é un caso che nell’antica Grecia il ‘capro espiatorio’ fosse chiamato ‘pharmako’s ‘ ,medicina. Si scaricava su di lui l’aggressività collettiva che, altrimenti, agendo all’interno della comunità l’avrebbe distrutta.

    Naturalmente noi moderni non possiamo più avvalerci di questi antichi espedienti. Ci manca anche la guerra, per noi la fanno le macchine. Ci rimane solo lo stadio. Ecco perché credo che allo stadio la violenza, finché rimane verbale, vada tollerata. Altrimenti a furia di imporre la tolleranza a tutti i costi, il ‘politicaly correct’ , le buone maniere si finisce nei delitti delle ‘ villette a schiera’ , come li ha chiamati Ceronetti, dove tutto é lindo e pulito, corretto, ma un mattino uno si alza e sbudella una mezza dozzina di vicini.

    Infine, i Paesi occidentali, con l’intrusione violenta del loro modello, hanno distrutto l’economia, la socialità, l’equilibrio delle popolazioni dell’Africa nera e le hanno ridotte alla fame. Ma di questo le ‘anime belle’ non si curano. Per loro l’Intollerabile é dare del ‘negher’ a un nero. Schifosi ipocriti.

    Massimo Fini

    Il Fatto Quotidiano, 12 gennaio 2013”

    http://www.massimofini.it

    • Rock & Troll scrive:

      Peccato che in Africa, prima che l’Europa portasse un po’ di civiltà, non esistessero né economia né socialità né equilibrio, ma solo violenza, cannibalismo, predazione, morte e legge della giungla, come tra tutti i selvaggi.

      • PinoMamet scrive:

        Compratelo, un libro di storia….

      • mirkhond scrive:

        Il clou dell’articolo di Fini però non è nel suo terzomondismo, quanto nell'”elogio della guerra”, nel BISOGNO PROFONDO che c’è nell’uomo di COMBATTERE, di GUERREGGIARE, addirittura di ODIARSI, e negarlo in virtù di buonismi e irenismi nobilissimi e utopistici, porta alle tragedie delle villette a cui si fa riferimento.

    • roberto scrive:

      fini in pasto ai leoni !

      Lo stadio di calcio E’ solo un luogo di sport e di spettacolo!
      è un posto dove andare con gli amici a bere una birra e divertirsi, dove portare i bambini, dove ammirare gente che fa cose che vorremmo fare noi.

      sfortunatamente degli imbecilli come fini stanno distruggendo (anzi hanno da tempo distrutto) tutto con l’assurda idea che una partita di calcio sia qualcosa di più di una partita di calcio.

      che sfogassero la loro aggressività facendo sport sul serio, o dando delle testate nel muro

      affanculo tutti sti decerebrati che hanno rovinato il mio divertimente preferito.

      • mirkhond scrive:

        Purtroppo sembra che OGGI, solo lo stadio di calcio sia il luogo in cui sono permessi ancora, gli “sfoghi” della violenza che l’uomo porta dentro di se….
        QUESTO E’ il senso dell’articolo dell’inoerentissimo (come tutti noi del resto 😉 ) Massimo Fini…..
        ciao!

      • Peucezio scrive:

        Ma anche lo sporto è di per sé una forma di aggressività. E’ espressione della fisicità, della competizione, della forza muscolare.
        Tra l’altro la violenza fra piccole comunità e campanili in Italia c’è sempre stata e una volta era molto più forte. Il calcio le ha dato un nuovo modo di canalizzarsi.
        Poi è vero che negli anni ’60 allo stadio non rischiavi la vita (peraltro un coro, per quanto offensivo e razzista, è una cosa ben distinta dalla violenza fisica e ci si dovrebbe preoccupare di come oggi si temono tanto le parole mentre si accettano i fatti più immondi), ma questo fa parte del degrado sociale dagli anni ’70 in poi, cioè del venire meno dei freni legati al senso della disciplina, delle gerarchie fra classi di età ecc.
        Ma non ha senso, in una società molto indulgente verso la maggior parte delle manifestazioni di violenza, che uno spettacolo basato sull’esibizione di doti di prestanza fisica e soprattutto su un sentimento di appartenenza e di contrapposizione così fortemente emotivo e simbolico (non ditemi che il tifo non è questo) ostracizzi la violenza fisica.
        Io credo che per restituire senso allo sport oggi, bisognerebbe fare una legge in base alla quale non si può concludere nessuna manifestazione sportiva se prima non ci sono scappati almeno due o tre morti.

  9. Miguel Martinez scrive:

    Per Mirkhond

    “Poi si cresce, e la vita con i suoi tanti, troppi calci che ti da, ti costringe ad indurirti, a scafarti, a diventare diffidente…”

    Forse ci vuole empatia, cioè la capacità di immedesimarsi obiettivamente negli altri, senza avere sempre simpatia, cioè il sentire “la stessa cosa”, che in effetti può portare a fregature.

    Io cerco di guardare con lo stesso distacco l’animalista e il gestore del circo, sapendo che ciascuno ha delle motivazioni proprie, che non sono quelle che la mia ostilità proietta su di loro.

    Poi faccio la mia scelta, magari combatto contro l’uno a fianco dell’altro, oppure mi oppongo a tutti e due.

  10. Guido scrive:

    Dovendo semplificare al massimo direi che PRIMA viene il mondo degli affetti, che si apprende quasi immediatamente a cominciare dalla nostra venuta al mondo, e POI viene il mondo delle convinzioni, dei “valori”, che fanno parte della comunità in cui veniamo accolti e messi in forma.
    Per questo “scegliamo” le cose in cui credere e per questo siamo alla continuamente presi nel dispositivo linguistico/simbolico che incessantemente conferma la nostra platonica e astorica identità, così difficile da scalfire attraverso il dialogo verbale e scritto…
    Tutte le nostre “convinzioni” recano il marchio di questa disposizione a voler credere solo ciò che conferma la nostra ingenua e inconsapevole adesione alle caratteristiche descritte in quella metaforica scheda personale che conserviamo con tanto orgoglio, e che difendiamo con unghie e denti. Solo una CRISI ci obbliga a ripensare la nostra posizione nel mondo, ma quasi sempre, invece di aprirci alla possibilità del diverso preferiamo risolverla attraverso la ripetizione degli schemi ideologici e dei rituali che abbiamo ricevuto e che consideriamo “naturali”.
    Per questo si può discutere solo a partire da una certa disposizione a lasciarsi contaminare, a lasciarsi “toccare” dal prossimo, altrimenti non facciamo che impantanarci in stucchevoli rituali di reciproca conferma delle nostre presunte inossidabili identità.

    • mirkhond scrive:

      Guido, tu CONCRETAMENTE riesci a comprendere, a calarti nelle ragioni e nei vissuti di chi NON la pensa come te?
      Perché un conto è fare delle belle teoriche, un altro METTERE IN PRATICA, e la vita mi ha insegnato che più elevato è l’ideale, più IRREALIZZABILE diventa il METTERLO IN PRATICA.
      Da qui le mie motivate diffidenze per le rivoluzioni, soprattutto a partire dal XVIII secolo….
      ciao!

      • Guido scrive:

        Forse mi sono spiegato male: non c’è alcun “ideale” da “mettere in pratica”. Si tratta solo, almeno per me, di affinare la consapevolezza che a monte e a valle di tante discussioni c’è un gioco di potere che va oltre e sovrasta qualsiasi presunta verità da svelare.
        Di teorico c’è ben poco e d’altra parte so di non possedere ricette per far funzionare la macchina diversamente da come già funziona. Quello che però cattura la mia attenzione è quanta parte delle nostre avversioni e attaccamenti sia il frutto di una indiscussa e indiscutibile forma di vita.

  11. mirkhond scrive:

    “Io cerco di guardare con lo stesso distacco l’animalista e il gestore del circo, sapendo che ciascuno ha delle motivazioni proprie, che non sono quelle che la mia ostilità proietta su di loro.”

    Capisco ciò che vuol dirmi e la ammiro per questa sua dote “francescana”, ma non è sempre così facile….
    Almeno non lo è per me, pur con tutti i limiti e gli esami di coscienza che mi faccio da una vita…..

  12. Miguel Martinez scrive:

    Per Tortuga

    “Un discorso molto lungo che certamente forse la nonna non ha la pazienza di spiegare alla nipote e finisce con un escamottage che però stimolerà la bambina a ragionare autonomamente ed approfondire.”

    Non sono d’accordo.

    Se volessi fare passare un concetto come quello che esprimi tu, direi eventualmente “pensa che la tigre qui forse è più felice che in uno zoo oppure in una foresta dove la possono cacciare”.

    Non insegno a vedere il male dove non c’è, mentendo su persone che comunque stanno facendo una cosa a proprie spese, che ritengono giusta.

    E guarda che il discorso vale anche al contrario, nel senso che se qualcuno sostiene, che so, che in un certo posto ci sta meglio una strada che un bosco, non affermo con certezza che il tizio se lo può permettere perché vive in una bella villa tra le montagne.

    L’abitudine alla falsa accusa, all’oscuramento mentale, alla non-empatia, alla menzogna, allo sputare addosso alle motivazioni di altri, non è una buona cosa.

    • Tortuga scrive:

      Il problema – nel caso specifico – non è nel dove starebbe meglio la tigre, ma nelle motivazioni dei protestanti che vanno a rompere i santissimi ai circensi … che – voglio dire – hanno anche loro diritto a campare.
      I manifestanti, prima di occuparsi delle tigri e degli elefanti, potrebbero magari occuparsi dei circensi.
      Quindi riguardo al “male che non c’è” non la vedo proprio allo stesso modo e sono d’accordo con il concetto che esprime l’immagine del “hanno gli stivali in pelle”.
      Con il loro protestare davanti ai bambini che vanno al circo stanno cercando di minare il rapporto di fiducia fra bambini e famiglie, gridando ai bambini che sono ingannati da chi li porta allo spettacolo e da chi lo fornisce. E questa io la trovo già una cosa piuttosto bastarda. Loro, invece, non ingannano davvero nessuno in nulla? Non so se tu ne sia convinto, io affatto. Come deve reagire, come si deve difendere una nonna che porta sua nipote al circo? Proviamo ad avere un po’ di empatia anche per lei. Lei menzoghera e santi gli animalisti? Non mi sembra che sia realmente del tutto così.

      Mah, hai scelto come esempio una causa da me poco condivisa – soprattutto nei modi e nelle misure in cui viene perpetrata – e perché ho presente “gli animalisti” che non si fanno, fra l’altro scrupolo di usare altrettante menzogne (ho assistito ad una incontro con il presidente della Lav il quale sosteneva che i cacciatori sono tutti pedofili e impotenti secondo una famosa ricerca scientifica americana), quindi riesco ad essere poco obiettiva.

      Non si insegna a vedere il male dove non c’è, ma solo perché nello specifico tu non ne vedi: però si insegna a guardare se dietro un apparente bene non ci sia sotto qualcos’altro.

      Il fatto che qualcuno faccia una cosa a proprie spese perchè la ritiene – lui personalmente – giusta, non significa nulla, bisognerebbe verificare con quali criteri la ritiene giusta.

      • PinoMamet scrive:

        ” e sono d’accordo con il concetto che esprime l’immagine del “hanno gli stivali in pelle”. ”

        va bene, ma secondo me è il punto è: li avevano davvero, ‘sti stivali in pelle, o no? 😉

        Se li avevano, la nonna aveva ragione a notare l’incoerenza del loro comportamento
        (ma anche così, non si comporterebbe poi molto diversamente dagli animalisti che critichi: gridare ai bambini che sono ingannati da qualcuno…)

        se non li avevano, la nonna aveva torto.

        Poi uno può anche dirmi che è impossibile vivere coerentemente da animalista, come fai tutto nell’altro intervento, che è un discorso diverso sul quale ci si può confrontare; in primis con gli animalisti.

        Quello che non mi va bene è invece questo stiracchiare il bambino da tutte le parti, per farselo “a propria immagine e somiglianza”.

        ciao!!

        • Tortuga scrive:

          – questo stiracchiare il bambino da tutte le parti, per farselo “a propria immagine e somiglianza”. –

          Purtroppo, se non te lo stiracchi tu, se lo stiracchiano – nel caso specifico – gli animalisti.

          E’ un po’ il discorso della religione, se non manipoli tu, lo faranno gli altri. Se non dai al tuo popolo la tua religione, qualcun’altro darà la sua.

          Intanto non stiamo dando per scontato che nessun manifestante avesse davvero gli stivali in pelle. Ma chi ce lo dice?
          Magari, invece, qualcuno li aveva davvero.
          Di sicuro noi non sappiamo se la nonna ha mentito, lo stiamo supponendo, e cioè stiamo facendo esattamente ciò che critichiamo dicendo che lei lo ha fatto.
          Di fatto è molto più facile di quanto si creda trovare animalisti con le scarpe in pelle.

        • PinoMamet scrive:

          Ma infatti io non lo suppongo, io chiedo: se avevano gli stivali in pelle o no.

          Ma Miguel fa notare un’altra cosa: la nonna stessa non poteva saperlo.

          Quindi se lo è inventata. I “suoi” animalisti “devono” avere gli stivali in pelle, e non sono molto diversi (non è che ce l’abbia con la nonna, ma il meccanismo in fondo è quello) dagli zingari che “devono” rubare o dai terroni che “devono” non aver voglia di lavorare ecc. ecc.

        • Tortuga scrive:

          Pardon “intanto noi stiamo dando per scontato “

        • PinoMamet scrive:

          Comunque da ex-stiracchiato rivendico il diritto del bambino a essere lasciato in pace!

        • Tortuga scrive:

          Beh, da ex stiracchiata alla grande e brutalmente, anch’io lo rivendico ma “anche dagli animalisti quando esco dal circo ;-)”.
          Genitori e parenti stiracchiano ma sono quelli che ti danno un tetto, da mangiare, e – si spera – un futuro: se poi non lo fanno è un altro discorso. Fuori, invece, nel mondo ci sono tante persone che vogliono tirarti di qua e di là, ma ben poco sono interessati ad occuparsi di come vivi, se potessero ti divorerebbero.

      • paniscus scrive:

        I manifestanti, prima di occuparsi delle tigri e degli elefanti, potrebbero magari occuparsi dei circensi.

        Ecco, francamente questo è uno degli argomenti più irritanti che si possano tirar fuori, e che ricorre puntualmente ogni volta che si discute di attivismo, di associazionismo e di qualsivoglia impegno visibile al pubblico.

        Ma santa pazienza, OGNI VOLTA che qualcuno sceglie di prendere un’iniziativa libera, volontaria, facoltativa, di sicuro non pagata e non recante alcun vantaggio concreto (e che anzi comporta spesso enormi sbattimenti, sacrifici personali e spese di tasca propria), e lo fa semplicemente perché ci crede e perché lo considera importante…

        …arriva regolarmente qualcuno altro e sentenzia che INVECE di occuparsi di quella causa, DOVREBBE prima pensare a quest’altra, perché è più importante e più urgente.

        “ma perché quelli che fanno la campagna contro la Nestlè, non pensano prima a boicottare le merci contraffatte dei mercatini cinesi?”

        “ma perché quelli che sostengono i diritti dei gay non pensano prima a rivendicare gli aiuti per le famiglie normali?”

        “ma perché invece di difendere i diritti degli immigrati non si preoccupano prima di far trovare lavoro ai giovani disoccupati di casa nostra?”

        “ma quelli che si sbattono tanto per l’adozione a distanza dei bambini saharawi, perché non si preoccupano prima dei nipotini della mia vicina di casa, che hanno il padre disoccupato e la madre depressa?”

        Ma qualcuno mi spiega perché mai una scelta volontaria e gratuita, presa sulla base di proprie liberissime preferenze personali, dovrebbe essere subordinata alle scale di valori (e soprattutto, alle scale di interessamento e di simpatia) di qualcun altro?

        Chiunque abbia mai fatto parte di un’associazione di volontariato o si sia mai esposto per una causa pubblica, ha sempre incontrato qualcuno (che normalmente non fa ALCUNA azione del genere), che gli rimprovera che “invece di quello”, o almeno “prima di quello”, DOVREBBE occuparsi di qualcos’altro.

        Perché mai gli animalisti dovrebbero pensare prima ai circensi? Ma che ALTRE persone, interessate ai diritti dei circensi, muovano le chiappe, mettano su un’altra associazione che si occupi di quelli, e ognuno segue la causa sua.

        Perché non cominci tu, ad esempio?

        Lisa

        • Tortuga scrive:

          Scusa me perché uno dovrebbe “pretendere” che i circensi cessino di allevare animali per lo spettacolo, senza sentirsi in dovere di pensare a con quale altro mestiere queste persone dovrebbero o potrebbero guadagnarsi da vivere?
          Perché impedire loro di “torturare gli animali” – ammesso che sia vero che fare spettacolo con gli animali implichi in sé per sé il torturali – dovrebbe essere più nobile di lasciare i circensi senza la possibilità di procurarsi un reddito per sopravvivere?

          Si avrebbe poi forse la pretesa che tutti dovrebbero sostenere una causa simile perpetrata in tale modo?

          Quando non mi stava bene che i disabili fossero abbandonati a se stessi andavo di tasca mia a fare la volontaria per i disabili insieme alle persone che la pensavano come me e che come me erano disposte ad impegnarsi, e punto, senza andare a rompere le scatole a tutto il resto del mondo.

          Se non mi sta bene che i circensi allevino animali per lo spettacolo, non ho che da spendere le mie energie per dar loro una diversa alternativa di sopravvivenza. Il motivo sufficiente per agire in questo modo è che avrei molte più possibilità di portare a termine concretamente e con successo una azione efficace.

          Io non ho detto che dovrebbero occuparsi dei circensi “al posto della causa che hanno scelto”, che dovrebbero occuparsi cioè di un’altra causa, ma che occuparsi dei circensi sarebbe una via più sensata, credibile e sostenibile anche da altri, per ottenere il loro risultato, con maggior consenso.

        • Peucezio scrive:

          Lisa, qui però non sono d’accordo.
          E’ il relativismo, anzi, direi proprio il nichilismo contemporaneo che prevede che ogni individuo atomizzato abbia le sue libere idiosincrasie e meriti, se non elogio, rispetto, anche se decide diventare attivista della difesa delle zanzare o dei pidocchi, indipendentemente da qualsiasi gerarchia di rilevanza.

        • paniscus scrive:

          Peucezio: mi dispiace, ma non riesco nella maniera più assoluta a seguire o tantomeno a condividere la tua logica.

          Innanzi tutto, per me, il fatto che ognuno sia libero di dedicarsi alle cause che gli interessano di più, e che l’individualità di ogni persona sia tutelata e valorizzata (invece di elogiare come valore etico l’imbrancarsi tutti dietro alla stessa cosa), non è affatto “nichilismo”, ma dovrebbe essere assoluta normalità… e soprattutto non è affatto “contemporaneo”, ma è una sanissima e costruttiva aspirazione che nella storia umana c’è sempre stata.

          Oltretutto, visto e considerato che qua non si stava affatto parlando di beceri interessi materiali o di volontà di sopraffazione altrui, ma di impegno gratuito e volontario per cause che non rendono nessun vantaggio venale e che comportano abnegazione, fatica e rinunce…

          …il fatto che ognuno sia libero di seguire la sua senza che nessuno debba rompergli le scatole a indicargli qual è quella “più giusta” o “più utile”, mi sembra una positivissima ventata di pensiero critico e di stimolo alla curiosità e all’empatia, piuttosto che adeguarsi al conformismo più pigro.

          E questo non c’entra nulla con la condivisione acritica di tutte quelle cause.

          Anzi, ne esistono moltissime che io non condivido affatto, e che contesto con forza.

          Vista la mia formazione scientifica, puoi tranquillamente immaginare che razza di sangue amaro mi faccia continuamente negli ambienti ecologisti, data la loro contiguità con le pseudoscienze e l’irrazionalità, che portano alcuni di loro a battaglie che considero non solo vacue, ma anche gravemente DANNOSE, come quella di chi si oppone ai vaccini o di chi sostiene le più improbabili terapie mediche alternative.

          Questo non mi impedisce, tuttavia, di empatizzare umanamente “un po’ di più” con l’antivaccinista omeopatico vegano, delle cui idee non condivido nulla, e che combatto… piuttosto che con quello che lo liquida con un’occhiata sprezzante, accusandolo di essere “un nichilista contemporaneo”, o di essere “un cretino che perde tempo invece di pensare alle cose serie

          Lisa

        • daouda scrive:

          Sti cazzi Lisa. L’animalista è un coglione, come ‘r comunista , ‘r fascio o chi altri.

          Non è un problema di scale di valori. A dilla tutta potrei pure ditte che, loro malgrado, sono degli infami che favorisscono il deterioramento del mondo.
          E nun è manco il problema de quello che “dice dice perché a nun fà n cazzo nun se sbaglia mai”. Meglio non fare volontariato e non seguire ideologie stupide e nefande piuttosto che farlo al seguito di queste.
          E’ questo ‘r sugo der discorso.

          E’ una questione di propagazione della merda. Semo vittime der fare, quanno troppe volte basterebbe solo astenersene, ma vajelo a spiegà a sti tonni…

        • paniscus scrive:

          Sti cazzi Lisa. L’animalista è un coglione, come ‘r comunista , ‘r fascio o chi altri.

          E perché, tu invece no? 🙂

        • Peucezio scrive:

          Lisa, che ti devo dire…
          Non è che in passato non esistesse l’individualità, solo che non era eretta a misura di tutto.
          In generale comunque io credo nell’influenza nefasta degli attivisti. E quanto più ci mettono “impegno gratuito e volontario per cause che non rendono nessun vantaggio venale e che comportano abnegazione, fatica e rinunce…”, tanto più nefasti sono.
          Perché per un attivista intelligente e sensato, che combatte per cause giuste, ce ne sono cento che fanno danni. E li fanno a maggior ragione perché ci mettono abnegazione e impegno, perché la vivono come una missione, perché devono redimere il mondo.
          I mali di questa terra non derivano dagli ignavi, dagli indifferenti o dai menefreghisti; derivano da chi ha la verità in tasca, da chi ha individuato il problema, da chi deve correggere le storture, da ogni messia.

        • paniscus scrive:

          Perché per un attivista intelligente e sensato, che combatte per cause giuste, ce ne sono cento che fanno danni. E li fanno a maggior ragione perché ci mettono abnegazione e impegno, perché la vivono come una missione, perché devono redimere il mondo.
          I mali di questa terra non derivano dagli ignavi, dagli indifferenti o dai menefreghisti; derivano da chi ha la verità in tasca, da chi ha individuato il problema, da chi deve correggere le storture, da ogni messia.

          Insisto e ribadisco, io la penso esattamente al contrario: ritengo che siano molto più dannosi quelli che non si scomodano a fare nulla, se non adeguarsi alla consuetudine maggioritaria, e considerano il loro modo di vivere come l’unico equilbrato, sensato e ragionevole, ritenendo “estremisti” tutti gli altri.

          Lisa

        • daouda scrive:

          Leggi però santa pupa…

          Che io sia un coglione può essere senza problema ma in quanto io sottoscritto mme medesimo, non in quanto pollo collettivo.

          DUCE!

        • daouda scrive:

          A conti fatti non la pensi poi proprio al contrario. Gli indifferenti e gli ignavi sono quelli che per antonomasia non fanno nulla, mentre quelli a cui in relatà ti riferisci indirettamente e che non citi sono quelli che remano dall’altra parte rispetto a coloro che apprezzi che ramano correlativamente dall’altra.
          Ora tralasciando la disparità di forze c’è un buon motivo per fare le cose, si dice, ma si dimentica di scrivere che COLUI IL QUALE AGISCE PER NON VINCERE E’ LUI LA MERDA.
          Uno spirituale che rinuncia al mondo ha già vinto, come chi segue una Via pur aspettando l’apocalisse. Perché? E’ proprio la risposta a questi perché che i troppi oggi rifiutano e sono troppo distratti o instupiditi per capire e comprendere. Io di giocare solo per partecipare, no grazie mi rifiuto, e considero tale chiunque non la pensi come me perché così è la realtà.Affermare che esista chi vuole perdere è come voler affermare la negatività, un’incoerenza logica.
          I tuoi sono vagheggiamenti ingenui.
          Il popolo vero tra l’altro sà per natura che si deve sottomettere, ed è questo che tu rifiuti per via dell’hybris. Che uno se ne fotta e si faccia i cazzi sua, quello è già dell’altra sponda. Ed infatti la nostra società è atomizzata, non ha una qualsivoglia parvenza di unione sociale.E’ massa, ergo non un popolo, una Ecclesia, una Ummah, un Sangha, un Varna, un Clan.

          p.s. se mi tiri fuori il concetto di ludus sei una guastafeste 🙂

        • Peucezio scrive:

          “Insisto e ribadisco, io la penso esattamente al contrario: ritengo che siano molto più dannosi quelli che non si scomodano a fare nulla, se non adeguarsi alla consuetudine maggioritaria, e considerano il loro modo di vivere come l’unico equilbrato, sensato e ragionevole, ritenendo “estremisti” tutti gli altri.

