Gli Antideutsche, ossia come prendo un Antifa e ne faccio un Borghezio

L’artista tedesco, Ottmar Hörl, decide di fare un’affermazione politica. E così, nell’ottobre 2009, allinea 1.250 nani da giardino, oggetto tedesco per eccellenza, in una piazza di Straubing. E tutti  e 1.250 salutano a braccio teso. Così Ottmar Hörl dice, in sostanza, ciò che è tedesco è nazista e quindi criminale, e questo è un pensiero straordinariamente tedesco.

Dove il dispiacere di dire, allora sono un criminale per nascita anch’io è compensato dall’immenso piacere di poter condannare decine di milioni di connazionali.

Ottmar Hörl fa la sua provocazione in Germania, e i tedeschi reagiscono di conseguenza: denunciandolo perché la legge tedesca vieta di tendere il braccio destro avanti e in alto. E il giudice, molto tedesco, prende sul serio il caso, e solo alla fine decide di assolvere Ottmar Hörl.

nazignomesOra, se io guardo i nanerottoli di Ottmar Hörl, la prima cosa che noto è che hanno la pelle nera, la faccia mediorientale, gli occhi a mandorla e la barba da musulmani. Cose di cui l’immaginario tedesco non si accorge nemmeno.

La Germania, con la sua lingua incomprensibile, sembra una sorta di grande vuoto in Europa.

La famosa rieducazione della Germania è soprattutto autorieducazione, autocensura, autocondanna; e se occorre, autodemonizzazione.

Tutto è  giocato sull‘allusione simbolica – la frase che ricorda la frase, il simbolo che ricorda il simbolo: come se uccidere fosse un male, solo perché lo hanno fatto i nazisti e non viceversa.

A questa condanna, si reagisce con un intenso risentimento e un desiderio di liberazione che spiega la natura particolarissima dell’estrema destra tedesca, così diversa da tutte le altre d’Europa.

A leggere i materiali degli opposti schieramenti, si resta con la sensazione di un mondo autoreferenziale, di bianchi che si chiedono, “io chi sono dopo Hitler?” Ma un tedesco che pensa, “mi amo” e un tedesco che pensa, “mi” odio, è pur sempre un tedesco che pensa a se stesso, escludendo completamente le circa 15 milioni di persone che abitano in Germania e che non hanno avuto parenti né nella Wehrmacht, né nei lager.  Quindici milioni di persone che solo adesso, per la prima volta, hanno avuto un ministro al governo (quello della salute, di origini vietnamite). Il governo conservatore del Niedersachsen ha suscitato forti reazioni, nominando un ministro per gli affari sociali di origini turche, la signora Aygül Özkan, ovviamente moderatissima, laicissima e cautissima.

Ne derivano due cose importanti per la materia che ci interessa: l’islamofobia introduce  comunque un elemento di realtà, che permette a molti di destra di uscire dallo psicodramma; e l’area antifascista non è sempre più aperta di quella nostalgica.

Abbiamo visto come Patrik Brinkmann, giocando sui simboli (oltre ai soldi) abbia inventato un ambiente islamofobo, liberista, occidentalista, filoamericano e filoisraeliano.

Adesso vediamo come si possa partire da premesse esattamente opposte e manipolare i discorsi per arrivare alle stesse identiche conclusioni di Brinkmann.

Il 13 febbraio 2005, a Dresda, circa 200 persone celebrarono il cinquantenario del bombardamento della città per ordine di Arthur Harris – decine di migliaia di profughi, civili e prigionieri di guerra sterminati da 1300 bombardieri angloamericani.

I manifestanti spiegarono una grande bandiera israeliana e uno striscione (con i colori israeliani). Sullo striscione, le parole, “Tutte le cose buone vengono dall’alto!” e l’immagine di una bomba.

antideutsche_2004_in_dresdenL’anno prima, gli stessi individui avevano festeggiato l’anniversario precedente, marciando per le strade di Monaco al grido corale di “Bomber-Harris, töte noch einmal deutsche Frauen und Kinder!” – “Bomber Harris, uccidi ancora donne e bambini tedeschi!”

Denunciati in base ai numerosi e fantasiosi capi di cui dispone la legge tedesca, il procedimento fu subito archiviato.

Qui siamo molto tolleranti con gli estremisti che si divertono a dire cose esagerate, ma i media non lo sono. Tranne in casi come questo.

Comunque adesso avete un’idea di chi sono gli Antideutsche.

