Geometri

Estrarre denaro dalle zolle di terra. Prendere il denaro, investirlo in terra, navi, merci, armi. Ecco la nascita congiunta del capitalismo e dell’imperialismo.Richiede terra, innanzitutto; ma anche un’operazione di calcolo: misurare e riconfigurare la terra, ricavarne dei numeri astratti che poi possano diventare moneta.

La terra su cui si fonda tutto viene da un unico, grande gesto di stato: la dissoluzione di 800 monasteri britannici da parte di Enrico VIII, re d’Inghilterra. La terra passa al re, il re la rivende a mercanti e nobili e costruisce la marina che globalizzerà il pianeta e ci renderà tutti anglofoni, per quanto esitanti e insicuri.

L’operazione è resa possibile da una delle prime grandi campagne moderne di propaganda, lanciata dai pulpiti, però anche  usando le scricchiolanti ma già efficaci tipografie a mano. Una campagna che opera su tre chiavi profonde della psiche umana: sesso, solidarietà e avidità.

Innanzitutto, una profusione di storie titillanti sulla vita depravata di frati e suore; una  denuncia dello sfruttamento dei contadini sottoposti ai frati; e la tesi che con l’esproprio delle terre, non ci sarà mai più bisogno di pagare le tasse.

Sui primi due punti, i propagandisti potevano avere qualche ragione, ma gli appetiti di un frate si limitavano a molta birra e molta carne, mentre quelli di un capitalista sono infiniti.

Fino a quel momento le misure erano state qualitative: il terreno che si poteva coltivare in una giornata di lavoro, oppure quanto bastava a nutrire una famiglia. La stessa famiglia lavorava in genere diversi piccole strisce di terra, le rig,  alcune fertili e alcune povere, sparse in maniera da garantire a ciascuna mezzi più o meno simili; in mezzo si estendevano i common, i pascoli collettivi.

Una ripartizione della terra insensata dal punto di vista dei nuovi proprietari.

Gesù, in nome di Dio, come puoi trattare in modo così terribile noi povera gente?“, chiede una vedova a John Palmer, un proprietario terriero che l’ha appena sfrattata dalla sua casa. Risponde Palmer, “Non lo sai che la grazia del re ha soppresso tutte le case dei monaci, dei frati e delle suore? E quindi è arrivata l’ora che noi signori buttiamo giù le case di poveri disgraziati [poor knaves] come siete voi”.[1]

Esattamente tra il primo e secondo grande esproprio, nel 1537, un certo Richard Benese pubblica un libretto dal lunghissimo titolo, This boke newely imprynted sheweth the maner of measuryng of all maner of lande as well of woodlande, as of plowelande, and pastore in the felde, [and] comptynge the true nombre of acres of the same. Newely inuented and compyled by Syr Rycharde Benese, Chanon of Marton Abbay besyde London.

Il testo spiega in maniera meticolosa come misurare la terra con corde e raffigurarla poi su mappe denominate plat. Migliaia di surveyor – i sorveglianti feudali che si stanno trasformando in geometri – calano con l’opera di Benese in mano sulle disordinate terre dei monasteri. Per trasformare la stessa maniera di vedere e misurare la terra, dove il riferimento non è più il bisogno umano, ma una corda sempre uguale a se stessa, che si stende e poi dà un numero. Tanti numeri, tanto capitale.

Alla base quindi del mondo moderno, c’è il geometra: “voi siete la causa per cui gli uomini perdono la loro terra; e talvolta vengono privati dei diritti di cui hanno a lungo goduto nelle proprietà signorili; e i costumi si cambiano, sono spezzati e talvolta pervertiti, oppure espropriati per colpa vostra”, scrive Norden nel Surveior’s Dialogue.

Ma Robert Recorde, nella premessa a un proprio manualetto per geometri, scrive un poema di elogio dei nuovi eroi della modernità:

“I surveyor hanno ben motivo di lodarmi / e così tutti i signori che possiedono terre: / ma ai contadini affittuari, temo, piacerò di meno.

Eppure non faccio del male / ma misuro ogni cosa in modo veritiero, / e do a ogni uomo i suoi pieni diritti. / La proporzione geometrica non ha mai oppresso nessuno,/ e se a qualcuno è stato fatto un torto / voglio che sia raddrizzato.”

Uno splendido manifesto dell’etica moderna, tutta fondata sulla falsa innocenza dell’astrazione.

Avranno detto le stesse parole i geometri (teorici del positivismo scientifico) con le carte in regola che ai tempi di Porfirio Díaz in Messico espropriapavano i contadini, o quelli del Fondo Nazionale Ebraico che preparavano lo sfratto degli abitanti dei tredici villaggi della Galilea – 240 chilometri quadri – appena venduti loro dalla famiglia dei Sursock, ricchi mercanti cristiani di Beirut.