          Lisa”

          Qui probabilmente ci sono due Weltanschauung opposte e probabilmente inconciliabili.
          Io sono convinto che i guasti dell’umanità non esistano per inerzia, perché nessuno ha pensato a metterli a posto, ma che siano qualcosa di indotto, derivato da scelte precise; non necessariamente da un progetto, ma quantomeno da un orientamento, da una sensibilità.
          Poi c’è una questione diciamo esistenziale, di scelte di vita: io credo cioè che chi orienta la sua vita prevalentemente alla dimensione pubblica e sociale anziché al privato, cioè alla famiglia, agli amici, ai suoi rapporti personali, diretti, in qualche modo si alieni, perché i suoi giudizi, e conseguentemente i suoi atti, si baseranno non su conoscenza diretta (è impossibile conoscere direttamente milioni di persone) ma su una percezione mediata, astratta, teorica e in quanto tale distorta.
          Per cui mentre rispetto molto chi aiuta un singolo escluso, chessò un immigrato, un indigente, un malato grave, trovo molto meno utile, e spessissimo dannoso, chi lotta per i diritti delle rispettive categorie, perché inevitabilmente sarà portato ad applicare degli schemi, ad astrarre dai singoli casi delle generalizzazioni che sono inevitabilmente delle forzature.
          E, intendiamoci, sono il primo a farlo, almeno a livello di pensiero (non di azione), come sono il primo ad astrarre e a generalizzare, quindi non solo non do lezioni a nessuno, ma la mia è prima di tutto un’autocritica: mi interessa porre una questione di metodo.
          La vita proiettata al pubblico, al di là delle buone intenzioni, è legata a una più o meno consapevole ambizione, a una morale borghese, che persegue una rappresentazione di sé anziché una spontanea interazione con gli altri. In questo senso l’imprenditore rampante che fa i miliardi (molti di più di quelli che potrà mai utilizzare per sé, anche usando trenta macchine con la carrozzeria in oro massiccio incastonata di diamanti, una per ogni giorno del mese) non è molto diverso in fondo dall’attivista, infatti non si gode quello che ha e lavora come una bestia con la stessa abnegazione dell’attivista e schiatta di infarto a cinquant’anni, perché vive anche la propria come una missione, anche se apparentemente in nome di valori diversissimi (il guaio infatti sono i valori in sé, che sono sempre astratti).
          Non è un caso che le due figure, il rampante e l’attivista, anche più eversivo, sono complementari, dove c’è l’una c’è l’altra, esistono nelle società benestanti e progredite e non in quelle di sussistenza.

        • Peucezio scrive:

          Sia chiaro, per inciso, la mia non è una critica ai singoli casi.
          Tu, nella misura in cui ti impegni in cause in cui credi, indipendentemente dal merito che posso condividere o meno, lo fai senz’altro in modo sano, perché, per quel poco che ti conosco attraverso il mezzo telematico, so che sei una persona concreta, umana. Ma accanto ai pochi come te c’è una pletora di persone che, dietro l’apparente altruismo dell’impegno sociale, perseguono, senza neanche esserne coscienti, una forma di gratificazione narcisistica, di celebrazione di sé, di soddisfazione per il fatto di sentirsi dalla parte dei buoni, della ragione, della verità.

        • Francesco scrive:

          concordo in larga misura con Peucezio sulla preferenza dell’aiuto singolo rispetto alla battaglia per i diritti!

          anche se concordo pure con Lisa sullo scegliersi liberamente quello per cui si vuole darsi da fare, senza doversi sorbire i benaltristi

          e nel caso concordo con Tortuga sul fatto che se voglio salvare gli animali dei circhi devo anche dire cosa voglio per i circensi (la galera? la rieducazione forzata? i circhi senza animali? un posto nel parastato?)

          mi sento leggermente confuso

        • PinoMamet scrive:

          Ma i circensi non sono mica solo domatori…

          esistono da un bel po’ i circhi senza animali, che oltre tutto sono la parte più noiosa e triste dello spettacolo.

  13. mirkhond scrive:

    Sempre restando in argomento

    Ieri mi sono rivisto un film del grande attore Alberto Sordi, incentrato sulla saga del dottor Tersilli e del suo disinbito rapporto col mondo della sofferenza ospedaliera.
    Il merito di Alberto Sordi a mio parere, è stato proprio quello di portare sullo schermo, il cosiddetto italiano medio, un uomo piccolo e meschino, calcolatore e opportunista cinico e vigliacco, debole con i forti e forte con i deboli…
    Insomma il dottor Tersilli della situazione, un personaggio spregevole e proprio in virtù del nobilissimo lavoro che svolge, che DOVREBBE svolgere come un missionario della carità….
    Ora, l’indignazione che mi nasce spontanea, si ferma a riflettere nelle scene finali del film, quando il professorone paraculo e quaqqaraqquà viene mollato da tutti i suoi collaboratori, tranne dalle suore-infermiere, e si trova per la prima ed unica volta nella sua vita di medico, a cercare di fare davvero il suo mestiere, e cioè di operare una sua vecchia paziente…
    E qui Tersilli ha il CROLLO PSICOLOGICO LIBERATORIO confessando alle monache e a se stesso tutta la sua impotenza, nullità e paraculaggine, l’esser diventato parte di un sistema corrotto e corruttore, di pensare solo ad una carriera vista come prestigio baronale e non di servizio al prossimo sofferente…
    Insomma tutta una SQUALLIDA UMANITA’ davvero esistente, e non solo nella sanità…
    Ma, appunto è con QUESTA UMANITA’ che purtroppo dobbiamo fare i conti, e Alberto Sordi (come Ignazio Silone nei suoi romanzi come Vino e Pane, Ed egli si nascose e La Volpe e le Camelie) ci hanno fatto comprendere….

    • PinoMamet scrive:

      In occasione della morte della povera Melato, ti consiglio anche di guardare La Poliziotta: a parte i fantastici caratteristi Carotenuto e Gigi Ballista, c’è un meraviglioso Pozzetto biondo che interpreta un lombardo assolutamente spregevole, da antologia!

      (noto che certi fenomeni di corruzione- non solo politica, anche dei costumi- in Italia sono semplicemente eterni…)

  14. mirkhond scrive:

    errata corrige: e che Alberto Sordi ecc.

  15. Miguel Martinez scrive:

    per Rock & Troll

    Aggiungiamo gli africani alla lista dei nemici di Rock & Troll, oltre agli animali, i comunisti, gli omosessuali, i musulmani, gli ecologisti, i terzomondisti, gli indiani, le divorziate, i nazisti.

    • Francesco scrive:

      x MM

      credo che la domanda “ma cosa cavolo facevano gli africani prima che noi e gli arabi venissimo a rompergli le scatole” ponga in seria difficoltà l’uomo medio europeo e che R&T sia in parte perdonabile

      metalli?
      strade?
      scrittura?
      città?
      statue?

      se niente di tutto questo, non si riesce a immaginare e si scade nei miti sui selvaggi (cattivi o buoni)

      ciao

      • PinoMamet scrive:

        In realtà Francesco in Africa c’erano tutte le cose che hai elencato…

        • Francesco scrive:

          colpa mia: intendevo (alla R&T) Africa Nera, escludendo la sponda mediterranea ben nota

          scusate

        • PinoMamet scrive:

          Infatti io parlavo dell’Africa Nera…

        • Francesco scrive:

          potresti darmi delle fonti da studiare?

          confesso che credevo che le civiltà africane mancassero di queste cose, pur non aderendo alla tesi “vita comoda sotto l’albero di banane senza bisogno di lavorare”

          grazie

        • PinoMamet scrive:

          Metalli e statue: onestamente mi stupisce che tu non abbia mai sentito parlare dell’arte africana… probabilmente sì ma non te ne ricordi, Francè! 😉

          comunque:
          http://en.wikipedia.org/wiki/African_sculpture

          per quanto riguarda i metalli, penso che si sapesse che in Africa li estraggono da… boh? da sempre?
          particolarmente ricco d’oro so che era l’Impero del Ghana (fondato nel 300 dopo Cristo, durato fino al Medioevo).

          Strade e fortificazioni, mettile pure nel comune inventario dei vari regni e imperi africani (Ghana, Songhai, Monomotapa… ecc. ecc.)

          scrittura, a parte alcune forme simboliche Akan molto elaborate, ma scrittura vera e propria gli africani (neri) ce l’hanno perlomeno dal tempo degli Egizi: i kushiti e i nubiani, che- mea culpa- non so bene in che rapporto siano tra loro; la scrittura meroitica; i nubiani poi ebbero anche una variante dell’alfabeto greco. cioè del copto, per la loro letteratura cristiana, senza dimenticarci gli etiopi- nel caso siano troppo “bianchi” per te- che hanno la loro lingua semitica (anzi, il ge’ez che è il loro “latino” e altre lingue derivate) scritta sin dall’antichità, e la loro letteratura, e la loro arte strettamente imparentata con quella armena già dal Medioevo…
          anche la letteratura swahili risale almeno al 1600; credo si possa dire lo stesso anche della linga hausa (utilizzata nell’omonimo impero)…

          sempre che non ti piaccia l’alfabeto “berbero” segnalatoti da Miguel (utilizzato da vari popoli, anche “neri” se ti interessa…)

          ciao!!

        • Francesco scrive:

          Grazie.

          Ma qualcosa è rimasto? esistono siti archeologici africani “neri” in cui vedere qualche muro, qualche resto di queste città?

          Con tutte le menate del “revival” nero degli anni ’70 non c’è qualche professore nero di università che ha scritto “quanto eravamo fighi a costruire strade, ponti e muraglie” prima dei bianchi?

          Mica posso fermarmi al Regno africano di Pantera Nera dei Vendicatori Marvel!

        • PinoMamet scrive:

          Penso che le torri del “Grande Zimbabwe” o impero del Monomotapa o quello che era, siano piuttosto famose…
          ma ce ne sono molti altri.

          l’Etiopia dovresti saperlo da solo, Zanzibar idem, non sono molto ferrato sull’archeologia del Ghana, Khanem Bornu, impero Hausa… aho, mica si può sapere tutto!

          le piramidi di Meroe in Sudan sono visibilissime, e poi ogni museo che si rispetti ha il suo reparto di arte africana…

          per quanto riguarda il revival nero degli anni Settanta ti dai la risposta da solo:
          certo che c’erano professori universitari che la menavano sul “quanto eravamo fighi”, a volte esageravano pure un pochetto…
          (mai sentito parlare della Black Athena? “gli egiziani erano neri e i greci hanno copiato tutto dall’egitto”? ecco, questo era decisamente esagerare… 😉 )
          ma anche no, eh?

          l’afrocentrismo è un indirizzo ben rappresentato nell’università USA, comunque…

        • Francesco scrive:

          Grazie

          in effetti l’Etiopia ha un posto mentale “a parte”, anche se con poche ragioni (OK, erano cristiani ma anche pienamente africani neri)

          per il resto sfondi un velo di totale ignoranza e te ne sono debitore

          ciao

          PS a parte l’arte africana, che però rimaneva al livello “ricordini di viaggio” e robetta simile

        • Mauricius Tarvisii scrive:

          E non dimentichiamo la leggendaria città di Timbuctu, che per secoli è stata cercata dagli occidentali. Quando il suo sultano andò in pellegrinaggio a La Mecca, si dice che abbia mandato in bancarotta tutti i paesi attraversati a causa del suo scialo d’oro.

  16. Miguel Martinez scrive:

    Per Tortuga

    “Di fatto è molto più facile di quanto si creda trovare animalisti con le scarpe in pelle.”

    Può benissimo darsi.

    Come viceversa, conosco animalisti che fanno cose incredibili (e per qualcuno, magari un po’ ridicole) per cercare di essere coerenti fino in fondo.

    Ma il punto non sono gli animalisti o l’animalismo, che è semplicemente stato lo spunto che ha innescato il ragionamento.

    Il punto è il meccanismo universale riassumibile nel concetto, “tu predichi X, ma fai Y”, dove il fatto che si predichi X è l’unica prova che si faccia Y.

    E vale anche per situazioni opposte. Se io vedo un medico che pratica la vivisezione, non dico “ma lui sul proprio gatto non li fa gli esperimenti!” perché non so se ha un gatto, e se ce l’ha, magari ci fa gli esperimenti.

    • daouda scrive:

      Un animalista coerente è un coglione visto che la sua è una pseudo dottrina. E’ quindi buono prenderlo per il culo.E’ questo fondamentale per capire come ogni categoria vada presa , in fondo, per il culo, e che l’unico modo coerente è quello che esula dal categoriale, ossia l’Universale, e quindi solo fedeli ai principi si può criticare quell’attegiamento che fà perdere “in intensità, in bellezza, in novità, in solidarietà […] una sorta di conservatorismo del nulla-da-conservare, perché – come giustamente dice Andrea, le sue radici sono scettiche: si conserva, cioè, la festa del battesimo, ma se ne rifiuta la fede.” perché nei principi c’è tutto, a rigore.

      Sennò come al solito, viva Max Stirner e Lautreamont as usual.

  17. Valerio Mele scrive:

    “Non lasciamoci integrare, mai”.

    E’ importante anche non farsi disintegrare… (nel senso che occorrerebbe un criterio nell’agire, degli strumenti, “hardware” costruito secondo altre regole rispetto all’odiato rapporto sociale che ci ha fabbricato, una via di uscita, uno sviluppo concreto oltre le teorie, che prescinda da resistenze e conflittualità).

  18. Tortuga scrive:

    – Il punto è il meccanismo universale riassumibile nel concetto, “tu predichi X, ma fai Y” –

    Estrapolato dal caso specifico, nel quale secondo me intervengono molti altri fattori, per la considerazione del meccanismo generale ovviamente sono d’accordo.

    Anche a me è stato messo in testa che predicare qualcosa (il bene) che non si applica (e razzolare il male), sia una sorta di inganno.
    E sono arrivata alla conclusione che non sia corretto.
    Si può non riuscire a realizzare un bene, ma almeno non scendere al compromesso di cessare di considerarlo tale.
    Quindi a patto di non nascondere la propria realtà personale, incapacità ed impossibilità di adeguarsi, anche chi razzola male o perché costretto o perché non sa far di meglio, ha il sacrosanto diritto ed anche dovere di predicare il bene che equivale a non privare di nuove possibilità le generazioni future.
    Ma una cosa è predicare bene, un’altra è accusare gli altri di non riuscire a realizzarlo (sarei dalla parte degli animalisti se si prodigassero praticamente ad offrire un’altra sistemazione ai circensi ed ai loro animali). Neanche chi lo predica e lo pratica dovrebbe sentirsi in diritto di accusare chi non riesca a fare altrettanto dal punto di vista pratico.
    Il problema del predicare è il come, e trovo che il modo più sensato sia il fare (es. offrire una sistemazione ai circensi ed ai loro animali).
    Il problema è sempre nel predicare la virtù senza che questo inneschi la persecuzione del “peccatore”, perché nel momento in cui si innesca questo effetto collaterale la predicazione è fallita.

    Indubbiamente sarebbe bello, nonostante i fallimenti, riuscire a mantenere alti gli ideali, cosa che – se non altro – credo ci tenga sempre aperta almeno la speranza.

    (Quando però gli inevitabili fallimenti sono resi troppo amari, l’impossibilità di sopportare la delusione comporta anche la rinuncia a continuare a coltivare ideali.)

  19. roberto scrive:

    post molto interessante.

    due cose d’istinto

    1. esito sempre a fare sociologia sulle chiacchiere delle persone, che di sciocchezze ne diciamo tutti dalla mattina alla sera (sciocchezze intendo cose dette cosi’ per dire, senza nessuna riflessione, delle quali ci si pente appena ci si siede a riflettere). nel caso magari la nonna aveva semplicemente fretta, poca voglia di discutere con una ottenne curiosa, voleva tornare a casa che il circo è deprimente per gli adulti quanto esaltante per i bambini, era infastidita dai contestatori…chissà

    2. la menzogna archetipo è antipatica tanto quanto l’abitudine (non solo italica) di girare con il dito alzato pronti a dare lezioni a tutti su tutto. cosa c’è di più umano che mandare a quel paese il Sig. Coerenza che non esita a romperti le scatole a tradimento fondamentalmente perché TU non sei coerente? l’umanità non è fatta da santi e i santi stanno un pochino antipatici finché sono in vita

    ammetto che sarei mille volte più disponibile a discutere dello sfruttamento degli animali da circo, tranquillamente seduto in poltrona, con qualcuno che mi spiega gentilmente le sue ragioni che in mezzo alla strada con qualcuno che ti urla “torturatore di animali”

    (e anche questo rientra nella questione empatia, solo che è visto dal lato opposto)

  20. Miguel Martinez scrive:

    Per Tortuga

    “I manifestanti, prima di occuparsi delle tigri e degli elefanti, potrebbero magari occuparsi dei circensi.”

    Io sono un messicano che abita nell’Oltrarno.

    Mi faccio in quattro per l’Oltrarno e non alzo un dito per i messicani in Italia.

    Ora, mi immagino che chi non sopporta le cose che facciamo qui in Oltrarno, potrebbe dire, “perché Martinez invece di occuparsi dell’Oltrarno non si occupa dei messicani senza documenti e disoccupati in Italia?”

    Ma se lo facessi, voilà…

    “Perché Martinez invece di occuparsi di questi extracomunitari disgraziati, non si occupa invece dell’Oltrarno, che di problemi ne ha tanti?”

    • Tortuga scrive:

      Come Paniscus, hai confuso il merito dell’obiezione, che probabilmente non era chiara.

      Io non intedevo che alla causa animalista fosse da preferirne un’altra.
      Non obietto il merito della causa: diminuire lo sfruttamento e la sofferenza degli animali (sempre ammesso che allevare ed addestrare animali per lo spettacolo con modi appropriati e corretti sia davvero riprovevole). Obietto il metodo ed il modo di condurre la causa pretendendo che siano di fatto altri a risolverla ed il fatto che la scala di valori che sia viene a creare sia condivisibile.
      La mia era un’obiezione di metodo, peraltro nel caso specifico, cioè un’obiezione non applicabile tout court a qualunque situazione.

      Delle persone pongono un problema, in un certo modo, ovvero andando a manifestare – se non ho capito male – all’uscita dello spettacolo innanzi alle famiglie che portano i loro figli e nipoti al circo.

      Ma non si stanno occupando di tutti gli aspetti del problema, anzi non se ne stanno occupando affatto, chiedono solo che altri a proprio discapito e sulla propria pelle rispondano ad una loro richiesta o pretesa.

      La soluzione del loro problema, del problema che vedono loro, ne porta infatti degli altri.
      Il problema ricade immediatamente altrove: i circensi non possono cessare quella attività perché costituisce l’unico modo che hanno per lavorare, avere una attività indipendente, procurarsi un reddito, sopravvivere.

      Protestano e fanno richieste, ma questo non porta ad una soluzione del problema nella sua complessità.
      La supposta sofferenza degli animali si genera nel momento stesso in cui una comunità di persone non è in grado di trovare attività alternative per la propria sopravvivenza o modi alternativi e più accettabili di svolgere il proprio mestiere.
      Per cui ottenendo il risultato di evitare sofferenza agli animali (ammesso che sia preferibile per loro vivere nel loro stato naturale) comporta un porre in condizioni di sofferenza degli esseri umani.

      Sempre ammesso, ripeto, che allevare ed addestrare animali per lo spettacolo in modo corretto sia una cosa davvero tanto riprovevole.
      Una volta lo si faceva per coadiuvare il lavoro pesante, di trasporto, ed agricolo. Oggi non si usa più l’aratro tirato dai buoi ma i trattori, non si “sfruttano” più gli animali, ma si sfrutta altro.

    • Peucezio scrive:

      Questa è un po’ la storia del vecchietto, il bambino e l’asino.

      • Tortuga scrive:

        Non la conosco!

        • PinoMamet scrive:

          Se è la stessa, io la sapevo così (la raccontava mia nonna):

          un vecchietto, un bambino e un asino girano per i paesi per i fatti loro.
          All’inizio il vecchietto è in groppa all’asino, e il bambino a piedi; la gente “guarda quel brutto vecchiaccio, lui sta comodo in sella e il bambino lo fa andare a piedi! laido sfruttatore”
          allora si cambiano di posto; prossimo paese, la gente “guarda che bambino snaturato, lui bello fresco in groppa all’asino, e il vecchietto poverino che va piedi!”
          visto che non va bene neppure così, decidono di salire entrambi sull’asino: “guarda quei due come sono malvagi, ammazzeranno quel povero asino, uno dei due non potrebbe andare a piedi??”;
          nuovo cambio, il vecchio e il bambino entrambi a piedi: “guarda quei due scemi, hanno un asino e vanno a piedi…”

          😉
          (credo sul blog sia apparsa diverse volte, probabilmente una volta in versione albanese 😉 )

        • Ritvan scrive:

          —-(credo sul blog sia apparsa diverse volte, probabilmente una volta in versione albanese:-) ) PinoMamet—
          Io credo che sia stata raccontata qui la prima volta in versione albanese:-) dal sottoscritto…poi, magari qualcuno ha aggiunto che c’era la stessa versione anche in italiano. Tanto per la precisione:-).

        • Peucezio scrive:

          Io prima ancora l’avevo letta in materano.

        • Francesco scrive:

          bellissima storiella!

  21. Miguel Martinez scrive:

    Per roberto

    “esito sempre a fare sociologia sulle chiacchiere delle persone,”

    Giustissimo. Solo che conosco piuttosto bene le persone in questione, e quindi posso dirti che fanno parte di un ampio contesto, sicuramente non tutto negativo.

  22. Miguel Martinez scrive:

    Per roberto

    “ammetto che sarei mille volte più disponibile a discutere dello sfruttamento degli animali da circo, tranquillamente seduto in poltrona, con qualcuno che mi spiega gentilmente le sue ragioni che in mezzo alla strada con qualcuno che ti urla “torturatore di animali””

    Voglio che sia chiaro che questo NON è un post sull’animalismo, che in sé è del tutto irrelevante.

    Detto questo, mi lascio irretire anch’io nel discorso, notando un meccanismo interessante.

    Domanda: è lecito sfruttare o no gli animali per puro divertimento?

    Le risposte possono essere sostanzialmente due, o sì o no.

    Ora, io non so se Rock & Troll sia appunto un troll o no, ma su Internet contiamo per ciò che diciamo, non per ciò che siamo. E lui fa un discorso chiaro e coerente su questo tema. Dice, sì, è lecito sfruttare gli animali.

    Gli altri invece mi sembra che facciano una serie di discorsi mirati a sfuggire a questa unica domanda fondamentale: cioè fanno commenti sullo stile degli animalisti, sui loro presunti eccessi, sui toni sopra le righe, su altre cose più importanti cui potrebbero dedicarsi e amenità varie.

    Una variazione più colta sul tema, “gli animalisti portano gli stivali di pelle”, insomma.

    Cose del tutto irrilevanti, perché non di animalisti stiamo parlando, ma di animali e dei loro diritti o non diritti.

    Ditemi se non si tratta di un modo di conservare lo status quo (cioè lo sfruttamento, giusto o meno, degli animali) scaricando la colpa della nostra decisione su eventuali eccentricità caratteriali di quei quattro gatti di animalisti militanti.

    Che poi la nostra decisione deve essere una colpa, altrimenti l’assumeremmo con orgoglio, come fa correttamente Rock & Troll.

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Martinez

      ”scaricando la colpa della nostra decisione su eventuali eccentricità caratteriali di quei quattro gatti di animalisti militanti”

      Ma è precisamente questa la faccenda importante, Miguel.

      Anzi, oso sviluppare il punto: è precisamente questo il carattere distintivo, che per me è un vero e proprio vantaggio competitivo rispetto agli altri popoli, degli Italiani.

      Quegli Italiani alla psicologia dei quali tu -giustamente- attribuisci la ‘bugia automatica’ detta dalla nonna alla bambina.

      Inoculando comunque alla bimba il sospetto sulla verosimile malafede/ipocrisia dell’animalista, la nonna ha trasmesso alla bambina quella che è la salutare eredità di secoli di storia Italiana: il disincanto. (Non conta che nella fattispecie l’animalista non sia magari in malafede; prima o poi un imbroglione in malafede la bambina lo beccherà).

      A un Italiano sembra semplicemente incredibile, ma uno Statunitense può davvero credere al profeta che gli promette la fine del mondo per martedì prossimo. E se invece di essere un contadino della Bible Belt è un sofisticato intellettuale di New York riderà del profeta ma immancabilmente crederà ai Corpi della Pace o a qualche altra incarnazione del Destino Manifesto, magari anche solo per sfilare con Occupy Wall Street.

      E così un Russo può credere alla Terza Roma, un Tedesco al Drill, un Giapponese al Vento degli Dei, un Inglese al Rule Britannia.

      Un Italiano è vaccinato dalla sua stessa storia, personale, familiare, di villaggio e di quartiere, contro queste fedi.

      Il disincanto è la più efficace profilassi per la sanità mentale che si conosca, e noi Italiani ce l’abbiamo almeno dai tempi della Magna Grecia; anzi, magari anche da prima, a giudicare da certe scene dipinte nelle tombe Etrusche.

      L’Italiano è uno scettico nato. Troppo laicista per fare del laicismo una religione, troppo scettico per l’abbandono radicale di ogni padrino ultraterreno, troppo razionale per essere razionalista, troppo pagano per essere un fanatico, troppo abituato a curare il proprio aspetto -anche i poveracci- per non guardarsi allo specchio e non ripetersi sottovoce: ‘ma quanto sei fesso!’. (Devo quest’ultima osservazione al grande Guareschi, che mi è caro).

      Epicureo in sommo grado, può essere solidale precisamente perché incapace di credenze troppo radicate: è dove entra la lealtà che fugge la pietà.

      Ecco come un Italiano ne riconosce immediatamente un altro sotto tutte le latitudini, a prescindere dal passaporto: alla stessa maniera con cui un sano di mente ne riconosce subito un altro in una corsia di alienati.

      Ecco perché siamo sopravvissuti.

      Ecco perché sopravvivremo.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

      • nic scrive:

        “Inoculando comunque alla bimba il sospetto sulla verosimile malafede/ipocrisia dell’animalista”

        E soprattutto inoculando il sospetto sulla malafede della stessa nonnina, imparando che se vuole tornare a vedere il circo, gli animalisti ‘sti stivali di pelle ce li avevano davvero.
        <>

      • Peucezio scrive:

        Andrea, questo è un commento che mi è piaciuto molto e che condivido profondamente.
        Poi non escludo che la storia degli stivali possa essere vista sotto un’altra ottica, che non sia questa, ma indipendentemente da ciò, il discorso sugli italiani è ineccepibile.

