Le grandi imprese del paese, ognuna delle quali muoveva un’economia paragonabile a quella di diverse nazioni, hanno delegato a squadre di tecnici il compito di analizzare razionalmente la realtà e trasformarla. Un progetto curiosamente parallelo nel tempo e negli scopi alla grande pianificazione sovietica.
Il think tank non va visto in chiave complottista: la sua è una funzione tecnica, con molta indipendenza, che serve a un vasto complesso di interessi.
Il contesto è lontano da quello feudale italiano, dove simili istituzioni diventerebbero immediatamente ricettacoli di cugini sfaticati di onorevoli e fabbriche di chiacchiere e messaggi trasversali.
Il think tank statunitense, per svolgere bene le proprie funzioni, ha bisogno di libertà: non è una lobby o una semplice emanazione della ditta che lo paga; e come le singole aziende premiano il grafico pubblicitario creativo, anche i think tank cercano continuamente le menti migliori, che si trovano spesso tra i contestatori e i liberi pensatori. Durante la guerra del Vietnam, le aziende che guadagnavano milioni di dollari dai bombardamenti aerei usavano i think tank anche per pagare antropologi, che riferivano correttamente dei fallimenti della politica statunitense di deportazioni forzate di centinaia di migliaia di contadini, strappati alle loro terre e rinchiusi in "villaggi strategici". Ciò che questi contestatori non contestavano era l’obiettivo finale: la vittoria.
Idealmente, i think tank tessono la grande rete che unisce la razionalizzazione della produzione, l’istruzione, la politica, la potenza militare, il controllo dei mercati esteri, l’omologazione dei consumatori mondiali e la regolamentazione del flusso delle merci e del denaro.
In origine, sono quindi più liberal che conservative, dedicandosi ad affermare nel mondo l’ordine che permette gli investimenti e a creare ovunque un ceto medio abbastanza benestante da acquistare le merci statunitensi.
Il lavoro dei think tank è insieme obiettivo e ideologico. I militari non hanno bisogno di pacche sulle spalle, e retorica ma di sapere esattamente quante bombe devono buttare e dove. Ma l’obiettivo dei think tank è anche quello, profondamente ideologico, di creare il consenso di cui ha bisogno il dominio.
Ecco che molti di think tank, sia liberal che conservative, dedicano le loro energie alla promozione delle idee ritenute di volta in volta più utili; gran parte di ciò che ci viene presentato come dibattito intellettuale è piuttosto un prodotto.
Un esempio per tutti. Nel 1988, Allan Bloom, direttore dell’Olin Center for Inquiry into the Theory and Practice of Democracy (che riceve $3,6 milioni di dollari dalla think tank madre, la Olin) invitò un funzionario governativo, di cui diremo il nome solo alla fine, a leggere un discorso in una conferenza. Il discorso venne pubblicato sul National Interest (che riceve $1 milione sempre dalla Olin) il cui editore è Irving Kristol (che riceve $376.000 di stipendio per la sua cattedra universitaria pagata dalla Olin: istruzione, impresa e politica sono inscindibili).
Kristol pubblica tre "risposte" all’articolo del funzionario: una la scrive lui, l’altra la scrive Bloom, che abbiamo già incontrato, una la scrive Samuel Huntington (che riceve$1.4 million dall’Olin Institute for Strategic Studies). Questo finto dibattito viene poi fatto riprendere dai principali media, che così lanciano nel mondo lo sconosciuto funzionario governativo: Francis Fukuyama, e la sua tesi sulla "Fine della storia", che doveva dimostrare che quello statunitense è l’assetto supremo della specie umana.
Qualche abbozzo di think tank esiste anche in Italia, in genere come succursale di quelli statunitensi. Abbozzo, perché difficilmente un politico o un imprenditore italiano darà veramente ascolto a un esperto che gli consiglia la mossa vincente. Probabilmente il più potente è l’Aspen Institute, cui abbiamo dedicato in passato un certo spazio.
Abbiamo poi parlato dell’Acton Institute, strettamente legato al sistema di vendite piramidali Amway e diretto da uno dei personaggi più incredibili di cui mi sia capitato di scrivere, il prete Robert Sirico.
L‘Acton Institute, al di là delle sue bizzarre radici, veicola un messaggio che possiamo riassumere in questo concetto: il sistema capitalista, in particolare nella sua versione statunitense, è la realizzazione della volontà di Dio in terra.
