L’America della Mente e il ceto medio della Modernità Universale

Lo scontro di civiltà, e su questo sono d’accordo tutti da Walter Veltroni a Forza Nuova, è una faccenda assai semplice.

Da una parte, c’è un certo numero di Matti che hanno deciso di fare un tipo di vita che nessuna persona sana di mente vorrebbe fare.

Dall’altra, c’è la Vita Normale, messa in pericolo dai Matti.

I Matti vanno eliminati, così ritorna la Vita Normale.

Premesso questo quadro obbligatorio di riferimento, possono iniziare le accese discussioni.

Qualcuno dice che i Matti siano inguaribili, e quindi vadano espulsi.

Altri sostengono che siano quasi tutti guaribili, e quindi vadano (scusate l’espressione un po’ oscena) integrati.

Qualcuno arriva a dire che un po’ di follia, molto in privato e sotto la direzione di capifolli selezionati dal Ministero degli Interni, si potrebbe anche permettere, perché uno dei segni della nostra indiscutibile superiorità è proprio la nostra tolleranza verso chi fa come diciamo noi.

La menzogna di fondo non sta nell’affermare che esiste uno scontro di civiltà, che di quello se ne accorge chiunque venga svegliato alle cinque di mattina da un branco di poliziotti armati per essere messo su un aereo e deportato senza processo.

Se ne accorge chiunque provi ad affittare un piccolo garage per pregare, trovandolo ricoperto di svastiche e magari incendiato.

La menzogna sta semplicemente nell’idea di normalità. A cosa si devono integrare, infatti, i Matti?

Ma a Noi, no.

Cioè?

A Noi, cioè alla gente come me. Come me, cattolico bigotto che odio gli omosessuali. Come me, vecchio comunistaccio toscano bestemmiatore. Come me, collezionista di medaglie del Duce. Come me, imprenditrice in carriera nel ramo delle pubbliche relazioni. Come me, discotecaro gay cultore dei poliamori.

In queste circostanze, l’unica comunicazione possibile, dalla parte del Matto, consiste nel chiedere scusa e dire che cercherà di essere il più normale possibile. Con il Grande Noi che continua a sottoporlo a esame per tutta la vita. Al massimo, il Matto potrà permettersi il lusso di lagnarsi di essere vittima, con il Grande Noi che dice, “e si lamenta pure…”

Senza dialogo, non sarà possibile affrontare tutti i problemi anche molto concreti che ci attendono in futuro. Ma perché si arrivi a un dialogo vero, ci vogliono due condizioni.

Primo, il Matto deve iniziare a parlare liberamente, senza chiedere scusa a nessuno, da pari a pari.

Secondo, bisogna che quel Noi venga stanato, chiarito, confessato.

Grazie a Dio, ogni tanto c’è qualche Noi che non dice semplicemente di rappresentare l’ovvio, il normale, lo scontato.

Anzi, dice di avere un progetto di società e delle idee. Una cosa cui si possa dire sì o no.

Dag è un blogger di Vancouver, che è in Canada, ma si sente decisamente statunitense.

Essendo un blogger, non sarà certamente più importante di me. Gestisce uno dei tanti siti dedicati ad attaccare i musulmani, ma non è il solito analfabeta urlante: è un insegnante, sa scrivere bene e conosce la storia e la filosofia. Si dichiara un liberal nel senso storico, un

“sostenitore della classe mercantile, dell’industrialismo e dell’economia di mercato basata sul denaro, in contrasto con l’economia agricola basata su merci e servizi estrani all’economia monetaria”.

Invece di restare sul vago, sa descrivere in maniera chiarissima cosa vuole il Grande Noi, che poi è semplicemente lo sbocco inevitabile della “economia di mercato basata sul denaro”.

Cioè la cosa a cui i Matti si devono adattare o crepare, insomma.

Solo uno sfigato intelligente, come Dag, poteva raccontarlo.

Infatti, gli sfigati stupidi, il cattolepantino o il radicallaicista ad esempio, non lo dicono, perché non ci arrivano; e chi invece sfigato non è, non lo dice perché non vuole che ci arriviate voi.

Ecco come Dag riassume e fa suo tutto il concetto di Missione Americana nel Mondo. Nonché la necessità di creative destruction che il capitalismo porta con sé, e la fusione di concetti di Destra (dominio) e di Sinistra (rivoluzione) che caratterizza i nostri tempi:

“Per un notevole caso, la foto della mia faccia sorridente mi fa somigliare moltissimo a uno schizzo di Jean-Paul Marat, un dirigente del Terrore dopo la prima rivoluzione del 1789. Marat stava talmente a Sinistra da stare quasi a Destra. Lo vedo chiaramente nella lamentela di Robespierre, poco prima che si sparasse alla mascella in un fallito tentativo di suicidio, “gli estremi si incontrano”. E vedo che è vero anche nella vita reale.

Marat, a suo eterno merito, ha capito e ha agito in base alla comprensione che non si possono lasciare intatti i residui delle classi reazionarie che potrebbero restaurare lo status quo ante, se si è rivoluzionari; non si può permettere la sopravvivenza delle classi che restaurerebbero il periodo anteriore alla Rivoluzione, cioè le classi reazionarie, che reagiscono in maniera negativa alla Rivoluzione. La soluzione di Marat al problema dei tentativi delle classi reazionarie di restaurare i propri privilegi consisteva nel tagliare le loro cazzo di teste. Io, che sono una versione più simpatica e gentile di Marat, trovo che la soluzione che ci serve, ad esempio, nel caso del retrogrado mondo islamico, consista nell’essere Insegnanti di Scuola armati di Fucili. Io sostengo un Terrore Razionale come aspetto integrante di un destino manifesto neocoloniale di una “America della Mente”, che è stata definita in dettaglio negli ultimi anni su No Dhimmitude [il blog di Dag].

Volete i valori del ceto medio della Modernità Universale, cioè dei diritti umani universali, un’economia di mercato attraverso un mondo libero di membri individualisti di liberi stati nazionali? Non tutti i democratici lo desiderano. Ma se lo desiderate, forse sarete d’accordo con me che il modo migliore per portare avanti le nostre bellissime rivoluzioni della Modernità – quella industriale, quella americana e quella francese – consista nell‘invadere dei “luoghi“, sotto le vesti di liberi individui, di filibustieri, cioè di colonizzatori che hanno un interesse privato nell’impresa, che hanno interesse a rovesciare i poteri esistenti, di ridurre all’ordine le popolazioni e di imporre un’autocolonizzazione degli indigeni attraverso l’educazione e la forza bruta, con una forza talmente soverchiante e terrificante che solo i più arditi dei nativi sopravviveranno con una propria identità. Le masse sottomesse, che hanno subìto la distruzione delle loro precedenti epistemologie, soccomberanno al potere e obbediranno alle regole rivoluzionarie; e con il tempo, grazie al vaglio dei filosofi armati, la rivoluzione colonialista produrrà figli democratici americani nella mente quanto qualunque americano nell’America di oggi”.

Lasciamo perdere il linguaggio un po’ cinico: la chiarezza è una virtù e non una colpa. Ciò che mi colpisce di più è l’espressione “is to invade “places” as free individuals”. “Places”, senza alcun articolo davanti e con le virgolette attorno.

Gli islamofobi nostrani non dicono mai nulla di se stessi, mentre ci presentano incredibili dettagli sull’Altro (del genere, “avanti, dimmi cosa ne pensi di quello che un imam ha detto ieri in un villaggio del Tagikistan…”).

Dag cambia completamente la messa a fuoco: da una parte c’è la Missione Americana, che lui descrive benissimo. Dall’altra, ci sono solo “places”.

E allora ci si rende conto che “places” può essere qualunque luogo, qualunque cultura attiri la fantasia dei filibuster.

