Comunismo e comunità, al di là del nome che forse suona un po’ arcaico di questi tempi, è un luogo variegato di utili riflessioni sul mondo in cui viviamo.
Il sito ospita un lucido articolo di Cesare Allara, già delegato FLM alla Fiat Mirafiori, sulle manovre in corso per abolire l’Articolo 18, in sostanza ciò che distingue un lavoratore da un macchinario.
Qualche brano:
“Perché per il governo Monti è decisivo il superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori?
Dopo aver frenato momentaneamente la crisi sul versante del debito facendone pagare i costi ai soliti noti con provvedimenti che devono ancora dispiegare del tutto la loro carica antipopolare e recessiva, Monti deve assolutamente rilanciare la crescita economica, e per ottenere ciò deve creare le condizioni che rendano attraente il paese agli investitori stranieri ed indigeni. Per un fanatico liberista come Monti, l’unico modo per raggiungere l’obiettivo di un forte aumento della competitività del sistema paese è offrire una manodopera senza diritti, disponibile a farsi sfruttare a piacimento dal padrone e a vendersi al più basso costo pur di portare comunque a casa un salario o qualcosa che gli assomigli.
Ripristinare il licenziamento ad nutum con l’aggiramento/abolizione dell’articolo 18 è il modo più spiccio per abbassare il costo del lavoro e aumentare la produttività, cioè lo sfruttamento. Perché, con una buonuscita di qualche mensilità in più, si potranno mandare a casa i lavoratori “privilegiati”, quelli con pieni diritti, liberi di protestare e scioperare, con salari ormai troppo onerosi che rendono i prodotti italiani poco competitivi, sostituendoli con lavoratori più giovani, precari, senza diritti, schiavi dei padroni, e con salari ridicoli.
Sempre per favorire la crescita, dopo quello dei diritti, un ennesimo furto è in agguato per i lavoratori ,
quello che va sotto il titolo di “detassazione del lavoro”. “Occorre mettere più soldi nella buste paga” è uno dei ritornelli che da anni canta il coro sindacal-confindustriale. Ovviamente, non volendo prelevare i soldi dai profitti per alzare i salari altrimenti gli investitori scappano verso Est, il finale di questa vicenda appare già scritto: la detassazione per le imprese sarà assai consistente, mentre per i lavoratori ci sarà qualche briciola, giusto quei pochi euro per andare una o due volte al mese in pizzeria. Date le conseguenti minori entrate per lo Stato, è chiaro che ciò significherà un ulteriore taglio del welfare che ormai l’Italia non si può più permettere.
Come ha detto Monti i governi italiani sono sempre stati troppo “buonisti” sul welfare, verso i lavoratori ovviamente.
Non è escluso che questo tentativo di fare dell’Italia una grande maquilladora nel cuore dell’Occidente industrializzato, una fabbrica di esclusivo assemblaggio stile Marchionne alla Carrozzeria della FIAT Mirafiori, e di operosi sottoscala in stile cinese, possa portare nel breve e nel medio termine a far muovere l’economia. Ma, secondo me, il percorso dell’economia italiana ha iniziato a ricalcare quello della Grecia, mentre dal punto di vista democratico, l’Italia tende ad assomigliare sempre più alla Tunisia o all’Egitto prima delle rivolte dell’anno scorso.”
Aggiungiamo però quanto leggiamo sul blog Vecchia Talpa che ci fornisce un’altra prospettiva sulla stessa questione:
“La precarietà sembra solo sfiorare i giovani stranieri che sono inquadrati con contratti più stabili rispetto ai propri coetanei italiani, lavorano di più ma sono pagati di meno. Sono disposti a lavorare in orari più disagiati (specie di sera), svolgono mansioni non adeguate al proprio titolo di studio (sono cioè sottoinquadrati), sono in prevalenza operai, e se disoccupati trovano lavoro prima. Questi alcuni dei risultati di uno studio condotto dalla Fondazione Leone Moressa che ha confrontato la struttura occupazionale dei giovani stranieri con quelle dei giovani italiani in eta’ compresa tra i 15 e i 30 anni nel primo semestre 2011.