      • amousonny scrive:

        AndreaDiVita ha scritto:
        “Il disincanto è la più efficace profilassi per la sanità mentale che si conosca, e noi Italiani ce l’abbiamo almeno dai tempi della Magna Grecia; anzi, magari anche da prima, a giudicare da certe scene dipinte nelle tombe Etrusche. ”

        Potresti espandere? A quali scene ti riferisci?

        Grazie 🙂

        • Andrea Di Vita scrive:

          Per amousonny

          ”scene”

          Quelle conviviali. Non sono molte le civiltà in cui il defunto si fa dipingere nella sua tomba mentre sta a tavola. Di solito sulla soglia dell’aldilà o prega, o marcia in trionfo, o affronta il giudizio divino. La cosa importante per gli Etruschi è saper stare a tavola. (E per i Lucani il saper tuffarsi in piscina: la metafora atletica della morte a Paestum è unica, la trovavi solo in Italia). Verosimilmente gli Etruschi non intendevano dimostrare agli Dei di non avere l’abitudine di scaccolarsi, ma semmai indicare che si è disposti a condividere la propria condizione umana con gli altri. C’e’ una tomba dove il marito, sorridente, sta sdraiato sorridente dietro la moglie. Non ti dico i doppi sensi che ispira: a me, ai miei antenati prima di me.

          Ciao!

          Andrea Di Vita

      • Francesco scrive:

        l’eccesso di disincanto è una malattia mortale

        e credevo gli italiani fossero dei poveri ingenui incantati della TV e dal perfido Berlusconi

        di certo sono stati incantati da Wanna Marchi e dai venditori di numeri del lotto

        PS fortuna che ci sono stati i partigiani e i soldati dell’esercito del Sud, dopo il 1943, rari casi di italiani non disincantati.

    • roberto scrive:

      “Voglio che sia chiaro che questo NON è un post sull’animalismo, che in sé è del tutto irrelevante”

      si in effetti, io volevo parlare più che altro della questione dell’empatia.

      la mai idea è che c’è momento e momento per essere empatici, e il fato di non capirlo è probabilmente la cosa che si può rimproverare agli animalisti del tuo caso: chi fra le persone che escono da un circo sta a sentire volentieri delle persone che li rimproverano di aver partecipato ad un orrendo delitto?
      fossi negli animalisti manifesterei appena ci sono gli annunci per il circo, prima che la gente decida se andarci o no

    • Ritvan scrive:

      —Domanda: è lecito sfruttare o no gli animali per puro divertimento? Le risposte possono essere sostanzialmente due, o sì o no. Miguel Martinez—-
      Mmmmm, e l’italico “nì” non lo conosci?:-). Mi spiego meglio: forse bisogna fare la domanda giusta per ottenere la risposta giusta. A cominciare dal dare una chiara definizione, parlando di animali, del termine “sfruttare”, un termine mutuato – e applicato con lo “stampo” a soggetti diversi da quelli per cui è stato coniato -da certe ideologie antikapitalistiche ottocentesche, hai presente? Allora, cosa vuol dire “sfruttare gli animali”, farli lavorare 18 ore al giorno, lasciarli affamati e denutriti, non pagare loro i contributi previdenziali:-) o cosa?
      Poi, noto che scrivi “per puro divertimento”…e capisco che non sei contrario a che gli animali LAVORINO per l’uomo e vengano addestrati per questo, p.es. come i cani da valanga nei biekissimi paesi kapitalisti:-) o come animali da traino/soma nei Gloriosi Paesi Del Terzo Mondo. Allora cosa c’è per te di così spregevole nel “puro divertimento” dei bambini?

      —Ora, io non so se Rock & Troll sia appunto un troll o no, ma su Internet contiamo per ciò che diciamo, non per ciò che siamo. E lui fa un discorso chiaro e coerente su questo tema. Dice, sì, è lecito sfruttare gli animali.—
      Vedi sopra sul significato di “sfruttamento”…

      —Gli altri invece mi sembra che facciano una serie di discorsi mirati a sfuggire a questa unica domanda fondamentale: cioè fanno commenti sullo stile degli animalisti, sui loro presunti eccessi, sui toni sopra le righe, su altre cose più importanti cui potrebbero dedicarsi e amenità varie.—
      Io no, come vedi, ma non mi sognerei mai di imporre a qualcuno un commento come lo voglio io…però, è pur vero che io non sono Il Padrone Di Casa qui!:-)

      —Una variazione più colta sul tema, “gli animalisti portano gli stivali di pelle”, insomma. Cose del tutto irrilevanti, perché non di animalisti stiamo parlando, ma di animali e dei loro diritti o non diritti.—
      Mi pareva vagamente:-) che nel tuo post si parlasse ANCHE di animalisti…..

      —-Ditemi se non si tratta di un modo di conservare lo status quo (cioè lo sfruttamento, giusto o meno, degli animali)—-
      Arivedi sopra sullo “sfruttamento”.

      —-scaricando la colpa della nostra decisione su eventuali eccentricità caratteriali di quei quattro gatti di animalisti militanti.—-
      Non mi pare che qualcuno abbia sostenuto che bisogna “sfruttare” gli animali per fare un dispetto a “quei quattro gatti di animalisti militanti”.

      —-Che poi la nostra decisione deve essere una colpa, altrimenti l’assumeremmo con orgoglio, come fa correttamente Rock & Troll.—-
      Per quanto riguarda me nessuna colpa: sono un medico veterinario e, pertanto, sono per forza:-) “dalla parte degli animali” (e per favore, qui non mi giocare la “Dr. Mengele Card”, eh!:-) ), ma non vedo nulla di male se gli animali si guadagnano la pagnotta facendo divertire i cuccioli umani, purché vengano rispettate le esigenze alimentari, nonché quelle etologiche (se non sai cosa sono queste ultime, dimmelo che te lo spiego) dei suddetti animali.

      • roberto scrive:

        anche se non ei un etologo, da veterinario cosa ne pensi degli animali nel circo?

        • Ritvan scrive:

          —anche se non sei un etologo, da veterinario cosa ne pensi degli animali nel circo? roberto—-
          Mmmm…mi sa che non hai letto fino in fondo il mio commento:-)…ti reincollo il finale che è la risposta che chiedi:
          “…non vedo nulla di male se gli animali si guadagnano la pagnotta facendo divertire i cuccioli umani, purché vengano rispettate le esigenze alimentari, nonché quelle etologiche (se non sai cosa sono queste ultime, dimmelo che te lo spiego) dei suddetti animali.”.
          E mi pare che nei circhi gli animali facciano, appunto, divertire i cuccioli umani….

          Ciao

        • roberto scrive:

          si l’avevo letto, ma scrivendo “da veterinario” intendevo dire:
          secondo te gli animali soffrono? si divertono? si annoiano? sono indifferenti? vogliono bene ai loro domatori? (ok, lo so sono categorie di sentimenti umani, ma si puo’ in qualche modo provare a determinare se al delfino piace giocare con la palla o alla tigre saltare nel cerchio infuocato?)

          ovviamente mi riferisco al caso di animali trattati bene, che è evidente che se chiudo una tigre in una gabbia grande come una scatola di scarpe tanto felice non sarà

        • Ritvan scrive:

          —-si l’avevo letto, ma scrivendo “da veterinario” intendevo dire: secondo te gli animali soffrono? Roberto—
          Certo che soffrono e non solo secondo me.

          —si divertono? si annoiano? sono indifferenti?—
          Sì, gli animali hanno dei sentimenti.

          —vogliono bene ai loro domatori?—
          Dipende, credo…sta al domatore farsi voler bene, oltre che farsi rispettare.

          — (ok, lo so sono categorie di sentimenti umani, —
          No, il paragone non è sbagliato, i sentimenti degli animali sono molto simili ai nostri.

          —ma si puo’ in qualche modo provare a determinare se al delfino piace giocare con la palla o alla tigre saltare nel cerchio infuocato?) ovviamente mi riferisco al caso di animali trattati bene, che è evidente che se chiudo una tigre in una gabbia grande come una scatola di scarpe tanto felice non sarà.—
          Beh, visto che, come abbiamo già detto, i nostri sentimenti sono simili, si fa prima a chiedere all’operaio se gli piace lavorare nella catena di montaggio…o per restare nel circo, al trapezista se gli piace volteggiare nell’aria senza una rete di protezione sotto:-). Sì, lo so, a ‘sto punto tu probabilmente mi diresti che l’operaio non è costretto da qualcuno con la frusta in mano a farlo e idem per il trapezista, ma allora il discorso si allargherebbe, visto che nessuno chiede il consenso informato:-) al proprio cane/gatto prima di castrarlo e non mi risultano animalisti che protestano davanti alle cliniche veterinarie dove tali operazioni si svolgono quotidianamente.

  23. paniscus scrive:

    Tortuga:

    Con il loro protestare davanti ai bambini che vanno al circo stanno cercando di minare il rapporto di fiducia fra bambini e famiglie, gridando ai bambini che sono ingannati da chi li porta allo spettacolo e da chi lo fornisce. E questa io la trovo già una cosa piuttosto bastarda.

    Io non ero presente alla scena, ma qua non si è parlato di persone che si intromettono personalmente nel rapporto tra bambini e famiglie, strattonando i bambini o rivolgendosi direttamente a loro, e predicando con toni apocalittici: “Ma non lo sapevi che tua nonna ti ha mentito?”

    Si è parlato esclusivamente di persone che stazionavano in un luogo aperto al pubblico (che è un diritto di chiunque), mostrando cartelli e striscioni (che non sono vietati), sui quali c’erano delle scritte (che saranno state opinabili quanto si vuole, ma che di sicuro non contenevano nulla di illegale o di osceno).

    Ossia, quei bambini sono semplicemente venuti a contatto con persone che, liberamente e legalmente, hanno un’idea del circo diversa da quella dei propri familiari, e la esprimono in pubblico.

    Questo significa “minare il rapporto di fiducia tra genitori e figli”?

    L’unico modo per mantenere sano questo rapporto di fiducia sarebbe quello di non esporre mai i bambini a nessuna opinione diversa da quelle professate in famiglia, e tenerli all’oscuro dell’esistenza di punti di vista diversi, altrimenti si sconvolgono? Ma guardate che questo confronto e questa “contaminazione” avvengono regolarmente, tutti i giorni… a scuola, al parco, in palestra, in visita agli amici, per non parlare della televisione e della pubblicità.

    Sarebbe come se un genitore non credente, che non ha battezzato i figli e li educa da laici, si indignasse perché qualche compagno di scuola ha osato raccontare a suo figlio che lui invece va in chiesa.

    E dove sta il problema?

    I figli dei laici, frequentando altra gente, vengono a sapere che esistono anche i credenti, e ne prendono atto; i figli di non fumatori, che non hanno mai visto una sigaretta in casa, mettendo il naso fuori vengono a sapere che esiste anche gente che fuma… e i figli di genitori-che-li-portano-al-circo vengono a sapere che esistono anche persone contrarie al circo, appunto, dove sta il problema?

    Se un genitore o un nonno trova inaccettabile che il proprio pargolo, nel fare una passeggiata fuori, possa imbattersi nella visione disturbante di qualcuno che non la pensa come loro o che esprime un’idea che loro trovano bizzarra e inopportuna, l’unica possibilità sarebbe quella di tenerlo chiuso in casa isolato da tutto il resto del mondo, magari non mandandolo nemmeno a scuola.

    Ma per la miseria, qualcuno davvero che i bambini siano così drammaticamente deboli e indifesi da sconvolgersi irreparabilmente se vengono a conoscenza dell’esistenza di opinioni, modi di vivere e tradizioni diverse da quelle abituali per loro? Ma che immagine triste e misera dell’infanzia, sul serio…

    Lisa

    • Tortuga scrive:

      Il tuo discorso fila, solo che la mia risposta era a Pino che obiettava sulla nonna che aveva “stiracchiato” la nipote, cui rispondevo annotando che uno stiracchiamento si opponeva semplicemente ad un altro stiracchiamento, per cui non vedo in ragione di cosa uno dei due stiracchiamenti dovesse essere più legittimo di un altro.
      Se – in quanto stiracchiamento – lo è uno lo è anche l’altro, altrimenti occorre trovare un criterio superiore per giudicare uno più legittimo dell’altro.

  24. Miguel Martinez scrive:

    Per Tortuga

    “Quando non mi stava bene che i disabili fossero abbandonati a se stessi andavo di tasca mia a fare la volontaria per i disabili insieme alle persone che la pensavano come me e che come me erano disposte ad impegnarsi, e punto, senza andare a rompere le scatole a tutto il resto del mondo.”

    Attività senz’altro degna di lode.

    E se invece avessi trovato un centro per disabili che esibisce a pagamento vari freak (come li chiamavano nel mondo circense di una volta), esponendoli al pubblico ludibrio, picchiando quelli che non collaboravano, avresti fatto la volontaria “senza andare a rompere le scatole”, o avresti rotto le scatole al resto del mondo?

    E in caso, avresti sentito che il tuo primo dovere fosse quello di fare smettere l’attività che non ti piaceva, oppure avresti pensato che il tuo primo dovere fosse quello di trovare un’attività alternativa e altrettanto retribuita per gli sfruttatori di disabili?

    • Tortuga scrive:

      Anche qui stai paragonando due situazioni imparagonabili.
      E’ vero che stiamo parlando del metodo, ma il metodo ed il merito non sono del tutto disgiunti.

      Innanzitutto si possono allevare ed addestra animali senza far loro alcun male ed offrendo loro in cambio molto più di quanto danno e si prende loro.

      Ma l’unica risposta al quesito che poni è allora in un’altra domanda:
      per salvaguardare il benessere e la vita di un animale riterresti tuo dovere cessare di mangiare carne o non dare omogeneizzati di carne ai tuoi figli?

      Questo dipende dalle scale di valori che ciascuno ha, e che – a quanto pare – sono molto diverse e poco condivise.

      Nel caso che indichi è chiaro che cambierebbe la priorità.
      Ma nel caso che stiamo trattando vi sono diversi gradi di priorità molto diversi.

      Personalmente, qualcunque causa si perori, è importante avere chiara la scala di valori e di priorità. Diversamente semplicemente si fallisce il risultato.

      • paniscus scrive:

        Ma l’unica risposta al quesito che poni è allora in un’altra domanda:
        per salvaguardare il benessere e la vita di un animale riterresti tuo dovere cessare di mangiare carne o non dare omogeneizzati di carne ai tuoi figli?

        Questo dipende dalle scale di valori che ciascuno ha, e che – a quanto pare – sono molto diverse e poco condivise.

        Io per esempio sono contrarissima a dare ai bambini gli omogeneizzati in generale, che siano di carne o no 🙂

        Frullare in casa gli stessi alimenti freschi che si comprano per gli adulti (e che magari per gli adulti si cucinano in altro modo), pare brutto?

        Lisa

        • Tortuga scrive:

          😀

          Occhio che gli animalisti supervegetariani vegani vogliono allegare i loro figli senza carne (in questo senso citavo gli omogeneizzati 😉 )

        • Peucezio scrive:

          Altro che dottor Spock e altre stupidaggini, se generazioni di mamme (cosa impossibile per ragioni anagrafiche) si fossero ispirate a te, a quest’ora avremmo un’umanità molto più sana.

        • paniscus scrive:

          Peucezio: ti ringrazio per l’apprezzamento, ma veramente la stragrande maggioranza delle generazioni di mamme di tutti i tempi ha sempre fatto quello che ho descritto io, quindi non è che si fossero ispirate a me, semmai sono io che mi sono ispirata a loro.

          La “moda” degli omogeneizzati industriali ha riguardato solo una fase abbastanza anomala corrispondente a una generazione o due, confrontata con centinaia di generazioni precedenti… quindi dubito che abbia fatto in tempo a improntare lo sviluppo sanitario e sociale dell’intera umanità!

          Lisa

        • Peucezio scrive:

          Beh, ma ammesso che sia così (e temo tu veda la cosa troppo ottimisticamente) nel tuo caso non è solo questo, è tutta la tua concezione (applicata) della maternità, per quel poco che ne so, che è più sana.

  25. mirkhond scrive:

    Questa discussione conferma ampiamente quanto l’empatia teorizzata ed auspicata dagli ottimi Guido e Miguel Martinez, sia soltanto un’utopia…..

  26. Miguel Martinez scrive:

    Per Tortuga

    “Delle persone pongono un problema, in un certo modo, ovvero andando a manifestare – se non ho capito male – all’uscita dello spettacolo innanzi alle famiglie che portano i loro figli e nipoti al circo.

    Ma non si stanno occupando di tutti gli aspetti del problema, anzi non se ne stanno occupando affatto, chiedono solo che altri a proprio discapito e sulla propria pelle rispondano ad una loro richiesta o pretesa.”

    Partiamo sempre da una premessa: stiamo discutendo del metodo, e non del valore in sé della causa animalista (potrebbe anche avere ragione Rock & Troll, come dicevo).

    Non è affatto vero che un movimento, di poche persone e con pochissimi mezzi, che contesta ciò che ritiene un male debba pure trovare tutte le alternative, quando il mondo è pieno di istituzioni più competenti per occuparsi di queste cose.

    Quando la Firenze Parcheggi decide che per fare i soldi, deve scavare una buca nel mio quartiere, io mi limito a dire, “no grazie”, e non pago una schiera di consulenti finanziari per suggerire loro modi migliori di investire i loro soldi.

    • Tortuga scrive:

      Stai paragonando un investimento di capitali ad una attività lavorativa dalla quale dipende invece la sopravvienza minima di una comunità (i circensi). Mi pare che ci sia una bella differenza. Almeno per me c’è.

  27. mirkhond scrive:

    Non ci si capisce tra parenti stretti.
    Non ci si capisce tra amici.
    Non ci si capisce in una comunità virtuale internettara, in cui quasi tutti NON si conoscon REALMENTE tra di loro, seppure da ANNI, bazzicchino la stessa comunità sovracitata.
    E ci si dovrebbe a maggior ragione, capirsi reciprocamente tra gruppi ideologici, religiosi, sociali, etnici, culturali DIFFERENTI TRA LORO?

  28. mirkhond scrive:

    “Troppo laicista per fare del laicismo una religione, troppo scettico per l’abbandono radicale di ogni padrino ultraterreno, troppo razionale per essere razionalista, troppo pagano per essere un fanatico, troppo abituato a curare il proprio aspetto -anche i poveracci- per non guardarsi allo specchio e non ripetersi sottovoce: ‘ma quanto sei fesso!’. (Devo quest’ultima osservazione al grande Guareschi, che mi è caro).”

    A parte lo scetticismo in cui NON sono nato, e la cura per il mio aspetto, direi che concordo con te!
    ciao!

  29. Miguel Martinez scrive:

    Per Tortuga

    “Stai paragonando un investimento di capitali ad una attività lavorativa dalla quale dipende invece la sopravvienza minima di una comunità (i circensi). Mi pare che ci sia una bella differenza. Almeno per me c’è.”

    Semplicemente, in una società complessa, non spetta al cittadino che protesta per qualcosa che ritiene inaccettabile, trovare pure soluzioni che spettano alle istituzioni.

    Se il ristorante sotto casa mia (per fortuna, non è il caso) ha bisogno di tenere la musica ad alto volume fino alle 4 di notte perché se no perderebbe clienti e quindi dovrebbe licenziare i camerieri, non spetta a me comprare una sede nuova per il ristorante.

    Mi limito a chiamare i vigili, per il resto esistono agenzie, finanziamenti pubblici, enti pubblici di ogni sorta, ben più potenti e competenti di me.

    • Tortuga scrive:

      Anche in questo caso stai paragondando la salute dei tuoi timpani ed un danno concreto che ricevi ad una diversa visione del mondo che alcune persone hanno rispetto ad altre.
      Se è indiscusso che tu non possa dormire la notte, non è altrettanto tanto scontato il problema “animalista” nella misura in cui da questi viene posto.
      Non è un caso che tu possa chiamare i vigili e che non si possa farlo per impedire alla gente di mangiare animali macellati.
      Sono termini imparagonabili.
      Se nel caso dei tuoi timpani e del tuo sonno c’è una società già organizzata in una certa direzione, non è lo stesso per la questione animalista che porta con sé molti problemi poiché non puoi salvaguardare l’animale nuocendo all’uomo.

  30. Miguel Martinez scrive:

    Comunque, mi rendo conto che mi sto lasciando irretire.

    Rispetto alla questione, “è lecito lo sfruttamento di animali a fini di divertimento?”, è del tutto irrelevante ciò che i quattro gatti squattrinati e certamente spesso confusionari di animalisti dicono o fanno.

    E’ come trascurare la questione, se fare qualcosa o no contro le malattie, solo perché conosciamo infermieri che a nostro avviso sono cialtroni.

    Poi, ripeto, magari ha ragione Rock & Troll.

  31. Miguel Martinez scrive:

    Per Andrea

    “Anzi, oso sviluppare il punto: è precisamente questo il carattere distintivo, che per me è un vero e proprio vantaggio competitivo rispetto agli altri popoli, degli Italiani. “

    E’ una riflessione molto profonda e ben espressa.

    Tra l’altro, c’è un abisso tra il “complottismo” americano e la “dietrologia” italiana.

    Il complottismo è un quadro apocalittico, in cui i malvagi hanno un’intensità radicale, e una sostanziale coerenza e idealismo: veramente vogliono, che so, distruggere le popolazioni del Terzo Mondo, sterminare i bianchi, eliminare i cristiani, liquidare gli ebrei, creare superuomini, togliere Gesù Cristo dai cuori degli uomini…

    Queste cose oggi compaiono in Italia, grazie a Internet, ma vengono spesso confuse e fraintese; mentre in Italia è tutto un “ma chi lo paga?”, dimostrato sempre ed esclusivamente attraverso quell’espressione latina che tutti conoscono da Tarvisio a Trapani – cui prodest?.

  32. Miguel Martinez scrive:

    Per Pino

    “In realtà Francesco in Africa c’erano tutte le cose che hai elencato…”

    Compresa questa divertente scrittura:

    http://it.wikipedia.org/wiki/Tifinagh

  33. Tortuga scrive:

    X Miguel

    In sunto:

    1) per quanto riprovevole la “menzogna della nonna”
    a) non sappiamo se davvero era una menzogna, lo ipotizziamo, cioè ipotizziamo che lei abbia ipotizzato gli “stivali di pelle” degli animalisti:
    hai la certezza che abbia mentito?
    b) pur avendo mentito, nel caso lo abbia realmente fatto, le possiamo trovare nella circostanza una certa quantità di buone ragioni

    2) meriti, metodi e scale di valori:

    a) per quanto abbia cercato di tenere da parte il merito “la causa animalista” ammetto che non è poi tanto facile escluderlo e considerarlo del tutto irrilevante nella questione;

    b) sebbene sia incline ad accogliere l’istanza “diminuzione dello sfruttamento delle risorse e diminuzione della sofferenza degli animali, soprattutto quando non necessaria ed inutile”, io personalmente la inserisco comunque all’interno di una certa scala di valori;

    c) continuo a ritenere i mezzi con cui si perseguono dei fini altrettanto importanti quanto le scale di valori e le priorità secondo le quali si scelgono le cause per le quali spendersi e di metodi che si intendono adottare;

    b) per cui nel caso degli animali da circo continuo a imputare una certa priorità alla sopravvivenza lavorativa dei circensi (anche considerando che si può allevare e addestrare senza procurare sofferenza da un lato, e dall’altro restituendo all’animale di cui si si serve molto più di quanto offre in termini di protezione e benessere – meglio essere applauditi in un circo che sbranati in natura);

    c) nel caso estremo che mi poni continuo a pensare che la migliore soluzione di un problema e quindi il miglior metodo per risolverlo definitivamente sia quello di modificare radicalmente non solo la situazione ma le sue cause, altrimenti il problema si ripresenterà, al limite sotto forma diversa, o comunque sarà difficilissimo da debellare, e che nel perorare una causa occorra procurarsi una credibilità data dal potersi impegnare direttamente in prima persona non solo protestando ma agendo;

    d) resterebbe nel caso che poni un fattore di urgenza senz’altro importante trattandosi, di sfruttamento dell’uomo sull’uomo e di sfruttamento della sofferenza umana: ma terrei comunque presente che non affrontando e risolvendo anche le cause del problema, probabilmente non riuscirei a risolverlo facilmente con la sola opposizione, cioè devo trovare un modo non solo di impedire quello sfruttamento ma anche di insegnare nuovi modi di agire alle persone che attuano questo comportamento.

  34. Tortuga scrive:

    Ah, e poi dimenticavo: l’attività circense non è prevalentemente un’attività rom? come i giostrai e il recupero del metallo ed in particolare del rame?
    Non è che poi si scopre che i tuoi animalisti ce l’hanno un po’ con gli zingari?

  35. La Timida scrive:

    E’ vero, questi archetipi induriscono, specialmente contro le ingiustizie. Non si crede più all’operaio sfruttato (ha il secondo lavoro), al contadino impoverito (vende al nero), e il mendicante… “ha i soldi nel materasso”.
    A quarant’anni, ogni volta che vedo un mendicante penso automaticamente a un materasso pieno di soldi: me lo diceva la mia, di nonna, ogni volta che incontravamo un mendicante.
    Chiunque protesti, chiunque abbia bisogno, chiunque sia vittima di ingiustizia ha in realtà qualcosa da nascondere ed è in sicura malafede. Questo insegnano tali archetipi.

    Servono a non fidarci di nessuno che possa farci ribellare, in realtà.

