Miguel Martinez va in fabbrica (II)

Alla prima parte

Professore, di una pera ho fatto una rosa! Artisti si nasce, non si diventa!” mi dice il Capitano, tenendo in mano una pera che ha inciso con un coltello, trasformandola in un fiore.

Il Capitano aveva offerto di accompagnarmi in macchina la mattina per andare in fabbrica.

Ho declinato l’offerta, quando mi ha spiegato che lui parte un’ora e mezza prima dell’apertura della fabbrica.

“Mi fermo qui, innanzitutto, per fare colazione. Poi mi fermo a un bar più avanti, per leggere i giornali. Poi a un altro posto, dove il barista ha messo su una tavola calda, e gli ho detto che so come si deve tritare il prezzemolo per evitare che si sciupi, e l’ho sfidato a indovinare il trucco. Tutti i giorni passo da lui, e lui mi dice, ‘ma ci metti il sale?’, e io gli dico no, domani ripasso e vediamo se hai indovinato; e il giorno dopo, mi dice ‘ci metti l’olio?’ E ancora non ha indovinato…”

Il Capitano mi parla in siciliano, in tedesco, in francese, in spagnolo e in turco e racconta frammenti di una vita di avventure, da quando faceva il barcaiolo a Taormina. “Io sono un uccello che in gabbia muore, per questo mi hanno fatto giardiniere qui alla fabbrica!”

Mi parla dei poeti rivoluzionari turchi con cui aveva fatto amicizia in Germania, e poi guardando con affettuosa superiorità gli altri operai, mi si fa complice, “Ma cosa vuole che ne capiscano questi qui?” E quelli, “guarda, Capitano, che oggi il professore non sei tu, per una volta!”

Invece di storie ne hanno da raccontare anche loro. La signora tonda di mezza età, che ama i gialli di Agatha Christie e si chiede se era inglese o scozzese in una vita passata, o quello che sta sempre zitto perché ha la moglie che sta morendo. O quello che mi saluta in persiano, e scopro che ha girato il mondo a seguito di una fidanzata iraniana, “e ora eccomi qui a leggere Ken Follett e aspettare la cassa integrazione“.

O quella che di nome fa Samanta, senza la acca, perché il parroco aveva accettato il nome, ma aveva detto ai genitori che la th sarebbe stata uno schiaffo alla Madonna.

Alla mensa, c’è una signora che consegna le insipide vaschette di plastica, e quando la vedi o senti le sue battute toscane, ti sembra perfettamente calata nel ruolo. Poi mentre mi dà i miei contenitori, si mette a parlare in un bellissimo inglese. “Ma dove hai imparato l’inglese?” “A scuola, e basta, ma mi piacciono le lingue. Adesso sto studiando il francese, il tedesco e il cinese”.

O la mamma che mi chiede ragguagli per studiare il gaelico, vuole capire le canzoni. Ha un permesso per andare via presto, perché deve allattare il bambino (anche il marito è in cassa integrazione), e la cosa mi ricorda che quei trecento sono tra gli ultimi italiani ad avere simili diritti. Diritti portati naturalmente, che suscitano sempre di più l’invidiosa rabbia di chi non li ha.

In tutta la fabbrica, vedo un solo viso straniero, un ragazzo credo indiano, che si occupa delle pulizie. Gli altri sono tutti di qui. Magari qualcuno sarà nato pure a Bari o a Cosenza, ma se per fare un po’ di pratica, gli chiedi, “Where do you come from?“, ti risponderà subito, “I’m from Empoli”. Provo a sondare i confini, con qualche piccola esercitazione. “Are you Italian?” “Yes, I am”. “Are you German? No, I’m not!” “Are you Moroccan?” Un coro di risate. “No, I am not marocchino!”

Allora, riprovo. “Listen and repeat: We are Italian.” Tutti ripetono. “We are Tuscan”. Tutti ripetono. “We are Albanian”. Tutti ripetono, senza pensarci. “Mi ha fatto piacere sentirvelo dire!”, commento.

Ho un po’ di tosse, e all’intervallo fanno la fila per spiegarmi rimedi infallibili, appresi dai nonni e dai padri contadini. La macchinetta del caffè è il luogo delle cure, delle confessioni, della politica e del calcio: la folta schiera dei tifosi della Fiorentina sovrasta quella piccola dei gobbi juventini, sciarpe, maglie, accendini, borselli e soprattutto ironie viola. Un operaio più giovane scrive un piccolo temino, peraltro in un inglese piuttosto corretto: “I like soccer I like watching soccer on TV I hate reading books”.