Chi è padrone delle carte è padrone delle persone; ma prima ci vogliono i geometri per disegnarle.

P.S.

Siccome viviamo nell’epoca del politicamente corretto, delle Vittime e dei Vittimi e della Jeune-Fille, è probabile che qualcuno strillerà subito, “ma come ti permetti… non tutti i geometri… mestiere dignitoso… gratuite offese…”. Perché nessun lettore di blog ha un cugino ridotto alla fame dai geometri della Monsanto, ma molti hanno un cugino geometra.

Si può rispondere in due modi. Primo, noi traduttori compiamo delitti molto simili a quelli dei geometri. Secondo, tutti i contadini cacciati dalle loro case e dalle loro terre nel corso degli ultimi cinquecento anni valgono più del leso onore dei geometri. O dei traduttori.

Nota:

[1] Andro Linklater, Measuring America. How the United States Was Shaped by the Greatest Land Sale in History, Plume Books, 2002.

geometri
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23 risposte a Geometri

  1. utente anonimo scrive:

    No Miguel,

    si può rispondere in un altro modo almeno. Osservando che i cugini affamati dalla Monsanto farebbero i cugini traduttori, se solo ne avessero la possibilità.

    Ciò che distingue davvero i primi dai secondi non è certo l’onestà, la moralità o il carattere. Come per frijoleros e gringos, per dirla coi tuoi compaesani Molotov, ciò che li distingue è solo la riva del fiume su cui stanno.

    Z.

  2. controlL scrive:

    Gran post che ricorda una cosa che oggi si tende a dimenticare: il capitalismo nacque come rivoluzione agraria. Solo qualche secolo dopo venne la rivoluzione industriale. Solo “curiosità” storica? Tutt’altro, se il concetto di rendita capitalistica nasce con il possesso borghese (in senso storico) di terra. Se pensiamo alla rendita petrolifera, capiamo subito quanto sia importante avere chiara questa origine.

    Dentro la proprietà però, anche distribuita, non si può fare a meno di geometri e notai. Lo dice bene verga nella novella “libertà” in cui narra i fatti di bronte. Verga era un conservatore e tira l’acqua al suo mulino. Ma come fare a meno di geometri, se la terra deve essere divisa tra proprietari, seppure tanti invece di pochi?:

    Ora dovevano spartirsi quei boschi e quei campi. Ciascuno fra sé calcolava colle dita quello che gli sarebbe toccato di sua parte, e guardava in cagnesco il vicino. – Libertà voleva dire che doveva essercene per tutti! – Quel Nino Bestia, e quel Ramurazzo, avrebbero preteso di continuare le prepotenze dei cappelli! – Se non c’era più il perito per misurare la terra, e il notaio per metterla sulla carta, ognuno avrebbe fatto a riffa e a raffa! – E se tu ti mangi la tua parte all’osteria, dopo bisogna tornare a spartire da capo? – Ladro tu e ladro io -. Ora che c’era la libertà, chi voleva mangiare per due avrebbe avuto la sua festa come quella dei galantuomini! – Il taglialegna brandiva in aria la mano quasi ci avesse ancora la scure.

    p

  3. utente anonimo scrive:

    Bella postilla al IV capitolo del Capitale

    Lindorus

  4. utente anonimo scrive:

    Errata corrige;alla settima sezione del libro I del Capitale

    Lindorus

  5. PinoMamet scrive:

    lo ripeto per l’ennesima volta, io di storia so pochissimo.

    Mea culpa.

    Ma: Enrico VIII, Rivoluzione Francese, Cavour; tre possibili idee di costruzione o ri-costruzione di uno Stato, tutte, di necessità, giocate in qualche modo contro la Chiesa, che è potere non direttamente legato allo Stato.

    Ci sta come paragone, o è del tutto fuori luogo?

    Il maggiore o minore tempismo o decisione nel farlo spiega (assieme a molti altri fattori) la diversità degli esiti.

    (La Francia però la sua Marina se l’era costruita prima, in definitiva per la necessità della concorrenza con l’Inghilterra, e con il concorso di uomini di Chiesa).

    Una cosa che mi sono sempre chiesto è dove gli Stati colonizzatori trovassero così tante persone da spedire nelle colonie.

    Certo non tutti e non sempre avevano l’ambizione di ripopolarle con i nati nella madrepatria; ma c’era comunque la necessità di una classe non solo dirigente, anche media e medio-bassa piuttosto elevata per far funzionare tutto l’apparato di sfruttamento delle colonie.