E chiunque può ritrovarsi Matto da un giorno all’altro. In fondo, il “retrogrado mondo islamico“, nel testo di Dag, è solo un “ad esempio“.

gunworld

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48 risposte a L’America della Mente e il ceto medio della Modernità Universale

  1. Riccardo Giuliani scrive:

    Credo che per integrazione si intenda l’operazione matematica: d’altronde quando si ha a che fare con funzioni analitiche si parte sempre da un dominio, per poi arrivare ad un codominio. 🙂

  2. mirkhond scrive:

    Per Miguel Martinez

    Finalmente un islamofobo che ci dice esattamente cosa vuole e quale soluzione proporre, e cioè il vecchio imperialismo occidentale in salsa nuova.
    Come penso da tempo, non c’è tirannide più spietata di quella volta al nostro bene, ieri gli imperi coloniali, la rivoluzione francese, l’unità d’Italia e il comunismo, oggi la lotta al variegato mondo islamico, sempre con la stessa spocchia, con la stessa arrogante presunzione di superiorità. Il vizio oscuro dell’Occidente

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Mirkhond

      ”non c’è tirannide più spietata di quella volta al nostro bene,”

      E’ un tema ricorrente almeno dalla ‘Repubblica’ di Platone. Vengono in mente
      sia ”Noi” di Zam’jatin sia ”L’uomo è forte” di Corrado Alvaro.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  3. maria scrive:

    forse non c’entra nulla ma questo post mi ha riportato alla mente quelle scena televisiva dove si mostravano degli islamici che donavano il sangue a seguito di non so quale attentato, forse l’11 settembre o gli attentati di londra? Non ricordo bene, ma ricordo bene il disagio che mi provocò perché in un certo senso il suo significato era, guardate ci sono anche delle persone perbene, talmente perbene da donare il sangue per cose provocate da quelli come loro. Pensai che quelle persone erano state forse psicologicamente costrette a donare qiuel sangue e soprattutto a mostrarsi in televisione visto che il servizio riguardava soltanto loro.

    maria

  4. PinoMamet scrive:

    Non so, vado a sensazione, ma io ci vedo un po’ di disperazione in quello che scrive questo “lucido sfigato”.
    Non so se sia la disperazione che si legge sempre un po’ in questi che hanno bisogno di dire “ehi, sono anch’io sul carro del vincitore”, come a ricordarsi da soli che, da qualche “parte”, anche loro sono dei vincenti;

    se sia, insomma, il riflesso della semplice disperazione individuale che accompagna come un ronzio di sottofondo tutta la vita dell’Occidente trionfante, con il suo modello unico di individuo vincente, al quale in fondo è così difficile arrivare
    (Mirkhond in un commento a un altro post citava i disperati occidentali che hanno fatto la scelta opposta e si sono trovati una comunità nell’Islam);

    oppure se davvero tutta questa volontà di potenza, tutto questo ricordarsi che il nemico è debole, è arretrato, è sottosviluppato, è destinato a sottomettersi ecc. non serva che a tenere lontano lo spettro di un nemico che è invece forte, sviluppato, e non ha nessuna voglia di sottomettersi; e che si è stati tanto stupidi da rendersi nemico.

    Ciao!

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Pino mamet

      ”sensazione”

      Sensazione per sensazione, non credo si tratti di disperazione, ma di tranquilla coscienza.

      Dopo un po’ che si predicano la Pace, la Libertà ed il Progresso, e si vede che non arrivano mai nonostante che cio’ che si predica sembra ovviamente buono e giusto, si rovescia la prospettiva: la strage e la sottomissione di chi ci combatte -e attravero noi combatte i Valori che propugnamo- appaiono allora ai più lucidi ed onesti un bene in sè.

      Così come nella Canzone di Rolando (‘i pagani hanno torto e i Cristiani ragione’), un deputato Inglese di cognome Shalespeare (sic) esclamo’ nel ’42 alla Camera dei Comuni: ‘Slaughter!In the name of God!’ alla notizia del riuscito bombardamento della RAF sull’Italia. ‘La pietà è l’ultimo peccato del’uomo superiore’ e ‘Il fine della tortura è la tortura’ ricordano rispettivamente Nietzsche e Orwell.

      La caratteristica di questo cinismo a posteriori è la simmetria. Dicono che nel 1945 prima di suicidarsi Goebbels dicesse all’incirca: ‘Non mi importa delle sofferemze del popolo Tedesco: chi ha goduto del trionfo è giusto che porga la gola al coltello del boia’. Hitler, che si giustificava apertamente invocando la legge del più forte, in base a quella fu schiacciato. Il Borges del Deutsches Requiem coglie bene questo punto: ‘Quello che importa è che domini la violenza, non la servile virtù cristiana. Altri disperino e piangano: io sono lieto che il nostro dono [la Germania. n.d.r.] sia circolare e perfetto’.

      A questa maniera si invoca a priori quella guerra totale che rischia seriamente di distruggerci. E. come giustamente ricordava Ratzinger (mi ripeto: in una delle poche occasioni in cui concordo con lui) si passa dal tempo postbellico ad uno prebellico.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  5. Miguel Martinez scrive:

    Domenica scorsa, qualche buontempone ha inchiodato un’intera testa di maiale sulla porta della sala di preghiera islamica di Petit-Synthe, vicino a Dunkerque, in Francia. http://www.bivouac-id.com/2010/10/19/dunkerke-une-tete-de-cochon-accrochee-a-lentree-dune-mosquee/

    Il sito islamofobo che riporta la notizia presenta anche numerosi commenti, tra cui spicca, per la sua chiarezza, questo:

    “Sinon belle initiative. Il faut leur rendre la vie difficile, jusqu’à ce qu’ils se sentent vmt en insécurité et le gouvernement ne pourra plus rien faire pour les défendre et ils s’en iront.”

    Una curiosità che ci riporta ai Conflitti di Genere, di cui si è ampiamente discusso qui – in Algeria, una moglie accusa il marito di aver picchiato lei, violentato le figlie e bruciato pure una copia del Corano: http://www.presse-dz.com/revue-de-presse/15178-mosquees-saccagees-corans-brules-et-imams-tabasses.html

  6. Miguel Martinez scrive:

    Sul Grande Noi.

    Il post del 18 ottobre sul blog Liberali per Israele è intitolato:

    Crociate: i buoni eravamo noi

    Noi chi?

    I liberali o Israele?

    • Francesco scrive:

      i crociati, visto che hanno usato il passato

      questo lascia aperto il problema che nè gli israeliani nè i liberali sono molto plausibili come eredi dei crociati, te lo riconosco

      però di mio 🙂 mi tengo volentieri una riabilitazione dei crociati, senza implicazioni per l’attualità

      ciao

      • PinoMamet scrive:

        Franscesco
        in realtà la condanna dei crociati (non dico nella storiografia più seria, ma senza dubbio nella storia che si studia nelle scuole) credo sia qualcosa di piuttosto recente.
        Se tu fossi andato a scuola negli anni Cinquanta, per dire, credo ti avrebbero proposto tranquillamente l’idea che i “buoni eravamo noi”
        (con “noi” intendendo i Crociati, che alla fine c’entravano con lo studente degli anni Cinquanta non più che con il moderno “liberale per Israele”, a ben vedere…)

        Ho visto l’altro giorno un documentario su Raistoria, credo anni Sessanta, in cui si parlava della colonizzazione del Nord America; e i nativi americani, anzi, gli “indiani”, erano naturalmente “feroci”, “incivili” ecc. ecc., mentre non so che gruppo paramilitare di coloni era “eroico” (proprio così) sai perché?
        perché andava a bruciare villaggi indiani per rappresaglia…

        tanto per dare un’idea di che tipo di storia si insegnava non tanto tempo fa.

        Che poi uno può benissimo criticare la vulgata uguale e contraria che si è deciso per reazione di spacciare dopo, ma non trovo sia giusto neppure, per controreazione, tornare alle schifezze di prima.

        Per il resto, lo vedi da solo che dei “liberali” “per Israele” possono dire “noi Crociati” solo a costo di pericolosi contorcimenti.

        Ciao!

        • I Crociati sono cattivi dall’Illuminismo e ancora oggi sono i cattivi standard (insieme all’Inquisizione) per tutti i gruppi di razionalisti o presunti tali (che generalmente, però, dimostrano di non sapere esattamente né cosa fossero le Crociate, né cosa fosse l’Inquisizione…). Oggi, però, l’individuazione dei musulmani come cattivi hanno spinto i “cattolepantini” a fare un po’ di agiografia sui “passagia ultramarina”, non sapendo bene neppure loro cosa diavolo fossero storicamente.
          Però andando a slogan e a immagini forti ci si intende e si capisce ciò che si deve capire…

          Mi chiedo solo se i Liberali per Israele sappiano che i crociati tendevano ad essere molto più violenti con gli ebrei che con i musulmani…

          • Peucezio scrive:

            Sì, infatti, questi occidentalisti cristianisti ecc. pretendono di richiamarsi a un passato nobile, trascurando con disinvoltura il fatto che tutto questo apprezzamento per gli ebrei è un inedito nella storia umana.