La corrente Antideutsche, “anti-tedesca”, è sorta all’interno dei Verdi e dell’estrema sinistra (in particolare il gruppo maoista Kommunistischer Bund), e all’inizio indicava un’opposizione alla riunificazione della Germania.[1]

Il movimento fu però preso in mano da intellettuali che non provenivano da alcuna esperienza politica, come Wolfgang Pohrt [2], Sebastian Voigt, Thomas von der Osten-Sacken e Stephan Grigat. Gli ultimi tre collaborano con Achse des Guten, il sito neocon  di Henryk M. Broder, notissimo editorialista di Der Spiegel, il settimanale tedesco più venduto in Germania.

Anche Broder viene da sinistra, ma oggi è un neocon all’americana, senza le particolari posizioni degli Antideutsche; ciò non toglie che sia il loro principale protettore. La filosofia di Broder è semplice:

“E’ vero, Israele oggi è più reo che vittima. E’ bene e giusto che sia così, visto che gli ebrei per quasi duemila anni hanno sperimentato il ruolo di vittima e così hanno fatto solo brutte esperienze. I rei di soliti hanno una vita più lunga delle vittime, ed è più divertente essere reo che vittima”.[3]

Nella sua rubrica, Henryk Broder dà sfogo a tutte le passioni tedesche contro ciò che chiamano Multikulti Überfremdung (all’incirca, “invasione di stranieri”), ottenendo gli applausi ad esempio di esponenti dell’NPD, che a prima vista dovrebbero essere il contrario esatto degli Antideutsche.

Nel 2008, è uscito il libretto di Broder, Hurra, wir kapitulieren (“Evviva, ci arrendiamo”), un testo che parla di “nazislamismo” e ripete la solita sfilza di ben noti luoghi comuni. Il fatto significativo è che questo libretto è stato diffuso dall’Ufficio federale per l’educazione politica (Bundeszentrale für politische Bildung, in Germania esiste anche questo…), assieme a Feindbild Christentum im Islam, “La cristianità come spauracchio nell’Islam”  della militante evangelica Christine Spuler-Stegemann, che mette in guardia contro il “dialogo interculturale” con i musulmani. La sede della Sassonia dello stesso ufficio ha convocato “insegnanti, agenti di polizia, studenti e militari” ad ascoltare le conferenze di Broder.

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Bruce Bawer e Henryk Broder

In questa foto, vediamo Henryk Broder, sponsor della sinistra Antideutsche, a una conferenza in Danimarca (ottobre 2008), mentre dichiara: “Non può esserci islamismo senza Islam. E’ la stessa cosa con un marchio diverso. Non esiste il multiculturalismo. La sinistra e l’Islam condividono lo stesso odio per l’Occidente e la libertà”.

Ma cosa c’entra il fallaciano Broder con gli Antideutsche? Gli Antideutsche arrivano a Broder con una tesi a suo modo consequenziale. Sentite come viene costruita, perché è un capolavoro dialettico.

Gli Antideutsche sono comunisti, e quindi internazionalisti. Non si fanno ingannare dal patriottismo che porta a stragi. Viva Rosa Luxemburg. A modo suo, la premessa per un sano pacifismo.

Solo che i tedeschi non sono uguali a tutti gli altri.

I tedeschi sono peggio, perché sono strutturalmente nazisti. E’ una condanna ereditaria, da cui si salvano solo pochi eletti, appunto gli Antideutsche, anche (ma questo non viene detto) grazie alle loro benestanti origini sociali.

Perciò, chiunque sia di sinistra deve combattere in primo luogo, non il governo tedesco, ma proprio i tedeschi, o almeno ogni elemento di cultura o forza politica o economica tedesca.

Chi sono i nemici dei tedeschi? Gli americani e gli israeliani.

Gli americani sul piano pratico, perché possono domare la Germania con la loro forza militare; ma gli israeliani sul piano simbolico, perché gli ebrei sono l’etnia antitedesca per eccellenza: la dicotomia di Hitler viene così semplicemente rovesciata nel proprio opposto.

Chi è di sinistra deve quindi offrire bedingungslose Solidarität – solidarietà incondizionata – a Israele: nel 1991, Pohrt invocava le bombe atomiche israeliane su Baghdad. Stephan Grigat teorizza “l’imperativo categorico sionista” come base dell’agire politico. Chi non segue questo imperativo categorico, è un antisemita.

Allo stesso tempo, chi è di sinistra deve stare dalla parte del progresso.

Ora, il progresso si diffonde con la violenza, e quindi gli Antideutsche, partiti da premesse pacifiste, arrivano a sostenere tutte le attuali guerre statunitensi e a condannare il pacifismo come nazista e antisemita. Da qui l’esaltazione dei bombardamenti aerei sulla Germania durante la Seconda guerra mondiale e la proposta di costruire un monumento ad Arthur Harris, l’uomo che decise la strage di Dresda.