    • Guido scrive:

      Brava Timida! E’ precisamente questo l’oggetto del post.
      Non si tratta in questo contesto di discutere di priorità, ma piuttosto di una delle modalità del comportamento umano che impediscono, intralciano o vietano la messa in questione di pensieri e comportamenti considerati ovvii o naturali.
      Lo schiavismo nella storia USA, ma anche nella storia occidentale tout court, potrebbe essere preso come esempio di quanto un particolare atteggiamento verso altri esseri umani possa essere considerato naturale prendendo come metro una scala di valori basata su gradi più o meno presenti di “animalità”. E questo indipendentemente dalle tante sfumature, da quelle più odiose del puro e semplice trattamento da bestia a quelle più improntate al desiderio filantropico di civilizzare (vedi il famoso fardello dell’uomo bianco).

      • daouda scrive:

        Veramente lo schiavismo è diretto corollario della sconfitta, sconfitta che si ottiene per via della propria empietà e della propria mancanza verso gli dèi.
        Così lo intendevano gli antichi.

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per La Timida

      ”ribellare”

      E’ la critica che fa mia moglie, Polacca di nascita e Italiana d’adozione, alla sua nuova patria. Gli Italiani non fanno mai una vera rivoluzione (lo diceva anche Monicelli); dove i Polacchi hanno Solidarnosc, noi abbiamo i Cobas, dove i Francesi hanno Robespierre, noi abbiamo Cola di Rienzo. Io rispondo sempre che se le Torri Gemelle sono state tirate giù mentre la Torre di Pisa sta ancora lì, un motivo ci sarà. E fin qui scherziamo. Dove perde seriamente la bussola e comincia a tirarmi i piatti dietro è quando lei si lamenta del ritardo degli autobus e io dopo un po’ le domando: ‘ma tu quanti anni vuoi campare?’ Il fatto che nonostante tutto noi si stia insieme da diciotto anni dimostra che dopo tutto l’amore eterno esiste.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  36. Miguel Martinez scrive:

    Per La Timida

    “me lo diceva la mia, di nonna, ogni volta che incontravamo un mendicante.”

    In Egitto, che è sempre un paese mediterraneo, dicono la stessa cosa degli zabbalin, quelli che raccolgono a mano la spazzatura…

  37. Miguel Martinez scrive:

    Per Guido

    “Lo schiavismo nella storia USA”

    Sarebbe interessante studiare la polemica anti-abolizionista negli Stati Uniti: ho letto qualcosa qua e là, e credo che in effetti in buona parte fosse fondata su due pilastri –

    1) la “dura necessità” del sistema per mantenere il benessere e la proprietà privata

    2) le presunte follie degli abolizionisti

    Era proprio questo secondo elemento che permetteva la rimozione della questione principale.

  38. Miguel Martinez scrive:

    Per Tortuga

    “Non è che poi si scopre che i tuoi animalisti ce l’hanno un po’ con gli zingari?”

    non sono i “miei” animalisti. Infatti, ho detto che è legittimo prendere in considerazione anche la tesi di Rock & Troll.

    Dire che gli animalisti ce l’hanno con gli zingari è un po’ come dire che gli studenti che manifestano ce l’abbiano con i meridionali, solo perché i poliziotti che si trovano di fronte vengono in buona parte dal sud.

  39. daouda scrive:

    “L’accusa-archetipo è una menzogna sempre, persino quando è vera, perché viene mossa prima di avere la prova di alcunché. E’ quindi diversa dalla constatazione a posteriori di singoli casi di ipocrisia umana, che ovviamente esistono.”

    Se il vero è un momento del falso essa è sempre vera, semmai. Inoltre potrebbe, prima della prova empirica, esser sia giusta sia sbagliata.
    D’altronde si può anche stabilire a priori se qualcosa è ipocrita o no, spero ciò risulti scontato.

    • daouda scrive:

      Ossia…è indubitabilmente falso a prova provata che abbiano sti cazzo di stivali in pelle proprio perché è vero che li hanno invece a priori.

      Non serve neanche scomodare R&T nel suo veridico appunto, basta guardare la pseudo dottrina che espongono…

  40. Miguel Martinez scrive:

    I commenti di Andrea Di Vita sono uno più interessante dell’altro.

    Per il momento accantono il bellissimo commento sui mondi della Polonia/Prussia, che è una parte del mondo che mi colpisce sempre…

    Credo che Andrea abbia sostanzialmente ragione.

    E’ chiaro che c’è un motivo per cui si innescano certi meccanismi. Con quei meccanismi, ci si ritaglia una nicchia di sopravvivenza particolare, che Andrea descrive molto bene.

    E che evita certe derive potenziali tremende, come lui stesso sottolinea, e non gli posso dare torto.

    Ma lo stesso comportamento porta anche ad altre derive, ed è bene rifletterci prima di compiacersene troppo.

    Perché in quella sorta di diffidenza menzognera è implicito un rigetto istintivo di ogni possibilità diversa di vita.

    La vita diffidente acquista in sopravvivenza, e perde in intensità, in bellezza, in novità, in solidarietà, in solidarietà.

    E’ una sorta di conservatorismo del nulla-da-conservare, perché – come giustamente dice Andrea, le sue radici sono scettiche: si conserva, cioè, la festa del battesimo, ma se ne rifiuta la fede.

    Ho visto molte volte un meccanismo come la vita diffidente faccia scattare una sorta di muro immediato contro chiunque emerga, nel bene o nel male. Schiaccia sia il politicante furbo, quanto l’artista che avrebbe una cosa bella da esprimere.

    Nel soffocare il pericolo, soffoca anche la vita, la speranza e le tante forme che assume l’amore.

    • daouda scrive:

      “Dice dice”…

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Martinez

      ”novità”

      Concordo. Infatti l’Italia è patria di scienziati e innovatori vari, che regolarmente o vengono repressi o espatriano. Così che alla fine impariamo dall’estero quello che è stato inventato qui. Dalla radio di Marconi al cannocchiale di Galileo alla molecola di Cannizzaro alla pila di Fermi, siamo i virtuosi del ‘nessuno è profeta in patria’. Vale anche al di fuori della scienza, col rifiuto Veneziano di investire nei traffici oltre lo Stretto di Gibilterra dopo il ritorno trionfale del mio concittadino Colombo dal Nuovo Mondo.

      Lo scetticismo eccessivo è corrosivo e ottunde l’intelligenza: è un caso particolare della solita regola del troppo che stroppia.

      Più precisamente, mirando alla sopravvivenza sacrifichiamo la sensibilità, la disponibilità verso il nuovo. Seneca avrebbe detto: ‘a causa della vita perdiamo il motivo di vivere’; ma per noi il motivo di vivere è appunto il convivio con gli amici, il bene del desco familiare dipinto sulle tombe Etrusche.

      Profondamente conformisti, e orgogliosi di esserlo, riacquistiamo l’agilità mentale solo quando ridiventa essenziale alla sopravvivenza, vale a dire in tempi di vera crisi. Questo pronto riacquisto della flessibilità si chiama di solito ‘stellone italico’, e in effetti funziona in modo che sembra miracoloso agli stranieri. A mio suocero, che mi chiedeva (io che parlo un Polacco maccheronico a lui che non parla altro che Polacco) di riassumergli in una frase la storia d’Italia (sic), risposi: ‘Ogni vittoria Italiana è una sorpresa’.

      Lo stellone funziona così perchè proprio il radicale scetticismo consente una non comune flessibilità, che a sua volta consente la sopravvivenza. Passato il pericolo, la sopravvivenza ci convince facilmente che se siamo sopravvissuti grazie allo scetticismo nei tempi duri conviene non abbandonarlo nei tempi migliori, e il ciclo ricomincia.

      In questo senso sì che hanno ragione gli antiRisorgimentali a dire che l’Unità d’Italia è servita a ben poco. Perchè era sbagliato dire che ‘fatta l’Italia bisogna fare gli Italiani’: dopo l’Unità fu snobbato Marconi come Cannizzaro e Galileo lo erano stati prima dell’Unità. Gli Italiani ci sono sempre stati: l’Italia è una conseguenza. Semmai, ricorda Manzoni, ad essere artificiose erano le frontiere fra gli Stati Italiani.

      Montaigne diceva che un latinista erudito Italiano si distingueva da ogni altro latinista erudito in modo assai facile, bastava vedere quali termini elegiaci usava per descrivere un pranzo. Rommel diceva che gli Italiani erano militarmente disastrosi, ma che senza di loro i Tedeschi non avrebbero avuto la civiltà. I due aspetti, credo di capire, sono indissolubilmente legati.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  41. Moi scrive:

    @ LISA PANISCUS

    Mi sa che l’ atteggiamento da “Fareste meglio a fare quest’altro invece di questo, se davvero ci credete !” … sia una specie di “evoluzione” del sentimento anticlericale, quasi che le ONG fossero Chiese Senza Dio.

    Sì insomma, innumerevoli volte avrai sentito scambi di battute del tipo:

    A: ” L’ Associazione Papa Giovanni XXIII si preoccupa molto delle ragazze migranti, soprattutto minorenni, costrette a prostituirsi ! ”

    B: ” Ipocriti Bigotti ! Perché, invece, non si preoccupano di tutti quei Chierichettini , poverini, che nelle sacrestie vengono inculati a sangue dai Pretacci Pedofili ?! ”

    Ecco, appunto.

    • paniscus scrive:

      MOI:

      “Mi sa che l’ atteggiamento da “Fareste meglio a fare quest’altro invece di questo, se davvero ci credete !” … sia una specie di “evoluzione” del sentimento anticlericale, quasi che le ONG fossero Chiese Senza Dio.”

      In un certo senso è quello che ho sempre pensato: l’italiano quadratico medio (non so se la cosa si estenda anche ad altre popolazioni, io parlo dell’Italia perché è quella che conosco meglio) tende a pensare che qualsiasi associazione di volontariato, che sia umanitario, sociale, culturale o che altro, sia una sorta di “pronto intervento”, che ha il dovere di scattare ad ogni segnalazione di chiunque, mollando tutto il resto di ciò che stava facendo, anche se la segnalazione è completamente al di fuori del suo mandato.

      Per cui, che so, può capitare ai militanti di una sede di Amnesty International, (che si occupa di violazioni dei diritti umani fondamentali ad opera di governi, istituzioni e gruppi di potere), di essere perseguitati per mesi da telefonate ossessive del tizio che sbraita: “Ma perché, invece di pensare solo al problema della pena di morte in Cina, non venite a occuparvi del mio vicino di casa che minaccia i miei diritti umani perché si ostina a parcheggiare davanti al mio cancello?” Ma q*zzarola, che c’entra Amnesty? Chiama i vigili, no??????

      Quello su cui non sono d’accordo è che abbia qualcosa a che fare con l’anticlericalismo, quello proprio no. Ti assicuro che in equivoci del genere ci cascano ampiamente anche i credenti e praticanti…

      Lisa

  42. Moi scrive:

    @ ANDREA DE VITA

    Interessanti le tue osservazioni … in fondo l’Italia si trova non (!) a caso proprio al centro del Mare dei Levantini ! Per rilanciare Giovannino Guaerschi :

    “Gli uomini credono di fare la Storia, in realtà subiscono la Geografia !” [cit.]

    @ FRANCESCO

    1)

    I privilegi sono privilegi, immeritati e ingiusti per definizione punto. La forma esteriore non mi interessa minimamente, per te invece è tutto. La contaminazione Chiesa-Politici non la vede solo chi non vuole vederla !

    2)

    Che prima di elargire si debba produrre (leggasi marxiologicamente : -) “sfruttare” !), i “Progressisiti” Padrunz’éin Rossi e i Manager di Cooperativa Rossa lo sanno benissimo. Solo che hanno molte meno grane di un Baüscia Meneghino perché sanno come “Essere Più Preti Di Un Prete” a parole.

    @ LISA

    Interessante l’Etologia della Solidarietà, davvero … temo però che vi sia un pesantissimo Wishful Thinking, continuo pertanto a trovare più convincente Herbert Spencer.

    E sono agguerrito quanto te nel sostenere che non è intellettualmente onesto parlare di Charles Darwin come se fosse Herbert Spencer, anche se Charles Darwin NON era assolutamente un Naturalista Animalista Ecologista da Sit-In EquoSolidal : -) .

    @ R&T

    Il tuo discorso mi ricorda vagamente quello degli Spagnoli di Destra che dicono che poiché certe razze di tori vengono selezionate apposta per la Corrida, essa in verità NON li uccide … ma, al contrario, consente a ‘sti tori di esistere.

    Oppure quello di un Ucraino che diceva che siccome certe razze di cani sono state selezionate storicamente apposta per combattere, i casi sono due:

    o si legalizzano i combattimenti di cani con tanto di arene, giro scommesse, tv, riviste specializzate ecc … oppure ‘ste razze si smette di produrle.

    Va be’, lui era favorevole alla prima ipotesi, specificando che il vero (!) Comunismo un lato positivo ce l’ aveva: non ha mai considerato Essere Uomini un Reato ai danni di Animali, Froci e Femministe.

    PS

    Poi, “naturalmente “c’è anche chi si oppone ai combattimenti fra animali (fra galli, fra cani, serpenti vs manguste, ecc …) con tanto di scommesse soltanto se essi si svolgono “a casa sua” … sennò scatta il Relativismo Culturale e i Terzomondoctoni : -) vanno lasciati fare.

    @ MIGUEL

    L’esempio più interessante fra quelli che hai posto è senz’altro il “Pio-Musulmano-Che-Beve-Whisky” … non foss’altro perché è il più “Nuovo” : -).

    Ora, fra i frequentatori di bar non è per nulla difficile trovarne “di aspetto levantino e che parlano Arabo in compagnia”, specie fra i giovani… stessa gente, del pari di tanta altra autoctona, perennemente attaccata alla bottiglia (quando va bene) di birra e/o alla sigaretta (sempre quando va bene) al tabacco.

    L’errore / “pregiudizio inamovibile” sta, in questi casi, nel ritenere chiunque di fisionomia levantina e di madrelingua araba alla stregua di “Pio-Musulmano ” … e su questo, se permetti, direi che fra quelli come Carlo Panella e quelli come Umar Andrea Lazzaro c’è un concorso di colpa.

    @ MIRKHOND

    Molto interessante anche l’ articolo di Massimo Fini, anche se oggi come oggi me lo sarei aspettato di più da uno come Mario Puccioni…Ma è bello sorprendersi ! ; -) Infondo Massimo Fini appartiene a una Sinistra “Eretica” rispetto a quella istituzionalizzata e legittimata dal Gran Dispositivo, e che troverebbe il modo di scaricare qualsiasi (!) Male su Berlusconi.

    E che, come dice Miguel, crede davvero (!) di poter risolvere i problemi con la “Magia Deambulatoria”.

    O, aggiungiamoci, con una Kermesse sul palco montato in piazza, con tanto di telecamere e riflettori a, base di Politici di Sinistra e VIP Engagés provenienti dai più disparati àmbiti dell’ intrattenimento più o meno divertente o serioso, della cultura “librosa” : -) , della scienza politicizzata, ecc …

  43. Moi scrive:

    @ PINO & MIGUEL

    Ocio !

    Credo proprio che Francesco quando dice “Africa” intenda dire “Negri SubSahariani”, e che l’ Africa Levantina sopra (!) il Deserto del Sahara la consideri un’estensione della Terronia … ritenendo Milano culturalmente (!) più simile ad Amburgo o a Reykjavík che NON a Napoli o Il Cairo !

    @ TORTUGA

    Se definisci “Zingari” i “Giostrai” … rischi di più che a chiedere se uno di Pisa / Livorno è di Livorno / Pisa ! ; -)

    @ TUTTI

    Illuminato da Andrea De Vita … Mi chiedo se anche:

    “I Musulmani lamentano l’ Islamofobia a casa nostrta, ma a casa loro perseguitano i Cristiani !”

    non faccia parte della Strategia del Disincanto … chissà !

  44. mirkhond scrive:

    Personalmente non credo che Andrea Di Vita sia quello scettico che dice di essere.
    I suoi ideali e i suoi sogni ce li ha eccome. Come tutti noi.
    Chi è scettico non mette su famiglia e non mette al mondo bambini a cui vuol bene…
    No. Andrea casomai è un DISINCANTATO, per le BATOSTE che ha preso dalla vita…
    Ed in questo posso capirlo….

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per mirkhond

      ”scettico”

      Non dico di essere scettico, ma agnostico. (In questo senso sono forse poco Italiano 🙂 ) Vale a dire, non dico che non valga la pena di conoscere e di fare alcunchè. Affermo che alcune cose ha senso investigarle e altre no. L’agnosticismo ha il grosso vantaggio, secondo me, di consentire la trasformazione della forza corrosiva del disincanto prodotto dalle delusioni in una forza positiva, indirizzata all’investigazione delle cose che ha senso investigare senza rincorrere farfalle sotto l’arco di Tito. In altre parole, l’agnosticismo non è vero o falso, ma funzionale a dare un senso alla propria vita. Non è meglio accendere una candela che maledire il buio? C’e’ al riguardo quella vecchia preghiera: ‘dammi la forza per sopportare l’inevitabile, la forza per migliorare il modificabile, e la saggezza per distinguere fra i due’.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  45. Moi scrive:

    Andrea De Vita parla di un Popolo Italico “Scantato” : -) ; -) da sempre … cosa che sarebbe spiegabile con l’ immagine “Penisola al Centro del Mare dei Levantini”.

  46. mirkhond scrive:

    “Ho visto molte volte un meccanismo come la vita diffidente faccia scattare una sorta di muro immediato contro chiunque emerga, nel bene o nel male. Schiaccia sia il politicante furbo, quanto l’artista che avrebbe una cosa bella da esprimere.

    Nel soffocare il pericolo, soffoca anche la vita, la speranza e le tante forme che assume l’amore.”

    E’ questo mi da conforto nel pensare che Martinez sia (insieme a Don Ciotti) l’unico sessantottino PURO, proprio perché ancora a 50 anni e più, riesce a conservare (oppure ha ritrovato dopo un duro lavoro su se stesso) quella purezza, quella fantasia creatrice, che non si prostituisce a nessuna logica di potere….
    Quel credere che, NONOSTANTE TUTTO, un mondo migliore sia sempre possibile….
    Cosa in cui io invece, non credo più da tempo, semmai vi abbia davvero creduto dopo l’infanzia…..

  47. Un protone difficilmente riesce ad unirsi ad altri, costituenti il nucleo di una sostanza chimica: la forza coulombiana di repulsione si fa più intensa mano mano che la distanza diminuisce.
    Eppure, sotto certe condizioni e riuscendo a superare quella distanza, il protone può essere accolto nel nucleo.

    C’è il rischio di essere assimilati, una volta superata la barriera; solitamente noi conosciamo solo l’aspetto della repulsione, con le sue conseguenze.

    Abbiamo poca storia alle spalle nonché una breve vita (o uno spirito intorpidito) per capire se il rischio dell’assimilazione valga la pena di essere corso.
    [Sottolineo che “rischio di assimilazione” non equivale ad “assimilazione”]

    P.S.: complimenti ad Andrea e a Miguel per il duetto.
    E come disse il poeta, roso dall’invidia: l’anima de li mejo mortacci vostri! 😀

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Riccardo Giuliani

      ”protone”

      Vieni nel mio carrugio 🙂

      Se i protoni non si unissero, non saremmo qui a scambiarci post. E’ molto, molto difficile. Partendo dallo spazio profondo, la probabilità che due protoni si uniscano a formare la molecola che combinandosi con altre formi le sostanze di cui è fatta la mano che in questo momento digita sulla tastiera è vertiginosamente piccola.

      Eppure, è successo, dato che mi leggi.

      E fra un battito di ciglia noi non saremo, e i protoni torneranno a ricombinarsi finché una qualche esplosione non li scaglierà di nuovo lontano ad aspettare un altro giro di giostra.

      Ecco perché è così importante non sprecare l’incredibile opportunità offertaci di non farci soffocare dalla paura.

      Anche perché a seconda di come i protoni si uniscono vengono fuori tante cose, dall’umile ma utile molecola di idrogeno alla fusione che scalda il cuore delle stelle.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  48. Andrea Di Vita scrive:

    Per Martinez

    \’\’novità\’\’

    Concordo. Infatti l\’Italia è patria di scienziati e innovatori vari, che regolarmente o vengono repressi o espatriano. Così che alla fine impariamo dall\’estero quello che è stato inventato qui. Dalla radio di Marconi al cannocchiale di Galileo alla molecola di Cannizzaro alla pila di Fermi, siamo i virtuosi del \’nessuno è profeta in patria\’. Vale anche al di fuori della scienza, col rifiuto Veneziano di investire nei traffici oltre lo Stretto di Gibilterra dopo il ritorno trionfale del mio concittadino Colombo dal Nuovo Mondo.

    Lo scetticismo eccessivo è corrosivo e ottunde l\’intelligenza: è un caso particolare della solita regola del troppo che stroppia.

    Più precisamente, mirando alla sopravvivenza sacrifichiamo la sensibilità, la disponibilità verso il nuovo. Seneca avrebbe detto: \’a causa della vita perdiamo il motivo di vivere\’; ma per noi il motivo di vivere è appunto il convivio con gli amici, il bene del desco familiare dipinto sulle tombe Etrusche.

    Profondamente conformisti, e orgogliosi di esserlo, riacquistiamo l\’agilità mentale solo quando ridiventa essenziale alla sopravvivenza, vale a dire in tempi di vera crisi. Questo pronto riacquisto della flessibilità si chiama di solito \’stellone italico\’, e in effetti funziona in modo che sembra miracoloso agli stranieri. A mio suocero, che mi chiedeva (io che parlo un Polacco maccheronico a lui che non parla altro che Polacco) di riassumergli in una frase la storia d\’Italia (sic), risposi: \’Ogni vittoria Italiana è una sorpresa\’.

    Lo stellone funziona così perchè proprio il radicale scetticismo consente una non comune flessibilità, che a sua volta consente la sopravvivenza. Passato il pericolo, la sopravvivenza ci convince facilmente che se siamo sopravvissuti grazie allo scetticismo nei tempi duri conviene non abbandonarlo nei tempi migliori, e il ciclo ricomincia.

    In questo senso sì che hanno ragione gli antiRisorgimentali a dire che l\’Unità d\’Italia è servita a ben poco. Perchè era sbagliato dire che \’fatta l\’Italia bisogna fare gli Italiani\’: dopo l\’Unità fu snobbato Marconi come Cannizzaro e Galileo lo erano stati prima dell\’Unità. Gli Italiani ci sono sempre stati: l\’Italia è una conseguenza. Semmai, ricorda Manzoni, ad essere artificiose erano le frontiere fra gli Stati Italiani.

    Montaigne diceva che un latinista erudito Italiano si distingueva da ogni altro latinista erudito in modo assai facile, bastava vedere quali termini elegiaci usava per descrivere un pranzo. Rommel diceva che gli Italiani erano militarmente disastrosi, ma che senza di loro i Tedeschi non avrebbero avuto la civiltà. I due aspetti, credo di capire, sono indissolubilmente legati.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  49. Moi scrive:

    @ ANDREA DE VITA

    Che tu sappia, come sta messa la Polonia a “Secolarizzazione” ? Ovviamente NON era Secolarizzazione l’ Ateismo di Stato; come già abbiamo visto, l’ Ideale del Comunismo di rendere inutile e inservibile la Religione grazie al Benessere … lo ha invece realizzato proprio quel Consumismo che sulla carta gli era antagonista.

    • daouda scrive:

      Lo sta realizzando la coppie dei due Moi, la coppia dei due.

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Moi

      Molto di più di quanto sarebbe piaciuto a Wojtyla. Le leggi Comuniste su aborto e divorzio rimangono in vigore. Un equivalente Polacco della nostra vecchia Democrazia Cristiana nostrana non esiste. Esistono singoli personaggi, come i fratelli gemelli Kaczynski (pronuncia ‘Caccégn-schi”), uno dei quali morto nell’incidente aereo vicino Katyn, che insieme alla reazionaria Radio Maria hanno speculato sull’anima più bigotta e retriva della popolazione (le bigotte dei villaggi di campagna, il cosiddetto ”partito dei mohair” dal tessuto dei pesanti berretti che si portano d’inverno per andare a messa) in chiave antieuropeista e antiglobalizzazione per guadagnar voti contro i candidati della borghesia còlta delle città. I Kaczynski sono molto popolari anche perchè da giovani erano i protagonisti di una popolare serie televisiva. I non bigotti, tipicamente gli abuitanti delle città, li chiamano spregiativamente ‘kaczory’ (pron. cacciòre, cioè ‘paperi’). Lo Stato è quasi laicista, sugli standard Italiani: in Chiesa trovi la bandiera nazionale, ma in tribunale non trovi il crocifisso alla parete. La società è andata vicino a una spaccatura verticale fra bigotti e non. Quando il fratello Kaczynski superstite ha perso le elezioni contro un nobile di discendenza Lituana ho visto mia cognata mettersi a piangere per lo scampato pericolo. Oggi il Kaczynski si è molto sputtanato a furia di boicottare a priori, sempre e comunque le scelte del governo in carica: diciamo che ha cominciato a scocciare.

      Comunque rimane pericolosa Radio Maria, i cui capi sono in grado di zittire efficacemente anche lo stesso Primate di Polonia, e di ricorrere impunemente anche all’antisemitismo come arma polemica. Ciò è ridicolo dato che in Polonia sono rimasti solo seimila Ebrei, ma ad esempio uno dei professori leader storici di Solidarnosc era di ascendenza Ebraica.

      Il fatto poco noto è che la Polonia trova sì nella Chiesa Cattolica un pilastro dell’identità nazionale, ma conserva anche l’eredità di quando era uno Stato che si estendeva dal Baltico al Mar Nero. Esistono così da secoli nel territorio dell’attuale Polonia decine di migliaia di Polacchi Ortodossi e persino Musulmani. Ovvio che anche un qualunque governo successivo al regime filoSovietico non si metta a privilegiare ufficialmente la Chiesa di Roma in modo eccessivo rispetto alle altre fedi: dimostrerebbe altrimenti un atteggiamento meno tollerante di quello degli stessi filoSovietici.