        • giovanni scrive:

          non c’è bisogno di nessun contorcimento di chi pensa che lo stato di Israele sia il nostro figlio di puttana (cit.) nella regione. Questo pensiero può convivere tranquillamente col negazionismo delle stragi di ebrei perpetrate dai crociati. Quello che conta è che chi comanda in MO sia dalla nostra parte: ieri lo erano i crociati, oggi i sionisti. Ergo buoni erano i crociati antisemiti 1000 anni fa e buoni sono oggi gli ebrei sionisti.

          • Peucezio scrive:

            Questa è l’ingenuità di chi si crede più furbo degli ebrei e pensa che essi si facciano utilizzare, quando è esattamente il contrario. Ma è un’ingenuità in cattiva fede: chi fa queste affermazioni, almeno a certi livelli, è al loro servizio (è fisiologico che la gente si metta al servizio dei potenti) e deve far credere alla maggior parte della popolazione gentile che è più furba, che si sta servendo degli ebrei, sia pure in funzione di un’utilità reciproca.
            Ma il nostro lato di tale utilità non è ben chiaro, visto che Israele ci è costato conflittualità costante con gli Arabi, terrorismo, crisi petrolifere, mentre mi piacerebbe che qualcuno mi citasse un solo vantaggio che ce n’è venuto.

  7. Francesco scrive:

    Come al solito sono quasi d’accordo con te.

    Pochissime postille: i “matti” non hanno scelto di “fare un tipo di vita che nessuna persona sana di mente vorrebbe fare”. Ci sono più sbirri, spie e preti a fargliela fare di quanti ce ne fossero da noi nei tempi prima della rivoluzione consumistica. Il che pare strano, visto che qui da noi si gioca a vederli come “volontari che resistono alla cattiveria capitalistico-occidentale”.

    Nessuna seria alternativa alla “normalità occidentale” durerebbe 5 minuti, senza apparati repressivi che fanno apparire il Patriot Act per quello che è, quasi niente. Credo che le cronache di Afganistan e Iraq raccontino abbastanza bene di come si crea una resistenza popolare. Con la giusta durezza, possiamo dirlo?

    Che i “matti” abbiano qualche problema a parlare da pari a pari non stupisce. Basterebbe leggere le cronache alto-medievali, come i “romani” parlavano dei “barbari” o, più tardi, i “cristiani” degli “infedeli” per sapere che “da pari a pari” è un lusso che bisogna guadagnarsi.

    Uh, il tuo blogger è um uomo di fede eccezionalmente debole. Le idee che devono camminare accompagnate dalle baionette sono già perdenti (che siano dei matti o degli occidentali). Diciamo pure che è un imbecille, avrà complessi di colpa per lo sterminio dei nativi americani.

    A mio modestissimo parere, saranno i sindacati e le mogli a fare vincere la normalità, casomai dovesse vincere.

    Ciao

    • giovanni scrive:

      “Le idee che devono camminare accompagnate dalle baionette sono già perdenti ”

      peccato che senza baionette, le idee non camminano perchè perdono le gambe ancor prima di mettersi in cammino. I principi della guerra d’indipendenza yankee (che mi schifa chiamare “rivoluzione” la secessione degli schiavisti) non sarebbero passati senza, appunto, vincere quella guerra, idem dicasi per i principi della rivoluzione francese senza Valmy, e via andare.
      Del resto già prima di qualsiasi rivoluzione moderna un certo signore fiorentino, che nelle migliori università USA (quelle dove si forma la classe dirigente dell’impero) mandano a memoria in lingua originale, diceva che “tutt’i profeti armati vinsono, e li disarmati ruinorno.” Uno dei miti più duri a morire in occidente è di vincere in virtù delle proprie idee, e non dei cannoni forniti ai dittatori del terzo mondo che ci permettono di ottenere a costi irrisori quelle materie prime con cui costruiamo il nostro “benessere”

      • Francesco scrive:

        non riesco a capire se la colpa di un politico fallimentare della Firenze rinascimentale o del cinismo radical-chic del Carletto ma a questo disprezzo per le idee mi tocca rispondere con un aneddoto illuministico (sic)

        parlando dell’Enciclopedia.
        Prete “sono solo libri”
        Illuminato” sì, ma la seconda edizione sarà rilegata con la pelle di chi oggi la deride”

        le baionette sono solo un epifenomeno occasionale delle idee vittoriose

  8. roberto scrive:

    “La menzogna sta semplicemente nell’idea di normalità. A cosa si devono integrare, infatti, i Matti?”
    secondo me sottovaluti il fatto che c’è tanta “gente normale” che non si sogna nemmeno di chiedere ai matti di integrarsi, perché non gliene frega nulla di quello che fanno i matti, ma ha semplicemente paura di essere obbligata a dover cambiare il suo stile di vita.

    roberto

  9. mirkhond scrive:

    Per Pino Mamet

    Credo che tu abbia colto un aspetto essenziale alla base dell’islamofobia e in genere di tutte le fobie, la PAURA che è alla base di ogni disperazione e il bisogno di placarla, perchè la natura, anche quella all’interno del nostro animo aborre il vuoto e deve cercare di colmarlo incessantemente.
    ciao

  10. Miguel Martinez scrive:

    Assolutamente d’accordo sul ruolo cruciale della paura: non c’è dubbio, per quanto possa sembrare strano, che gli islamofobi credono di essere loro a essere minacciati.

    Ma perché la paura dell’Islam?

    Partiamo da due constatazioni:

    1) la gente ha paura (qui come in Marocco)

    2) la gente è ignorante (qui come in Marocco), nel senso che ha altro da fare che leggere libri

    Date queste premesse, ci sono paure logiche e paure illogiche.

    E’ logico che la gente abbia paura dei Rom: ci sono un sacco di storie che circolano oralmente, li si conosce da sempre come una presenza misteriosa e quotidianamente ci sono delle donne Rom che violano la nostra bolla personale, cercando di suscitare la nostra pietà, e questo scuote parecchi nervi.

    E infatti i politici non creano la ziganofobia, la sfruttano casomai.

    Magari è comprensibile anche la paura di interi gruppi etnici: credo di aver già parlato dei dieci spacciatori tunisini schierati davanti alla stazione di Bologna tutti i santi giorni, a vendere eroina e litigare tra di loro. Poi ci sono altri mille tunisini a Bologna che non spacciano, ma è vero che quegli spacciatori sono tremendamente visibili.

    Ma l’Islam? Quando mai i musulmani in quanto tali hanno rotto le scatole a qualche italiano. Non fanno baccano, per definizione non bevono e non rubano e non bivaccano e non spacciano, quando pregano sono molto silenziosi e miti, non provano mai a convertirti: in condizioni normali, la casalinga di Voghera dovrebbe preferire affittare un suo fondo a una sala di preghiera di questa gente qui, che a una discoteca di italiani.

    Normalmente, tra “italiani” e “musulmani” si interagisce poco, e in linea di massima con grande cortesia da entrambe le parti: i musulmani credenti ci tengono parecchio alla cortesia.

    Certo, ci sono quei hijab, ma ditemi voi se non sono ugualmente strani i cinesi che mangiano con le bacchette.

    Ora, l’islamofobia è interamente costruita su cose che la casalinga di Voghera non può conoscere, perché è “ignorante”, nel senso esposto sopra. Non può sapere che quei ghirigori che ogni tanto vede nascondono incitazioni alla “guerra santa” e così via.

    Quindi, qualcuno deve averglielo detto.

    Ecco che l’islamofobia ha di spontaneo il combustibile umano e psicologico; ma ha di voluto il fiammifero. E qui c’è il ruolo tremendo e colpevole dei media (a partire, in Italia, da Ferruccio de Bortoli che ha reinventato Oriana Fallaci) e di tutti i think tank neocon e affini.

    Poi una volta che masse inferocite di gente impaurita ha deciso che quello è il nemico, il linciaggio diventa spontaneo.

    Ma non c’è nulla di spontaneo nell’aver attirato l’attenzione proprio su quel nemico e non altri.