Nella scia dei sinistri pentiti – Hans Magnus Enzensberger, Wolf Biermann, Dan Diner – gli Antideutsche così sostengono totalmente la prima spedizione militare-imperiale tedesca dal dopoguerra, quella contro l’Afghanistan.

antifa

"L'antifascismo deve essere pratico! Contro l'antisemitismo e l'antisionismo! Solidarietà con Israele! (si noti la sigla di Antifaschistische Aktion, ma con il rosso sostituito dal colore israeliano)

Gli Antideutsche sono anticapitalisti e comunisti.

Ma se un tedesco critica il capitalismo, vuol dire che lo fa solo perché affetto da “antisemitismo strutturale”, cioè odia i mitici banchieri ebrei e sogna una “comunità di popolo”. Per questo, ogni protesta contro i tagli sociali nasconde un pericoloso spirito nazista, e va quindi stroncata. E così, gli Antideutsche sono anche arrivati ad aggredire fisicamente chi protestava contro lo smantellamento dello stato sociale.  Nel novembre del 2008, una squadra di Antideutsche ha attaccato la sede del DKP (Partito comunista tedesco, oggi su posizioni marxiste-leniniste) a Halle, buttando giù le serrande e riempiendo le pareti con le parole “Save Israel“, “Smash DKP/SDAJ” (SDAJ è l’organizzazione giovanile del partito) e “Nazis raus” – la sede era dedicata a Helene Glatzer, una comunista uccisa dai nazisti nel 1935.

Durante una manifestazione nei giorni precedenti, contro la demolizione dello stato sociale, gli Antideutsche avevano filmato i partecipanti, gridando anche lì “Nazis raus” contro i manifestanti.

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"Solidarietà con Israele - Negare il diritto all'esistenza della Germania"

Gli Antideutsche ragionano per categorie etniche e non di classe, che non è proprio ciò che ci aspetteremmo da marxisti.

Per farlo, adducono due motivi. Primo, ogni considerazione a proposito dell’esistenza di eventuali classi di sfruttatori costituirebbe una “teoria del complotto” potenzialmente antisemita. Secondo, gli Antideutsche aderiscono alla  teoria della Wertkritik, diffusa in certi giri di teorici marxisti germanofoni. Correttamente interpretata o meno,[4] la Wertkritik permette agli Antideutsche di fare del capitalismo una pura astrazione, non incarnata in alcuna classe. Tutti sarebbero vittime del capitalismo, e quindi nessuno…

E poi, gli Antideutsche non dicono proprio etnie, ci mancherebbe: ci sono “costellazioni politico-economiche“, che inevitabilmente producono un “preciso carattere sociale tipicamente tedesco“.  E il “carattere sociale” tedesco, sostiene l’Antideutsche Stefan Grigat, si trova tale e quale tra gli arabi, anzi in mezzo alla “barbarie islamista“. Ne conseguirebbe che qualunque geometra di Passau dovrebbe sentirsi a casa sua nei suq del Cairo. Forse da qui l’aspetto meridionale dei nani di Ottmar Hörl…

Poi la strada a destra si apre da sola: per il gruppo Antideutsche attorno alla rivista Bahamas, il neoliberismo è l’attuale via rivoluzionaria, perché il comunismo si realizza “con e non contro la storia”.

La divina Storia, la Mano Invisibile dei teomarxiani, oggi trova sulla sua strada un ostacolo: il reazionario Islamfaschismus, un termine che riprendono da Daniel Pipes:

“Oggi occorre constatare che le forze dell’anti-illuminismo e i nemici mortali della libertà si raccolgono sotto la bandiera di Allah”.

Chi combatte l’Islamofascismo? Gli eserciti degli Stati Uniti e d’Israele, che sono due Stati Nazione. Certo, ma si tratta di Stati Nazione progressisti e non reazionari, come sarebbe invece quello tedesco.

A dimostrazione del motivo per cui un buon marxista deve sostenere Stati Uniti e Israele, gli Antideutsche citano gli sproloqui antimessicani di Friedrich Engels.  [5]

Un simile atteggiamento richiede una “rinuncia senza compromessi” all’antimperialismo, cioè alla constatazione che il sistema capitalistico si basa anche sul saccheggio degli altri; o almeno all’idea che ci sia qualcosa di riprovevole in tale saccheggio.

Ora, se l’anticapitalismo, la lotta per i diritti sociali, i problemi dei lavoratori, l’antimperialismo sono “cose da nazisti“, finiscono per diventarlo davvero: restano, cioè, patrimonio esclusivo dell’NPD, come sottolineano i critici di sinistra degli Antideutsche.

In Italia, a qualcuno che facesse un discorso come quello degli Antideutsche, direbbero, “ma quanto ti paga Berlusconi?”

In Germania, invece, le campagne degli Antideutsche si svolgono in due ambienti. Da una parte all’interno dell’area anarchica-autonoma-antifa, utile perché fornisce un certo numero di persone che si possono sempre mandare a picchiare qualunque cosa tu decida di chiamare fascista.