      Dopo la repressione d’anteguerra contro i Testimoni di Geova e soprattutto dopo il macello dei Lemki e i pogrom di Kielce del 1945-1946 la Polonia oggi gode forse di un regime di tolleranza religiosa come non lo si vedeva da prima della Spartizione del diciottesimo secolo.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

      • habsburgicus scrive:

        @Andrea Di Vita e tutti
        In effetti in Polonia ci sono dei Tatari, soprattutto nell’area di Białystok, cioè in terre che facevano parte del Granducato di Lituania (dove ci sono altri Tatari presso Trakai; altri erano in Bielorussia cioè nella Lituania “storica”; nel XVI secolo ve ne erano pure nel voivodato “ucraino” di Volinia, lituano sino al 1569 e poi polacco), che hanno anche lasciato dei documenti in lingua slava e alfabeto arabo, con qualche modifica, come avvenne per il “serbo” in Bosnia ! la maggior parte di questi testi, in arabo-slavo, sono in bielorusso oppure in una mistura di bielorusso e polacco ma alcuni sono in polacco, magari “dialettale”…pare che un testo sia addirittura in ucraino (settentrionale), ma da decenni eruditi bielorussi ed ucraini litigano ferocemente (anche) su questo 😀 in effetti i dialetti della Bielorussia sud-occidentale (Brest e Pinsk, per intenderci) non sono facilmente distinguibili dall’ucraino settentrionale, tanto che l’ucraino Rudnyc’kyj, ad inizio XX secolo, riteneva quelle popolazioni ucraine, contro il censimento imperiale del 1897 che le ascriveva ai “bianco-russi” (e Rosenberg le incluse nel RK Ukraine, come pure Mazyr un po’ più ad est e già sovietica prima del 1939, a differenza delle due città summenzionate :D);
        come è forse noto, tre caratteristiche tipiche del bielorusso sono l’akannie (cioè la “a” al posto della “o”, come in “Saviet” per “Sovet”, Soviet), la cekannie (cioè la “c” al posto della “t” come in “hascinica” per il russo “gostinica”, albergo) e la dzekannie (cioè la “dz” al posto della “d”, come nella città di Maładziečna, in russo Molodečno o nel fiume “Dzvina” per Dvina o nel nome dell’ultimo presidente del presidium del Soviet Supremo della BSSR, Mikałaj Dziemianciej, in russo Nikolaj Dementej, deposto il 25/8/1991, dopo il fallimento del “golpe” da lui appoggiato); orbene queste 3 caratteristiche sono assenti in quel gruppo di dialetti, il che complica le cose !
        Sulla sopravvalutazione del Cattolicesimo dei polacchi, concordo….del resto tutta la classe politica e dirigente polacca, dal XVIII secolo, ha molteplici infiltrazioni massoniche, per quanto senza l’anticlericalismo italo-franco-iberico

        • Andrea Di Vita scrive:

          Per Habsburgicus

          Grazie per le interessanti precisazioni. Mia moglie, che è di Bialystok, mi conferma che la faccenda di ‘cosa è Bielorusso e cosa non lo è’ è una vera ossessione in Bielorussia. Il punto è che -mi racconta- l’identità nazionale Bielorussa è piuttosto debole, e il governo dittatoriale di Lukashenko non perde occasione di sottolineare la natura, per così dire, squisitamente Bielorussa di ogni centimetro quadrato del territorio nazionale e di chi ci vive. Il che fa ridere pensando ad esempio alla riserva di Bialowieza (l tagliata e a puntata, per cui si pronuncia ‘biauovieja’ con la ‘j’ del francese ‘jean’): fondata prima della guerra nel suo territorio attuale dalla Polonia della Seconda Repubblica, oggi è tagliata a metà fra Polonia e Bielorussia. E mia moglie conosceva gente di Grodno, che oggi è parte di quella sottospecie di Repubblica di Brutopia. Ora, almeno il Polacco si scrive in alfabeto Latino e il Bielorusso in Cirillico: ma la stessa spocchia nazionalistica c’e’ pure con gli Ucraini. Un mio collega è andato per lavoro a Chernobyl: col treno per raggiungere la stazione più vicina alla centrale, è dovuto passare per venti chilometri di territorio Bielorusso …e ha perso dodici ore alla frontiera per superare i sospettosissimi controlli doganali.

          Ciao!

          Andrea Di Vita

        • habsburgicus scrive:

          @Andrea
          Grazie per le interessanti informazioni di prima mano…
          Ah, tua moglie è di Białystok ? …sei andato a prenderla lontano 😀 😀
          In effetti ritengo che quella sia la parte di Polonia meno conosciuta in Italia, non fosse altro che mera “tirannide” geografica (da noi in genere si pensa sempre a Cracovia, al Papa polacco, ecc :D) e anche la più laica
          Sulla Bielorussia quanto dici corrobora cose sapute da altri (io ci sono stato ai tempi dell’URSS nel 1987, da ragazzo, un’altra era geologica 😀 …ma anche allora si notava che lì la perestrojka non era ancora arrivata, soldati davanti agli “hotel per stranieri” ecc, a differenza di Mosca o addirittura di Smolensk ove un grande cartello esaltava la perestrojka, in pieno centro ! ho notato però un benessere maggiore delle città russe, devo dirlo; allora vidi anche la “Polonia popolare”, Polska Rzeczpospolita Łudowa con i cartelli che esaltavano il tripartito al governo, PZPR cioè POUP in lettere maiuscole tanto per sottolineare bene che aveva il ruolo dirigente e, in piccolo, ZSL cioè contadini e SD cioè democratici 😀 allora ci voleva uno splendido visto, occupava una pagina e mezzo, Ambasada Polskiej Rzeczypospolitej Łudowej w Rzymie, Wyza pobytowa jednokrotna, emesso da un tale compagno Józef Orewczuk, radca Ambasady, cioè consigliere d’Ambasciata :D)
          Il regime di Łukašenka però, secondo me, è meglio definibile come “xenofobo” anziché “nazionalista”, o meglio si tratta di un nazionalismo, ma nazionalismo sovietico;
          il vero nazionalismo bielorusso, anti-sovietico e anti-russo è stato (ed è) duramente perseguitato
          ad esempio nel 1995, dopo un referendum, la bandiera nazionale (bianco-rosso-bianca) e il simbolo nazionale, la “pahonia” (simil-lituano) furono aboliti, caso unico in tutta l’ex-URSS, laddove furono restaurati i simboli sovietici, ancorché un po’ modernizzati (bandiera della BSSR senza falce e martello; stemma della BSSR con stella rossa ma senza la scritta “proletari di tutto il mondo unitevi !”)
          la lingua bielorussa è ridicolizzata dal regime e Łukašenka non la parlare 😀 (da qualche anno un po’ meno, l’ammetto) mentre il russo regna sovrano; la Chiesa ortodossa è appoggiata in quanto filo-russa e il Capo si definisce “ateo ortodosso” 😀
          i veri nazionali bielorussi però hanno tutt’altra visione del passato, ad esempio Uladzimir Arłoŭ (che in russo sarebbe il più prosaico Vladimikr Orlov); in breve, per non annoiare troppo 😀
          1. I nazionalisti bielorussi sostengono che ls Bielorussia sia la VERA Lituania, la Lituania storica e che i bielorussi sarebbero balti slavizzati (sai quanto saranno contenti in Lituania :D)
          2. La Chiesa unita (1569-1839) è esaltata come VERA Chiesa bielorussa (ci si dimentica che esistette anche in Ucraina, ove tuttora rimane nelle terre asburgiche sino al 1918)
          3. L’alfabeto latino è ammesso, oltre al cirillico, il cosiddetto łacinka, standardizzato ad inizio XX secolo; come lingua letteraria prediligono la “taraškievica”, del grammatico Taraskievič del 1918, ironicamente un filo-comunista, basata sui dialetti occidentali e piena di polonismi in luogo della “narkomaŭka” lo standard imposto da Stalin nel 1933 e basato sui dialetti orientali più vicini al russo)
          4. Il periodo russo zarista è condannato; Mickievič cioè Mickiewicz è ritenuto bielorusso (di Navahradak, Nowogródek, Novogrudok), ancorché polonizzato 😀 Pan Tadeusz è considerato un tipico romanzo bielorusso in quanto Lituania lì vorrebbe dire Bielorussia (si torna al punto 1)
          5. Gli anni ’20 (bielorussizzazione) sono ben visti, e attaccano l’URSS dal 1930 circa in poi
          Łukašenko dice in genere l’opposto, per lui i bielorussi devono essere nazionalisti contro i polacchi ma accettare la “guida” della grande Russia ! i lituani e i polacchi sarebbero sfruttatori, la Chiesa unita una manovra anti-slava e anti-russa, il dominio russo, “progressista” e liberatorio !
          Ciao !

        • habsburgicus scrive:

          1596-1839, ovviamente
          1569 é l’anno dell’Unione POLITICA di Lublino
          1596 quello dell’Unione RELIGIOSA di Brest

  50. jam scrive:

    x Andrea
    ..per soffocare il pericolo soffoca anche la “dolce vita” e se c’é una cosa al mondo per cui gli italiani si riconoscono quando sono altrove non é per lo scetticismo ma per la loro capacità a cavarsela ed il loro
    essere “belli” ed artefici
    della “dolce vita” appunto.
    Epicuro puo’ essere solidale x’ incapace di credenze troppo radicate??? Non credo. Epicuro puo’ essere solidale perché intuisce che ogni credenza é una parte della verità, o del buon vivere, e in qualche modo vi partecipa. Credo Cicerone simpatizzasse per Epicuro anche per questo. (poi Epicuro parlava di cibi e di festini, ma in realtà viveva in modo contenuto e frugale). cosi gli italiani non sono degli scettici, ma dei lungimiranti, dei furbi, ma sempre con classe e stile.
    lo scetticismo é una caratteristica di molti popoli, soprattutto di quelli che sono stati dominati od hanno vissuto grandi catastrofi. hanno cosi’ divenuti adottato una razionalità scettico-mimetica, pur conservandone un’altra molto più soft, cioé che non impedisce estrinsecazione di particolarià e puo’ essere radicatissima coi propi “connazionali”…
    un italiano all’estero é tipificato con brillantina sui capelli, una sigaretta alle labbra, la camicia un po’ sbottonata, lo sguardo ammiccante ecc;, non chiamerei tutto cio’ scetticismo, ma forse sbaglio… troppo solari per essere davvero scettici, il loro scetticismo non é che una recita teatrale.
    ciao

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per jam

      ”cavarsela”

      Appunto. La flessibilità necessaria a cavarsela è favorita da un atteggiamento che più che ‘scettico’ (termine dalla sfumatura forse troppo distruttiva) chiamerei proprio ‘disincantato’ (termine che sta ad indicare la scarsa propensione a lasciarsi abbindolare da un’improbabile méta futura a scàpito dell’esistente).

      Ho detto che gli Italiani sono Epicurei: ma nel senso più alto. In cuor loro, dubitano di cio’ che è permanente, eterno: nessuno meno di loro incarna il mito di Faust. Come Epicuro, hanno esperienza della fuggevolezza del tutto, e sanno che alla fine questo toglie spazio alla disperazione, che si nutre appunto di eternità. Sono teatrali, ma non necessariamente perché estroversi. Sono teatrali perché intuiscono il teatro tanto effimero quanto la realtà.

      Ciò non li rende per forza superficiali o inaffidabili, non più perlomeno di quanto lo fossero gli antichi pagani.

      Semmai, li rende capaci di accettare il fatto che è inutile essere più costanti di quanto lo sia la vita stessa, e di diffidare verso quelli cui è stato ordinato di stare sull’attenti all’alba e che restano tali a fare lo gnomone al sole fino al tramonto.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  51. jam scrive:

    c’é un “divenuti” di troppo: la frase é:
    hanno cosi adottato una razionalità scettico-mimetica

  52. jam scrive:

    … sono portata a pensare che l’archetipo in sé, non possa essere negativo, perché appartine all’idealità perfetta dove non esistono meschinità e dove quindi le menzogne non sono archetipabili.
    al momento della pesatura,
    da una parte della bilancia il nostro bene, dall’altra parte il nostro male.
    sia l’uno che l’altro sono stati accuratamente registrati, e saranno pesati, ma soltanto il nostro bene ha alle spalle delle essenze archetipo post-eterne (al’ Fitra), mentre il nostro male ha soltanto delle inesistenze ontologiche, non il Nulla di Buddha, ma il nulla privo di conoscenza e quindi di Realtà e quindi di archetipi…
    la menzogna-archetipo é un sotto-archetipo spurio, perché solo un sotto-archetipo puo’ contenere menzogne, sotto-menzogne, ipocrisie,ecc ..
    ciao

  53. Miguel Martinez scrive:

    Per Peucezio

    “Qui probabilmente ci sono due Weltanschauung opposte e probabilmente inconciliabili.”

    Non lo so, io sono d’accordo con entrambi 🙂

    Da una parte, rigetto istintivamente il tiriamo a campare e la diffidenza menzognera cui è dedicato questo post.

    Però conosco molto bene il mondo degli “attivisti” di ogni sorta, e trovo che tante cose che dice Peucezio sono vere. Vera l’alienazione, l’astrazione e anche l’affinità con l’attivismo capitalistico.

    E anche l’attivismo comporta una continua falsificazione della realtà; e certamente può portare a conseguenze impreviste.

    Credo però che l’attivismo venga sopravvalutato: è visibile perché fa spettacolo, nella società dello spettacolo. Perché permette di schierarsi facilmente a favore o contro; ma conta pochissimo rispetto ad altre cose.

    Per dire, innumerevoli manifestazioni di animalisti hanno un effetto quasi nullo; mentre è enorme l’impatto del fatto che non abbiamo più contatto con gli animali, e quindi non siamo più abituati a maltrattarli. E non abbiamo più contatto, perché il petrolio permette di specializzare il contatto con gli animali, rinchiudendolo dentro mattatoi invisibili.

    E per questo abbiamo difficoltà a prendere a calci un cane o a spezzare il collo a una gallina; e per estensione, ci viene più difficile accettare maltrattamenti gratuiti di altri animali, se ne veniamo a conoscenza.

  54. Peucezio scrive:

    Miguel:

    “I commenti di Andrea Di Vita sono uno più interessante dell’altro.
    Per il momento accantono il bellissimo commento sui mondi della Polonia/Prussia, che è una parte del mondo che mi colpisce sempre…

    Credo che Andrea abbia sostanzialmente ragione.
    E’ chiaro che c’è un motivo per cui si innescano certi meccanismi. Con quei meccanismi, ci si ritaglia una nicchia di sopravvivenza particolare, che Andrea descrive molto bene.
    E che evita certe derive potenziali tremende, come lui stesso sottolinea, e non gli posso dare torto.
    Ma lo stesso comportamento porta anche ad altre derive, ed è bene rifletterci prima di compiacersene troppo.
    Perché in quella sorta di diffidenza menzognera è implicito un rigetto istintivo di ogni possibilità diversa di vita.
    La vita diffidente acquista in sopravvivenza, e perde in intensità, in bellezza, in novità, in solidarietà, in solidarietà.
    E’ una sorta di conservatorismo del nulla-da-conservare, perché – come giustamente dice Andrea, le sue radici sono scettiche: si conserva, cioè, la festa del battesimo, ma se ne rifiuta la fede.
    Ho visto molte volte un meccanismo come la vita diffidente faccia scattare una sorta di muro immediato contro chiunque emerga, nel bene o nel male. Schiaccia sia il politicante furbo, quanto l’artista che avrebbe una cosa bella da esprimere.
    Nel soffocare il pericolo, soffoca anche la vita, la speranza e le tante forme che assume l’amore.”

    Questo è un po’ il punto centrale della questione.
    Provo ad accennare qualche spunto, in attesa di elaborare la questione in modo un po’ più definito.
    Oggi in effetti in Italia siamo in un momento particolarmente critico, in cui sembra che certi meccanismi si siano talmente avviluppati su sé stessi e stratificati, da dare un senso di oppressione generale e da mortificare e deprimere la maggior parte delle forze sane presenti.
    Ma al di là di questo parossismo, che è contingente, resta il meccanismo di fondo, che è millenario.
    Ora, siamo sicuri che la “fede”, che si rigetta mentre se ne preservano le forme, meriti di essere preservata anch’essa (la fede in genere, non solo quella religiosa)?
    Siamo sicuri che, accanto alle cose negative, esistano anche cose positive che debbono emergere? E il problema non sono le cose (ce ne sono senz’altro di positive), ma l’emersione.
    E se dietro la bellezza, la novità, la solidarietà, la vita e la speranza (uso le tue parole), che altrove sono meno mortificate e compresse, ci fosse qualcosa di profondamente fasullo? Se la bellezza, la novità, la solidarietà, la vita e la speranza risiedessero in qualcosa di molto diverso da ciò che in altri luoghi del mondo emerge e si afferma con relativa facilità?
    Se dietro queste fucine di novità, che spaventano e seducono, ci fosse solo fuffa e mancasse l’essenza?
    Ripeto, sono spunti così, prendili per quello che sono. Tu conosci l’estero molto più di me, che mi arrocco in un provincialismo non del tutto scevro, lo ammetto, da un certo compiacimento. Ma ogni volta che ho messo il naso fuori dall’Italia, ne sono rimasto deluso, tranne nei casi di paesi meno sviluppati (la Russia per esempio), che sono solo in ritardo di qualche decennio su certe dinamiche, per cui, ancora per poco, sopravvivono forme di socialità spontanea e meno consumistizzata, che però stanno già venendo travolte e cancellate.
    Per il resto l’impressione, soprattutto nell’Europa occidentale, perché l’Occidente è il l’esito estremo (per ora) di tendenze mondiali, è che prevalgano autorappresentazione, facciata, mistificazione, che servono a nascondere una povertà antropologica di fondo.

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Peucezio

      ”siamo sicuri”

      Mi hai capito in pieno! 🙂 E’ proprio l’argomento che mi ha spinto verso l’agnosticismo.

      Detto questo, il fatto che l’atteggiamento Italiano di ”conservare il rito, ma rinunciare alla fede che c’e’ dietro” (semplifico per brevità) è particolarmente robusto. Ogni scugnizzo da noi è un Montaigne in erba. Si prende dalla fede (penso ad esempio alla massiccia adesione all’insegnamento del’ra di religione a scuola) quel che c’e’ di utile, la funzione di collante sociale e morale che svolge, ma si rigetta come superfluo il resto (ad esempio il divieto della contraccezione, l’incubo dell’inferno, ecc.). Non è una scelta di comodo, a meno di non crederci tutti pigri e infingardi. E’ l’intuizione di quanto di positivo c’e’ in una religione e quanto di inutile e dannoso.

      Lo scopo della cattedrale è il calciobalilla dell’oratorio.

      E lo stesso vale per ideologie, partiti ecc.

      In questo senso, non è l’Italia il paese arretrato d’Europa. E’ il laboratorio del futuro.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

      • Peucezio scrive:

        D’accordissimo su tutto.
        Molto meno ottimista nella conclusione: temo che il futuro sia la “fede”, intesa nel senso deteriore che abbiamo detto. E tra l’altro mistificata, cioè la fede fanatica nel nulla, fatto sembrare reale dal potere.

      • Francesco scrive:

        >> Lo scopo della cattedrale è il calciobalilla dell’oratorio.

        messa così, potresti diventare l’ideologo di riferimento del demonio.

        solo che qualcuno ha costruito le cattedrali, qualcuno con idee più rispondenti alla realtà su cosa dà senso alla vita (suggerimento: non è il calciobalilla dell’oratorio)

        per fortuna, possiamo escludere che il futuro sarà così: i morti sono fuori dal tempo, non hanno futuro (x MOI: lo so, questo collide con la dottrina del purgatorio, pazienza)

        • Andrea Di Vita scrive:

          Per Francesco

          ‘demonio’

          Avresti ragione se avessi delineato un programma per il futuro.

          Io ho solo voluto descrivere una situazione, che al momento mi pare predominante.

          Ciao!

          Andrea Di Vita

  55. Miguel Martinez scrive:

    Sempre per Peucezio

    Aggiungiamo un fattore di cui molti poi non hanno preso bene coscienza.

    La contrapposizione tra “persona che fa vita privata” e “l’attivista” riflette ancora l’antica distinzione “destra/conservazione” e “sinistra/progresso”: l’attivista è quindi colui che vuole cambiare le cose.

    Oggi è quasi al contrario: l’offensiva è oggi tutta dalla parte del capitalismo, per usare un termine discutibile, ma che credo ci permetta di capirci. L’attivista è quindi colui che si batte per impedire qualche forma di attività – un licenziamento, la distruzione di un ambiente, la chiusura di una scuola, la cacciata di persone da un quartiere o da un villaggio, una guerra, ad esempio.

    In questo contesto la persona “che fa vita privata” ha un ruolo nuovo; perché è la prima a essere travolta dall’offensiva capitalista, ma proprio la “vita privata” che fa le impedisce di difendersi.

    • Peucezio scrive:

      Sì, in effetti questo va tenuto presente.
      Poi spesso non serve a niente, in qualche caso è anche controproducente, ma in generale non si tratta di un attivismo “sovversivo” e a volte è anche utile (per questo ci tengo comunque a distinguere caso per caso, distanziandomi semmai da un tipo antropologico, non da qualsiasi campagna indistintamente).

  56. Miguel Martinez scrive:

    E ancora per Peucezio…

    Un esempio.

    A Petriolo, vicino a Siena, ci sono delle splendide terme calde naturali, cui si poteva accedere liberamente.

    Adesso il solito consorzio di “attivisti” – imprenditori, politici, sostenitori dello Sviluppo, coniugatori-di-tradizione-e-di-modernità – hanno deciso di farci un megacentro privato.

    http://termedipetriolo.noblogs.org/

    Non credo che chi reagisce a qualcosa del genere sia perfettamente inquadrabile nella figura di “attivista” che tu dipingi; e certamente la persona “che fa vita privata” sarà la prima ad alzare le spalle e dire, “pazienza”. E quindi a subire l’attivismo degli imprenditori.

    • Peucezio scrive:

      Certamente.
      Va da sé che estendo il discorso anche alla vostra battaglia contro il parcheggio in Oltrarno, cui, se abitassi lì, cercherei di partecipare (con tutti i miei limiti di pigrone oblomoviano).

  57. jam scrive:

    x Andrea
    …se la disperazione si nutrisse davvero di eternità, Lucrezio, non si sarebbe suicidato.
    la disperazione si nutre di tante cose.

    la teatralità degli italiani é un narcisismo, sono teatrali anche x’ chiassosi e la fugacità del teatro non é che un pretesto x fare cose non fugaci, per assaporare gli attimi e un desiderio di poterli fermare, e brillare, ed essere, perché no, sempre al centro dell’attenzione; non a caso hai detto che l’Italia é il laboratorio del futuro!!!
    ciao

    • Andrea Di Vita scrive:

      per jam

      ‘Lucrezio’

      Il suicidio di Lucrezio, stando alle fonti, lo si deve a una ‘febbre d’amore’. Chi soffre di febbre è preda di allucinazioni. Una di queste, stando al Buddha, è appunto l’illusione della permanenza.

      ‘narcisismo’

      Nego che la teatralità sia narcisismo. Il narcisismo di solito è allergico alla disciplina: la personalità narcisistica regredisce a uno stato in cui ci si rifiuta in un mondo in cui non si dipende dagli altri, fino al limite dello solipsismo. Ora, ben poche sono le attività umane (forse il nuoto sincronizzato femminile, in cui peraltro le Italiane appunto eccellono) che richiedono maggiore coordinazione interpersonale e maggiore disciplina del teatro. Nota che ‘interpersonale’ e ‘reale’ si equivalgono nel pensiero di Kant, che sta alla base del mondo moderno, mentre si contrappongono ad esempio nel mito della caverna di Platone, dove il fatto che tutti credano alla realtà oggettiva delle ombre nulla attesta su quest’ultima. Teatralizzando a oltranza, l’Italiano ha un’apertura al mondo reale sconosciuta ad altri, che -come ad esempio i Tedeschi di una volta o certi Islamici di oggi- vivono cercando di adeguare gli altri alle proprie idee. Uno dei libri più tradotti della storia umana è Pinocchio, che è frutto della più misera e provinciale realtà Toscana, quella descritta nelle disperate ‘Veglie di Neri’ di Neri Fucini quasi contemporaneo di Collodi. Eppure Pinocchio è universale quanto Amleto o lo Zio Vania. E Pinocchio è innanzitutto un burattino di legno, cioè un attrezzo di teatro: come diventa bambino la sua storia finisce.