In Italia si contano 455mila giovani stranieri occupati e quasi 95mila disoccupati: questo permette di calcolare un tasso di occupazione giovanile straniero del 44,5%, superiore di gran lunga rispetto a quello dei giovani italiani (32,5%) e un tasso di disoccupazione del 17,2% inferiore (anche se di poco) a quello dei coetanei italiani (20,4%).
Cosa vuol dire? Come si leggono questi dati?
Semplicemente che ancora una vola si dimostra come l’art 18 sia solo un falso problema. Il posto fisso è solo un posto per sottopagati, sotto inquadrati. Che la precarietà è solo un modo per pagare di meno i lavoratori e che la riduzione dei diritti porterà solo ad avere un mercato del lavoro livellato sul più basso livello di retribuzione e di diritti.
Volete ancora altri dati non legati alla ideologia , ma a dati reali, statistici, empirici, di vita reale?
Pingback: Monti, Confindustria e sindacati lavorano all’abolizione dell’Articolo 18 - Kelebek - Webpedia
Premesso che
1) non so cosa dica esattamente l’articolo 18
2) sono un lavoratore dipendente
trovo che qui si manchi di cogliere il punto della questione.
In un’economia capitalistica, il padrone sceglie chi lavora per/con lui. Punto.
Se si toglie questa facoltà al padrone stabilendo un diritto del lavoratore al posto (e non al risarcimento), si crea una situazione “contro natura” (la natura del capitalismo) che inibisce il funzionamento del sistema. Come in tutti i i cattivi compromessi, si ottiene il peggio delle due alternative.
E sospetto si selezionino “male” anche i padroni.
>> deve creare le condizioni che rendano attraente il paese agli investitori stranieri ed indigeni
questo è assolutamente decisivo e richiede grande intelligenza nel capire i ruoli di Stato e mercato. purtroppo, da un cinquantina d’anni, in Italia si attribuisce un ruolo esagerato allo Stato e si immagina un mercato che segue come un gregge di pecore. Gli effetti si vedono sulla crescita economica, il debito pubblico, la qualità del lavoro. Per inciso, anche nell’impiego pubblico.
Infine, ricordo che in larga misura il “costo del lavoro” italiano è quello della maglieria in nero di una città pugliese, divenuta famosa perchè crollò in testa alle operaie e alla figlia dei padroni. Quello è il parametro reale di riferimento, non “le lotte degli anni ’70” e altre belinate.
PS non conosco Vecchia Talpa ma è il primo in assoluto a dire che i lavoratori fissi costano MENO di quelli precari. Dovremmo parametrare queti dati sul tipo di lavoro svolto, immagino.
>> a riduzione dei diritti porterà solo ad avere un mercato del lavoro livellato sul più basso livello di retribuzione e di diritti.
e certo, sennò a cosa cavolo serve? i diritti e le retribuzioni di quelli come me (posto fisso, stipendio e contributi versati, diritti pieni) sono un lusso che questo paese non può permettersi, pagato per decenni dal proletariato e sottoproletariato.
“non so cosa dica esattamente l’articolo 18”
l’articolo 18 prescrive il reintegro del lavoratore a tempo indeterminato licenziato senza giusta causa o senza giustificato motivo (soggettivo – tipo l’essere uno sfaticato – o oggettivo – es, per esigenze produttive diventa inutile).
“trovo che qui si manchi di cogliere il punto della questione.
In un’economia capitalistica, il padrone sceglie chi lavora per/con lui. Punto.”
infatti l’art. 18 non mi pare che obblighi chicchessia ad assumere qualcuno. Gli obblighi di assunzione sono solo verso certe categorie di soggetti (es. disabili): lo Statuto dei Lavoratori non tocca queste materie.