Dall’altra, gli Antideutsche operano all‘interno dell’ex-partito comunista (SED) della DDR, confluito nella coalizione  di sinistra “Die Linke“. Ovunque, incontrano l’opposizione della maggioranza, ma dentro Die Linke, hanno trovato la protezione dei vertici veterocomunisti, che li usano anche per spingere gli iscritti verso posizioni più accettabili dalla politica ufficiale e come contrappeso ai propri soci nella coalizione, i seguaci di Oskar Lafontaine.

Von der Osten-Sacken, Grigat e Voigt hanno così potuto promuovere seminari sul Medio Oriente e addirittura aprire un dibattito sull‘opzione di un attacco militare all’Iran. Impossessatisi della federazione giovanile della Sassonia, gli Antideutsche – tra cui alcuni membri della Deutsch Israelische Gesellschaft (DIG) – sono riusciti anche a ottenere posti come assistenti di diversi deputati.

Die Linke ha accettato al proprio interno la formazione di un “gruppo di lavoro”, denominato BAK Shalom (Bundesarbeitskreis Shalom) – uno dei cofondatori, Michael Leutert, è attualmente deputato in parlamento, dove si dedica a denunciare i comportamenti critici verso Israele dei propri colleghi. Tanto è estrema la loro posizione, che un gruppo di pacifisti israeliani ha lanciato, ovviamente invano, un appello alla Linke contro BAK Shalom.

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La "pace" di BAK Shalom

BAK Shalom si definisce “piattaforma contro l’antisemitismo, l’antiamericanismo e l’anticapitalismo regressivo tra i giovani di sinistra” ed è diretto proprio da uno dei tre principali teorici dell’Antitedeschismo, Sebastian Voigt. Thomas von der Osten-Sacken invece dirige una misteriosa ONG, Wadi e.v., che opera tra Israele e Kurdistan, mentre Stephan Grigat ha fondato la campagna Stop the Bomb (va da sé che The Bomb è quella, inesistente, dell’Iran), assieme al Mideast Freedom Forum Berlin (MFFB), una coalizione di “membri di organizzazioni ebraiche e di iraniani in esilio“, dedicata a “lottare per la sicurezza e sovranità d’Israele e contro l’antisemitismo e l’ostilità verso Israele”, che combatte contro “il regime islamista dell’Iran” e per un “Regime Change in Iran“. Ma su questo, ritorneremo.

Conquistate queste posizioni, hanno cominciato ad attaccare i pacifisti interni al partito, come Norman Paech e Ulla Jelpke, accusati di “antisemitismo”.

Così nel 2008, il principale esponente della Linke, Gregor Gysi (condannato come ex-collaboratore della Stasi alcuni anni fa), dichiarò la “solidarietà a Israele” del partito e condannò l’antisionismo.

Nei fini, nulla ormai distingue gli Antideutsche dagli islamofobi di Destra; ma il loro linguaggio fa appello a quello che potremmo chiamare l’altro polo del Monologo Occidentale.

Premessa l’assoluta certezza della propria superiorità, l’intellettuale organico del dominio occidentale sembra in grado di riconoscere solo tre possibilità per l’Altro – la sottomissione, l’eliminazione per annientamento o espulsione, o la conversione.

Per gli Antideutsche, i populisti di destra hanno la colpa di essere troppo tolleranti, perché si limitano a emarginare i musulmani, senza distruggerli e ricostruirli a propria immagine e somiglianza.

Con un tipico gioco dialettico, dichiarano che sono “razzisti” coloro che credono che non si possano insegnare loro i valori occidentali.

Mentre monta l’onda xenofoba più travolgente degli ultimi sessant’anni di storia europea, gli Antideutsche, di solito così solerti nel denunciare gli estremisti di destra, affermano che  “l’insofferenza popolare” verso i musulmani non ha nulla a che vedere con l’antisemitismo, che invece sarebbe stato il motore primario della storia europea da 2000 anni; e accusare l’Islam di voler dominare il mondo non costituisce una teoria del complotto, ci spiega Stephan Grigat.

Nel numero 59 del 2010, la principale rivista AntiDeutsche, Bahamas, pubblicò un articolo di Sören Pünjer – collaboratore sia di gruppi sionisti che di gruppi antifa – a sostegno della English Defence League (EDL), intitolato Im Geiste Winston Churchills. In Großbritannien sorgt die English Defence League für Aufregung und Verwirrung (“Nello spirito di Winston Churchill. In Gran Bretagna, l’English Defence League genera eccitazione e smarrimento”).