Gli preferisco decisamente un altro: “My name is Mihèle and I like… come si dice ‘andare per funghi nei boschi e bere Brunello?”

Alla socializzazione calcistica, si accompagna quella fisica: il gruppo si rinnova nelle pacche sulle spalle, nelle strette di mano, negli affettuosi spintoni tra persone che condividono ormai da decenni lo stesso spazio.

Mi hanno avvertito: la grande maggioranza degli operai si è fermata alla terza media. La cosa dovrebbe essere irrilevante per un insegnante di lingue – anche Omero non credo avesse il diploma di maturità, ma nessuno contesta che parlasse bene il greco.

Solo che la mia visione della lingua non coincide con quella di chi formula Progetti.

Per me, la lingua è innanzitutto una misteriosa, universale secrezione dei cervelli umani, che pian piano con il passare degli anni si secca e indurisce. E’ solo quando la lingua già esiste e vive dentro di noi, che  qualcuno si mette a ragionarci sopra, a farne oggetto di studio. Il Capitano, che non credo sia amante dei libri, parla il tedesco molto meglio di me, semplicemente perché ha ascoltato ed era curioso.

Per chi mi commissiona, invece, la lingua costituisce una Competenza, un passo ulteriore verso l’astrazione e la smaterializzazione delle persone, un patrimonio (i termini sono quelli del possesso giuridico di cose estranee a sé) che permetterebbe di agganciare il software degli italiani a quello dell’economia planetaria.

Questo vuol dire anche che si percepisce la lingua come una cosa che si forma a livelli e gradi: un anno di inglese, due anni di inglese, un esame, due esami… mentre spesso il problema che deve affrontare l’insegnante di lingue è proprio la semicultura formata da questi “gradi” precedenti fossilizzati, anche con veri e propri errori inculcati a scuola.[1]

Tra le persone cui insegno, ce ne sono alcune che altrove verrebbero etichettate, in maniera offensiva come subnormali, in maniera politicamente corretta, come diversamente abili. Viene da pensare quanto simili definizioni siano sociali. Il diversamente abile o ciò che vi pare è innanzitutto una persona che non riesce a funzionare a un ritmo utile, in un determinato ambiente.

Qualunque etichetta gli si metta, il problema è quello: prende di più dalla collettività di quanto possa realmente dare. Obbligando la comunità a scegliere qualche punto oscillante, nei suoi comportamenti, tra la caritatevole sopportazione e la soppressione fisica. O se preferite una formula più asettica, “aumentiamo gli insegnanti di sostegno” oppure “tagliamo i fondi agli insegnanti di sostegno“.

Ma l’inutilità della persona è spesso legata al contesto: il taglialegna nato che deve essere assunto per legge in un ufficio in cui servono solo matematici, non è in una situazione diversa dal matematico nato che deve sopravvivere in una comunità di taglialegna analfabeti.

In fabbrica, esistevano grandi opportunità di lavoro insieme utile e semplice, in cui persone non competitive potevano dare quanto le altre. In qualche maniera, la stessa presenza di Riqualificatori come me contribuisce a spostare la pressione verso il polo della soppressione fisica.

Si scopriranno sempre più persone che non si riescono a riqualificare. All’inizio, i casi più evidenti; ma poi tutte le persone che sono disposte a lavorare, ma non ce la fanno a essere Competitori che Devono Emergere.

Qualcuno me lo dice, “Scusi, professore, io non riesco a seguire. Non ci sto con la testa, a pensare cosa ne sarà tra poco della mia famiglia, del mutuo che devo pagare, dei miei figli, abbia pazienza e non mi faccia partecipare”.

C’è un operaio particolarmente sveglio, invece, attentissimo a ogni cosa che dico, che mi mitraglia di domande, cercando di assorbire tutto quello che gli posso dare. Non in vista di qualche immaginaria riqualificazione, ma perché ogni anno viaggia negli Stati Uniti, affascinato dalla natura e incuriosito dalle persone.

Su questo blog, ho a che fare con il tipo di umanità che su Internet si interessa alla politica. Quando critico il sistema statunitense (non “il governo” e non “il popolo”), vengo immediatamente attaccato come “antiamericano”, e c’è una fila di gente pronta a ricordare che gli Stati Uniti hanno salvato il mondo dai comunisti, dai nazisti, dai musulmani e dagli extraterrestri.