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Martinez

      ”nulla di spontaneo”

      Sicuramente dietro l’orina fallace c’era chi aveva interesse a sfruttare la paura seguita all’11 settembre. A tale riguardo vedo almeno tre possibili finalità:

      a) vendere più copie
      b) trovare una giustificazione a una sinistra che si vergognava di essere stata Comunista
      c) trovare una giustificazione a una classe governativa antiComunista e corrotta.

      In tutti questi tre casi, l’islamofobia è dunque innanzitutto un ottimo affare.

      Detto questo, da Genovese posso testimoniare di non avere mai visto qualcuno a Portofino prodursi in atti di razzismo verso i proprietari Islamici dei lussuosissimi yacht ormeggiati in rada. Non dubito che lo stesso avverrebbe se fra quei proprietari ci fossero dei Rom.

      Sembra che il razzismo sia riservato ai poveracci.

      (E già quarant’anni fa, in ‘Indovina chi viene a cena?’ che cosa avrebbe detto Spencer Tracy se sua figlia si fosse fidanzata con un ‘nigger’ delle Black Panthers , invece che un Afroamericano medico plutititolato?)

      Il razzismo è quindi una conseguenza della lotta di classe. Tant’e vero che esso risulta utile ad aizzare i poveracci gli uni contro gli altri, in una guerra fra poveri che fa tanto ‘capponi di Renzo’.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  11. mirkhond scrive:

    Questo combustibile di paura sui cui soffiano i mestatori di odio è una caratteristica già apparsa nel Frangistan, pensiamo all’avvento del Fascismo, favorito dal terrore di ricchi e piccolo-borghesi di una rivoluzione comunista, anche se all’avvento del Fascismo al potere, nel 1922, la “marea” rossa era già in ritirata come dimostrato dal fallimento dell’occupazione delle fabbriche dell’autunno del 1920, fallimento dovuto al fatto che la classe operaia del Nord Ovest e quella minoranza di mondo contadino-bracciantile legato al Partito Socialista non voleva davvero la rivoluzione, ma solo dei miglioramenti sindacali.
    Nonostante questo, il terrore del comunismo fu così forte da portare Mussolini al potere.
    Stessa cosa coi Nazisti, una prolungata crisi economica, la disperazione di vaste masse tedesche per la disoccupazione, le riparazioni di guerra eccessive volute dai vincitori a Versailles, portarono all’avvento di Hitler.
    Cambiano gli attori e gli spauracchi, ma le dinamiche di fondo restano le stesse.

  12. Guido scrive:

    L’intelligente articolo di Miguel va direttamente al nocciolo della questione:

    “La menzogna sta semplicemente nell’idea di normalità. A cosa si devono integrare, infatti, i Matti?
    Ma a Noi, no.”
    E qui tocchiamo i punti nevralgici della retorica “NOI CONTRO LORO” in cui “loro” sta per il refrattario alla nostra “modernità. Non sia mai che dal confronto possa scaturire un barlume di consapevolezza su qual è il nostro posto nel mondo, a quali e a quante mutilazioni ci sottoponiamo per accettare l’inaccettabile.
    Mi piace riprendere da uno scritto che ho recentemente riletto queste poche frasi che riguardavano De Martino e la categoria del primitivo

    “La differenza tra l’uomo moderno e il primitivo non consiste, come dice De Martino, nel fatto che il secondo si troverebbe in difetto rispetto al primo, non avendo ancora acquisito la sicurezza di questo. Essa consiste al contrario nel fatto che il “primitivo” dimostra un’apertura più grande, una più grande attenzione ALLA VENUTA IN PRESENZA DEGLI ESSENTI, e dunque, per contraccolpo, una maggiore vulnerabilità alle fluttuazioni della presenza. L’uomo moderno, il soggetto classico, non è un salto fuori dal primitivo, è solamente un primitivo che si è reso indifferente all’evento degli esseri, che non sa più accompagnare la venuta in presenza delle cose, che è povero di mondo.”

    Da “”Una metafisica critica potrebbe nascere come scienza dei dispositivi” di Tiqqun

    http://files.splinder.com/2e78df3774f69f6e6570c9ad934a5d6b.pdf

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Guido

      Leggo dal testo scaricato dal link da te citato la seguente citazione di De Martino «La presenza tende a restare polarizzata in un certo contenuto, non riesce ad andare oltre di esso, e perciò scompare e abdica come presenza. Crolla la distinzione fra presenza e mondo che si fa presente».

      Quest’ultima frase è precisamente la definizione che ho sentito dare della schizofrenia da parte di alcuni psichiatri. Secondo un bel testo (”L’origine della tragedia”, ed. Adelphii, credo di Galli) questa schizofrenia -che, endògena o indotta dal rito e/o da erbe allucinogene, è tratto distintivo della cultura scamanica- sarebbe stata incorporata nel lato chiamato da Nietzsche ‘dionisiaco’ delle culture proto-elleniche. Solo col mito Platonico di Er l’anima ‘irrazionale’ viene subordinata al lato luminoso, apollineo. Ancora in Euripide, Penteo viene divorato dalle Baccanti per aver negato il giusto riconoscimento al Dioniso che avanza inesorabile. Nella visione puritana Statunitense della Spagna mediterranea dell’ ‘Improvvisamente l’estate scorsa’ di Tennessee Williams lo scontro fra sanità mentale e follia si svolge sul filo della rimozione vs. agnizione di un atto di cannibalismo omosessuale di massa. Ne testo che hai ciatto, si scrive che ‘Devereux ha mostrato che ogni cultura
      dispone per quelli che vorrebbero sfuggirgli di una negazione modello,
      un’uscita segnata, attraverso la quale questa cultura capta l’energia motrice
      di tutte le trasgressioni in una superiore stabilizzazione e l’amoc per i
      Malesi è in Occidente, la schizofrenia. Il Malese «è precondizionato dalla
      sua cultura, forse a sua insaputa, ma sicuramente in una maniera quasi
      automatica, a reagire a qualsiasi tensione violenta, interiore o esteriore, con
      una crisi d’amoc. Nello stesso senso l’uomo moderno occidentale è
      condizoionato dalla sua cultura a reagire a ogni stato di stress con un
      comportamento in apparenza schizofrenico [… ]essere schizofrenico
      rappresenta la maniera “accettabile” di essere folli nella nostra società»’

      Ecco che gramscianamente il privato si fa politico, eccome! Per rendersene conto basta appaiare due passi del testo da te citato. Da un lato ‘quando la presenza come identità ultima vira nella presenza come differenza irriducibile,
      l’agire appare senza principio.’ Dall’altro ‘Se la si osserva bene, la
      biopolitica non ha mai avuto altro oggetto: garantire che non si
      costituiscano mai dei mondi, delle tecniche, delle drammatizzazioni
      condivise, delle magie nelle quali la crisi della presenza possa essere
      superata, assunta e divenire un centro d’energia, una macchina da guerra.’

      Se non v’e’ identità (o razza, o fede) al di fuori di un’etichetta ntercambiabile ed arbitraria, allora lirrompere della presenza diventa irrompere dell’Altro irriducubile a noi e alle classificazioni che possiamo opporre. E allora ‘l’agire appare senza principi’, perchè non c’e’ un Valore che possa ancorarsi all’identità che non c’e’. Il relativismo etico rimane allora la condiziome stessa della libertà.

      Se ve’ biopolitica (ossia ‘politica della vita’, in cui cioè il corpo fisico dell’individuo irriducibile agli altri è incasellato in un sistema di Valori) allora non c’e’ spazio per la radicale differenza individuale. Un famoso esempio ante litteram è rappresentato a teatro dalla pièce ‘Klopstock o il trionfo della medicina’, in cui una intera comunità viene convinta dal suo nuovo medico condotto di essere o ammalata o in procinto di ammalarsi e comunque bisognosa di sorveglianza medica: nella scena finale pure il vecchio medico condotto, ormai in pensione ed irriducibile scettico, si convince a farsi dare una visitina… E’ Konrad Lorenz, nei suoi ‘Otto peccati capitali della nostra civiltà’ ad osservare che il tessuto canceroso è indifferenziato, mentre il tessuto sano è altamente diferenziato, e a tracciare l’analogia fra l’indifferenzaita architettura di una banlieu e la ricca varietà urbanistica di un paesino di campagna o di una città medievale. E’ come per gli automobilisti in autostrada, il cui rigido incanalarsi è condizione necessaria per il continuo scorrere del traffico e per la sopravvivenza fisica degli stessi utenti.