La Heritage Foundation, probabilmente il più potente di tutti i think tank, inventore della politica di Reagan, ha in Italia una piccola affiliata, l‘Istituto Bruno Leoni (IBL), che sostiene di voler difendere la proprietà privata e promuovere la globalizzazione – un paradosso, visto il numero di contadini che il neoliberismo ha privato dei propri beni. Ma evidentemente per proprietà privata, si intende solo quella che supera certe dignitose dimensioni.
Il 28 gennaio scorso, l’Istituto Bruno Leoni ha organizzato una piccola conferenza a Roma, per presentare il libro La politica secondo Darwin. L’origine evolutiva della libertà di un certo Paul Rubin, pubblicato proprio dalla IBL. Paul H. Rubin è stato il principale consulente economico di Reagan, lavora in uno studio di avvocati, è docente di economia e diritto (non di biologia), è ricercatore del think tank Independent Institute ed è socio dell’American Enterprise Institute (25 milioni di dollari ogni anno dalle grandi imprese per promuovere il neoliberismo e interventi armati nel mondo).
Il libro di Rubin è stato presentato da Gilberto Corbellini (docente di Storia della medicina e Bioetica, Università la Sapienza di Roma), Massimo Marraffa (docente di Psicologia della comunicazione, Università degli Studi di Roma Tre), Luciano Pellicani (docente di Sociologia politica, Università LUISS Guido Carli) e Nicola Iannello (Istituto Bruno Leoni). Corbellini, Marraffa e Pellicani – come Armando Massarenti, che ha partecipato ad altre presentazioni dello stesso libro – appartengono a una particolare categoria di scienziati che, non sopportando confusi ecologisti e preti ignoranti, finiscono per aggregarsi a giri ancora più bizzarri. Non è affatto detto che i laicisti debbano essere "di Sinistra", anzi…
Leggiamo insieme il comunicato ufficiale dell’evento:
"A 200 anni esatti dalla sua nascita, anche l’Istituto Bruno Leoni ha voluto rendere omaggio a Charles Darwin pubblicando, sul finire del 2009, questo saggio davvero fondamentale di Paul Rubin. Cosa ci insegna Darwin sulla politica? Le intuizioni e gli insegnamenti del padre dell’evoluzionismo sono al centro della ricerca dell’economista statunitense, in questo libro che ambisce a mettere a fuoco una vera teoria evolutiva della libertà. Intrecciando spunti e analisi che muovono dalla biologia, dalla scienza politica e dall’economia, Rubin arriva a sostenere come le moderne liberaldemocrazie occidentali, e soprattutto gli Stati Uniti, siano le società che meglio rispondono alle nostre preferenze politiche di natura evolutiva."
La versione post-razzista del darwinismo sociale di non compianta memoria, insomma.
Il libro, va da sé, non lo leggerà nessuno. Però ci svela il segreto del dominio statunitense.
Mentre tifosi clericali e tifosi laicisti italiani si ricoprono di insulti, i think tank statunitensi, senza urlare parolacce, dicono ai primi che l’Impero esiste per ineluttabile missione divina; e ai secondi, che esiste per ineluttabile forza biologica.
Non darei tutta st’importanza ai think thank. Le tesi di fukuyama sono già lettera morta anche per chi glie le ha commissionate. Durante i primi anni della guerra in iraq, non erano i tinctanchisti neocon a dire cose sensate, ma alcuni tecnici militari (veri militari di carriera), che almeno sapevano cos’era una guerra e avevano nozioni di scienza militare. Ovviamente le loro analisi dovevi andartele a cercare sui loro siti militari, che nel dibattito tinctanchista non ve n’era traccia. Molti di quei soldi sono puro spreco. Non per chi li mette in tasca, ovviamente. L’ultima cosa che deve preoccupare sono la loro forza di pensiero e l’egemonia culturale, che è una delle cose più deleterie pensate da gramsci. Il dominio statunitense è dovuto al fatto più banale (ma è tutt’altro che banale fuori dalla lotta delle idee e ideologie) che l’europa sotto gli usa ha avuto dal 45 ai primi anni 80 circa, un innegabile miglioramento materiale delle sue condizioni. Certamente molto superiore a quello avuto dall’altra parte europea. Il resto è davvero pensiero in libertà, più che pensiero libero.p
Mica tanto post-razzista. Anche se il termine "razza" è diventato una parolaccia e non lo usa più nessuno, l’assunto di base è che gli anglosassoni (e gli ebrei, ma questo non si dice esplicitamente, perché per poter passare per vittime non si deve sembrare superiori, altrimenti uno dice: "sei superiore? Difenditi da te e non rompere i c……. coi tuoi piagnistei!) hanno una superiorità innata, che sia biologica o per elezione divina, e devono continuare a dirigere il mondo.