    Forse lo spopolamento forzato (dalla fame indotta) delle campagne serviva alla fine anche a questo, a trovare gente “emigrabile”.

    (Di nuovo, con secoli di ritardo, la grande proletaria che si muove verso la Libia e l’Eritrea).

    Però di tutto ciò credo che poco fosse in realtà pianificato a tavolino: mi pare molto di più che, messa in movimento una macchina, questa prosegua da sola inevitabilmente sulla sua strada.

  6. falecius scrive:

    Pino: tra le prime recinzioni e le prime attività coloniali inglesi passa parecchio tempo, e anche allora la colonizzazione è più che altro un risultato della dissidenza religiosa.

    Nel caso, per dire, dell’Olanda, la colonizzazione era fin dall’inizio orientata ad una logica di potenza e a sottrarre al nemico e dominatore iberico il controllo del commercio, lucrosissimo, delle spezie indonesiane (e l’ostinata insistenza olandese in questo piano, anche oltre la guerra d’indipendenza, ha prodotto alla lunga l’Indonesia moderna).

    Per quanto riguarda la Spagna, credo che Miguel ne sappia più di me, ma ad occhio i conquistadores erano perlopiù hidalgos appartenenti alla piccola nobiltà.

    Non saprei in altri paesi.

    In generale penso che la popolazione privata della terra dalle recinzioni e dalla distruzione delle comunità di villaggio sia stata èpiù disponibile come proletariato urbano che come popolamento coloniale, almeno fino all’Ottocento.

  7. kelebek scrive:

    Per Falecius n. 6

    Sicuramente ne è passato di tempo tra la recinzione e l’impero britannico; ma l’elemento chiave è la costruzione della marina, che è stata fatta sia con i capitali della grande vendita raccontata qui, sia con i capitali privati costruiti sulle recinzioni.

    Miguel Martinez

  8. utente anonimo scrive:

    Miguel

    prima dell’Inghilterra, altri stati europei avevano marine rispettabili.

    gli inglesi furono i più bravi a sfruttare la loro

    Francesco

  9. utente anonimo scrive:

    Molto interessante, Miguel. Puoi suggerirmi una bibliografia dove approfondire gli argomenti che hai trattato? Grazie.

    C.

  10. utente anonimo scrive:

    a proposito Miguel

    manca una parte fondamentale al tuo discorso, l’eventuale crescita della produttività agricola dopo l’intervento dei geometri.

    sai, se oggi traduci manuali tecnici invece di zappare la terra potrebbe esserci un motivo …

    ciao

    Francesco

  11. utente anonimo scrive:

    …anche Adamo voleva globalizzare la terra? La prima recinzione fu quella dove lui mise “la perla” venuta dal paradiso,… la penna che scrive é una zappa, quando si scrive é come se si zappasse la terra dell’anima…lavoro. bye, jam

  12. kelebek scrive:

    Per C n. 9

    Sul tema specifico dei geometri, ti consiglio il testo citato in nota. Non ho controllato se esiste anche in italiano.

    Miguel Martinez

  13. PinoMamet scrive:

    “manca una parte fondamentale al tuo discorso, l’eventuale crescita della produttività agricola dopo l’intervento dei geometri.

    ciao

    Francesco”

    France’

    sei fantastico.

    Dunque, diamo per buona l’interpretazione migueliana della faccenda: al momento non disponiamo di un’altra. Se la hai, presentala, la leggerò con piacere.

    Del resto tu non la contesti, quindi vediamo un po’.

    Ora, nell’interpretazione migueliana, i geometri hanno sostituito un criterio qualitativo (terre divise in più o meno redditizie) con uno meramente qualitativo.

    Anche fregandocene altamente della sorte degli agricoltori sfrattati e dei monaci espropriati (Francesco, non preoccuparti, lo so benissimo che tra cristianesimo e capitalismo scegli l’ultimo :-), mai avuto dubbi), dubito che un intervento di questo tipo possa aver portato qualche miglioramento nella produttività.

    Se non a lunghissimo termine, un termine così lungo che è difficile collegarlo direttamente all’intervento in questione, essendo intervenuti altri fatti da considerare (miglioramenti tecnici, cambiamenti sociali, rimisurazioni con altri criteri, Dio sa).

    Voglio dire, certo adesso, o magari anche nel secolo scorso (ma già non ne sono sicuro) i campi in questione producevano più che ai tempi di Enrico VIII;

    ma insomma, dire che il motivo di ciò sia stato un intervento di diversi secoli prima, e che puntava proprio nella direzione contraria (“chi se ne frega se sono più o meno fertili, tipo di terra, orientamento rispetto al sole, umidità ecc.; prendiamo un bel pezzo di corda e misuriamoli”) mi sembra un po’ esagerato anche per un criticone come te. 🙂

    Ciao!