Inoltre dimentich che la nostra costituzione (quella roba a cui le leggi devono uniformarsi) parla di funzione sociale della proprietà: l’impresa non è solo il sollazzo dell’imprenditore, ma è qualcosa di diverso, con un’utilità sociale. Non a caso se un imprenditore è insolvente lo si fa fallire e dopo aver diviso la massa attiva si fa tabula rasa di tutti i suoi debiti, ripagati e no, per non renderlo debitore a vita (come gli altri comuni mortali). Poi obblighi di scritture contabili, ecc, dovrebbero far comprendere che l’imprenditore non lavora con qualcosa di eslcusivamente suo.
“E sospetto si selezionino “male” anche i padroni.”
Nel capitalismo i padroni non si selezionano, ma chi ha il capitale può liberamente creare l’impresa. Non esiste il merito nel capitalismo, ma solo la possibilità di partenza.
“Infine, ricordo che in larga misura il “costo del lavoro” italiano è quello della maglieria in nero di una città pugliese, divenuta famosa perchè crollò in testa alle operaie e alla figlia dei padroni.”
maglieria in cui valeva l’art. 18? E allora a che serve eliminarlo, se tanto non cambia niente?
“PS non conosco Vecchia Talpa ma è il primo in assoluto a dire che i lavoratori fissi costano MENO di quelli precari. Dovremmo parametrare queti dati sul tipo di lavoro svolto, immagino.”
esiste anche l’economista Boeri che con un semplice ragionamento economico ti fa capire l’identica cosa. Certo, parliamo di lavoratori qualificati: costa nettamente di più formare sempre nuovi dipendenti, piuttosto che sfruttare l’esperienza del lavoratore che sta con te da una vita. Se invece puntiamo al lavoro poco qualificato con poco valore aggiunto, allora è inutile pure fare le riforme, perché tanto i cinesi ci batteranno sempre e comunque.
1) grazie, allora è quello che sapevo
2) il padrone vuole la libertà di assumere e di licenziare, mi pare banale, sennò non è il padrone. in questo la valenza ideologica dell’articolo 18 è reale, solo che il padrone è un elemento necessario del sistema. senza di lui, restano Paolo Cirino Pomicino e Mario Chiesa. e la Costituzione …
3) fuffa.
4) ma io sono buono e socialdemocratico e voglio migliorare le condizioni di vita delle magliaie pugliesi! solo che non è gratis
5) vabbè, è chiaro che l’espertissimo traduttore di manuali tecnici cui affidi un lavoro prende di più, in quella settimana, della sciura Pina che ti da segretaria e studia lo svedesa la sera per diletto. solo che lei devi pagarla tutti i mesi. ma qui si paragona la signora Pina con il giovane Tito, cui non paghi scatti, anzianità,contributi e quant’altro.
Sul punto 2, il padrone non esisterebbe se non esistesse la Costituzione a tutelare il diritto di proprietà. Ti consiglio, come consiglio a tutti i giusnaturalisti liberisti, di leggere il bel libro di Natalino Irti L’Ordine Giuridico del Mercato”: si spiega bene perché sia il mercato a discendere dal diritto e non il contrario.
Sul punto 3, è troppo chiedere un’argomentazione? Se io ho 1 miliardo di euro posso fare impresa, se non ho un soldo non la posso fare: mi sembra autoevidente. Se vuoi negare l’evidenza, allora devi argomentare.
Sul punto 4, perché migliorerebbe la condizione di quelle signore se peggiora quella di tutti gli altri? E’ come se per migliorare la condizione di un moribondo noi decidessimo di ferire il resto del mondo.
Sul punto 5, mi dispiace, ma non ho capito il senso dell’obiezione.
Mala tempora currunt….
Sugli intenti generali e sullla ragion d’essere stessa del governo Monti mi pare che il primo articolo ci prenda.
Sull’articolo 18 nello specifico, la sua abrogazione sic et simpliciter non gioverebbe granché, ma sarebbe molto positiva, a mio avviso, se inserita in un complessivo riequilibrio fra gli iper-garantiti e i pochissimo garantiti, in una sorta di contratto unico sul genere di quello proposto da Ichino, al posto della selva di contratti precari che ci sono attualmente.