Al pari del creazionismo anche il darwinismo viene a volte usato a scopi chiaramente razzisti…fra le teorie legittimiste aggiungerei anche quella del big bang…
Per Peucezio n. 2
Quello che mi colpisce dello schieramento che potremmo chiamare "imperialista" è questa grande capacità di unificare, trovando per ogni idea la chiave.
Sei un cattolico molto convinto? Allora difendi gli Stati Uniti, eredi di Carlo Magno!
Sei un progressista fanatico? Schierati con il paese più avanzato del mondo!
Sei razzista? Vieni con noi a bombardare i musulmani!
Sei antirazzista? Viva il paese multietnico con il presidente nero!
Sei un laicista convinto? Vai con il paese che ha vissuto davvero la riforma protestante e poi ha separato chiesa e stato!
Sei genericamente credente? Viva il paese più religioso d’Occidente, che non ha mai vissuto il laicismo francese!
Dall’altra parte, è tutto un reciproco incessante sbranarsi, sunniti che sgozzano sciiti, cattolici che maledicono laici, comunisti che urlano agli infiltrati fascisti, fascisti che se non la pensi come loro su Mussolini ti segnano come nemico a vita, trotzkisti che odiano stalinisti, ecc. ecc.
Miguel Martinez
Mises era apertamente contro il darwinismo sociale,
se ricordo bene(non ci metto le mani sul fuoco, troppo concentrato in altro) perchè il libero mercato è comunque un’organizzazione , un patto sociale .
Ed anzi era il capitalismo è prpprio da eleogiare perchè il duo proprietà privata / incolumità persone va a sostituire la precedente "legge della violenza" .
"stranamente" tutti i libertarians nostrani che ho avuto modo di incrociare interpretano le teorie del libero mercato come "igiene del mondo"
ed attaccano lo Stato (ed il bene collettivo/pubblico) quando esso elargisce ,poca roba, agli ultimi e penultimi della società (guai l’ospedale o la scuola pubblica!! è statalismo!!)
mentre nicchiano sui favori (leggasi : appalti, organi coercitivi) che lo Stato fornisce alla crema del capitalismo.
tra l’altro ho l’impressione che alla Luiss ed alla Boccon (fonti di tecnocrazia economica-politica per la nostra italietta) devastino cervelli con queste puttanate.
socialista eretico
#4 Miguel,
in effetti è vero…
Mi dispiace per Corbellini, autore insieme al compianto Giovanni Jervis di un bel libro su psichiatria e antipsichiatria ("La razionalità negata", Bollati Boringhieri). Spero che in futuro si scelga meglio i compagni di viaggio…
Saluti da Marcello Teofilatto
"Quello che mi colpisce dello schieramento che potremmo chiamare "imperialista" è questa grande capacità di unificare, trovando per ogni idea la chiave.
Miguel Martinez"
Un po’ credo sia merito dei think tank di cui parli, che a quanto ho capito agiscono come gli sceneggiatori (spesso bravissimi, paragonati alla roba di casa nostra…) delle serie TV americane.
Anche questi ultimi, a forza di prove e tentativi, hanno sviluppo dei metodi, delle forme, quasi scientifiche (vabbè, esageriamo un po’) per sviluppare:
storie credibili, e per tutti i gusti.
C’è la serie che punta specialmente al pubblico gay o lesbico, quella per gli afroamericani, quella per i giovani "alternativi" ecc.
La televisione americana, in questo, non fa troppe differenze, dando l’impressione di grande libertà (non assoluta, altrimenti non ci sarebbe gusto):
tanto il loro scopo è sempre e comunque quello di vendere dei prodotti.
una volta rispettato lo scopo (e per riuscirci occorre coprire tutte le nicchie di pubblico; e occorre che la serie sia riuscita; quindi occorre gente brava e con libertà di pensiero) una volta raggiunto lo scopo, per il resto va bene tutto.
Ciao!
Però non so se l’Italia è esattamente feudale, come modello
(quella è la Gran Bretagna, casomai: parlo del metodo di cooptazione, non della loro aristocrazia, anche se loro in effetti ne hanno una "vera" a differenza di quella farlocchissima di noialtri);
l’Italia mi sembra più che altro basata sui "clientes", come è sempre stata.
La differenza è che la cooptazione tra clientes, a differenza che tra feudatari, avviene senza alcun criterio né di merito, né di fedeltà, ma di pura e semplice convenienza.