      ‘un desiderio di poterli fermare’

      Questo è Faust, cioè quanto di meno Italiano si possa immaginare. L’Italiano non ferma l’attimo precisamente perché sa bene che è un attimo. ‘Quant’e bella giovinezza / che si fugge tuttavia / chi vuol esser lieto sia / di doman non v’e’ certezza’. Questo non è Faust. E’ Epicuro. Finito l’attimo c’e’ l’oblio, non l’inferno. Nemmeno quello del desiderio inappagato. Il giovane Werther non abita qui.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  58. jam scrive:

    …la febbre dell’amore di Lucrezio é una parte dell’amore, cosi come i lapilli sono una parte del vulcano.
    se escludi la febbre escludi anche l’amore
    se togli l’amore, togli anche l’uomo
    e quello che resta é un manichino fantoccio, sul quale naturalmente potrai dire tutte le cose sensate che vorrai.
    quest’uomo manichino é parziale, mentre, l’uomo realista con la febbre, consapevole cheesiste una “realtà della febbre” e delle sue visioni é più completo. non tutte le allucinazioni sono delle visioni, non tutte le visioni sono delle allucinazioni. non tutte le febbri sono delle febbricità deliranti. le visioni sono fenomeni ottici di amplitudine dello spettro visivo. una vista più performante.
    illusione della permanenza , vacuità del corpo fisico e della vita, l’impermanenza ci proietta sul piano che oltrepassa la materia degli atomi che si disgregano, per proiettarci là dove esiste un’altra fisica (fra l’altro anche la fisica del corpo di resurrezione), là dove anche gli atomi sono un’altra materia, una non-materia, una materia spirituale. se esiste l’alcol esiste anche lo spirito o il vino é una materia tutta masticabile? ed il profumo é una materia con la quale puoi tessere un tessuto?( in un certo modo si, ma in un certo modo no.) là, nel non luogo, dove il nome impermanenza o vacuità, non esiste più ed é pragmaticamente del tutto superfluo, esiste un’altra fisica.
    del resto anche Epicuro credeva agli dei ed al loro mondo, l’intermundia divino. soltanto che li vedeva staccati dall’uomo, e questa staccatura ha un po’ di vero, ma anche qualcosa di inesatto.
    Epicuro parla quindi dell’intemondo: anche lui aveva la febbre ed era allucinato…
    ciao

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per jam

      La consapevolezza dell’impermanenza ha un ruolo liberatorio. La disperazione ha bisogno della permanenza, ma non ha spazio in un mondo privo di permanenza, al contrario della gioia e del dolore. Gli intermundia consentono a Epicuro di non scomodarsi a negare gli Dei -posizione tanto dogmatica quanto quella di chi crede agli Dei e al loro intervento nel mondo- ma a limitarsi a negarne un intervento esplicito nelle cose umane. L’Universo come lo vediamo oggi è ancora più vicino alla visione di Epicuro di quanto si potesse immaginare al suo tempo.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

      • Francesco scrive:

        >> La consapevolezza dell’impermanenza ha un ruolo liberatorio.

        una cosa assolutamente permanente è la mia lettura opposta rispetto a quella di Andrea delle stesse cose

        non potrei essere più schiavo che sotto il tallone di ferro dell’impermanenza, poichè ciò che non permane è nulla, vale nulla, dice nulla, e saperlo mi toglierebbe anche quell’istante in cui la godo.

        al contrario, nel momento in cui affero il legame tra l’impermanente e l’Eterno, allora godo l’impermamente senza timore e senza censura e sono consistente, vivo, libero

        non potrei carezzare la testa dei miei figli dormienti senza Consistenza della realtà

        • Andrea Di Vita scrive:

          Per Francesco

          La tua mi sembra quasi una posizione opposta a quella di Chesterton nell’ ‘Ortodossia’, dove l’autore contesta proprio il determinismo meccanicista come schiavizzante e azzerante la speranza umana.

          Non vedo perché la consapevolezza del’impermanenza sia ‘svalorizzante’. Il piacere che mi dà un pranzo con gli amici non viene certo azzerato dalla consapevolezza che quel pranzo non è infinito. Il valore di un attimo sta nell’attimo stesso, e da nessun’altra parte. Ogni volta che accarezzo i capelli di mia figlia è la prima volta, per me come per il protagonista de ‘Le Avventure di Un Uomo Vivo’.

          E’ noto che la gioia dura un attimo, e così pure il dolore: gioia e dolore si scambiano di posto continuamente. La disperazione è la fede nella permanenza di un dolore che non passerà mai: esclusa la permanenza, il dolore e la gioia rimangono possibili, al disperazione svanisce.

          E visto che è proprio Chesterton che nel suo L’Uomo che fu Giovedì rivendica il potere rivoluzionario di una poesia, te ne riporto una, scritta dall’autore per stare vicino a una sua carissima amica in preda a una forte depressione a seguito di una impressionante sequela di disgrazie familiari e intitolata (foscolianamente) ”In vita di un’amica”:

          ”In fondo al cuore resta pur tranquilla,
          mia cara amica, chè l’intendimento
          del mio messaggio non era di squilla
          all’amicizia del ravvedimento:
          era d’amico vero sola cura
          di gioia e di salute cara attesa,
          d’ansia e d’angoscia presente e futura
          di pianto amaro terapia sospesa.
          Voglio che ‘sto divorzio non ti sbrani.
          Voglio che di tuo figlio il bel sorriso
          scacci di mente tua i fantasmi strani
          che l’amarezza scrive sul tuo viso.
          Ricorda che non sei solo sconfitta:
          finchè respiri, ed ami, e ‘l sole scalda,
          niente e nessuno l’anima tua dritta
          indebolisce, nè ‘l respiro sfalda
          il cortisone, il male e la tristezza
          d’un’esistenza solitaria e triste.
          Non ti dimenticare la fortezza
          che viene dal ricordo delle miste
          giornate di dolore e di allegria
          che pur passasti col figlio e col marito.
          Passata non è gioia. Nè stantia
          rimane la speranza. Fu scolpito
          nel tempo il tuo piacere. (Si’, lo sarà
          di nuovo). Hai chiaramente capito
          che non ad Elena triste mai verrà
          data la palma d’esser quella vera,
          e neanche all’Elena felice
          che pur conosco, lucida e sincera;
          ma tutte e due come la fenice
          risorgon dalle ceneri del caso
          or una or l’altra, senza permanenza.
          Per la disperazione è forse abraso
          il solido telaio dell’esistenza.
          Ma la disperazione vuole eterne
          le fonti delle lacrime e ‘l dolore
          pel quale adesso luce non discerne
          l’amica mia. Nulla, nè ‘l calore
          d’amante, nè lo squallido disprezzo,
          nè l’orgasmo, ne’ ‘l pianto di bambina,
          nè fallimento, nè gloria senza prezzo
          stabile resta più che gocciolina
          d’acqua che sui capelli poco asciutti
          resti d’un bimbo ch’esce di piscina.
          Non creder che i tuoi giorni siano brutti
          Elena mia, non disperazione
          è legge eterna d’ogni tuo respiro.
          Ieri alla porta t’attese l’afflizione.
          Oggi la gioia (in punta di una biro,
          a una porta che sbatte, alla finestra
          che s’apre su un cortil che non sapevi
          essere lì, pieno di ginestra
          in fiore) in un momento grata bevi
          incredula di sorte tanto bella:
          dura un giorno, ma brilla come stella.”

          Ciao!

          Andrea Di Vita

        • Francesco scrive:

          non capisco dove tu trovi “il determinismo meccanicista” nella mia posizione. mi pare non c’entri nulla.

          io tengo per intollerabile un susseguirsi di gioie e dolori, attimo per attimo, privo di senso, legame tra passato e futuro (che l’attimo presente è nulla a guardarlo), ciò di cui necessito è sostegno nel dolore e fiducia nella gioia

          mille volte ti ho detto che non potrei godermi davvero un bicchiere di vino “in sè”, e meglio di me lo disse Giacomo Leopardi, esprimendo fino in fondo l’animo umano

          ciao

          PS alla fine, dolore e gioia stanno entrambi, insieme, nel senso della vita. che non è mai presente tutto in un solo istante, questo io leggo nella poesia che riporti

  59. Fisico teorico, ateo comunista (credo in senso puramente marxista – o marxiano? :)), ottimo oratore.
    Ho idea che il seguente video:
    http://www.youtube.com/watch?v=EiDbNxQj8TA
    sia attinente con il tema del post.
    Astenersi detrattori dell’omeopatia. 😀

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Riccardo Giuliani

      L’oratore lo conosco. Segue la vecchia idea -traducendola in parole povere e non rigorose- di una onnipresenza di campi elettromagnetici tipo laser su scala microscopica nella materia, campi che farebbero agire gli atomi gli uni sugli altri come e meglio delle forze statiche di solito considerate in chimica. Ad essere generosi, l’idea non è condivisa dalla maggioranza degli scienziati per sistemi a temperature appena superiori allo zero assoluto. Una volta ignorato questo limite, ci si trova dentro la giustificazione di tutto, anche dell’omeopatia.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

      P.S L’autore ha anche scritto un libro in cui siggerisce che le armi con cui gli USA hanno bombardato la Serbia di Milosevic fossero bombe H a fusione fredda.

      • Ottimo; il che non significa che non sia vero quel che dice, almeno in parte.
        E poi, invece che “gli uni sugli altri”, avrei detto gli uni con gli altri.

        Ma poi di che limite parliamo?
        Tra lo zero assoluto, e l’idea che sopra allo zero assoluto ciò non sia possibile… ce ne corre.
        (cioè, tra una costante universale e l’idea che noi ce ne facciamo c’è di mezzo un intero universo)

        Riguardo al P.S.
        Forse ti riferisci a “Il segreto delle tre pallottole”, dove parla – a leggere le recensioni – dell’Iraq: diciamo che almeno ha fatto ricerche e studi sulla fusione fredda.
        Spero che abbia onestamente trasfuso le sue conoscenze nel libro, che è messo in forma di romanzo, pare per evitare problemi di vario genere.

        Se hai qualche testo da suggerire con una visione contraria mi piacerebbe conoscerlo.

        • Andrea Di Vita scrive:

          Per Riccardo Giuliani

          ‘gli uni con gli altri’

          Hai ragione, mi sono sbagliato.

          ‘zero assoluto’

          Perdònami l’oscena semplificazione: maggiore è la temperatura, maggiore è l’agitazione disordinata delle particelle di un sistema. Un comportamento ordinato come quelli invocati da Del Giudice è quindi tanto più facile quanto più la temperatura è vicina allo zero assoluto. In particolare, qualcosa di simile a quello che dice lui si osserva solo a pochi millesimi di grado sopra lo zero assoluto e solo in sistemi molto particolari. Lui invece sostiene che tali comportamenti sono cosa comune anche a temperatura ambiente (cioè a circa trecento gradi sopra lo zero assoluto). Per fare ciò usa una teoria simile a quella del laser, che pero’ a sua volta si basa su presupposti che nella comune materia sono come minimo di validità dubbia.

          ‘conoscerlo’

          Come testo a livello divulgativo, e lealmente critico:

          http://en.wikiversity.org/wiki/Cold_fusion/Skeptical_arguments/Shanahan

          e sempre divulgativo, ma molto più ferocemente critico (fin troppo):

          http://www.cicap.org/new/stampa.php?id=273923

          Se invece vuoi bibliografia specialistica, fammi sapere 🙂

          Ciao!

          Andrea Di Vita

        • Mi piacerebbe poterne leggere; ma mancano tempo e soprattutto buone competenze.
          Tuttavia passami qualche titolo, non si sa mai: va bene anche per email, che Miguel può darti tranquillamente (non so se può vedere quella che uso per commentare).

          Ho un dubbio leggendoti…
          Un comportamento ordinato come quelli invocati da Del Giudice è quindi tanto più facile quanto più la temperatura è vicina allo zero assoluto
          intendi la materia inerte o anche vivente?

        • Andrea Di Vita scrive:

          Per Riccardo Giuliani

          ‘vivente’

          Inerte. Quello che ho detto si riferisce alla materia inerte. L’esempio tipico è il magnetismo del ferro, che domina al di sotto di una certa temperatura e sparisce al di sopra di essa. Un altro esempio è la superconduttività, in cui un metallo (grazie appunto al moto ‘ordinato’ degli elettroni in esso contenuti) smette di offrire alcuna resistenza alla corrente elettrica che lo attraversa, ma solo a temperature basse. Le teorie di Del Giudice si rifanno esplicitamente alla superconduttività, ma calcoli indipendenti (*) mostrano che nulla si vede a temperatura ambiente, checché lui ne dica.

          Di solito non si ritiene che la materia vivente segua leggi diverse da quella inerte. Posizioni distinte da questa posizione ‘riduzionistica’, che appunto ‘riduce’ il vivente al non vivente, sono ad esempio alla base de ‘Il caso e la necessità’ di Monod, e sono state in passato contestate sia dal ‘vitalismo’ di Berzelius sia dai discepoli delle ‘strutture dissipative’ di Prigogine. Ma oggi queste contestazioni non hanno portato a granché.

          Ciao!

          Andrea Di Vita

          P.S. (*) Cfr. eq. (30), (40) e (58) di M. Apostol, Physics Letters A 373 (2009) 379–384. Apostol ha rivisto criticamente il lavoro del gruppo di Del Giudice partendo da zero. L’ho chiesto personalmente allo stesso Apostol, e ti riassumo la sua risposta: il limite superiore sulla temperatura potrebbe essere rimosso solamente se si avesse una densità di particelle molto superiore a quella tipica dei sistemi descritti da Del Giudice, e in pratica molto più alte di quelle tipiche di un solido. Siamo lontani dai sistemi viventi.

          Ma c’e’ di peggio con Del Giudice. Sia il lavoro di Apostol, sia un altro lavoro di rassegna sullo stesso argomento, quello di C.P. Enz, Helv. Phys. Acta 70 (1997) 141 – 153 (al paragrafo 3 e nelle equazioni 2.4 e 2.5) mostrano come un postulato semplificativo del modello di Del Giudice et al. è che nel sistema non ci sia alcuna corrente elettrica dovuta a una tensione applicata al sistema. Ora, questa corrente elettrica è precisamente il sistema di solito usato negli esperimenti della cosiddetta ‘fusione fredda’ per riempire di idrogeno il sistema!

          Non contesto certamente a Del Giudice i limiti del suo modello: ogni modello ne ha. Ma tu che hai sentito il filmato, dimmi: lo hai sentito raccontare di queste obiezioni, o te le ha dovute illustrare il sottoscritto che guarda caso ha una laurea in Fisica?

        • lo hai sentito raccontare di queste obiezioni, o te le ha dovute illustrare il sottoscritto che guarda caso ha una laurea in Fisica?
          Ovvio che no, e ci mancherebbe!
          Ma soprattutto, già sapevo della tua laurea, region per cui ti chiedevo lumi.

          Per ora le fonti le segno a futura memoria: se hai altro da segnalarmi – senza annoiare gli astanti – e se tu volessi, una mia mail è data dal (solo) mio nome e dal dominio che vedi nel link quando posto qui (e perdona le contorsioni anti-spam).

          Intanto, grazie.

      • Ritvan scrive:

        —-L’autore ha anche scritto un libro in cui siggerisce che le armi con cui gli USA hanno bombardato la Serbia di Milosevic fossero bombe H a fusione fredda. ADV—
        Ma no, cribbio, erano sicuramente dei “raggi mortali” di…Tesla (la nemesi, Tesla era serbo!)…oppure bombe alla criptonite?:-)

        • Andrea Di Vita scrive:

          Per Riccardo Giuliani

          Ti ho spedito tre testi divulgativi abbastanza ben fatti, di cui uno pesantemente critico e gli altri due molto generali. La cosa interessante è la data del più recente dei tre. Il server mi conferma che ti sono arrivati.

          Ciao!

          Andrea Di Vita

  60. jam scrive:

    narcisismo
    affermo il narcisismo della teatralità, come momento costitutivo.
    il teatro come la danza hanno una componente esorcizzante, che elude la disciplina, che fa perno o scaturisce dall’improvvisazione, dal sentimento, dal pathos, dall’ardore dell’interprete.
    l’ardore, questa specie di febbre, puo’ nascere anche dalla disciplina, ma irrompe come momento assolutamente indisciplinato. questa indisciplinatezza oltrepassa il personale e tocca l’interpersonale. (quando Dionisio si specchia nel lago, la sua immagine riflette l’universo).
    non é solo la bellezza privata-personale, che affiora nell’atto narcisistico, ma la bellezza in quanto tale, al dilà della nostra persona, nella sua interpersonalità, nella sua indipendenza dai mondi.
    condivido per tanto, come dici tu, che la teatralizzazione ad oltranza degli italiani, abbia un’impatto-apertura sul mondo reale, sconosciuta agli altri, ma vedo in questo teatro anche una arcaicità irreale, un pensiero primitivo e selvaggio, una taumaturgia, che riconduce ai miti, agli “dei” ed al pensiero simbolico. come appunto Pinocchio. Pinocchio é simbolicamente di legno, simbolicamente di teatro, ma vive come un essere umano, e corre il rischio di diventere veramente di legno nel momento nel quale si umanizza.
    il teatro resta neutro, é un vuoto, una scena sempre vuota, riempita effemeristicamente, affinché si svuoti x riempirsi di nuovo. i movimenti che produce, e le forme che ne scaturiscono, sono anche avvolte dal mistero.
    ciao

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per jam

      Il teatro-danza come lo descrivi tu è quello dei Dervisci. In Italia non ce l’abbiamo avuto. E’ anche la tragedia Greca descritta da Nietzsche. Concordo in pieno sul fatto che il teatro -inclusa la teatralità naturale della vita quotidiana- abbia una componente arcaica. E meno male! Saremo sempre dotati di un qualche antidoto contro l’alienazione.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  61. jam scrive:

    Epicuro :
    “nessun piacere é un male in sé, ma ci sono dei piaceri che portano ben più tormenti che piaceri”
    un invito quindi alla Prudenza,
    non soltanto un:
    “chi vuol esser lieto sia di doman non v’é certezza”
    che é una frase spicciola, che non esprime gran ché…
    ciao

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per jam

      ‘prudenza’

      Forse è più un invito al rasoio di Ockham. Se i piacere Epicureo è sostanzialmente soddisfacimento di un bisogno, spetta solo a ciascun essere umano stabilire quale bisogno gli/le è naturale e necessario e quale no. A differenza del primo, Il soddisfacimento del secondo finisce con lo sciupare più di quanto produca. Quindi una vita che non sia inutilmente dolorosa deve essere epr forza una vita vissuta consapevolmente. Dentro quindi questo pensiero ci sta tutto l’appello alla dignità umana, che non s’ha da lasciar calpestare dall’Architetto Costruttore di illusioni che fu l’ultima tentazione del Buddha. (Questo è tra l’altro anche un possibile senso della ‘trasmutazione di tutti i valori’ invocata da Nietzsche). Il discorso del ‘lieto’ e della ‘certezza’ sta bene in questo contesto: abolire la fede nella permanenza, l’attaccamento condannato dall’Illuminato, è appunto l’invito di Lorenzo il Magnifico. E’ da notare come né Epicuro né Lorenzo il Magnifico né il Buddha fossero irreligiosi, perché l’agnosticismo è la più sincera forma di rispetto del Totalmente Altro.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  62. jam scrive:

    ..no, il teatro danza che esprimevo sopra, non é quello dei dervisci.
    quello dei dervisci é ancora un’altro tipo di teatro, cioé é chiaramente una preghiera, un inno di lode:
    l’uomo non esiste più
    il sipario é sparito
    restano le traiettorie circolari delle galassie
    ciao

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per jam

      Giusto. Il senso cosmico che dici tu da noi ce l’ha avuto solo Leopardi (in questo Lucrezio è minor poeta, è più didattico). Noi Italiani abbiamo decisamente più sviluppato il senso del convivio. (Peccato non conosca un solo esempio di poesia Etrusca!).

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  63. Pingback: Animalisti con gli stivali di pelle e la menzogna fondante d’Italia | Delusi dal bamboo,

  64. Miguel Martinez scrive:

    Sulle discussioni riguardanti nord, sud, risorgimento, ecc….

    Come sapete, sono da sempre appassionato di storia. E proprio per questo, credo che la storia ci insegni due cose fondamentali, che ci permettono di distaccarcene.

    La prima è la sua complessità. Thea von Harbou, ricchissima sceneggiatrice, tesserata al partito nazionalsocialista, volontaria in fabbrica, spende le sue ricchezze per aiutare la liberazione dei suoi amici “terzomondiali”. E troveremo cose simili ovunque, ogni volta che guardiamo al microscopio la storia apparentemente così nitida e lineare.

    La seconda è che ogni cosa avvenuta è irrevocabile. Per quanto possiamo maledire o esaltare figure del passato, non possiamo cambiare assolutamente nulla – non solo non possiamo salvare il sud o gli ebrei o la Germania o il comunismo o l’impero: non possiamo nemmeno cambiare la storta che un contadino prese al piede nel 1723. Nulla.

    Invece, il passato può cambiare noi: nel senso che i suoi fantasmi possono uscire dalla tomba e vampirizzarci la vita. In realtà, spesso non è il “passato” che lo fa, ma ciò che proiettiamo sul passato; ma il risultato è lo stesso.

    Ecco perché è importante partire dal presente, non in maniera ignorante; ma sapendo che possiamo cambiare solo il da questo momento in poi. E sapendo che dobbiamo partire da tutto il presente, così come ci viene dato, dalle persone con le loro diverse storie, con i loro “passati” emotivi inconciliabili.

    Partiamo da cose molto semplici reali, che conosciamo bene, e che sono inequivocabilmente giuste.

    Nessuno, ad esempio, deve avere la hybris di accaparrarsi l’acqua del mondo.

    E quindi, qualunque sia la tua personale storia emotiva, modo di vestire, santini che tieni in casa, carattere, facciamo qualcosa per combattere la privatizzazione dell’acqua.

    E’ solo un esempio, ma di cose giuste per cui impegnarsi, ce ne sarebbero molte, senza cadere nell’attivismo o nell’illusione di salvare il mondo.

    Ma non lasciamo che il passato ci uccida.

    • Roberto scrive:

      Suggerisco di dedicare un post a parte a questa bella riflessione che sarebbe un peccato perdere nei commenti

    • Tortuga scrive:

      Si, è uno scritto stupendo, dalla prima all’ultima lettera.

      Fra l’altro descrive tutti i motivi per cui io non sono una appassionata di storia. Trovo spesso morboso il modo in cui le persone si appassionano di storia e trovo che certe visioni della storia siano a volte un modo per boicottare il presente.

      E’ vero che il passato ci porta dei retaggi che è utile conoscere, almeno in sintesi, e che una parte della nostra vita individuale e collettiva è – purtroppo – dedicata a liberarci delle ipoteche che il passato ha posto sulle nostre vite, ma è anche vero che questi retaggi sarebbe molto più semplici da eliminare di quanto sembri.

      La storia qualcosa insegna senz’altro, se però non diventa una malattia. Inoltre la storia scritta nei libri è molto diversa da quella vissuta, perché tiene in considerazione esclusivamente ciò che – appunto – è stato scritto e dimentica le mille storie silenziose di quelli che non hanno avuto voce.

      Inoltre io non capisco sinceramente come si possa fare e concepire una storia tutta solo ed esclusivamente di categorie ed etichette come se davvero la complessità di un individuo umano possa riassumersi nell’etichetta che qualcuno decide di apporgli.

  65. mirkhond scrive:

    “Invece, il passato può cambiare noi: nel senso che i suoi fantasmi possono uscire dalla tomba e vampirizzarci la vita. In realtà, spesso non è il “passato” che lo fa, ma ciò che proiettiamo sul passato; ma il risultato è lo stesso.”

    E’ vero. Però c’è da chiedersi PERCHE’ alcuni di noi si rifugiano in un passato, magari rielaborato e mistificato quanto si voglia, e ci “vampirizziamo” la vita che viviamo nell’OGGI?
    Perché c’è gente come Paolo Sizzi, mirkhond o altri che non accettano il presente, la realtà in cui vivono e da cui a loro volta si sentono respinti?
    Perché?
    Perché per alcuni infelici (perché questo è alla base del tutto, non prendiamoci in giro…) è proprio impossibile accettare l’oggi?
    Sono sempre e soltanto loro a porsi dal lato sbagliato della vita?
    Oppure è la stessa vita, la loro e quella di chi li circonda, a spingerli verso i fantasmi del “passato”?
    Io la risposta non ce l’ho…..

    • Tortuga scrive:

      Alcuni lo fanno con la storia, altri lo fanno con altre cose.
      E’ una scorretta disposizione della mente cui soggiaciamo tutti, quella di rifiutare il confronto con il presente e tentare delle manovre di evitamento cercando di volta in volta rifugio dove non c’è, il passato, la storia, oppure il futuro, la scienza, oppure anche – a volte – alcuni modi di vivere la religione stessa.
      E’ così per tutte le persone che si esaminano attentamente in tutti i luoghi ed in tutti i tempi, fa parte della mente umana, c’è questa tendenza a rifuggire dalla presenza mentale.

      • mirkhond scrive:

        Chissà perché poi…
        Tutti fanno le diagnosi, ma nessuno trova mai la soluzione….
        Facile amare l’umanità in astratto, no tav, l’oltrarno fiorentino ecc.
        Difficile amare chi ci sta vicino e che soffre sul serio, ma di cui non gliene frega niente a nessuno…
        E se grida, urla, si lamenta per il suo dolore, alla fine scocciati e spazientiti gli si dice che in fondo è sempre e solo colpa sua….
        Stop.

        • Andrea Di Vita scrive:

          Per mirkhond

          ‘sempre’

          Ti sei mai chiesto il perché?

          Te lo dice uno che è stato anni in depressione e ha sfiorato un paio di volte il suicidio.

          Ho cominciato a stare meglio (e a smettere di sentirmi colpevole del dolore mio e altrui) quando ho smesso di guardarmi l’ombelico e ho cominciato a guardarmi intorno.

          Non che si possa decidere di farlo: si sta male appunto perchè non lo si puo’ fare di propria volontà. Il modo migliore per continuare a stare male è sforzarsi di stare bene. E la cosa peggiore che gli altri possono fare è colpevolizzare chi sta male, perchè l’ultima cosa di cui chi sta male ha bisogno è sentirsi in colpa e sconfitto più di quanto già non sia. Oltre a tutto sembra che si voglia fare presuntuosamente la morale.

          Ma il secondo modo migliore per stare male -te lo dico per esperienza personale- è continuare a guardasi ossessivamente l’ombelico. Prima o poi l’occasione di guardarsi intorno mettendo almeno per il momento da parte i propri dolori arriva. L’importante è rimanere disponibile a cogliere questa occasione.

          Queste esperienze mi sono tornate utili anni dopo, quando mi sono trovato fra capo e collo una persona -la segretaria di un direttore d’azienda mio carissimo amico- che piegata da una serie di disgrazie che facevano impallidire le mie stava veramente per tagliarsi i polsi.