Noto però, al di là del merito, che, fino a quando l’abrogazione dell’art. 18 era proposta Berlusconi, per la sinistra era un tabù, mentre ora, purché non sia Berlusconi a proporla, accetterebbe pure la reintroduzione della schiavitù.
Non a caso l’Avvocato Agnelli aveva visto nel giusto quando affermava che in Italia le politiche di destra (in senso liberista) le poteva fare SOLO la sinistra…..
E l’Urss c’era ancora e il pci non era ancora diventato pds/ds/pd o come cappero si chiama….
Sono stato militante di centri sociali, lavoratore dipendente e sindacalista (CGIL) sebbene a livelli minimi. Ora sono emigrato. Personalmente non condivido piu\’ la lotta ad oltranza per la difesa del posto fisso. Penso che il sindacato debba salvaguardare il lavoratore, NON il posto di lavoro. Ho le idee non chiarissime ma sento che le battaglie della sinistra sono sempre piu’ demagogiche ed arretrate, la FIAT andava chiusa, e i lavoratori riconvertiti. Trovo triste che un lavoratore difenda a tutti i costi il suo essere sfruttato. Si vive per lavorare, quindi stare alla catena di montaggio oppure tagliare erba nei prati si equivalgono. Se una persona deve ancorarsi alla sua professionalita’ come argine alla frustrazione della sua vita siamo messi male… Stessa cosa per i laureati. Devi lavorare come spazzino e allora? Sei razzista verso gli spazzini? Hai studiato anni e anni? Benissimo se l\’hai fatto per passione sei felice, se potessi farlo come lavoro sarebbe bellissimo ma non puoi metterla come pretesa. Verso chi? Io sono laureato in Storia, al momento sono portiere di notte e nel tempo libero faccio corsi di giornalismo e scrivo articoli di geopolitica. Ho espresso il tutto in maniera confusa perche’ sono temi che mi toccano, la sinistra italiana spinge a destra perche\’ a destra sembra di stare a sinistra…
Ok. E il mutuo come lo paghi se non hai il posto fisso? Tutelare il lavoratore non è anche la sua possibilità di avere un tetto e di metter su famiglia, perché si lavora per vivere e non si vive per lavorare?
Oppure anche avere un tetto sopra la testa è monotono?
Sugli operai FIAT da riconvertire… l’art. 18 è sul licenziamento individuale “perché sto antipatico al datore di lavoro”, le politiche industriali, invece, riguardano i licenziamenti collettivi coi quali questo articolo non c’entra.
Ma se abrogare l’articolo 18 significa eliminare il posto fisso, le banche, seguendo questo ragionamento, non dovrebbero più concedere mutui a nessuno, cioè dovrebbe smettere di esistere il mutuo in Italia. Ma le banche non fanno certo vocazioni filantropiche, quindi, se finora hanno fatto i mutui, vuol dire che ci guadagnano, quindi non so se converrebbe loro smettere di fare mutui.
E comunque non è che si può decidere tutto sotto il ricatto delle banche e dei loro porci comodi. Se le banche smettono di fare mutui, faccia lo stato da prestatore (che è quello che dovrebbe fare comunque).
Lo Stato da prestatore? E con che soldi, di grazia?
dal punto di vista economico l’articolo 18 non serve a niente, lascia le cose come le trova. Anche dal punto di vista del lavoro serve a pochissimo. Tutt’al più può essere un freno a qualche licenziamento mirato. Nulla a che fare coi grandi numeri.
Il dato che dice tutto è che nel costo d’un auto, quello del lavoro incide del 6%. Un’inezia. In gran parte siamo di fronte a lotta ideologica come coll’ombelico in vista e volto coperto.p
Per Pietro e per “p”
Grazie.
Io presento di tanto in tanto argomenti di altri, proprio perché se ne discuta.
Personalmente, non sono coinvolto – faccio il libero professionista minimale; e non ho le idee chiarissime su questi argomenti.