      E’ appena il caso di ricordare che la cifra della razionalità agnostica è il riconoscimento della differenza. Tale razionalità agnostica si basa sul rasoio di Ockham, il quale ci mostra come ogni identità sia intrinsecamente arbitraria.

      Alla catena della necessità invocata ad esempio dal Logos ratzingeriano (per cui l’eutanasia e l’aborto portano alla dannazione tanto necessariamente quanto andare contromano in autostrada porta alla morte fisica) si oppone l’eterno invito Epicureo a chiedersi ‘Questo mi è veramente necessario?’.

      Un altro Logos coercitivo è quello capitalistico, per cui il flusso di merci dve scorrere tanto ininterotto quanto il traffico autostradale. Ad esso si contrappone l’anarchica e irriducibile frase di Socrate: ‘quando mi trovo al mercato contemplo con meraviglia la quantità immensa di cose di cui non ho bisogno’.

      Uno così avrebbe fatto saltare la Repubblica di Platone (in cui i mercanti erano sì sorvegliati dai filosofi, ma entrambe le categorie erano organiche al dominio del Sommo Bene) un po’ come nella scena del’esplosione del ‘Blow-up ‘ di Antonioni.

      Il preplatonico Socrate non è ”l’individuo che si orienta nel dispositivo”, è l’individuo il cui autotorientarsi diventa indipendente dal dispositivo. Epicuro avrebbe detto ‘lathe biosas’, ‘vivi nascosto’: il che non vuol dire ‘vivi da eremita, diméntico degli altri’, ma ‘ vivi non incatenato’.

      La natura dei ‘dispodsitivi’ come ‘strumenti di dominio’ è ben esemplificata nel testo: ‘Quello che è solamente altro, è reintegrato come altro dalla norma, come ciò che gli si oppone. Il dispositivo medico farà dunque esistere il «malato» come ciò che non è sano. Il dispositivo scolare lo «scaldabanco» come quello che non è obbediente. Il dispositivo giudiziario il «crimine» come ciò che non è legale. Nella biopolitica quello che non è normale risulterà così patologico, anche se noi sappiamo per esperienza che la patologia è essa stessa, per l’organismo malato, una norma di vita, e che la salute non è legata auna
      norma di vita particolare ma ad uno stato di forte normatività, ad una
      capacità di affrontare e di creare altre norme di vita. L’essenza di ogni
      dispositivo è quindi di imporre una divisione autoritaria del sensibile in cui
      tutto ciò che viene alla presenza si confronti con il ricatto della propria
      binarietà.’

      Non stupirà dunque che la frase con cui concordo pienamente è ‘Tutti coloro che parlano di «senso» senza darsi i mezzi di far saltare i dispositivi sono nostri
      nemici diretti.’

      Solo che i ‘mezzi’ sono innanzitutto nella nostra testa.

      L’ individuo libero sceglie di non rubare (e di sottomettersi alle Leggi) per sua lbera scelta, assumendosene la responsabilità: per non offenderle, Socrate beve la cicuta pur potendo evitarlo. Non omette di rubare perchè ‘rubare mi forza a pensare la mia situazione’. L’anarchia di Socrate è dunque lontana dall’anomia, l’assenza di ogni regola, dato che illuministicamente (cioè razionalmente) la libertà di ciascuno finisce dove inizia la libertà degli altri: meta-norma questa proprio conseguente dalla radicalità della irriducibile differenza degli individui gli uni dagli altri, radicalità che rende impossible qualunque privilegio ed implica il relativismo etico aborrito da Ratzinger e dai Difensori di Valori in genere.

      Socrate sceglie di scegliere. Chi non lo fa, è colui per il quale ‘un telefono portatile, uno psicologo, un amante, un sedativo o un film costituiscono delle stampelle del tutto accettabili, purché si possa cambiarle spesso’. Proprio questo fatto del ‘cambiarle spesso’ tradisce la natura di colui che non vuole essere forzato a pensare come la natura dell’ ”uomo estetico”, del Don Giovanni perso fra sensazioni sempre mutevoli, denunciato dall’ ‘Aut Aut’ di Kierkegaard come l’esatto opposto dell’ ‘uomo etico”, colui che sceglie di scegliere. Ci non ricorderà la sempre mutevole natura delle notizie nell’orwelliana Oceania?

      Il distrarre dunque continuamente l’individuo dal pensare a se stesso è la chiave della biopolitica del dominio: ‘La rottura di ogni trasmissione dell’esperienza, la rottura della tradizione storica è qui ferocemente mantenuta’. Chi non ricorderà l’uomo cui è negato l’accesso al passato dell’orwelliana Oceania?

      Dove personalmente non seguo il testo che hai citato è nella glorificazione dell’insurrezione. Non che sia da rigettare a priori, ma non ne vedo la necessità. Rischia di diventare un feticcio non meno del resto. ‘Materialismo dell’incantamento’? Ma come diceva il poeta: ‘che la bellezza sia negli occhi che guardano, non nella cosa guardata’. Si propone di ‘Deviare la schizofrenia imposta dall’autocontrollo in strumento offensivo di cospirazione’? Ma ci si è dati una risposta poco prima: ‘NOI ABBIAMO IL TEMPO’. tempo che kantianamente è la forma della nostra vita interiore. Senza trasformare quest’ultima, la lotta -anche quella di classe- è un feticcio, un idolo sanguinario che riproduce le logiche che combatte (ricordo il capitolo finale di ‘Buio a mezzogiorno’ di Koestler).

      Stupendo invece il capitolo VI in cui si parla dei ‘dispositivi’ del dominio come produttori di Identità. Ne segue immediatamente che l’Identità è uno strumento concettuale del dominio stesso. Da cui si ha che rifiutare di ragionare per Identità è precondizione per la liberazione.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

  13. roberto scrive:

    Miguel,
    ” i musulmani credenti ci tengono parecchio alla cortesia”
    il fatto è che la “gente normale” (uso la tua abbreviazione per capirci meglio), non riesce a distinguere fra un musulmano credente e i pazzi.
    se vedo 20 in televisione volte al zarqawi che in nome di allah sgozza un antennista , beh hai voglia di dire che il vero credente è cortese e che allah non è mica contento se si usa il suo nome per le peggio porcherie.
    o se hai l’imam di vattelapesca che dice “appena avremo il califfato di pizzopapero bandiamo il maiale dalle mense”, e l’imam è sbattuto in televisione 30 volte al giorno, fai un po’ fatica a capire che l’imam di vattelapesca è minoritario

    roberto

  14. nic scrive:

    “Ma perchè la paura dell’Islam?”
    Che fa paura Miguel, non è l’islam ma la povertà. E non serve essere colti per conoscerla.
    Il problema non è che siano musulmani, il problema è semplicemente che sono poveri. In Italia, hanno preso il posto dei cattolicissimi “terroni” emigrati al nord dagli anni 50. Nessun nordico operaio specializzato credo che avesse paura di San Gennaro o Santa Rosalia…
    L’islam che fa paura, é guerra planetaria di classe.

    • Francesco scrive:

      mi pare che quel ruolo che l’abbiano i romeni e i cinesi, da noi, non i musulmani (nell’immaginario, i musulmani non lavorano-pregano, si riproducono, pensano di fare attentati, bevono, vogliono le moschee, domani il califfato)

      in Germania i polacchi.

      non so chi in Francia, forse gli italiani, forse qualcuno ci ha sostituito.

      negli USA i messicani e i latinos in genere.

      a Santo Domingo gli haitiani

      e così via

      ma non è lotta di classe, è il processo di riequilibrio delle remunerazioni del fattore produttivo lavoro (Ricardo, non Marx)

      • nic scrive:

        Nell’immaginario nordico, anche i terroni non lavoravano-pregano, si riproducono, pensano di fare attentati (mafiosi), bevono, vogliono piú chiese, picchiano e sottomettono le donne, ecc. Anzi, ora che le elenchi, le affinità mi risultano sorprendenti. Ció non toglie che i meridionali riempivano le fabbriche del nord, sottopagati come oggi lo fanno i musulmani africani. E’ molto che non metto piede in Italia, per fortuna, ma il ruolo dei Romeni non gitani non é circoscritto a guidare i tir sbronzi schiacciando indifesi comunitari? Quanto alla Germania, il Problema che io sappia, sono i turchi (musulmani) e non i Polacchi, per la Francia (gli Italiani?!?) qualche milione di algerini (musulmani), per l’Inghilterra i Pakistani (musulmani). Sugli USA hai ragione, in casa sono ancora rimasti ai terroni messicani che non lavorano-pregano, si riproducono, pensano di fare narco-attentati, bevono, vogliono piú chiese, picchiano e sottomettono le donne. Ma si sa: i gringos giocano anche e soprattutto fuori casa ed il problema principale ce l’hanno intorno a Tel Aviv.