Invece, l’operaio che ama gli Stati Uniti viene immediatamente sommerso dalla reazione degli altri. Una reazione forte e vissuta quanto quella dei filoamericani del mondo virtuale. Gli gridano del tremendo sistema sanitario statunitense, delle bombe sull’Iraq e l’Afghanistan; del fatto che gli italiani hanno ancora dei diritti sociali, gli statunitensi no; del governo asservito di Berlusconi.

Ma dietro questi discorsi, ce n’è un altro, espresso anche piuttosto chiaramente. Come se volessero  dirmi che gli statunitensi, che si sentono padroni del mondo, non sanno che in qualche modo c’è più umanità e profondità a Montespertoli che in tutta New York.

Il discorso mi mette a disagio, come ogni volta che si confondono politica, economia, popoli. Però ci rivela qualcosa della distanza tra chi predica dal parlamento e dai media (e di riflesso, spesso anche dai blog) e il sentire, confuso ma non sempre errato, di un’umanità muta e perdente.

Nota


[1] Non scambiate queste riflessioni per antintellettualismo. Lo studio delle lingue è una scienza bellissima, ma non è la stessa cosa dell’apprendimento delle lingue.

Inoltre, credo che le mie riflessioni valgano solo per le lingue. Altri insegnanti nella fabbrica devono insegnare materie tecniche, dove la conoscenza della matematica è fondamentale; e probabilmente la matematica non si può imparare alla maniera fluida e spontanea delle lingue.

(Fine)

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20 risposte a Miguel Martinez va in fabbrica (II)

  1. utente anonimo scrive:

    Il paragrafocon la nota 1 e' verissimo. Tra l'altro secondo me il modo migliore per imparare un lingua e' guardare i film in lingua originale con i sottotitoli, pure quelli in lingua originale.

    AL

  2. utente anonimo scrive:

    questi racconti sono bellissimi, grazie.

  3. utente anonimo scrive:

    ''prende di più dalla collettività di quanto possa realmente dare''

    C'era un tale barbuto che proponeva 'a ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue capacità'.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  4. utente anonimo scrive:

    Sì, i racconti sono proprio belli!
    Schildknapp

  5. utente anonimo scrive:

    Strano.

    Io, nelle mie esperienze di "popolo", ho sempre trovato una correlazione diretta tra cultura e antiamericanismo.

    E nessun interesse per le bombe sull'Iraq o sull'Afganistan.

    Come se una "educazione" politica (fascista, comunista, cattolico-progressista) fosse un pre-requisito per quei "giudizi".

    Mi sa che mi manca la conoscenza della Toscana.

    Ciao

    Francesco

  6. kelebek scrive:

    Per Francesco n. 5

    Anch'io sono rimasto sorpreso dall'intensità con cui hanno messo in croce il povero "filoamericano". E dall'unanimità dell'attacco, da parte di giovani e meno giovani, uomini e donne, persone dall'aspetto più semplice e meno semplice.

    Dimenticavo di metterci anche l'attacco alla cucina americana, un tema particolarmente sentito 🙂

    Miguel Martinez

  7. utente anonimo scrive:

    NO!

    tutto ma non l'attacco agli hamburger!

    io non posso più mangiarli e ti garantisco che la sofferenza è atroce (quella volta al mese che l'avrei fatto)

    o è invidia per bistecche che mi dicono migliori di quelle toscane?

    ciao

    Francesco

    PS potresti indagare su quali film aggradano a codesti tizi quando vanno al cinema? ora sono molto incuriostio

  8. kelebek scrive:


    Christy Moore, Ordinary Man:

    I'm an ordinary man, nothing special nothing grand
    I've had to work for everything I own
    I never asked for a lot, I was happy with what I got
    Enough to keep my family and my home

    Now they say that times are hard and they've handed me my cards
    They say there's not the work to go around
    And when the whistle blows, the gates will finally close
    Tonight they're going to shut this factory down
    Then they'll tear it d-o-w-n

    I never missed a day nor went on strike for better pay
    For twenty years I served them best I could
    Now with a handshake and a cheque it seems so easy to forget
    Loyalty through the bad times and through good
    The owner says he's sad to see that things have got so bad
    but the captains of industry won't let him lose
    He still drives a car and smokes his cigar
    And still he takes his family on a cruise, he'll never lose

    Well it seems to me such a cruel irony
    He's richer now then he ever was before
    Now my cheque is spent and I can't afford the rent
    There's one law for the rich, one for the poor
    Every day I've tried to salvage some of my pride
    To find some work so's I might pay my way
    Oh but everywhere I go, the answer's always no
    There's no work for anyone here today, no work today