Mi sembra comunque che:
1) Allara ci azzecchi sul quadro globale
2) si dovrebbe lavorare soprattutto per avere la certezza di un reddito, magari piccolo, ma che permetta di fare piani: comprarsi una casa, mettere su famiglia senza dover emigrare chi sa dove, e così via.
Non è il “posto” che dovrebbe essere fisso, ma la certezza del reddito. Altrimenti non esiste né una società, né una vita umana.
Ora, io non ho affatto le competenze per dire se la conservazione dell’articolo 18 sia utile a tale scopo; ma sospetto che l’esistenza del governo Monti sia ancora meno utile.
>> Non è il “posto” che dovrebbe essere fisso, ma la certezza del reddito. Altrimenti non esiste né una società, né una vita umana.
potrei applaudire se non mi venisse il sospetto che stai indicando come “umane” una frazione trascurabile delle società e delle vite.
ma se si può fare, mi pare una prospettiva interessante.
se, come credo, non si può, allora sarà il caso di ripensare tutto, non di stare a frignare.
ciao
Allara dice le cose che disse un funzionario flm alla nostra assemblea. Non centra la questione per niente. Piagnistei d’una associazione sindacale che è sotto attacco. Perché l’unica cosa vera, il resto è fuffa ideologia tra chi è pro e chi è contro, è che vi è un tentativo di ridimensionare cigl in generale e flm in particolare. Dal mio punto d’osservazioone di operaio metalmeccanico è l’unica cosa certa ed evidente.
Ma le giustificazioni messe in campo in questa lotta, dalle due parti, valgono un fico secco. Monti, ichino, landini e cremaschi dicono fesserie di segno diverso e uguale grandezza. È come credere ai bollettini militari in una guerra.p
“In un’economia capitalistica, il padrone sceglie chi lavora per/con lui. Punto.”
maria
Ma l’economia capitalistica è un dogma, una cosa data per sempre, qualcosa su cui non discutere per non inceppare il suo meccanismo, è qualcosa da eccettare senza dire bai? per moltissimi no, quindi il tuo assunto viene respinto. Punto.
Non ho mai capito poi il cavallo di battaglia di chi vuole togliere l’articolo 18 e cioè la possibilità straordinaria di creare posti di lavoro come fosse l’articolo in questione a impedirlo e come se i casi in cui viene applicato influisse negativamente sul mercato del lavoro ingessandolo come si dice, e impedendo la famosa crescita, ma, allora, andiamo a vedere i licenziamenti con tanto di reintegro per giusta causa, sono pochissimi, poche centinaia, i padroni restano quindi liberissimi di licenziare i dipendenti quando c’è crisi, o quando pare a loro, basta guardarsi intorno.
Quindi qual’è il problema? Come questo diritto inibisce i diritti che ancora non esistono? Come l’eliminazione di questo articolo farebbe crescere le possibilità di occupazione? Ancora non lo hanno mica spiegato, e non lo hanno fatto perchè non si può spiegare.
Infine, si dice sempre che interessa pochi lavoratori, ragione di più per non preoccuparsene più di tanto direi ma allora perchè tirarlo sempre in ballo?
P dice che è una questione solo ideologica, io non credo, o meglio forse è ideologica nel senso che non cambia le condizioni del mercato e dei lavoratori, ma afferma le ragioni dei padroni e forse anche i loro portafogli perchè si inserisce in una campagna tutta tesa a creare quella che loro chiamano flessiblità buona ovvero ti prendo finchè mi fa comodo e poi te ne vai quando decido io, tanto ci sono i fantomatici corsi alla danese di ichino che come d’incanto ti fanno di volta in volta diventare quello che non sei mai stato e per di più in tre mesi e anche meno.
Il bello, anzi il brutto, è che molti ci cascano e non di rado anche su siti di sinistra si legge l’inattualità dell’articolo 18 e tuoni e fulmini sui privilegiati del posto fisso che è ormai condizione in via di estinzione.