  15. Miguel Martinez scrive:

    Nic e Francesco, tra gli altri, dicono cose sensate.

    Ma il punto è sempre quello sottolineato da Roberto.

    Tra i tanti “stranieri” su cui l’odio si poteva scatenare, è scoppiata addosso ai “musulmani”.

    E perché?

    Perché vedono al-Zarqawi in televisione.

    Perché sentono che l’imam ha detto qualcosa. In televisione.

    Altro non hanno contro i musulmani (distinti da marocchini, tunisini, eccetera con cui ovviamente possono sorgere conflitti contingenti).

    Ripeto: motivi sociali e psicologici profondi; ma la miccia è stata voluta.

    • Francesco scrive:

      Magari perchè la civiltà islamica, nella versione originale araba, estesa attualmente dal Marocco allo Yemen e in quella turca, è la civiltà più vicina all’Europa. E la dinamica demografica è oggettivamente a sfavore della posizione di potere dell’Europa.

      Magari perchè dalla rivoluzione iraniana alla teocrazia saudita (impermeabile a ogni influenza esterna e progressista) ai fratelli musulmani (così forti che solo regimi follemente oppressivi li limitano), da almeno 30 anni è in corso una insurgenza culturale islamica, che vede nell’occidente il suo nemico naturale. e en passant hanno sconfitto l’Armata Rossa, che erano comunisti ma comunque nostri simili.

      Magari perchè gli attentati dell’organizzazione di Bin Laden, fino all’11 settembre 2001, hanno fatto un bel pò di rumore.

      Magari perchè lo scontro con i musulmani è durato quasi mille anni, che non sono noccioline, e certe cose di fissano nella cultura dei popoli.

      Come dire, forse porti poco rispetto per la casalinga di Voghera. Non è un burattino in attesa che qualcuno tiri i fili (anche se Casini ne è convinto).

  16. Miguel Martinez scrive:

    Nic poi cita l’esempio degli Stati Uniti, che in questi giorni sono pervasi da un’ondata di islamofobia senza precedenti – “ah sì, le banche mi sequestrano le case? Il primo musulmano che vedo, glielo faccio pagare!”

    Ora, negli Stati Uniti, i musulmani sono quasi tutti immigrati di ceto medio alto, con una cultura molto superiore alla media degli statunitensi, in genere piuttosto attaccati agli Stati Uniti, con tasso delinquenziale bassissimo e un reddito discreto.

    Mentre il vero, autentico, viscerale odio dei bianchi sfigati si riversa sui messicani, che in effetti sono molti di più e ovviamente molto più disastrati socialmente.

    E invece l’odio mobilitato, politico, militante è tutto rivolto ai musulmani.

    • Francesco scrive:

      sai che questo tsunamo anti-islamico non fa neppure un’ondina?

      che so, un articolo della Padania che dica “come fanno bene gli americani”

      strano, vero?

  17. nic scrive:

    La miccia si é accesa l’11 settembre del 2001. Prima i musulmani si trucidavano, sottomettevano o insultavano, quando neccessario, come tutti gli altri popoli del sud del mondo. Chi l’ha accessa questa miccia? Ma come? Non era il vecchietto nella grotta e la sua mitica rete del terrore? Non mi starai diventando anche cospirazionista?

  18. Anna scrive:

    Questo articolo può essere un valido contributo sul tema :

    “Alcune considerazioni sull’islamofobia in Italia ”
    http://www.islamshia.org/articolo.php?ids=313

  19. jam scrive:

    Per Mirkhond
    …perché la PAURA cioé perché l’IGNORANZA, perché é la non conoscenza di come stanno realmente le cose che genera la paura e comportamenti che vogliono definirsi normali, invece sono patologici.
    “…sventurato l’ommo ca cuorre appriess’ a femmene..” racconta una verità esoterica che genera paura. Anche la donna fa paura, nasconde un segreto che impaurisce gli uomini che preferiscono prenderla superficialmente come oggetto, ma non sostanzialmente come entità metafisica indispensabile. Lo stesso meccanismo che l’uomo bianco ha verso il selvaggio. Cercare di capire é troppo complicato per l’uomo medio che risponde ad automatismi compotamentali ben indirizzati, é troppo complicato anche per la donna media che non conosce più se stessa. Sventurato andare a femmene perché l’anima é feminile ed andare a femmene senza pensare all’intelletto che é la cima dell’anima corrisponde a sventura perdita ignoranza.
    Ma per trovare l’intelletto é indispensabile passare per il territorio della femminilità, la sua ricettività-passività, la dea ispiratrice, Dante senza Beatrice non avrebbe mai raggiunto l’empireo, Dante indirizzato dai Fedeli d’Amore orientali, persiani, senza Beatrice, sarebbe lost. Il detto napoletano racchiude il segreto della ricerca e la stessa cosa avviene per le diverse culture umane: sventurato chi rifiuta l’altro senza conoscerne la vera essenza! C’é una poesia del poeta contemporaneo siriano-libanese morto nel 2006, Mohammed Al’ Maghout che dice:

    La mia gola é piena di tagli di carta,
    Strati di ghiaccio
    E tu, acqua secolare,
    Acqua viva, come ti amo.

    Per me queste parole sono grandi, l’acqua secolare, l’acqua viva non é forse l’UNICA sorgente alla quale attingono tutte le religioni, tutte le comunità, tutte le nazioni, tutti gli uomini.???….ciao, jamiyla

  20. mirkhond scrive:

    Per Jam o Jamiyla

    Volevo solo fare un pizzico d’ironia per cercare di stemperare un pò una discussione molto accesa, e così ho citato l’antico detto di epoca borbonica.
    Quanto alle donne, lo sai meglio di me, non sono tutte uguali così come noi uomini.
    Ci sono le donne dolci e sensibili come te, e delle vere jene come quelle di cui parla Raffaele, il quale ci sta lanciando un grido di dolore, una richiesta di attenzione, magari formulata con un linguaggio violento e aggressivo quanto si voglia, ma una richiesta di aiuto su una tematica che viene fin troppo trascurata da una società dominata da una concezione ideologica che vede la donna SEMPRE e SOLO come vittima.
    Credimi, spesso il sesso debole siamo noi maschietti, che di fronte ai dolori della vita crolliamo molto più facilmente e parlo per esperienza personale…..
    Credo quindi che, senza naturalmente trascendere e giustificare alcun gesto di violenza verso chiunque, bisognerebbe però ascoltare di più le grida di dolore di cui Raffaele qui si è reso interprete.
    ciao

  21. mirkhond scrive:

    Per Andrea Di Vita

    “Socrate sceglie di scegliere.”

    E infatti fu condannato a morte dalla restaurata DEMOCRAZIA ateniese.
    ciao

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Mirkhond

      Se è per questo, è la democrazia che ha inventato l’ostracismo che esilio’ Aristide. Come dice Ibsen, il peggior nemico del popolo e’ la maggioranza. Il che non vuol dire, naturalmente, che esistano forme di governo migliori della democrazia.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

      • Francesco scrive:

        “il peggior nemico del popolo è la maggioranza”

        siccome mi par di capire che non sei Benito Mussolini redivivo, puoi spiegarti?

        è da quando non c’è più il Papa-Re che sono democratico e sento puzza di zolfo in questa affermazione

        • Andrea Di Vita scrive:

          Per Francesco

          (Ora Pino Mamet mi fucilerà, ma pazienza). In breve, nel suo dramma ‘Il nemico del popolo’ Ibsen illustra un esempio della differenza già nota ai Greci fra ‘democrazia’ e ‘oclocrazia’.

          Nella democrazia il popolo svorano si dà una legge e la rispetta, ed elegge un governo che faccia rispettare le leggi. Il popolo, da massa di ‘privati che pensano ciascuno ai fatti propri’, di ‘hydiòtes’, si fa ‘elettorato’, quindi ‘demos’.