    And so condemned I stand just an ordinary man
    Like thousands beside me in the queue
    I watch my darling wife trying to make the best of life
    And God knows what the kids are going to do
    Now that we are faced with this human waste
    A generation cast aside
    And as long as I live, I never will forgive
    You've stripped me of my dignity and pride, you've stripped me bare
    You've stripped me bare, You've stripped me bare

  9. kelebek scrive:


    Christy Moore, Ordinary Man:

    I'm an ordinary man, nothing special nothing grand
    I've had to work for everything I own
    I never asked for a lot, I was happy with what I got
    Enough to keep my family and my home

    Now they say that times are hard and they've handed me my cards
    They say there's not the work to go around
    And when the whistle blows, the gates will finally close
    Tonight they're going to shut this factory down
    Then they'll tear it d-o-w-n

    I never missed a day nor went on strike for better pay
    For twenty years I served them best I could
    Now with a handshake and a cheque it seems so easy to forget
    Loyalty through the bad times and through good
    The owner says he's sad to see that things have got so bad
    but the captains of industry won't let him lose
    He still drives a car and smokes his cigar
    And still he takes his family on a cruise, he'll never lose

    Well it seems to me such a cruel irony
    He's richer now then he ever was before
    Now my cheque is spent and I can't afford the rent
    There's one law for the rich, one for the poor
    Every day I've tried to salvage some of my pride
    To find some work so's I might pay my way
    Oh but everywhere I go, the answer's always no
    There's no work for anyone here today, no work today

    And so condemned I stand just an ordinary man
    Like thousands beside me in the queue
    I watch my darling wife trying to make the best of life
    And God knows what the kids are going to do
    Now that we are faced with this human waste
    A generation cast aside
    And as long as I live, I never will forgive
    You've stripped me of my dignity and pride, you've stripped me bare
    You've stripped me bare, You've stripped me bare

  10. RitvanShehi scrive:

    —-C'era un tale barbuto che proponeva 'a ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue capacità'. Andrea Di Vita—-

    Non sapevo che Monsieur De Lapalisse portasse la barba:-)
    Ciao

    P.S.Il principio è ottimo, ma i problemi sorgono qualora si volesse applicarlo. A cominciare da CHI stabilisce (e in che modo) l'ammontare dei MIEI bisogni e la consistenza delle MIE capacità. Come ben sai, ci hanno provato in URSS ed affini ed è risultato che i bisogni di un dirigente erano da 25 a 40 VOLTE maggiori:-) di quelli di un operaio e le capacità di uno iscritto al Partito erano infinitamente superiori a quelle di uno non iscritto.

  11. utente anonimo scrive:

    Ritvan,

    — Il principio è ottimo, ma i problemi sorgono qualora si volesse applicarlo. —

    Dipende anche da come lo si applica. In qualche misura, certo ben diversa da quella vigente nella Patria di Tutti i Lavoratori, è applicato in tutti i Paesi dell'Occidente.

    Z.

  12. RitvanShehi scrive:

    Lo so, caro Z., che il welfare occidentale tiene in considerazione anche la differenza nei bisogni e nelle capacità, ma non credo che il barbudo evocato da ADV intendesse quello.

  13. utente anonimo scrive:

    Ritvan

    ma perchè innervosire le utopie con i dettagli?

    chi le sogna, sempre si sogna alla guida, dove l'aria è pulita e la biancheria profumata

    dev'essere per questo che sono ancora cristiano, non c'è utopia e il fondatore è crepato su una croce

    ciao

    Francesco

  14. utente anonimo scrive:

    beati voi che imparate le lingue in maniera fluida e spontanea. per me ha funzionato cosi' solo per il francese, il resto sono sangue sudore e lacrime.

    roberto

    ps francesco (7) nella mia limitata esperienza le bistecche usa sono cosi' tenere da essere quasi fastidiose (e pe l'andeddoto quissù nel vero granducato ho trovato bistecche formidabili che mi hanno fatto rapidamente dimenticare le fiorentine)

  15. utente anonimo scrive:

    Per RitvanShehi #11

    ''barbudo''