Ma del resto come ha detto monti, è bello mettersi alla prova no,se fai la cassiera alla esselunga e perdi il lavoro, puoi sempre andare a farla alla coop, posto che ti prendano, pensa a come arricchirai la tua esperienza, alle persone n uove che conoscerai, e lo stesso vale per il muratore della ditta x, ci pensi che bel movimento passare, se ti prendono, alla ditta y.
Monti e i suoi ministri parlano di lavoro, invece che di lavori, sembrano dimenticare che non sono tutti uguali , ma partono da se stessi e non conoscono nulla dei lavori comuni! Per questo cianciano di monotonia e di figli troppo legati ai genitori!
1) oggi l’economia capitalistica è l’unica cosa che abbiamo. il resto campa di tasse, ma di fare quello sono capaci tutti i sistemi. quindi se vogliamo rompere l’unico giocattolo che funziona almeno dobbiamo essere coscienti dei rischi – e la Grecia è un ottimo esempio, finito il credito e senza capitalismo è iniziata la fame
2) l’articolo 18 è vissuto dai padroni come una intromissione indebita dello Stato nella gestione delle imprese e li spinge a limitare al minimo le assunzioni. se è così, e temo lo sia, o si riesce a cambiare la testa ai padroni o si elimina l’articolo 18 o ci si tiene l’attuale situazione di disoccupazione/precarietà paralegale/bassa partecipazione. gli è che assumere alle Poste è ormai impossibile.
3) “è bello mettersi alla prova” non ti piace? sostituisci “bello” con “inevitabile” ma ricordati che gli asini non volano e le aspirazioni con fanno legge, neppure nelle scienze sociali
Per questo cianciano di monotonia e di figli troppo legati ai genitori!
Come la figlia della fornero docet….
Concordo con Maria, qui si vuol smantellare ciò che resta delle lotte dei lavoratori solo per legalizzare definitivamente il precariato di massa…
La crescita? Si, forse, ma solo per lorsignori, per tutti gli altri un’esistenza da sottoproletariato all’americana o alla tatcheriana che piace tanto a certi liberaloni nostrani….
Concordo con Maria e con Mirkhond.
Il lavoratore, il cittadino, ha il sacrosanto diritto di avere il reddito e la stabilità necessari a una vita degna e soddisfacente.
Vogliamo anche le rose!!
Per vent’anni e più in Italia (ma da prima in altre parti d’Euramerica) abbiamo assistito alla santificazione di una sola figura sociale, l’Imprenditore.
Ce ne saranno di buoni e di pessimi, come ci sono buoni e pessimi operai;
è proprio questo il punto.
invece no, sembrava che appena una cosa faceva comodo all’Imprenditore (Santo Subito!) tutti dovessero adeguarsi, perchè l’Imprenditore (ma dove sta scritto?) sarebbe l’incarnazione in terra dei sacri e inviolabili (ma dove sta scritto?) princìpi del capitalismo.
Dalla mai realizzata centralità operaia si è passati alla fin troppo realizzata centralità imprenditoriale.
Il lavoro costa troppo? Beh cosa fa l’imprenditore, lo scarica come può, quindi o meno tasse (a scapito della società nel suo insieme), o fuga all’estero (a scapito anche delle società estere, perchè mica puoi importare i diritti e le tasse, altrimenti fuggi in un altro paese dove non ci sono…. mi parlano di notissimi e “santissimi”, anche alla sinistra, imprenditore- scarpari- che sono fuggiti dalla Romania all’Ucraina per questo motivo… sempre marchiando Made in Italy, ovviamente) o levare i diritti e precarizzare l’operaio italiano
(a scapito dell’anello più debole della società).
La mia idea sarebbe di abbassare le tasse agli imprenditori che restano in Italia, e che non licenziano. Vediamo che se po’ fà!
Anche se, dentro di me, continuo a sognare il momento in cui gli operai potranno licenziare il datore di lavoro e i manager! 😉
E ci arriveremo, se Dio vuole!