Un movimento che sostiene che qualunque donna o bambino tedesco sia meritevole di morte per bombardamento, in quanto nazista; che definisce fascisti anche immigrati dalla Nigeria; improvvisamente si prodiga per dire che un movimento come l’EDL – composto da pittoreschi teppisti da stadio ubriachi e tatuati che agitano bandiere nazionali e invadono i quartieri dei migranti – non può essere definito fascista. Ma come abbiamo visto, il cavillo dialettico è la grande forza degli Antideutsche.

Però ci vuole fegato a dire che dei proletari inglesi somiglino all’aristocratico Winston Churchill. Casomai lui era più vicino proprio agli Antideutsche, visto che – testimoniando nel 1937 davanti alla Peel Commission sulla Palestina – disse:

“Io  non credo che il cane in una stalla abbia diritto definitivo a quella stalla, anche se ci ha dormito per molto tempo. Io non ammetto quel diritto. Non ammetto, ad esempio, che un grande torto sia stato fatto ai Pellirosse  dell’America o ai popoli neri dell’Australia. Non ammetto che un torto sia stato fatto a questa gente per il fatto che una razza più forte,  una razza più elevata, una razza più saggia nelle cose del mondo, per dire così, sia arrivata e abbia preso il loro posto.”

Note:

[1] L’inventore del termine Antideutsche, Jürgen Elsässer, è oggi il principale avversario di ciò che gli Antideutsche sono diventati.

[2] Oggi Pohrt ha clamorosamente rinnegato le idee Antideutsche.

[3] „Es stimmt, Israel ist heute mehr Täter als Opfer. Das ist auch gut und richtig so, nachdem es die Juden fast 2000 Jahre lang mit der Rolle der ewigen Opfer versucht und dabei nur schlechte Erfahrungen gemacht haben. Täter haben meistens eine längere Lebenserwartung als Opfer und es macht mehr Spass, Täter als Opfer zu sein.“

Henryk M. Broder, “Freispruch fur Israel”, in Jüdische Allgemeine, 17.3.2005

Come tutti quelli che tifano da lontano, però, Broder ha un problema: cinque anni dopo, si lamenta:

“Israele ha passato la stessa evoluzione dell’Europa dopo il 1989, solo più rapidamente e in maniera più radicale… Israele si è disarmato mentalmente”.

[4] Mi rifiuto di leggere trattati di teologia marxista in tedesco per appurare il grado di ortodossia wertkritikista degli Antideutsche.

[5] Come tutti i teologi, gli Antideutsche fanno sempre appello all’autorità, con riferimenti continui ad Adorno, Horkheimer, Debord e al giovane Marx. Autori degni del massimo rispetto, ma che per la loro natura astratta e filosofica, offrono una grande flessibilità nell’applicazione pratica. E quindi possono servire come schermo per qualunque cosa. Mentre, Grigat ci spiega, il “marxismo tradizionale” – cioè quello che si occupa di fame e di ingiustizia – opera sempre come portale d’ingresso” per l’antisemitismo.

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28 risposte a Gli Antideutsche, ossia come prendo un Antifa e ne faccio un Borghezio

  1. PinoMamet scrive:

    ” Così Ottmar Hörl dice, in sostanza, ciò che è tedesco è nazista e quindi criminale, e questo è un pensiero straordinariamente tedesco.”

    è anche straordinariamente pirla!

  2. Marcello Teofilatto scrive:

    Azzardo una sottile analisi politologica:
    che teste di c***o…
    Saluti da Marcello Teofilatto

  3. p scrive:

    Non scherziamo. Rosa luxemburg non era pacifista, ci mancherebbe. Era ebrea ma non sionista, e osteggiava il bund, il partito socialista ebraico, che riteneva una bestialità, ovviamente. Dire viva rosa luxemburg non significa nulla, se si hanno idee diverse da lei. Sulla teologia marxista, è il solito errore su cui tutto cascano. Sì è comunisti non perché si è letto e si cita marx, ma perché si odia e si ha disgusto di tutto ciò che è il capitalismo. La lettura di marx può essere tranquillamente dispensata, teologicamente o no che sia fatta.p

  4. Miguel Martinez scrive:

    Per p.

    Ho menzionato Rosa Luxemburg, non per ciò che fu, ma per l’uso che spesso se ne fa. Non è un caso che sia spesso usata come donna-immagine da varie forme assai cialtrone di sinistrismo… Per me, lei rappresenta il sacrosanto rifiuto di partecipare al Grande Delitto del ’14-’18, che è stato opera del sistema degli Stati-Nazione. A patto però di non demonizzare un unico Stato-Nazione.

    Sulla teologia marxista… non è tanto questione di “leggere Marx” quanto di citarlo, e di usare quella citazione per promuovere una propria agenda.

    Che è esattamente ciò che faccio io, solo che io rinuncio all’autorità che proviene dall’autore della frase.