    In realtà pensavo anch'io che Marx volesse la dittatura del proletariato così come ce l'hanno indicata Stalin e sodali assortiti. Solo poi, con colpevole ignoranza, ho imparato che il baffone ha semplicemente fossilizzato a proprio uso e consumo un ristretto insieme di provvedimenti d'emergenza noti come 'comunismo di guerra', decisi da Lenin all'epoca della guerra civile ma gabellati dopo l'assassinio di Kirov come verità rivelata: E' stato un po' come se io oggi assassinassi tutti i professori ordinari e associati d'astrofisica con l'aiuto dei loro assistenti e li mettessi in cattedra a patto di diventare presidente della Società Italiana di Fisica a vita imponendo la dottrina tolemaica come unica vera. Questo sposta il problema ma non assolve i bolscevichi, che lasciando le redini al baffone hanno mostrato una gamma di atteggiamenti che vanno dalla stupidià passiva alla complicità attiva (proprio come farebbero gli assistenti del mio esempio). In realtà, come dimostra lo stesso Costanzo Preve sul sito del nostro ospite Kelebek, Marx si rifaceva più che altro all'alleanza fra produttori, cioè delle classi che producono la ricchezza invece di limitarsi a gestirla: una eco di questa distinzione si ritrova nella definizione leniniana di imperialismo come prodotto della combinazione di globalizzazione e finanziarizzazione dell'economia. Il fatto che Marx parli alla fine della sua vita sempre più spesso di 'proletariato' riflette la sua idea del progressivo immiserimento relativo delle classi produttive a fronte di quelle dotate di rendita (un tempo fondiaria, ora finanziaria): immiserimento difficile da negarsi oggigiorno. Chi porta come controesempio l'arricchimento recente dei Cinesi dimentica che non solo per Lenin la rivoluzione passa per Shanghai e Calcutta, ma soprattutto che per Marx il socialismo è un risultato del capitalismo, non una via alternativa al capitalismo. Il che spiega bene perchè ad esempio in Albania e in Cecoslovacchia ogni socialismo sia falito: in Albania non c'era ancora un capitalismo sviulppato, in Cecoslovacchia c'era ma il socialismo fu imposto con le armi dall'esterno e non nacque spontaneamente all'interno della società. Ora, Tolomeo aveva torto e Copernico ragione, anche se io ammazzo tutti gli astrofisici italiani e anche se fino all'Ottocento era impossibile decidere fra i due sulla base della sola evidenza astronomica (solo nell'Ottocento si potè misurare la parallasse di una stella). Allo stesso modo, di per se stesso il fallimento del socialismo reale non pregiudica la validità di molte se non tutte le idee marxiane. Se Marx ha avuto ragione, lo sapremo fra diecimila anni. Fin ad allora, un atteggiamento acritico sia contro Marx, sia a favore di Marx è da evitarsi. Per contro, il giudizio che si puo' dare sulla società attuale dove per adesso il socialismo è defunto è secondo me quello espresso nel post #8 di kelebek. Insomma: solo ora che il Muro di Berlino è caduto mi rendo conto di come insieme con l'acqua sporca ci siamo liberati troppo in fretta anche del bambino. Pur col suo linguaggio pomposo e ottocentesco, carletto in molte cose (non so se in tutte) ci aveva azzeccato.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  16. utente anonimo scrive:

    "Se Marx ha avuto ragione, lo sapremo fra diecimila anni."

    Comodo, come metodo di valutazione. tanto più che sei marxista oggi …

    Vabbè, troverei superfluo andare a cercare uno qualsiasi dei testi di Marx che dimostri il legame legittimo tra lui e Lenin (tranne il dettaglio dell'impazienza di quest'ultimo, che trasformò un errore in una carneficina), per quello con Stalin ci vorrebbero almeno 5 minuti un più.

    Saluti

    Francesco

  17. utente anonimo scrive:

    Per Francesco #15

    ''comodo''

    Non sono marxista (non ho studiato abbastanza Marx per dichiararmi tale con cognizione di causa): nego che Marx sia da buttare via come una scarpa vecchia solo per via della caduta del Muro (e in questo concordo persino con l'Economist), e affermo che molte idee di Marx sono attuali. Credo anche che molte delle nostre convinzioni attuali siano alla lunga utopistiche e passeggere non meno del 'socialismo reale' che è già fallito.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  18. kelebek scrive:

    Per Andrea

    Posso sottoscrivere tutte le tue riflessioni su Marx?

    Miguel Martinez

  19. utente anonimo scrive:

    Per Martinez #17

    да, конечно!

    Ciao!

    Andrea Di Vita

  20. utente anonimo scrive:

    "nego che Marx sia da buttare via come una scarpa vecchia solo per via della caduta del Muro "

    beh, allora siamo d'accordo.

    solo che io Marx lo butterei via dal 1848, senza aspettare il 1989 …

    ciao

    Francesco

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