          (OT Ne segue che in democrazia il governo diventa illegittimo nel momento in cui travalica le regole sulla base delle quali l’elettorato lo ha scelto FINE OT).

          Nella ‘oclocrazia’ il potere vero ce l’ha la folla indistinta, l’ ‘òclos’, ma è il potere del linciaggio e del saccheggio. L’individuo non puo’ resistere alla folla che lo preme da ogni parte, non più di quanto un naufrago possa combattere contro la risacca che lo trascina sugli scogli.

          La democrazia è costantemente a rischio di degenerare nella oclocrazia. Cio’ avviene tipicamente quando la maggioranza delle persone non è più in grado di formulare una idea di bene comune o un compromesso fra diverse iddee di tale bene. Nel dramma di Ibsen un uomo solo, inevitabilmente finito in minoranza, pensa davvero al bene di tutti, memtre la maggioranza, composta di persone ciascuna affamata di benefici per il proprio ‘particulare’, finisce per prendere decisioni che si rivelano aberranti per la stessa comunità nel suo complesso. Il protagonista è un medico condotto che scopre che la fonte termale principale fonte di reddito della sua città è avvelenata e la vuole fare chiudere, attirandosi inutilmente la rovina sociale.

          E’ ironico il contraltare -forse voluto dallo stesso Ibsen- fra il titolo del suo dramma (‘Il Nemico del Popolo’) e il tuitolo del giornale ultragiacobino della Rivoluzione Francese, ‘ L’Amico del Popolo’ di Babeuf.

          E’ significativo che ‘nemico del popolo’ sia diventato termine comune della propaganda staliniana, propri coem il’grande ratello’ orwelliano è diventato il titolo di una trasmissione televisiva.

          E’ interessante infine il parallelo fra il ‘Nemico del Popolo’ di Ibsen e ‘Lo Squalo’ di Spielberg. In quest’ultimo un uomo solo dà l’allarme, come in Ibsen. Ma -al contrario di Ibsen e in accordo con la fede Statunitense nell’iniziativa individuale- praticamente da solo organizza un gruppetto di eroi che abbatte la Bestia.

          Sciagurato il popolo che ha bisogno di eroi, verrebbe da commentare con Brecht.

          Ciao!

          Andrea Di Vita

          • Francesco scrive:

            quindi quelle regole “benefiche” diventano un Moloch in grado di schiacciare il popolo reale e il suo governo in nome del “demos” ideale

            inizio a capire COME ha fatto Hitler

  22. mirkhond scrive:

    Sempre per Jam/Jamiyla

    “Ma per trovare l’intelletto é indispensabile passare per il territorio della femminilità, la sua ricettività-passività, la dea ispiratrice”

    Mi viene in mente La Disubbidienza, il mio racconto preferito di Alberto Moravia, dove un ragazzo di 15-16 anni viene salvato da una depressione che sfocia in una malattia mortale, dalle cure di un’infermiera, la quale si rivelerà ben più di una stipendiata, dando al ragazzo quell’amore di madre e amante nello stesso tempo, accogliendo in lei questo figlio infelice perchè profondamente bisognoso d’amore, e quindi guarendolo e facendolo tornare alla vita.
    Peccato che questo spesso sia solo un riflesso di un desiderio, di un bisogno maschile, che nella realtà, soprattutto in quella di oggi, trova scarsa o nulla corrispondenza.
    ciao

  23. p scrive:

    Credo che siano pii desideri quelli di no dhimmitude. Duecento e più anni sono passati, ma sembra non essersene accorto. Ma io torno più indietro, per intanto. Il capitalismo è stata anzitutto rivoluzione agricola, non industriale. Non capire questo, è non rendersi conto di quanto oggi conti enormemente la rendita, anche se in modo diverso da quella medievale. Quanto ai filibustieri, è ridicolo. Oggi sono gli stati, e mostruosamente enfiati, a fare le invasioni, non i liberi filibustieri. Non ci sono padri pellegrini in afghanistan. Si sarà liberi quando si potrà tagliar ste cazzo di teste degli stati, anzitutto quelli nati dalle rivoluzioni moderne.p

  24. jam scrive:

    Per Andrea
    ..”l’Identità é uno strumento concettuale del dominio stesso”,
    io continuo, e che m’importa, quando so che Identità é soprattutto Amore dell’Origine.Allora ci sono due identità, una falsa e una vera, a noi di scoprire il Vero perché soltanto il Vero esiste essendo il falso un sentiero che puo condurmi LA’.
    “L’agire appare senza principi perché non c’é un valore che possa ancorarsi all’identità che non c’é”, ma cosa dici???
    Riprendi la frase di De Martino :” Crolla la distinzione fra presenza e mondo che si fa presente…” io la continuo …e appare soltanto colui che esiste, l’avo, l’ancêtre é vivo, soltanto lui esiste soltanto lui é vivo nelle sue innumerevoli manifestazioni. L’albero, l’animale, il sasso il frutto l’uomo sono una manifestazione dell’ancêtre e, l’ancêtre é un valore un’identità, anzi é il Valore per eccellenza che porta nello strascico del suo mantello un’infinità di regole da rispettare affinché la vita sia piena di gioia ed il cibo abbondante. I cosidetti selvaggi vivono in un universo pieno di valori e non sono schizofrenici ma metafisici, ogni atto ha la sua trascendenza, ogni azione é dedicata all’avo, cioé al totem, cioé all’Amore ed é soltanto a questo punto che potremmo parlare di relativismo etico, soltanto dopo essere ben ancorati nel perimetro sacro del valore, dopo aver rispettato l’identità dell’origine ed estratto l’elisir dionisiaco. Apollo e Dionisio sono la stessa persona, due facce dello stesso dio, come Giorgio Colli ci spiega, Nietzsche ha commesso l’errore di contrapporli; certo Nietzsche viveva già il dramma dell’uomo contemporaneo staccato dalle sue radici.
    L’identità dell’avo-dio, non é arbitraria, é un privilegio di coloro che sanno, é cio’ che i nostri occhi interni e esterni possono vedere e di cui possono illuminarsi, la sola luce , la sola bellezza l’amore per l’origine , l’amore per Dio. Quando B.B. dice infelice il popolo che ha bisogno di eroi, non liquida gli eroi, ma dice che ognuno di noi deve esserlo, non liquida gli eroi ed i loro valori, bensi dice che non dobbiamo copiarli come marionette ma viverli come attori protagonisti, allora non c’é + bisogno di eroi, perché ognuno di noi é diventato l’eroe. Concetto del resto chiarito in aspettando Godot, ridicolo aspettare, bisogna Essere, ridicolo negate i valori, bisogna invece impregnarsene, ridicolo negare l’amore, bisogna diventare amore, c’est tout …
    ciaooo, jamiyla

  25. mirkhond scrive:

    Per Peucezio

    “Ma il nostro lato di tale utilità non è ben chiaro, visto che Israele ci è costato conflittualità costante con gli Arabi, terrorismo, crisi petrolifere, mentre mi piacerebbe che qualcuno mi citasse un solo vantaggio che ce n’è venuto.”

    Il vantaggio? La salvezza di tanti cadreghini dei nostri politici (?).
    ciao

  26. Guido scrive:

    Per Andrea

    Tanto di cappello alla tua grande, poliedrica, caleidoscopica cultura. Magari avessi avuto un prof di filosofia come te al liceo!
    Sono contento che “Metafisica critica” ti sia piaciuto. A mò di spot pubblicitario ti devo confessare che, da quando ho scoperto la produzione di Tiqqun, da 8-9 anni, non faccio che ritornarci sopra. Anzi, ne ho fatto materia per i miei quotidiani “esercizi spirituali”. Sarò un monomaniaco ma raramente ho trovato qualcosa che desse voce al mio modo di sentire in maniera così appropriata.