    Se io trovo una frase di Marx, o di Totò, che casualmente esprime bene qualcosa che sento io, la cito; ma senza pretendere minimamente dal lettore un’adesione alla mia tesi solo perché cito certi nomi.

    Invece, il citazionista cerca di usare il nome stesso come dimostrazione della veridicità di ciò che afferma.

  5. Moi scrive:

    C’ è un vecchio detto ebraico, di quelli che nel tempo possono sembrare più profetici :

    “Sventurato è il Popolo Eletto quando Dio lo bastona … ma ancor più sventurato è il popolo scelto da Dio come bastone” ,,,

  6. PinoMamet scrive:

    “la prima cosa che noto è che hanno la pelle nera, la faccia mediorientale, gli occhi a mandorla e la barba da musulmani. ”

    Questo Miguel è veramente curioso; perché io, davvero, non faccio caso a nessuna di queste cose. E, a prima vista, noto invece che i nani sono pittati di un grigio piuttosto (volutamente, suppongo) triste;
    e barbe e lineamenti, beh, mi sembrano quelle solite dei nani da giardino (sì, questi hanno gli occhi un po’ a mandorla… non credo significhi qualcosa).

    Non è che ci vediamo un po’ troppo, in questi nani? Chiedo.

    Anche perché, se proprio volessimo, credo che secondo i vari razzistoni alla Stormfront e compagnia, i “nani” siano la deformazione parodistica del tipo fisico “alpino”, piuttosto comune nell’Europa continentale (sul basso, massiccio, naso piccolo, colorito chiaro nelle versioni più settentrionali), che i soliti razzistoni classificano, diciamo, al secondo posto di desiderabilità; i fidi scudieri del primo classificato che è ovviamente il “nordico” (biondone, alto, faccia lunga da pirla), che per loro è l’epitome del “nobile”.

    Come dire, se proprio volessimo sottilizzare, che quelli sono i tedeschi di serie B, i bavaresi sanguigni che nelle caricature di Bruno Paul nei Simplicissimus di inizio Novecento erano contrapposti ad antipatici ufficiali prussiani stecchiti e filiformi.

    E allora a questo punto si potrebbe inserire quell’elemento di classe che citi, e che gli “antitedeschi” tacciono per pudore: che schifo “noi” tedeschi, perché al posto di “noi” si legga ovviamente “voialtri poveracci, preda dei vostri bassi istinti che vi portano ‘naturalmente’ a essere nazisti, non come noi illuminati”;

    che poi è la versione di sinistra del discorso del nazistone dell’altro post, il re della tautologia che sogna un futuro dove “chi comanda sta in alto e chi obbedisce sta in basso”
    (scusami ma ho il massimo schifo per gente di questo tipo e non mi riesce di provare simpatia per le loro doti di provocatori: c’è poca provocazione a farsi belli partendo da una posizione di privilegio).

    Ciao!

    • Marcello Teofilatto scrive:

      >c’è poca provocazione a farsi belli partendo da una posizione di privilegio.
      E’ vero. E chi dice il contrario fa affermazioni Fallaci :-).
      Saluti da Marcello Teofilatto

    • Moi scrive:

      Miguel,

      non è (detto) che hanno la pelle nera, ‘sti nani … sono probabilmente in bronzo o una lega simile !!!

      Sennò anche il David di Donatello, a ‘sto punto … l’ è un nègher terùn 🙂

      • Moi scrive:

        http://www.flickr.com/photos/kelebeklerblog/5265453589/

        guardando l’ immagine un po’ ingrandita notiamo che i Nani hanno giacca e pantaloni eleganti ma senza cravatta. Inoltre hanno una specie di “berretto frigio” giacobino … come quelli di Biancaneve e come i cianodermi Puffi.

        La foto comunque dice “nazignomes” e non “nazidwarves” … a ‘sto punto Roberto o chi per lui sarebbe tenuto/a a spiegare una differenza esatta nani-gnomi, anche se d’ istinto direi che i nani si caratterizzano per dimensioni comunque umane, tipo bambini, mentre gli gnomi sono piccolissimi come feti di pochi mesi. Tuttavia nani e gnomi sono caratterizzati per “modus vivendi”, aspetto e proporzioni identici … che io sappia.