@ PINO
Ci sono anche quei lavoratori che se l’ Ombrello Altaniano glielo ficcano in quel posto con la mano destra urlano … se invece l’ Ombrello Altaniano glielo ficcano in quel posto con la mano sinistra godono !
Moi, ricordati della massima dell’Avvocato Agnelli, sovracitata….
E ho detto tutto….
mirk
ricordo, l’avvocato agnelli disse che per fare le “riforme” ci voleva la sinistra e infatti la riforma delle pensioni che propose berlusconi nel 1993, mi pare, non passò per una fortissima opposizione sociale, passò quando la stessa riforma la propose il centro sinistra senza colpo ferire
Guarda, maria, che il punto è che la cgil e la fiom hanno un’organizzazione inadeguata allo scontro in atto. Che esternamente viene mostrato come lotta per o contro l’articolo 18, ma che è molto di più, come tu stessa cogli. Lasciamo stare la sciocchezza dei privilegiati detta da chi veramente assaggia il privilegio. Non aggiunge niente al disprezzo infinito che ho per costoro. Cerchiamo di capire bene la scala dello scontro e perché ritengo la fiom inadeguata.
Ora da noi è venuto il nostro funzionario sindacale e in assemblea ci ha fatto questo bel predicozzo:
Badate bene che la lotta per scacciare la fiom dalle fabbriche, iniziata a pomigliano da marchionne è solo il primo passo per estendere a tutto il comparto dei metalmeccanici il modello di relazioni sindacali – introdotto prima a pomigliano, poi a tutta la fiat – a tutto il settore storicamente più avanzato delle lotte operaie. La cosa sta già avvenendo, e per il 2012, anno di scadenza del contatto nazionale dei metalmeccanici, potrà diventare ufficiale, quando tutte le associazioni imprenditoriali rifiuteranno, molto presumibilmente, di rinnovarlo. In questo scenario l’articolo 18 soppresso ha un significato reale fuori dalle giustificazioni imbecilli che passano nei media. È l’arma selettiva per eliminare dalla fabbrica i singoli più combattivi, una volta “normalizzate” le associazioni sindacali. Morale: bisogna mantenere lo status quo dove c’è ancora, da noi c’è, e ripristinarlo dove non c’è più, la fiat, ma non solo, che è solo apripista di questa nuovo modello di rapporti sindacali. Il nuovo modello, nelle sue linee essenziali, è presto detto. Si riconoscono solo i sindacati che firmano gli “accordi”, che ormai sono solo ratifiche di decisioni aziendali. Chi non firma, non ha in fabbrica diritto di rappresentanza. Che vuol dire, “banalmente” (era l’intercalare tipico di questo tipico sindacalista fiom), che alla fiom viene rifiutato un luogo in fabbrica dove faccia attività sindacale, che ovviamente saltano tutti i permessi, retribuiti fino a un certo monte ore, sindacali, che l’azienda non detrae più dalla busta paga degli iscritti fiom (sono iscritto fiom anch’io) la sua quota tessera per passarla al sindacato. Così viene meno un flusso di denaro continuo e sicuro. Il risultato è che la fiom non potrà più vivere, saltata la sua struttura organizzativa, e resteranno solo i sindacati “gialli”, come si dice in gergo, cioè le pure e semplici cinghie di trasmissione di ordini aziendali. Questa è la posta in gioco.