    Scrivi che non riesci a seguire il testo sulla “glorificazione” dell’insurrezione e vedi il rischio di un feticcio.
    Credo che si tratti di un malinteso. Tiqqun nasce come laboratorio etico e politico: l’uso della filosofia è funzionale all’elaborazione di concetti critici che rispecchino la nostra posizione nel mondo. Da qui procede l’interesse per De Martino. Da qui viene ripreso il pensiero critico di tanti autori (da Spinoza a Nietzsche, da Deleuze a Foucault fino ad Agamben). Non si tratta di narcisismo da salotto, tant’è che alcuni di loro hanno conosciuto l’”attenzione” dello stato francese.
    All’origine v’è una constatazione e una presa d’atto: l’esistenza della GUERRA CIVILE. Ne consegue quindi la posizione che abbiamo e che prendiamo riguardo a essa: la neutralità non è prevista e non è nemmeno possibile.

    http://web.archive.org/web/20050409164757/www.disgiunzioni.it/guerrecivile1.htm

    http://web.archive.org/web/20050409150842/www.disgiunzioni.it/guerrecivile2.htm

    Non siamo noi ad aver dichiarato la nostra ostilità; è l’ambiente che ci si rivela ostile e che si presenta ai nostri occhi come un’immensa distesa di NOCIVITA’.
    Prenderne atto significa sentire l’urgenza di stringere delle amicizie, di trovare complicità, di darsi i tempi, i modi e i mezzi per uscire da questo ambiente….il resto è materia di intelligenza e creatività. Tutto ciò è un atto insurrezionale, è INSURREZIONE.

    http://www.livingeuropa.org/insurrezionecheviene.pdf

    Ma , per cominciare, è solo questione di sensibilità.

    E voglio qui riprendere la questione del “primitivo”.
    L’apparizione del nulla, del vuoto che avvolge e permea tutte le consunte retoriche del Soggetto (e dei suoi predicati) evidenzia il filo rosso che unisce i popoli “primitivi”, la mistica apofatica, le fratellanze eretiche, fino all’emersione dell’informe nell’epoca del totalitarismo democratico-cibernetico. Abbiamo a che fare con il Bloom, l’uomo del nichilismo compiuto, il proletarizzato, la singolarità qualunque, anonima, invisibile, priva di qualità specifiche (da Bartleby a l’Uomo senza qualità, passando per l’Ulysses, Svevo, Kafka, Beckett ecc., la letteratura offre abbondanza di esempi).
    Questo è il punto di partenza che non può essere aggirato: chi evita di affrontarlo e continua a proporre religioni e ideologie, magari con grande uso di paroloni (l’Uomo, la Donna, Dio, il Soggetto…) sta prendendo in giro soprattutto sé stesso.
    Ma qui ritorna ciò che la “civiltà” ha rimosso o ha esorcizzato relegandolo in appositi contenitori.
    Mi spiego meglio: dal vuoto all’estasi il passo è breve. Questa crisi di presenza (percepita da De Martino, ma implicitamente da lui giudicata come mancanza) è un’opaca negazione di qualsiasi progetto governamentale. Ma è anche il varco per accedere al tempo messianico dell’evento, al comunismo estatico (l’unica possibilità di comunismo).

    Noi Bloom costituiamo un vero e proprio problema per chi pretende di dominarci: siamo poco collaborativi (Bartleby docet). La nostra apatia, talvolta mascherata, non ci permette un’entusiastica e definitiva adesione al progetto cibernetico. Ci è insopportabile il punto di vista della gestione dell’esistente: diventare gli zelanti amministratori delle nostre amputazioni e delle nostre passioni tristi, i perfetti cittadini.
    Trattasi non tanto di assenza di gusto ma di gusto per l’assenza.
    Da qui procede il terrore manifestato dai mass media per un nemico invisibile, che non rivendica, che non chiede nulla perché non ha nulla da chiedere…

    E qui mi fermo.

    Ciao

    Guido

    • Andrea Di Vita scrive:

      Per Jam Guido

      Rispondo a entrambi in un unico post perchè mi sembra convergiate.

      L’assurdità di ogni contraddizione, o meglio il suo ridursi a puro fatto linguistico, è già in Parmenide (l’apparente gioco di parole dell’Essere che è e il non essere che non è).

      Ha dunque del tutto ragione Jam a insistere sull’identità di fondo fra apollineo e dionisiaco, sul fatto di rinunciare ai valori solamente dopo che ne abbiamo trovati di validi per noi e ai quali saldamente ancorarci noi stessi, e soprattutto ha trinofalmente ragione (mi si conceda!) sulla interpretazione di Brecht (belìn, Marx parla tanto di liberazione dell’alienazione e noi riduciamo Brecht a uno smidollato?).

      Ha del pari ragione Guido a sottolineare la pregnanza, magari non originale ma gravida di conseguenze, del testo di Tiqqun. La distinzione fra essere ed essente, già denunciata innumerevoli volte da Severino e prima di lui fin da Jaspers, è in pratica la negazione dell’esperienza divina a livello individuale (dicendosi ‘divina’ appunto la coincidenza di essere ed essenza), ed implica dunque la radicale svalutazione della creatura al ruolo di chi il proprio significato lo deve ricevere dall’alto, da un dio barbuto e tonante e dalla gerarchia dei suoi preti. (Questo voleva dire Nietzsche: basta leggere ‘Umano troppo umano per convincersene).

      Un chiarimento si impone. Io mi qualifico un agnostico relativista. parto cioè dal dato irriducibile della radicale diversità ed incomparabilità delle esperienze individuali. Non c’e’ modo di privilegiare un punto di vista rispetto all’altro. (Le mie posizioni laiciste derivano appunto da questa sorta di Egalitè matematica, che si traduce nella formula da me fin troppo ripetuta ‘la libertà di ciascuno finisce dove inizia la libertà degli altri’).

      E’ precisamente la vertiginosa, irriproducibile solitudine delle nostre nature individuali che ci apre la possibilità del contatto personale con quanto vediamo essere divino, in noi come fuori di noi. (Da qui l’importanza di una virtù spesso trascurata, il silenzio. Chi riesce a stare solo con se stesso abbastanza a lungo senza annoiarsi riesce a sentire se stesso, e chi non riesce nemmeno a sentire se stesso non ce la fa ad ascoltare gli altri. ‘Ama il prossimo tuo come te steso’: difficile amare se non si ascolta. Solo se non temo che l’Abisso ascolti me potro’ ascoltare impunemente l’Abisso. Ma ad ascoltare si puo’ rimanere ‘sorpresi dalla gioia’, come ricorda il bel saggio omonimo di C.S.Lewis.).

      Il relativismo insegna -ed Epicuro conferma volentieri- che non c’e’ un’età adatta più delle altre a sentire se stessi e a decidere per se stessi cosa è importante e cosa non lo è. Si chiama ‘fare della filosofia’, ossia letteralmente ‘praticare l’amore della saggezza, del saper come agire al meglio’. Solo che non esiste un ‘meglio ‘ valido per tutti e per sempre. (La verità ha questo vizio. ‘Non esiste una via alla matematica che sia riservata ai re’, rispose Euclide ad un sovrano che si annoiava alle sue lezioni). Non è necessario che ci sia un dio barbuto e tonante. Lo stesso dio lo ha capito benissimo, tant’e’ che non nel terremoto si nasconde, non sopra le nubi, ma nel refolo di un vento leggero e in una culla fra un bue e un asinello. E a negare l’eutanasia ai Welby di turno ci manda i suoi preti.

      Quando parlo così negativamente dell’Identità mi riferisco al suo aspetto sociale (e di solito uso la lettera maiuscola, sia per non confondermi sia per una facile ironia). Indossiamo pure di fronte a noi stessi il volto che preferiamo indossare, ma non imponiamo agli altri la vista di quel solo volto quando ci rivolgiamo a loro! Già Paolo diffidava dell’Identità (‘Io sono di Saulo. E io di Pietro. E io di Apollo’ scrive nelle sue Lettere parlando dei confratelli che mugugnavano l’un contro l’altro). E’ proprio in nome dell’Identità che ci si sente autorizzati ll’indulgere alla prima delle azioni nemiche dell’amore del prossimo, il mormorare (e ‘non mormorare’ intima la Scrittura).

      L’Identità in questo senso sociale (di Razza, di Religione, di Partito, di Squadra di Calcio, di Azienda ecc.) esige la lealtà cieca, pronta e assoluta. Ora, già Orwell diceva: ‘quando entra la lealtà, la pietà sparisce’. E siccome Dostojevski ricorda che ‘uomo, uomo, non si puo’ vivere del tutto senza pietà’, istintivamente diffido di Identità e del suo etereo padre, il Valore.

      Che cosa giova all’uomo, se difende la sua Identità e perde la sua anima?

      Ciao!

      Andrea Di Vita

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