          Averla messa bruscamente di fronte alla possibilità di non ostinarsi a fissare l’ombelico è stata il mio contributo ad allontanarla da quella situazione.

          Non sono affatto sicuro che sia fuori pericolo, anche perché nessuno lo è. Ma almeno respira.

          Ciao!

          Andrea Di Vita

    • PinoMamet scrive:

      ” Perché c’è gente come Paolo Sizzi, mirkhond o altri che non accettano il presente, la realtà in cui vivono e da cui a loro volta si sentono respinti?”

      Lasciamo da parte Mirkhond un attimo e parliamo di Paolo Sizzi.

      Naturalmente ha diritto di rifiutare il presente che non gli piace
      (ha meno il diritto a reinventarsi il passato, ma sorvoliamo);

      ma questo lo aiuterà? Non mi pare proprio.
      Sono solo palliativi: il presente non mi piace allora mi rifugio nel mio passato preferito, per Sizzi possono essere i Longobardi o i Celti, per un altro magari non è neppure il passato ma un libro fantasy o le corse in bicicletta o il calcio o discutere in famiglia.

      Si tratta dell’alienazione, per la quale posso in tutta onestà e buona fede consigliare la terapia, o al limite un po’ di meditazione zen che convinca a concentrarsi sul qui e sull’ora.

      Posso avere nostalgia di tutti i Franchi del mondo, poi, e essere il più grande conoscitore, e va benissimo, ma sto vivendo in questo tempo qua, adesso.

      • mirkhond scrive:

        Si ma E’ in questo di tempo si sta male. Ovviamente per quelli che ci stanno male, che alla fine la colpa è sempre e solo la loro.
        Poveri alienati e disadattati cronici incapaci di amare questo bellissimo e meraviglioso presente tutto amore e altruismo.
        A cominciare da quello femminile….

        • PinoMamet scrive:

          Mirkhond,
          in tutti i tempi si sta male. Scusa la brutalità. E in tutti si sta bene.
          Darsi da fare per stare il meglio possibile, è l’unica cosa che possiamo fare.
          Sognare i Longobardi va benissimo; aspettare che vengano a risolverci i problemi, personali, sociali, locali o quel che l’è, è perfettamente inutile.

          Scusa la… franchezza 😉 ma dagli zen si sente ben di peggio!
          ciao!!

        • Tortuga scrive:

          – dagli zen si sente ben di peggio! – Pino –

          Mò sono curiosa 😉 A cosa ti riferisci?
          Vojo sapè, vojo sapè 😉

        • PinoMamet scrive:

          Mah, diciamo che, in linea con la loro tradizione, hanno un approccio spesso un po’ da sergente maggiore, che poi si sposa perfettamente con le abitudini emiliane…

          da “questo libro dove lo hai tenuto, pare che sia stato sotto il culo di una vaccaaaa!!” a “..per me se fanno casino possono benissimo stare a casa loro, devono capire che questa è casa mia, porca troia!” fino a “…sei troppo buono con i tuoi pazienti, non guariranno mai, devi fare così: metti su una bella musica rilassante, dell’incenso profumato.. .e sta dietro la porta con la mazza da baseball, e quando arrivano, taaac, giù botte! vedrai che guariscono….”
          😉

        • Andrea Di Vita scrive:

          Per Pino Mamet

          ‘male’

          Concordo. Te lo dice uno che ha passato anni in depressione, a mangiare pane e nisidina, prima di uscirne. E ne sono uscito precisamente quando ho smesso di guardarmi ossessivamente l’ombelico.

          Ciao!

          Andrea Di Vita

        • Tortuga scrive:

          – x Pino

          Dunque, quando gli domandi quanto hanno pagato l’ordinazione fuffa al loro maestro cinese o giapponese, e quale è la percentuale su ogni discepolo che devono mandare ai loro superiori, e quando gli dici che i loro “titoli” comprati non valgono nulla e che in realtà sono dei ridicoli buffoni (io gliele dico in faccia ste cose se li incontro … ma buon per loro che non li incontro quasi mai, e ormai neanche più), fanno un po’ meno gli spiritosi 😉

        • PinoMamet scrive:

          Eh ma quelli che conosco io non hanno l’ordinazione fuffa (non se la sarebbero potuta permettere) e sono anche maestri di judo, quindi…
          😉

        • Tortuga scrive:

          Eh, vabbé, ma senza ordinazione fuffa che zen sono? Mica che uno è uno zen perché fa il maestro di judo!

        • PinoMamet scrive:

          A dire il vero il mondo che ho conosciuto io era tutto meno che “fuffoso”.
          L’unica parte fuffosa e con le idee poco chiare erano certi aspiranti partecipanti alle “sesshin”, che ho visto anche mettere tranquillamente alla porta…

          dal punto di vista della documentazione ufficiale, per così dire, dei titoli ecc., mi pare che sia tutto iper in regola;

          non mi metto a fare tutta la storia del tempio, ma l’affiliazione è direttamente alle principali organizzazioni giapponesi, non al primo sòla, ecco.

          non so (e non credo) che si possa dire lo stesso per altre realtà buddhiste zen in Italia, il che spiega probabilmente anche certe distanze apparentemente incolmabili e certi scazzi…

          Un’altra cosa sul denaro.

          La domanda che mi è sempre stata fatta (prima per gli zen, poi per… altre religioni) è sempre stata:
          “ma, ti hanno chiesto soldi?”

          Io posso testimoniare di non aver mai pagato una lira per niente.
          Quando hanno organizzato un corso di arti marziali (con un bravissimo maestro che veniva dalla Toscana) certo pagavamo qualcosina per il corso (avevamo fatto i conti, e in pratica gli pagavamo poco più della benzina e del pranzo…) questo è ovvio, e non ha nulla a che fare con le attività “religiose”…

          ma per il resto, zero, nisba, niente.

        • Tortuga scrive:

          2 a caso, le prime due che mi vengono in mente:

          qui una volta mi è arrivato un invito che volevano qualcosa come 80 euro per una giornata di meditazione e riflessione sulle 4 nobili verità (ma c’era il cuscino di kapok 😉 )

          tempo fa invece una mia corrispondente mi ha raccontato di avere pagato in un centro zen, udite, udite, 100 euro per la presa di rifugio 😀 ma non ha voluto, ahimé, darmi il nome del centro!

        • PinoMamet scrive:

          Il cuscino di kapok immagino sia lo zafu…
          te lo puoi costruire benissimo da sola, basta saper cucire… in ogni caso, credevo facesse parte della dotazione standard di ogni centro che si rispetti dove si pratica meditazione zen, comunque, minchia, 80 euro per una giornata??

          da quando in qua poi per “prendere rifugio” si paga?
          robe da matti…

          il mondo dello zen, forse per la contiguità 😉 somiglia moltissimo a quello delle arti marziali che ho conosciuto:
          accanto alle persone serie (che spesso sono quelle che non ci guadagnano niente, se non ci rimettono) ci sono fior di cialtroni che si sono buttati nel business…
          e gli occhi a mandorla (da soli, perlomeno) non sono garanzia di serietà 😉

        • Tortuga scrive:

          Eh, già … e ce ne sono tanti dappertutto di cialtroni.
          Forse è proprio la natura umana che è cialtrona.
          Comunque, vabbé, bisogna proprio essere polli per “comprare” una presa di rifugio.
          In ogni caso in sto mondo io ho visto quasi sempre cose tristissime … anche il mio monastero alla fine mi ha deluso.

  66. jam scrive:

    x Andrea
    ..sono andata a rileggermi la poesia di Lorenzo il Magnifico, x’ la frase
    “chi vuol esser lieto sia di doman non v’é certezza” puo’ essere parafrasata in diversi modi, a seconda del contesto nel quale é inserita, e non sempre e soltanto nello stesso modo, e puo essere un inno ai “baccanali” ma baccanali completamente “religiosi” e quindi potremmo parafrasarla anche cosi:
    “chi vuol esser lieto sia”
    si puo’ cercare lietezza e gioia
    “di doman non v’é certezza”
    cioé ti propone la gioia e immediatamente dopo te la rende quasi impossibile , visto l’incertezza del domani; se la gioia é possibile non é la gioia sublime dell’Amore, ma una sottospecie.
    questo mondo é caduco e transitorio e conseguentemente non puo’ dare vere gioie e vera felicità: la vera felicità é l’Amore.
    quindi più che essere un raggiungimento é una ricerca. si puo’ cercare la gioia, nonostante l’incertezza del domani renda questa gioia presente soltanto nella sua assenza.
    l’incertezza dei giorni racchiude dolori, chi vuol essere lieto deve cercare questa gioia diversamente, non nella caducità dei giorni, ma nella maestà dell ‘Amore-virtù. La certezza é nella felicità dell’Amore, ma l’ Amore nella sua complessità é possibile soltanto nell’ assenza, si puo’ amare davvero solo qualcuno che non c’é completamente, qualcuno che esiste nel mistero. l’evidenza uccidel’amore perché l’amore non é empiricamente definibile, ma scavalca la definizione.

    “viva bacco viva amore”
    é un metodo di ricerca, e come tutti i metodi la sua validità aumenta più le ‘regole morali’ vengono rispettate…il piacere visto non come sfrenatezza, ma come scelta ed equilibrio dell’anima, e quindi anche come rinuncia della volgarità.

    Lucrezio é riuscito a scrivere cose incredibilmente vere e sovversive x la morale paternalistica.
    nel suo o inno a Venus, Venere fecondatrice, il femminile-creatore, il principio fecondativo della passività- attiva della donna, Venus come la shakti
    “senza di te(Venus) alle celesti distese della luce
    né alcunché di lieto e amabile accade… (Lucrezio)
    ciao

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per jam

      ”te la rende quasi impossibile”

      Mi sembra sia proprio il contrario.

      Se uno, provata una gioia, sperimenta l’attaccamento ad essa e si illude che durerà, quando la gioia sparirà proverà un senso di privazione, che secondo l’Illuminato è la fonte stessa del dolore.

      Se uno conserva la consapevolezza dell’impermanenza, il cessare della gioia non gli procura dolore, il cessare del dolore non smette di recargli gioia.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

      • jam scrive:

        …il cessare della gioia non gli procura dolore x’ quando tocchi la “gioia-beatitudine” nella sua autenticità, la gioia-beatitunine non finisce più, la gioia é l’illuminazione dell’illuminato.
        l’impermaneza é impermanenza dell’impermanente, non puo’ essere impermanenza di cio’ che oltrepassa l’impermanenza.
        ciao

        • Andrea Di Vita scrive:

          Per jam

          Va bene che l’Illuminazione si raggiunge anche solo contemplando un sasso per la strada, ma dubito possa attingere all’Assoluto chi non si renda conto dell’impermanenza del non-Assoluto che ci circonda. Infatti ho parlato di ‘una’ gioia quale si puo’ momentaneamente provare nel mondo di Maya, non della Gioia che non viene da questo mondo.

          Ciao!

          Andrea Di Vita

  67. mirkhond scrive:

    Prendiamo il caso di Paolo Sizzi

    L’80% di quello che dice sono stronzate allo stato puro.
    Eppure non riesco a provare disprezzo per questo ragazzo, ma solo tanta pena, perché capisco che dietro tante farneticazioni, quel ridicolo abbigliamento da piccolo hitler di longobardia maior, quel salut lumbardia e altre stronzate, si nasconde un ragazzo solo e infelice, anche se lui magari non lo ammetterà mai e gioca a fare il forte…
    Solo chi sta MALE Pino, puo’ capire certi drammi.
    Tutti gli altri ci possono solo ridere e sputarci sopra.
    Possono abbandonarsi a buonismi, irenismi e giudizi scontati che tanto non sono problemi loro.
    Altri ancora fanno divagazioni mistico-poetiche sul settimo cielo, fantasticando di favolosi empirei metafisici con linguaggi e termini che capiscono solo loro e gli iniziati come loro.
    Che vor dì cuore-intelletto?
    Che vor dì psicocosmico e altri filofesi INCOMPRENSIBLI?
    Allora se sto male sono cazzi miei? E’ pure colpa mia?
    Va benissimo. Ma allora gettiamo finalmente la MASCHERA DELL’IPOCRISIA UMANITARISTA e riconosciamo che in fondo i nazisti sono stati i PIU’ COERENTI, perché INCAPACI DI FARE DEL BENE, SONO STATI ECCELLENTI NEL FARE DEL MALEEEEE!!!!!
    E’ facile lottare per impedire la tav.
    E’ facile lottare per l’oltrarno fiorentino.
    E’ facile quando si è FORTI e SANI, fisicamente e psicologicamente.
    Quando la tua vita e la tua famiglia NON è stata DISTRUTTA dal tumore e dalla depressione.
    Quando non devi vivere TUTTI I SANTI GIORNI con una persona malata e sofferente che piange in continuazione, oppressa da visioni e spettri infernali da cui NON riesce a liberarsi.
    Un Dio che se C’E’ , NON GLIENE FREGA UN CAZZO DI TE E DI CHI SOFFRE CON TE.
    E tu sei impotente. URLI. Maledici il Creatore e il Creato. Ma da LI’ c’è solo SILENZIO.
    QUESTI SONO I MIEI PROBLEMI. QUESTIIII, e non l’oltrarno fiorentino o qualsivoglia battaglia barricadera per il bene dell’umanità….
    E del sofferente CONCRETO a chi gliene fotte? A CHIIII?
    Martinez è un sognatore.
    Guido è un sognatore.
    Di Vita è un sognatore.
    Tutti degli splendidi, meravigliosi, romantici sognatori che però NON POSSO FARCI NIENTEEEE!
    E allora, se NON SI PUO’ FAR NIENTE perché correre dietro a fuffologie futuriste e che PEGGIORANO SOLTANTO LE COSE?
    Almeno l’odio aperto e dichiarato di herr Sizzi e l’eutanasia verso i parassiti dell’umanità, diventano le uniche cose CONCRETE, rispetto all’insopportabile benestante e imprenditore saccente di Zena e della Romagna, che alla fine non è che uno strisciante e peloso moralista-RAZZISTA di SINISTRA e che magari gira pure in ferrari, ma vota pannella o comunista solo per farla all’altrettanto ipocrita prete….
    Stop.
    Un SILENZIO ASSORDANTE

    • PinoMamet scrive:

      ” Allora se sto male sono cazzi miei? E’ pure colpa mia?”

      ??
      Ma scusami, chi ha mai detto che è colpa tua? Capisco che stai male. Guarda, mi dispiace. Puoi credere che, comunque, ognuno ha i suoi cazzi; non dico io, ma molte persone che possono semprarti felici e contente possono stare attraversando o aver attraversato situazioni quali la tua.

      Ma il fatto è: chi mai te ne ha fatto una colpa, qua dentro?

      Poi dici, se sto male sono cazzi miei?

      ecco, questa è una domanda concreta. No, non sono cazzi tuoi. Ma noi, che possiamo fare? Dicci che possiamo fare e vediamo.

      capisco anche che una persona delusa e arrabbiata, che abbia bisogno di sfogarsi, lo faccia “urlando” sul blog. Ok. Ma, cosa risolvi, passato lo sfogo momentaneo?

      Non credo che ti alienerai le simpatie di nessuno, qua dentro. Non è questo il problema. Il problema è che rischi, per te, di vedere dei nemici dove non ci sono.

      Non so se qui c’è un imprenditore di Genova o romagnolo che gira in Ferrari. Se anche ci fosse, non è detto che sia la persona peggiore che possa capitare, al mondo. Potrebbe benissimo stupirti.

      ciao!

  68. mirkhond scrive:

    “Ti sei mai chiesto il perché?

    Te lo dice uno che è stato anni in depressione e ha sfiorato un paio di volte il suicidio.

    Ho cominciato a stare meglio (e a smettere di sentirmi colpevole del dolore mio e altrui) quando ho smesso di guardarmi l’ombelico e ho cominciato a guardarmi intorno.”

    Non cosa intendi per ombelico, visto che non sono un esicasta 🙂 del Monte Athos….
    Posso solo dirti che il nostro star meglio, almeno nel mio caso, dipende molto da chi sta vicino a me, vive con me, e sta male da almeno 23 dei suoi quasi 40 anni!
    Quando chi ti è vicino NON TROVA PACE, e da un mese, dopo una visita endocrinologica (a pagamento, s’intende!), si è sentita dire che deve rinunciare al polacchino del bar, suo unico sfogo assieme alle sigarette, perché pesa oltre 150 kg ed è a forte rischio diabetico, questa persona dicevo, con cui la vita è stata CATTIVA, sentendo che deve rinunciare anche a quel poco che ha, non fa che star male.
    Non c’è un santo giorno che Dio manda su questa cazzo di terra, che non ha crisi e vuol morire, MORIREE!
    Solo Andrea, che come sai meglio di me in italia l’eutanasia non è legalizzata per i malati di cancro, figurati per i depressi, e le leggi svizzere (luogo più vicino dove andare a FARLA FINITA, prevedono almeno tre commissioni mediche, oltre ad una forte somma per i NON cittadini svizzeri).
    Ed io Andrea, non mi chiamo Lucio Magri e non sono ammanicato con mezza politica per permettermi il lusso di morire DIGNITOSAMENTE assieme a mia sorella, per la “modica” cifra di 7000 euro (tre anni fa), oggi certamente molto di più, a Zurigo.
    Se vuoi rialzarti, se vuoi fare, costruire, realizzare anche un disegno Andrea, anche un racconto, che a me piace scrivere e disegnare, anche farmi solo un viaggetto NON POSSO, perché COSTRETTO a VIVERE SEMPRE SUL CHI VA LA’.
    Come ogni giorno che Dio ti manda in questo mondo fosse l’ULTIMO, Andrea.
    E ho quasi 41 anni. Non 81.
    Passo e chiudo.

  69. Tortuga scrive:

    Caro Mirk,

    avere gli ormoni fuori posto e disturbi endocrinologici è veramente un grave problema, il più delle volte anche perché è questo a generare una sindrome depressiva. Ad aggravare la situazione il fatto che sul fronte endocrinologico la nostra medicina è ancora piuttosto indietro e che spesso bisognerebbe sopportare la cosa così come è perché intervenire farmacologicamente non fa che peggiorare la situazione (gli antidepressivi peggiorano i disturbi endocrinologici).
    Sarebbe (in alcuni casi bisognerebbe dire “sarebbe stato”) sufficiente ternersi quello che si ha ed adattare la propria vita ad uno standard di prestazioni diverso, ma siccome viviamo in una società dove non essere perfetti e iperefficienti è una colpa e sembra quasi ci privi del diritto a vivere, magari una vita più ridotta rispetto a quelle piene di esperienze degli altri, c’è la rincorsa alla cure, che in realtà sono quasi inesistenti e fallimentari. A volte quando si sta male la cura migliore è cambiare il proprio stile di vita.

    Io ho in parte gli stessi problemi di tua sorella, anche se in misura ridotta rispetto a lei, che sono peggiorati da quando ho dovuto prendere farmaci antitumorali ormonali. Cerco di sopportare con pazienza, anche questo ha in un certo senso a che fare con il senso della vita.

    Non credo che ti possa aiutare il pensiero dell’eutanasia. E’ come se in ogni istante dicessi a te stesso che non ce la puoi fare, e questo ti rende più debole. Si, ci sono tante altre persone più fortunate, ma in qualche modo si può vivere almeno con un po’ di pace nel cuore (che non è qualcosa che tutte le persone che stanno bene hanno) anche così.

    Il problema è che più ci si agita rifiutando la situazione più si acuisce la propria sofferenza.

    Viviamo in un mondo in cui nessuno ci aiuta, anzi, il comportamento di tutto il mondo intorno ci mette ancora più in difficoltà. Non lo possiamo cambiare questo. Non in questo tipo di società malsana da ogni punto di vista in cui siamo nati e cresciuti. Gridare non serve a nulla. Ti può al massimo consolare pensare quanto sia più duro passare dall’ “andare a spasso in Ferrari” – rispetto a chi invece non ha vissuto nell’agio – ad una qualche situazione di malattia. Sappi però che il mondo là fuori non sta così tanto meglio di te come sembra.

    Un buon modo di affrontare un peso è assumerlo: la sofferenza si sgrava di almeno il 50 per cento solo modificando questo atteggiamento. Non te lo sta dicendo qualcuno che non vorrebbe aiutarti, per non farlo, ma qualcuno che vorrebbe, ma non può perchè sta nelle peste come te.

    Naturalmente non hai colpa di ciò che ti accade, quindi non pensare di averne né che qualcuno (non so chi) te ne faccia.

  70. daouda scrive:

    Se non credi a questa poesia di Rumi continuerai a vivere nel non senso. Del materialismo idiota che professi non hai infondo nessuna colpa ed è un problema che ci riguarda un po’ tutti.
    Quel che posso dirti è che sei fortunato, non sfortunato. Dio non ti chiede che mantenere la lucidità visto che potresti fare varie cazzate.Il resto lascia il tempo che trova.Il dolore che provi ha evitato che diventassi una merda. Questo è un regalo se ci pensi.E’ un discorso che può farti solo uno da fuori perché ho già provato a farmelo da solo ma non funziona e serve solo a farmi incazzare di più, reazione che presumibilmente avrai. E’ chiaro che Dio ha voluto tutto questo, difficile è comprendere perché, ED E’ QUI CHE SI DOVREBBE STUDIARE.
    Le tue bestemmie sono lode a Dio, qualora le facessi, e sarebbe anche incongruo che tu non bestemmiassi. Sono gli uomini che si offendono, non Dio.

    “Vide la sofferenza che bevevo una coppa
    di dolore e gridai:
    E’ dolce, non è vero?
    Mi hai preso in castagna, rispose la sofferenza ,
    e mi hai rovinato la piazza.Come farò a vendere dolore
    se si viene a sapere che è una benedizione?”

    “Sono morto come minerale, e come pianta sorto.
    Sono morto come pianta e ancora risorto come animale.
    Sono morto come animale e risorto come uomo.
    Perche’ temere allora di divenire meno morendo?
    Ancora una volta moriro’ come uomo
    Per risorgere come un angelo perfetto dalla testa alla punta dei piedi
    Ed ancora quando da angelo soffriro’ la dissoluzione Io mutero’ in cio’ che supera
    l’umano concetto.”

  71. jam scrive:

    x Andrea
    “gioia quale si puo'”
    la gioia che puoi provare momentaneamente nel mondo di maya come illusione é proprio quello che Epicuro detestava, preferendo, ad esempio, mangiare semplici gallette di orzo, invece di un pasto che noi oggi chiamiamo impropriamente epicureo!
    Epicuro vedeva questi desideri come imperfetti quasi debosciati, e li rigettava nello stesso modo nel quale si opponeva alla “superstizione religiosa”, la “superstizione epicurea”, non rispetta il pensiero di Epicuro.
    ciao

  72. jam scrive:

    …minerale
    pianta
    animale
    uomo
    angelo
    tutte queste metamorfosi, questi stati, queste progressioni, queste evoluzioni, non sono volate via, restano inscritte dentro di noi, restano in noi, nelle nostre vene, nella nostra carne, nel nostro spirito, ed appartengono alla nostra “sostanza”. il sasso, l’animale, la pianta, non sono degli altri, non sono degli estranei, ma fanno parte di noi stessi. e qui la domanda di Nietzsche:
    “come potrebbe esistere un “aldifuoridime”?”
    rivela tutto il suo senso e la sua giustezza.
    allo stesso modo della “trasmutazione dei valori” niciana ricordata da Andrea.
    trasmutare é un atto ermeneutico e metafisico. ma, siccome Nietzsche rigetta la metafisica x’ secondo lui sono le persone corrotte che si occupano di metafisica, e siccome nella realtà la metafisca resta x’ é indipendente dalle persone e dai giudizi niciani, lui deve chiamarla con un’altro nome. questo trascendimento, questa trasmutazione dei valori é un momento extatico: la metafisica di Nietzsche si chiama extasi, si chiama ermeneutica ontologica.
    cosi’ come il tropismo del fiore é un momento extatico-empatico
    quando noi siamo fiore viviamo l’inevitabile empatia del fiore
    un tropismo di tropici assetati, che si dissetano, perché no, di sostanza luminosa.
    ciao

  73. Moi scrive:

    @ TORTUGA E PINO :

    Mi sa che oramai siete pronti per una molto scomoda verità antropologica :

    “E’ l’ironia della storia: le chiese degli stermini di massa e coi tetti d’oro predicano l’amore e la povertà”. [cit.]

    il resto è qui :

    http://team-centurion.blogspot.it/2012/02/arti-fossili-controllo-mentale-e.html

    : ) 😉

  74. Moi scrive:

    @ Andrea De Vita

    Hai letto “Pan Tadeusz” di Adam Mickiewicz ?

    … almeno tradotto in Italiano ?

  75. mirkhond scrive:

    “I nazionalisti bielorussi sostengono che ls Bielorussia sia la VERA Lituania, la Lituania storica e che i bielorussi sarebbero balti slavizzati (sai quanto saranno contenti in Lituania 😀 )”

    E c’è un fondo di verità in questa storia, oppure si tratta di una delle tante mistificazioni risorgimentaliste moderne?
    Comunque interessante che un gruppo slavo orientale vanti origini non slave, se pensiamo ai Russi che NON accettano che la Rus’ di Kiev venne fondata da una classe dirigente di pirati-commercianti svedesi, i Variaghi….
    ps. I Veneti antichi dell’attuale Polonia, citati in Tacito (55c.-120 d.C. e Tolomeo (100c-175 d.C.), possono avere qualche rapporto con i Paleoveneti adriatici della regione che ancora oggi porta il loro nome?
    ciao!

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      Qualche leghista ti risponderebbe che gli unici veneti con cui hanno rapporti i paleoveneti erano quelli dell’armorica 😉 Questo per dire che, a mio avviso, la pista dell’onomastica può essere fuorviante per i nomi di popoli diffusi.