  14. PinoMamet scrive:

    Errata corrige:

    leggasi :”con uno meramente quantitativo”

    🙂

  15. utente anonimo scrive:

    Pino

    direi che non hai mai cercato di comprare o vendere un pò di pertiche di terra, se pensi che i terreni buoni costino quanto quelli cattivi …

    E credo che la crescita vertiginosa della produttività agricola abbia inizio proprio con la trasformazione della terra in un fattore di produzione dentro una logica capitalistica (sarei stupefatto del contrario).

    Questo implica una profonda trasformazione dei rapporti tra uomini nelle campagne, quella tratteggiata da Miguel.

    Forse, probabilmente, un peggioramento – ma gli agricoltori sono molto più liberi dei contadini, oltre che meno garantiti.

    Diciamo che ci sono due fenomeni da valutare e che io, da bravo cristiano, so che la Verità mi farà libero, non i rimpianti o il buonismo 🙂

    Ciao

    Francesco

  16. PinoMamet scrive:

    “direi che non hai mai cercato di comprare o vendere un pò di pertiche di terra, se pensi che i terreni buoni costino quanto quelli cattivi … ”

    In effetti non ho mai comprato o venduto della terra, ma questo lo sapevo anch’io 🙂

    anzi, è proprio quello che dico io: questi qua, non credo per autolesionismo ma per sbrigatività e disinteresse (riordinare a catasto la terra di uno Stato, anche pre-moderno, non è come misurare un podere solo) hanno utilizzato criteri anti-economici;

    ragionando, se mi passi la semplificazione, da geometri, e non da agricoltori.

    Che la cosa lì per lì abbia portato a un peggioramento delle condizione degli agricoltori, ce lo dicono le fonti citate da Miguel; che alla lunga la terra possa aver fruttato di più, è vero (produce più adesso che ai tempi, in effetti!), ma qual è il legame tra i fenomeni?

    Forse, mi dici tu, il cambiamento dei rapporti all’interno delle campagne; il cambiamento forzato può aver trasformato la popolazione da contadini più o meno legati alla terra, in “imprenditori” capaci, al limite perchè spinti dalla necessità, di scegliere se e cosa coltivare o se dedicarsi ad altro.

    Non ci avevo pensato, e ti do ragione: è un’ipotesi assai ragionevole.

    Ciao!!

  17. utente anonimo scrive:

    solo guardando alla terra con uno sguardo nuovo (e non necessariamente diabolico) si poteva innescare il processo di migliore sfruttamento.

    o forse il modo di produzione agricolo “comunitario” era giunto al sui limite e bisognava superarlo.

    non credo ci sia voluto molto tempo

    ciao

    Francesco

  18. PinoMamet scrive:

    Non molto tempo?

    Te sei un po’ troppo ottimista, mi sa.

    Dunque, se a uno lo sfratti e lo cacci dalla sua terra, la sua condizione peggiora, questo è chiaro, spero.

    Se la stessa terra, prima divisa in appezzamenti fertili e non e coltivata di conseguenza, viene data a qualcuno che di essa sa solo quante “pertiche” o “tiri di corda” servano a delimitarne i confini, dubito che lì per lì possa produrre di più.

    Subito dopo Enrico VIII, che cambiamenti nella tecnologia ci sono stati che possano aver giustificato un miglioramento? Nessuno.

    Quindi lì per lì le cose andarono peggio.

    Dopo, col tempo, può darsi benissimo che si aggiustarono e migliorarono pure.

    Ma che sia stata una cosa così veloce, ne dubito.

    In ogni caso, c’erano modi migliori di creare una nuova, più efficiente e più libera classe agricola, rispetto a cacciare i contadini a pedate, ne converrai.

    🙂

    Ciao!

  19. utente anonimo scrive:

    Mah, ne dubito, cambiare equilibri millenari non è mai facile.

    Dovrei approfondire ma qui c’è un equivoco di fondo: l’idea NON economica è quella di dare terra in misura sufficiente a nutrire una famiglia ad ogni contadino, non di darla a chi ci voleva investire per profitto.

    I geometri servivano solo per una prima inutile precisione di misura e calcolo.

    Francesco

  20. Aragonbiz scrive:

    Per una mobilità del XXI secolo (I – introduzione)

    [..] Introduzione della introduzione: la questione può essere "aggredita" da vari punti di partenza; da un piano generale o da aspetti particolari. E d’altro canto, è da più di 30 anni che la struttura mentale che ha come punt [..]

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