Ora quel sindacalista ha perfettamente ragione. Quella è la scala dello scontro e la posta in gioco. Dove discordo? Che allo status quo non si può tornare, è una battaglia persa. La fiom, il sindacato in generale, che non sia mera cinghia di trasmissione, deve organizzarsi fuori, nel territorio, non dentro le fabbriche, rinunciando a tutte quelle agevolazioni aziendali ottenute in un altro tempo, irrimediabilmente passato. Qual è questo modello? Deve scendere dal cielo? No. Appartiene alla tradizione sindacale più autentica, non solo rivoluzionaria ma anche riformista, senza distinzioni. È il modello sindacale prefascista, quello tra otto e novecento. Invece di citare come santini certi nomi prischi, andiamo a vedere come organizzavano le camere di lavoro fino ai primi anni 20 del novecento. Il guaio è che la fiom non è più in grado di percorrere quella strada. Ti faccio l’esempio più clamoroso. Il pagamento aziendali dei sindacati con trattenuta diretta dalla busta paga, è degli anni 60, non ricordo la data precisa. Non passò mica in maniera così indolore. Vi fu grande opposizione e io conosco compagni abbastanza vecchi per averla fatta. Fu solo il peso del pci, che controllava il sindacato, a farla passare. Ma come, si diceva, abbiamo fatto la lotta contro le schedature fiat, e ora passiamo noi stessi ai padroni gli elenchi degli iscritti? Che senso ha? Mettiamo pure che avesse un senso, allora, anche se era una perdita d’autonomia del sindacato, ma piangere oggi che quel sistema di pagamento, per la durezza dello scontro, rischia di saltare – in fiat credo sia già saltato – e dire che senza quel pagamento è a rischio l’esistenza stessa dell’organizzazione, è dimostrare di non saper più agire fuori da un quadro di relazioni che sta saltando. Noi abbiamo bisogno d’un sindacato che agisca in un altro contesto di lotta da quello precedente. E non deve inventarsi nulla, ma avere la forza di riappriopriarsi una tradizione, che si credeva, sbagliando, ormai superata dal nuovo tempo.p
del tutto d’accordo con p (!)
i veri sindacati saranno più cattivi coi padroni, e molto meno maneggioni politici, di quelli istituzionalizzati di oggi
e combatteranno le loro battaglie per i loro iscritti, ottenuti sul campo, vincendo e perdendo per il solo valore di quelle lotte
in una parola, saranno utili
Mettiamo pure che avesse un senso, allora, anche se era una perdita d’autonomia del sindacato, ma piangere oggi che quel sistema di pagamento, per la durezza dello scontro, rischia di saltare – in fiat credo sia già saltato – e dire che senza quel pagamento è a rischio l’esistenza stessa dell’organizzazione, è dimostrare di non saper più agire fuori da un quadro di relazioni che sta saltando.
maria
non mi piace dare ragione quando mi si scombina tutto, però devo farlo lo stesso, hai ragione pietro
Ciao Maria. Io sono Pietro ma non sono p. 😀
… Scusate la franchezza ma di che cosa stiamo discutendo? io credo che i termini del problema siano facilmente individuabili da chiunque … certo se ipotizzassimo il definitivo tramonto di un certo tipo di società e con essa di un modello di confronto democratico socialmente condivisibile allora forse anche le ragioni e i criteri di chi ora ci governa acquisterebbero plausibilità e si potrebbe ragionare sull’opportunità o meno di passare a qualcosa di “diverso”. Ma il guaio è proprio questo! le fabbriche ancora esistono e esistono gli operai che ogni mattina si recano in fabbrica per lavorare, forse domani non sarà più così, forse si farà una società migliore che libererà definitivamente gli uomini dalle catene di un lavoro mortificante, ma poi, una volta arrivati fin lì, saremo migliori o peggiori di adesso?
… Scusate la franchezza ma di che cosa stiamo discutendo? io credo che i termini del problema siano facilmente individuabili da chiunque … certo se ipotizzassimo il definitivo tramonto di un certo tipo di società e con essa di un modello di confronto democratico socialmente condivisibile allora forse anche le ragioni e i criteri di chi ora ci governa acquisterebbero plausibilità e si potrebbe ragionare sull\’opportunità o meno di passare a qualcosa di \"diverso\". Ma il guaio è proprio questo! le fabbriche ancora esistono e esistono gli operai che ogni mattina si recano in fabbrica per lavorare, forse domani non sarà più così, forse si farà una società migliore che libererà definitivamente gli uomini dalle catene di un lavoro mortificante, ma poi, una volta arrivati fin lì, saremo migliori o peggiori di adesso?