      • PinoMamet scrive:

        ” Qualche leghista ti risponderebbe che gli unici veneti con cui hanno rapporti i paleoveneti erano quelli dell’armorica”

        …e direbbe una grossa cazzata, mi sa…

      • PinoMamet scrive:

        Comunque è stupefacente la velocità con cui la storia antica possa venire riscritta; prima nella versione colta, poi in quella sputtanata semi-colta, infine in quella sputtanatissima “stile Lega”.

        Per esempio, quando andavo alle elementari, ci insegnarono che prima dei Romani, la cittadina di F. era abitata dai Galli; poi arrivarono i Romani e li cacciarono tutti. Se qualcuno fosse andato in giro a dire di discendere dai Galli, lo avrebbero rinchiuso a Colorno o a Monticelli (dove avevano sede due note istituzioni psichiatriche; era il modo locale per dire “andare di matto”).
        Quando ero al Ginnasio, l’idea generale era già cambiata parecchio, ed era che i Romani fossero cinque di numero e non cacciarono nessuno (più o meno è la vulgata corrente di adesso, ma è sbagliata anche questa…)
        Finalmente scoprono (vent’anni fa…) degli insediamenti etruschi, con tanto di buccheri, pani di bronzo pre-monetali con iscrizioni, vasi attici di importazione ecc.

        Vado in biblioteca, e leggo il libro sulla storia locale, nuova edizione: gli Etruschi figurano molto più approfonditamente dei Galli, che in effetti non hanno lasciato un cazzo, e si dà ampio spazio al fatto che questi popoli si fossero semplicemente mescolati (e i Romani pure).
        (Aiuta il fatto che l’autore sia, in effetti, persona colta e intelligente, e non il solito esaltato).

        Vuoi vedere che tra un po’ a scuola gli insegnano “discendiamo dagli Etruschi”?

    • habsburgicus scrive:

      @mirkhond
      L’attuale Bielorussia fece parte del Granducato di Lituania dal XIV secolo al 1795 (la parte occidentale già all’epoca di Gediminas, 1316-1341 e quella nord-occidentale addirittura da metà XIII secolo, quella orientale dall’epoca di Algirdas, 1345-1377; Smalensk cioé Smolensk in Russia fu lituana dal 1404 al 1514 e dal 1611 al 1654 e solo nel 1793 fu abolito il voivodato in partibus di Smalensk !), dunque qualche ragione ce l’hanno pure 😀
      se poi consideriamo che sino al XVII secolo la lingua ufficiale del Granducato di Lituania (dal 1697 divenne il polacco) era il “ruteno”, versione settentrionale (un po’ diverso dal “ruteno” tout court che sarebbe l’ucraino) vale a dire l’antico bielorusso, le “ragioni” aumentano ! in tale lingua furono scritti gli Statuti di Lituania del 1529, 1566 e 1588, che rimasero in vigore sino al 1840 (nei governatorati ucraini di Poltava e Černihiv, anch’essi un tempo lituani, sino al 1917 !!!)
      Sino al 1569 la Lituania comprendeva anche i voivodati (alcuni organizzati da poco, o in fieri, ma tanto per capirci) di Padlaššja (Podlasie), Volinia, Braclav e Kyïv che nel 1569 furono dati alla Polonia e, tranne la Podlasie, formarono la cosiddetta Ucraina polacca ex-lituana (la Galizia, già polacca da metà XIV secolo e mai lituana già allora aveva un’altra storia); in questa Ucraina ex-lituana restarono in vigore le leggi lituane e i privilegi della nobiltà lituana, estesi nel XVII secolo a Černihiv (voivodato dal 1635) preso dalla Moscovia ad inizio XVI secolo e riconquistato, in modo effimero, nel 1611/1618 (in Lituania i magnati erano favoriti, in Polonia era invece favorita la szlachta o quantomeno non c’è era differenza giuridica fra szlachcic e magnate e col tempo ciò si diffuse anche in Lituania, con la polonizzazione che raggiunse i suoi fasti nel XVIII secolo e sì, è incredibile ma vero :D, nei primi decenni di zarismo sino alla folle ed autolesionista insurrezione del 1830-1831, paragonabile anche se con effetti più negativi per gli insorti all’insurrezione greca del 25/3/1821 che rovinò l’ellenismo nell’Impero ottomano così come l’insurrezione polacca rovinò il polonismo nell’Impero russo :D)
      Nel 1569 (e se è per questo sino al 1772/1795) il Granducato di Lituania era diviso in 8 voivodati e 1 principato (più quello “fantasma” di Smalensk); orbene 6 di questi voivodati (Połack, Viciebsk, Mscisłaŭ, Miensk, Navahrudak e Brest) erano, in tutto o in parte, in Bielorussia; altri 2 voivodati (Vilnia/Vilnius e Trakai/Troki) avevano delle parti bielorusse (ad esempio Hrodna cioè Grodno in polacco e russo, Gardinas in lituano era un paviet del voivodato di Trakai sino al 1793, quando nell’efffimea riorganizzazione della “Rumppolen” fu elevato a voivodato indipendente); era etnicamente lituano al 100 % solo il principato di Samogizia, i cui abitanti però erano all’epoca chiamati “samogizi” e non “lituani” (i nazionalisti bielorussi più accesi accusano i lituani di furto di nome :D; secondo loro la Lituania ha ogni diritto di esistere, senza Vilnia che in effetti aveva nel 1900 pochissimi lituani ed era soprattutto polonizzata, ma dovrebbe chiamarsi Samogizia :D)
      Sotto l’Impero russo, dei 6 Governstori del Nord-Ovest 1 solo era puramente lituano (quello di Kaunas/Kovno, creato nel 1843) mentre tutti gli altri 5 erano a maggioranza bielorussa (Vilnia, Viciebsk, Mahiloŭ, Miensk e Hrodna), laddove la nobiltà era quasi sempre polacca (secondo i bielorussi, e non hanno tutti i torti, i nobili erano bielorussi polonizzati); nel governo di Vilnia, i nobili polacchi erano il 95 % degli aristocratici ma anche nella distante Mahiloŭ i nobili si definivano polacchi quasi al 75 % (solo a Viciebsk i polacchi erano in minoranza nella nobiltà, ma restavano il 37 %…e scusate se è poco :D)
      Le città erano abitate quasi solo da ebrei (a Pinsk raggiungevano il 90 % :D) e da qualche funzionario zarista che si autodefiniva “russo”;
      le campagne erano abitate invece dai bielorussi, del tutto snazionalizzati e privi dal 1839 del supporto della Chiesa unita che avrebbe potutro avere il ruolo enorme che ha avuto nella Galizia asburgica; e OGNI regimne filo-russo, zarista, sovietico o post-sovietico ha odiato e odia l’aborrito Uniatismo ! (non amato neppure dai polacchi che preferivano il passaggio direto al latinismo come fecero nel XVII e soprattutto XVIII secolo i ricchi e i nobili, piùin Bielorussia che in Ucraina donde il discteto numero di cattolici romani bielorussi che molte volte si sentivano, o si sentivano, “polacchi”)
      in un certo senso risorgimentale è ancora più il nazionalismo della Repubblica di Lituana, che “censura” ‘ affascinante e complessa storia lituana in chiave etnica (Andrea ne ha già accennato a proposito della Polonia, ma ciò vale anche verso i bielorussi)
      Łukašenka però non vuole sentir parlare di eredità lituana che in Bielorussia odierna intriga i colti (pochi et por cause ) ma é completamente sconosciuta al popolo, cui si propina un misto di sovietismo, russo-zarismo, e ortodossismo anti-occidentale, anti-polacco e xenofobo 😀
      ciao !!!

      • habsburgicus scrive:

        @mirkhond
        sui Veneti
        i tedeschi chiamavano “Wendi, Windi” gli Slavi, dalla Slovenia (windisch voleva dire sloveno ma ora non é politicamente corretto) all’ex-DDR (idem come sopra)
        ciao

        • mirkhond scrive:

          Sui Wendi

          Sì si tratta della forma germanica del termine Venedi, e indicante proprio gli Slavi tra l’Elba e il bacino della Vistola, oltre agli sloveni.
          Epperò il termine Venedi, di probabile derivazione da quello dei Veneti delle fonti classiche e sempre stanziati nel bacino della Vistola, non indicherebbe all’origine un termine e/o popolazioni slave.
          In sostanza i tedeschi chiamarono Venedi/Wendi gli Slavi che avevano occupato le regioni abitate dai più antichi e probabilmente NON SLAVI Veneti/Venedi.
          In sostanza qualcosa di simile a ciò che accdde nel Turan, inizialmente indicante lo spazio geografico centroasiatico abitato da nomadi oltre i fiumi Oxus e Jassarte. Nomadi che però erano IRANICI, esattamente come i sedentari dell’Iran a sud dei due grandi fiumi, ed il termine Turan è appunto IRANICO.
          Fu solo coll’insediarsi dei Türük/Turk/Turchi negli sconfinati spazi del Turan, nel VI secolo dopo Cristo, che gradualmente, nella terminologia e nella storiografia iranica, tra VI e XI secolo dopo Cristo, Turan diviene sinonimo di TURCHI.
          Sinonimo aiutato dal fatto che i Turchi conducevano sostanzialmente uno stile di vita nomadico non diverso dai precedenti iranici Saka/Sciti, Parni/Parti e Massageti….
          Già in Firdusi (934-1020 d.C.) e al-Biruni (973-1048 d.C.) troviamo questa comprensibile sostituzione-confusione.
          ciao!

  76. mirkhond scrive:

    A proposito di Celti e dei popoli antichi del nord Italia :

    Paolo Sizzi
    Lombardia Primitiva
    1 gennaio 2012

    La Lombardia del Pliocene (l’epoca più recente dell’era cenozoica o terziaria, tra i 5 e i 2 milioni di anni fa) aveva un’estensione territoriale ben differente da quella attuale.

    Mentre l’arco alpino era ben definito la Pianura Padana era ancora del tutto assente. Questa deve la sua formazione al deposito dei detriti portati a valle dal fiume Po e dai suoi affluenti nel corso dei milioni di anni successivi fino ad oggi; inoltre, alla spinta tettonica che la placca africana esercita contro la placca europea. Questa spinta nel corso delle centinaia di migliaia di anni ha fatto sollevare la crosta terrestre dell’Europa e in particolar modo dell’Italia e della Lombardia, di alcune decine di metri.

    Questi due fattori combinati insieme hanno fatto sì che al posto dell’Adriatico che occupava il Golfo Pliocenico Padano, abbiamo oggi una verdeggiante pianura tra le più fertili e ricche (ma purtroppo anche inquinate) d’Europa.

    Durante l’ultima glaciazione (Würm), quella che interessò le Alpi tra i 110.000 e i 12.000 anni fa, la Lombardia alpina e prealpina presentava compatte calotte glaciali e ghiacciai montani. I ghiacciai montani e pedemontani modellavano il territorio asportando virtualmente tutte le tracce delle precedenti glaciazioni di Günz, Mindel e Riß, depositando morene di base e morene terminali di differenti fasi di ritrazione e depositi di loëss (argille sabbiose finissime e giallastre di origine eolica), e spostando e ri-depositando le ghiaie attraverso i fiumi che scendevano dai ghiacciai. Al di sotto della superficie, essi ebbero un’influenza profonda e duratura sul calore geotermico e sulle tipologie di flusso delle acque sotterranee.

    I celeberrimi laghi prealpini lombardi nacquero proprio in questo periodo, dalla ritirata dei ghiacciai.

    Durante l’ultima glaciazione va anche detto che la Val Padana appariva decisamente decentrata ed estesa rispetto ad oggi, tanto che il Po sfociava nell’Adriatico all’altezza di Ancona.

    La presenza dell’uomo in Lombardia invece pare risalire al III millennio a.C., grazie a ritrovamenti archeologici.

    Presumibilmente si trattava di individui di stirpe mediterranea, Liguri, che popolarono buona parte dell’Europa Occidentale, inizialmente.

    Bassi, gracili, abbronzati, di pigmentazione scura, dolicocefali e dediti ad attività agricole, organizzati in società matriarcali dominate da figure femminili non solo a livello gerarchico e sociale ma anche culturale: culti ctoni, lunari, legati alla fertilità e alla Madre Terra, la Dea Madre).

    A questi si sovrapposero poi gli Alpini, di arcaica origine mongolide, e i paleonordici Cromagnoidi provenienti dal Caucaso.

    Le prime vere e proprie Civiltà che si svilupparono in Lombardia furono 4, in base alle regioni stesse: Piemonte, Insubria, Lombardia Orientale, Padania.

    In Piemonte Liguri e Protocelti si fusero dando origine a quell’humus che facilitò alquanto la penetrazione gallica storica (vista anche la contiguità con la Gallia Transalpina) e alla società di Popoli celto-liguri come Taurini, Salassi, Graioceli, Bagienni, Vertamocori, Ambroni, Levi.

    In Insubria e Orobia ebbe origine la Civiltà di Golasecca (Età del Bronzo), dalla Sesia al Serio, schiettamente protoceltica e legata a Hallstatt; nacque dalla fusione delle precedenti Culture di Polada (Liguri palafitticoli), della Scamozzina (Celto-Liguri) e di Canegrate (Celti lepontici) attorno al XII secolo a.C. e vide come protagonisti gli Insubri pre-gallici, gli Orobi che fondarono Como, Lecco e Bergamo, e i Leponzi stanziati nel Ticino. Costoro fondendo caratteristiche mediterranee e preindoeuropee liguri con la superiorità indoeuropea, virile, solare, guerriera, nordica, gettarono le vere basi della Lombardia alpino-nordica, corroborate poi dai nordici Galli storici e soprattutto da Goti e Longobardi, grandi Popoli germanici originari della Svezia meridionale. Fortificazioni, armi e oggetti in bronzo, campi di urne, culti solari e celesti, monili ariani e solari, allevamento, classici toponimi in -ate, -aco, -ago, -uno, e tracce della varietà linguistica del celtico parlato allora nella Lombardia Centrale (lepontico) sono alcune delle principali peculiarità della protoceltica Civiltà di Golasecca.

    In Valtellina e Lombardia Orientale, a partire dal Neolitico, abbiamo la famosa Civiltà reto-ligure Camuna, assai nota per le sue suggestive incisioni rupestri rinvenute soprattutto in Val Camonica. Essa fonde tratti liguri con quelli alpini e retici (ovverosia nord-etruschi) in cui già si intravvedono le tipiche caratteristiche ariane di Hallstatt grazie proprio alle 300.000 incisioni sparse tra Valtellina e Val Camonica che testimoniano un Popolo fiero, tenace, battagliero, dedito al culto del famoso dio Cernunnos, al culto solare, alla caccia e alla guerra. Della stessa stirpe camuna paiono essere Triumplini ed Euganei, presenti in territorio Bresciano e legati alla Cultura di Remedello e i Vennoneti della Valtellina.

    Nella Val Padana si insediarono Liguri (Marici), Celto-Liguri (Anamari), Terramaricoli legati a Villanova (una Cultura indoeuropea pare, forse italica), e coloni etruschi dell’Etruria Padana di Marzabotto, Felsina, Spina concentrati tra Cremona, Mantova e Modena per motivi eminentemente commerciali.

    La svolta giunge a partire dal V secolo a.C. quando le invasioni storiche dei Galli transalpini rendono di fatto a pieno titolo Gallia Cisalpina il territorio compreso tra le Alpi e l’Appennino e il Moncenisio e il Lago di Garda, soprattutto la cosiddetta Gallia Transpadana (rispetto a Roma) che va dal Piemonte al fiume Oglio e dallo spartiacque alpino al fiume Po.

    Le ondate galliche portano gli Insubri di Belloveso alla fondazione di Milano, la nostra capitale, e occupano il territorio che già fu dei Golasecchiani; i Cenomani di Elitovio alla fondazione di Brescia e all’occupazione del suo territorio e di quello di Cremona, Mantova, Trento e Verona; i Boi all’occupazione dell’Emilia e alla liquidazione di Liguri ed Etruschi che vengono ricacciati da dove sono venuti, dispersi sulle Alpi oppure sterminati; i Senoni di Brenno allo stanziamento in Romagna.

    In Piemonte, prima tappa della calata gallica, il nerbo celtico si rafforza vieppiù, benedetto dalla radiosa Cultura di La Tène come il resto di Lombardia, prevalentemente hallstattiano.

    Prima che i Romani conquistassero gradualmente la Lombardia, annettendola all’organismo italico (ma senza guastarne la natura sostanziale di Nazione celtica), i Galli cisalpini suddivisi in tribù celtizzarono, continuando l’opera dei protoceltici predecessori, ulteriormente il nostro territorio da un punto di vista culturale e razziale, trovandosi appieno a loro agio tra alture, colline, pianure, in riva ai nostri laghi glaciali e in mezzo alla sterminata foresta di farnie, carpini e frassini che ricopriva la Pianura Padana.

    Il Celta come si sa amava immergersi e perdersi nella continentale Natura circostante.

    La toponomastica lombarda divenne quasi integralmente gallica, la lingua lepontica (il gallico parlato in Lombardia) si rafforzò, sorsero sempre più abitati fortificati posti in collina (i famosi duni), aumentò l’incinerazione dei cadaveri, la produzione di manufatti celtici stavolta in ferro (armi in particolar modo) perché l’Età del Ferro è l’epoca celtica e ariana per antonomasia, la costruzione di santuari e la dedicazione di boschi e dunque l’affermazione della religiosità e della spiritualità celtiche fu cosa fatta, naturalmente assieme a tutte le tradizioni, agli usi e costumi, alle ricorrenze, alle festività tipiche del mondo dei nostri primi grandi Avi.

    Di pari passo s’affermò la Razza gallica pura, composta da Nordici del tipo Keltic, biondi, fulvi, castani, con occhi verdi o azzurri, con lunghi mustacchi e lunghi capelli, alti e robusti, bellicosi e pervasi dal furore, ma anche di Nordici meno raffinati del tipo Brünn.

    I Lombardi primigeni pomparono così sangue nordico ed ereditarono l’aplogruppo celtico R1b, nell’attesa di incamerare un altro poderoso apporto nordico, ariano, di matrice germanica.

    da : sizzipaolo.wordpress.com

    • PinoMamet scrive:

      …aldilà delle considerazioni sulla “superiore civiltà indoeuropea, nordica, blabla” 😉 , sulla Lombardia in senso attuale non mi pronuncio, ma sull’Emilia occidentale è poco aggiornato visto che, come dicevo nell’altro commento, ormai si sa che gli Etruschi ci stavano stabilmente.
      Mi chiedo come faccia a sapere delle origini degli Anamari (che teoricamente stavano proprio nella zona da cui scrivo) di cui non si sa molto (eufemismo per dire che non si sa niente…);
      io personalmente ipotizzo che fosse semplicemente il nome storico per il miscuglio di popolazioni che trovarono i Romani quando arrivarono qua.

      Un’altra considerazione sui “nordici di tipo keltic”: in effetti ne conosco uno (manco a dirlo, è a metà pugliese! giuro), io personalmente li trovo molto più frequenti in Toscana!!
      🙂

  77. mirkhond scrive:

    La cosa interessante è che da un lato riconosce che il più antico popolamento del Nord Italia fu costituito dai Liguri mediterranei e NON indoeuropei (forse di origine sahariana e lontanamente imparentati coi Turareg, oggi tornati agli onori della cronaca, vedi il Mali…)
    Poi riconosce giustamente un METICCIAMENTO celto-ligure (penso proprio ai Libici Vercellae dell’attuale Piemonte).
    Ma alla fine non ce la fa proprio e afferma :
    “Le ondate galliche portano gli Insubri di Belloveso alla fondazione di Milano, la nostra capitale, e occupano il territorio che già fu dei Golasecchiani; i Cenomani di Elitovio alla fondazione di Brescia e all’occupazione del suo territorio e di quello di Cremona, Mantova, Trento e Verona; i Boi all’occupazione dell’Emilia e alla LIQUIDAZIONE di Liguri ed Etruschi che vengono ricacciati da dove sono venuti, dispersi sulle Alpi oppure sterminati;”

    Liquidazione? Cacciata? Sterminio?

    Ma se, stando al Mommsen, Mantova ancora ai tempi di Tito Livio (59 a.C. – 17 d.C.) era ancora una città etruscofona?

  78. mirkhond scrive:

    errata corrige: Tuareg

  79. mirkhond scrive:

    ” Qualche leghista ti risponderebbe che gli unici veneti con cui hanno rapporti i paleoveneti erano quelli dell’armorica”

    “…e direbbe una grossa cazzata, mi sa…”

    Le analisi sul Venetico sembrerebbero ricondurre questa antica lingua e il suo popolo ad una qualche parentela con gli Italici occidentali o Ausoni.
    In passato si pensava che fossero illirici. E ancor oggi si discute se Carni, Istri e Liburni, fossero illirici o venetici, oppure venetico-illiri gli Istri e i Liburni, e celto-venetici o celto-venetico-illiri o celto-illiri i Carni.
    Sull’onomastica dei Veneti però, anche archeologi e celtisti seri come Venceslas Kruta, non riescono a trovare una soluzione convincente su questo etnonimo che compare in tre aree dell’Europa antica e a notevole distanza l’uno dall’altro.
    1)I Veneti del bacino della Vistola.
    2) I Veneti adriatici.
    3) I Veneti celti dell’Aremorica.

    Leggiucchiando la sacra wiki in inglese, allo stato attuale delle ricerche, si pensa che queste comuni onomastiche possano avere origini da comuni termini protoindoeuropei per indicare aree geografiche, alleanze claniche, tipologie di organizzazioni sociali ecc. poi divenute etnonimi….

    • PinoMamet scrive:

      Chissà poi cosa (e se) c’è di vero nella teoria dell’origine dei Veneti “nostrani” dalla Paflagonia…

      • mirkhond scrive:

        Secondo me è una delle tante leggende elaborate dopo l’arrivo dei Greci in Occidente dall’VIII-VII secolo a.C. in poi.
        Adria e Spina nell’Alto adriatico erano empori frequentati dai mercanti siracusani e sotto Dionigi (405-367 a.C.) lo stesso Adriatico poteva essere considerato un lago siracusano, all’epoca della massima espansione del regno siceliota….
        ciao!

        • mirkhond scrive:

          Sui Paflagoni sappiamo pochissimo.
          Senofonte che nel 400 a.C. ne attraversa il territorio coi 10.000 mercenari greci di ritorno in patria, li considera genti selvagge, non diversamente da altre stirpi pontiche più orientali come i Macroni, i Mossineci, i Tibareni e i Caldei.
          Queste popolazioni del retroterra di Sinope, Cerasunte (Giresun) e Trebisonda erano quasi sicuramente di ceppo caucasico non indoeuropeo, e imparentati con gli odierni Lazi e Agiari, e dunque dello stesso ceppo ibero/georgiano, e probabilmente imparentati coi più remoti Hatti preittiti del bacino dell’Halys/Kizil Irmak dell’Anatolia centrale (III millennio a.C.)
          E’ possibile dunque che anche i più antichi Paflagoni appartenessero a questo ceppo etno-linguistico, ma allo stato attuale delle mie conoscenze questa è solo un’ipotesi.
          Credo invece che i Veneti preromani fossero di ascendenza danubiano balcanica, forse originari dell’area tra la Germania meridionale, il Medio Danubio e le sorgenti della Vistola, data la forte somiglianza della loro lingua, il Venetico, a quelle italico-occidentali o ausoniche, in special modo al Latino e al Falisco.
          ciao!

  80. mirkhond scrive:

    Sugli Anamari

    Stando alla sacra wiki, (dove sono noti anche come Anari e Marici), l’ipotesi più verosimile è che dovette trattarsi di uno dei tanti popoli misti celto-liguri della valle padana.
    ciao!

    • PinoMamet scrive:

      Ho letto anche io, ma si dice anche che non si sa bene se Marici e Anamari fossero lo stesso popolo, e che la collocazione degli Anamari presso Piacenza (dove li posizionano tutt’ora gli atlanti storici, di solito) forse è frutto di un errore…
      boh!

      aldilà dei nomi, da ‘ste parti certamente stavano gli Etruschi, più su in collina i Liguri (sicuramente celtizzati come cultura) e poi i Galli…

      non credo a ipotesi di sterminii di massa di un popolo contro l’altro, sia perché non ne vedo il motivo, sia perché grandi massa, appunto, non c’erano, sia perché c’era in fondo spazio per tutti… casomai è probabile che i nuovi arrivati, se arrivati in numero notevole o in posizione dominante, prendessero le terre migliori e caccaissero gli altri in posizioni svantaggiate “in culo ai lupi” (come probabilmente fecero i Romani per dare terre ai loro coloni soldati, o ex soldati, a più riprese)… ma l’esempio della necropoli di Montesole fa pensare che i Galli arrivassero, perlomeno all’inizio, alla spicciolata, forse per contratti di mercenariato, e si sposassero senza tante paturnie etniciste con le etrusche (e le liguri) che incontravano…

  81. mirkhond scrive:

    I popoli “puri” esistono solo nelle fantasie etno-identitarie moderne.

  82. mirkhond scrive:

    “Di pari passo s’affermò la Razza gallica pura, composta da Nordici del tipo Keltic, biondi, fulvi, castani, con occhi verdi o azzurri, con lunghi mustacchi e lunghi capelli, alti e robusti, bellicosi e pervasi dal furore, ma anche di Nordici meno raffinati del tipo Brünn.”

    “Un’altra considerazione sui “nordici di tipo keltic”: in effetti ne conosco uno (manco a dirlo, è a metà pugliese! giuro), io personalmente li trovo molto più frequenti in Toscana!!”

    Cota ad esempio ha un aspetto tipicamente “padano”, eppure è per parte paterna di origine pugliese….

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