        Diverso il discorso Elfi e Folletti, che pur essendo piccoli come gnomi possono avere proporzioni corporee uman ao addiritture

  7. roberto scrive:

    ” la prima cosa che noto è che hanno la pelle nera, la faccia mediorientale, gli occhi a mandorla e la barba da musulmani”
    boh, a me sembra il classico profilo da nano. non i rassicurani nani da giardino, ma nani “veri”, quelli che troveresti in un libro di favole

    • Moi scrive:

      Guarda Roberto, il “Biancaneve” di Walt Disney è del 1937 (!) da allora sono oltre 70 anni che , seppur erroneamente, per la stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta, pure ” Nordici ” i “Nani veramente veri” sono quelli lì, con quell’ aria e quella faccia rassicurante, giuliva e gioviale lì …

      Ogni approfondimento da parte tua è bene accetto 😉

  8. Miguel Martinez scrive:

    Per PinoMamet

    “Non è che ci vediamo un po’ troppo, in questi nani? Chiedo.”

    Certo. Nemmeno io ci ho “visto” in realtà le cose che ho detto, nel senso che non sono state per me un pugno nell’occhio. E non credo proprio che lo scultore ce le avesse in testa.

    Semplicemente ci ho visto più quelle di quanto ci abbia visto la faccia del tedesco medio; e se qualcuno avesse voluto farci sopra una polemica, accusando lo scultore di razzismo, si sarebbe potuto fare – non lo si è fatto perché il dibattito sull’identità tedesca esclude i non tedeschi.

    Non somiglia quindi, ad esempio, a quello francese, dove il problema comunque si pone; e se lo pone persino Le Pen. In Francia, non se lo pone nemmeno buona parte della sinistra. Ecco che diventa possibile un fenomeno come quello degli Antideutsche.

  9. Z. scrive:

    Miguel,

    — Ottmar Hörl fa la sua provocazione in Germania, e i tedeschi reagiscono di conseguenza: denunciandolo perché la legge tedesca vieta di tendere il braccio destro avanti e in alto —

    …e che è, il reato di “nano”?

    o il reato era stato proprio contestato ai nani?

    Z.

  10. Qûr Tharkasdóttir scrive:

    Post molto interessante, davvero. Non sorprendono affatto le dichiarazioni di Churchill, tra l’altro. Leggendo solo adesso quello del anno scorso con le citazioni di Engels, ti raccomanderei di dare un’occhiata al classico “The Rise of Anthropological Theory” di Marvin Harris (oppure di leggerlo tutto se ne hai il tempo, sono 800 pp. poco leggeri). Filo conduttore più o meno ammesso della sua visione d’insieme: l’opposizione di Harris a qualsiasi forma di razzismo o di supremazismo (occidentale, è ovvio, trattandosi di questa disciplina).

    • Marcello Teofilatto scrive:

      Per chi ha meno tempo o pazienza, segnalo che è stato tradotto anche in italiano (“L’evoluzione del pensiero antropologico”, Il Mulino), ma attualmente non è disponibile. Lo si trova però nelle biblioteche specializzate o su Maremagnum.com.
      Saluti da Marcello Teofilatto

  11. Athanasius scrive:

    Mi sembra che questi antideutsche siano appoggiati dal regime ufficiale della Germania di oggi, o almeno da una parte della classe governante. Se non lo fossero, non potrebbero fare quello che fanno (impunemente picchiare la gente, esercitare censura sui diversamente pensanti ecc). Il solo fatto che si sono insediati nel partito di Linke, uno dei partiti del mainstream politicamente corretto, parla da sè. Del resto, il comunismo è la parte del politicamente corretto dell’Occidente odierno (come lo è anche l’anticomunismo ritualistico proveniente dalla centro-destra, tutto parte del gioco dei falsi opposti).

    Per quanto riguarda questo “movimento”, sembra estremamente demenziale, ma anche illogico e inconsequenziale. Dunque, chiunque osi criticare il capitalismo, è automaticamente nazista? Beh, forse questo vale soltanto per i tedeschi, suppongo che agli altri popoli sia lecito di criticare il capitalismo. Ma il neoliberalismo è una via al comunismo, no? Dunque, non è lecito a nessuno di criticare il capitalismo neoliberale (praticamente l’unico che c’è oggi), ammesso che il comunismo mondiale è lo scopo finale della storia, visto dalla perspettiva di questa gente? E come mai crollerà il capitalismo se nessuno nè dice nè fa niente contro di esso? Si trasformerà il capitalismo nel comunismo automaticamente, quando gli Stati Uniti imporranno la democrazia liberale ed il capitalismo ad assolutamente tutto il mondo? Oddio, credo che per il solo fatto di aver posto le domande del genere, sarei dichiarato nazista ed antisemita da questi ideologi.

  12. titus scrive:

    Davvero interessante.
    Saranno dei lombrosiani?

    • Moi scrive:

      Piaccia o no … a posteriori lombrosiani lo siamo un po’ tutti !

      Quante volte, guardando in faccia un pregiudicato o un condannato, ci viene da dire “Eh, ma con quella faccia lì … ” ?

  13. Pingback: Islamofobi a Parigi, l’EDL e prove di scontro di civiltà | Kelebek Blog

  14. Francesco scrive:

    ’anticapitalismo regressivo

    solo questa espressione ti varrà il mio eterno affetto. e mi induce ad apprezzare moltissimo la teologia marxiana degli AD – p. sbaglia completamente, se non si inserisce la critica al capitalismo nel divenire storico si finisce a Napoli (!!!), dove da mill’anni aspettano la GRP e intanto mangiano la pizza migliore del mondo (beati loro) immersi nel lumpen-kapitalismus della camorra –

    di fatto, un comunista deve essere filocapitalista, e filocapitalista nelle forme estreme e imperialista. se la tesi non arriva alla contraddizione, non muore, e non ci sarà mai spazio per l’antitesi.

    lottare per i diritti dei lavoratori DENTRO il sistema capitalistico impedirà per sempre di superarlo (oh, non che i0 creda alle baggianate sul superamento del capitalismo, ma io NON sono comunista)

    la coerenza teoretica degli AD è ammirevole, anche se pare posticcia

    e di certo qualsiasi prospettiva marxista o anche solo comunista ESCLUDE un contributo del resto del mondo, almeno finchè non saranno entrati nel sistema capitalistico (“bianco” per accidente storico ma non per questo evitabile)

    però, Miguel, un minimo di sintesi?

    se mi beccano a leggere certi papiri mi cacciano a calci in culo, altro che servo del sistema e leccapiedi di Berlusconi

    ciao

  15. p scrive:

    Mi sa che confondi proudhon con marx, francesco. Era proudhon che non voleva le lotte sindacali, marx ed engels le hanno organizzate, invece. Sarà che ognuno si cucina il marx che vuole, ma questo è un dato storico, non un principio dottrinario su cui discutere. Del resto succede sempre così per le grandi dottrine, e marx non sfugge a questo destino di essere interpretato in mille modi diversi. Ma essere comunista è roba d’istinto non di ragione, di fede, se vuoi, che io non temo le parole. Perché i comunisti devono essere anticapitalisti sempre e in ogni caso? Motivo semplice e banale, nulla di troppo complicato. Ricordi un certo sì sì, no no, il resto è del diavolo? Qualcosa del genere. Non puoi agire in un modo e pensare in un altro. L’agire cambierà il tuo pensiero. Gli antideutsche sono uno di tanti esempi di questa banale verità, troppo banale evidentemente per gli intelligentoni che sono i primi a esserne fregati, come sempre.p

    • Francesco scrive:

      ammetto la mia ignoranza ma non riesco a capire perchè fare lotte sindacali, se è la perfezione, la definitiva affermazione del sistema capitalistico a portare alla sua fine … devo pensarle non come forma di resistenza ma come anticipi del suo superamento?

      il destino del comunista è un durissimo resistere resistere resistere/lottare lottare lottare sempre sconfitto fino al giorno di “cottura” del capitalismo?

      anche perchè chi nasce con le lotte sindacali è comunque finito consulente MPS e allora buonanotte alla fine del capitalismo, o sbaglio?

  16. falecius scrive:

    Sono veramente allibito. Non sospettavo che una cosa del genere POTESSE esistere, e sono uno che legge soprattutto fantascienza, per cui il mio “possibile” è piuttosto comprensivo.
    Non riesco a capire se sono sommamente idioti o se sono, nel loro strano modo, dei genii…
    Brrrr….

  17. p scrive:

    Il fenomeno è vecchio, falecius. Sono i famosi imbecilli per troppa intelligenza, i più imbecilli di tutti. La definizione la dà terenzio in una frase ingiustamente non troppo famosa, ma che vale quanto l’”homo sum” eccetera, rivolta ai saputi di commedia che criticavano le sue per motivi tanto raffinatamente intelligenti da essere sommamente sciocchi: “non finiscono a forza di capire per non capire niente?” (“Faciuntne intellegendo ut nil intellegant?”, l’originale ha una forza difficile da rendere).
    Qual è il loro sogno? Non il “sogno d’una cosa” di marx, e neanche hanno la posizione decente antimarxista di ritenere incubo quel sogno. Il loro sogno lo definì già da un pezzo flaubert in un’altra frase memorabile: “Il sogno della democrazia è di innalzare il proletariato al livello di stupidità che ha gà raggiunto la borghesia”. Sono doppiamente imbecilli, come vedi, per atteggiamento spontaneo e per convinzione ideologica. Bestie purtroppo neppure così rare. Tant’è vero che quel sogno è in buona parte riuscito.p

  18. Riccardo Giuliani scrive:

    Miguel
    mi hai fatto venire in mente il film “Camminando sull’acqua”.
    Direi che si avvicina con tipica correttezza politica a quanto esprimi (per me il film è idiota e patetico, ma non per questo irreale).

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