Ciao!
Per PinoMamet n. 9
A pensarci, direi che hai ragione.
Miguel Martinez
Per socialista eretico #5
‘"igiene del mondo"
Non è la definizione che Corradini dava della guerra?
Ciao!
Andrea Di Vita
Per Martinez #4
”Quello che mi colpisce dello schieramento che potremmo chiamare "imperialista" è questa grande capacità di unificare, trovando per ogni idea la chiave.”
Gli esempi azzeccati che dài sembrano indicare come tale capacità sia un esempio di quella che Gramsci identificava come ‘egemonia’.
Ciao!
Andrea Di Vita
Per Peucezio #2
”devono continuare a dirigere il mondo”
Dei Romani Virgilio diceva allo stesso modo: tu ricordati o Romano, di guidare i popoli / risparmiare i vinti, e debellare i superbi”
Quanto al resto del tuo post, credo vada ricordato il detto genovese: ‘chi no chianze no tetta’, chi non piange non prende il latte.
Ciao!
Andrea Di Vita
Andrea, non è la stessa cosa: i Romani non hanno mai preteso di basare la loro superiorità su un da razziale, sono diventati "romani" uomini delle stirpi più diverse. In America arrivano anche a metterti il mulatto alla Casa Bianca, ma è palesemente una finzione: nella stanza dei bottoni ci sono solo i WASP e gli ebrei.
E infatti anche il modo di dominare è diverso: i Romani conquistavano direttamente e, nel bene e nel male, gestivano le terre e i popoli conquistati, infatti dove c’erano i Romani c’era ordine, a volte imposto anche con la violenza più brutale, ma c’era.
Dove ci sono gli anglosassoni c’è anarchia assoluta, caos, violenza interna (infatti, pur dominando il mondo, non si annettono mai niente), le società si destrutturano, si sfaldano, perché a loro non interessa avere un’autorità (che, etimologicamente, non dimentichiamolo, è ciò che accresce, auget), ma depredare.
Il concetto del Romano era: io mi faccio arbitro di ciò che è bene anche per te, tu per il resto campa pure come ti pare, purché stai sottoposto alle mie regole e al mio comando e se ti ribelli, per te saranno cavoli amari.
Quello dell’anglosassone, erede spirituale dell’ebreo biblico, è: tu sei un essere inferiore, in fondo non sei nemmeno un uomo ma un animale parlante; ciò che possiedi non ti spetta, ma è mio; la tua stessa vita ha senso e valore solo nella misura in cui mi può essere utile, quindi tu puoi avere solo due destini, a secondo di quello che mi gira o di quello che posso concretamente fare o non posso fare: o diventi mio schiavo o ti elimino fisicamente. Chi, fra quelli della tua razza (cioè di tutti gli altri popoli del mondo), continua a vivere ed essere libero, lo è o perché non siamo riusciti ancora a sopraffarlo o perché finora, per motivi tattici, non abbiamo avuto interesse a farlo.
# 14 Peucezio
Hai fatto copia-incolla da qualche testo degli anni ’40? Non solo sembri credere in tutta serietà che esista qualcosa come "gli ebrei" o "gli anglosassoni", ma discetti pure sul modo di dominio di questi fantasmi.
Se per anglosassoni intendi le complesse pratiche dell’imperialismo britannico, direi che è come minimo grottesco affermare che "non si annettono mai niente": una delle modalità di quell’imperialismo era proprio il dominio diretto (in America settentrionale prima, e più tardi in Australia, Asia, Africa). Che i territori controllati direttamente dall”imperialismo britannico poi si caratterizzassero esclusivamente per "anarchia assoluta, caos, violenza interna" è risibile. Se vi erano forme di resistenza e conflitto interno ai territori coloniali, non erano inferiori a quelle che sperimentavano altri imperialismi (francese, portoghese, russo, belga, turco, italiano etc.).
Quanto allo stile predatorio dei diversi imperialismi (e non "popoli"), è segno di scarsissima informazione ritenere che quello britannico fosse finalizzato in particolare solo alla rapina: la storia delle varie forme di dominio che assunse (colonizzazione, insediamento, controllo commerciale, occupazione militare) mostrano tutt’altro.
Sembra poi tratta di peso da una copia di Signal la descrizione dell’Anglosassone naturaliter genocida (naturalmente insieme all’Ebreo).
Se per "anglosassone" intendi invece la ancora più complessa configurazione sociale che sono gli Stati Uniti d’America oggi, significa che di questi "Stati Uniti" e della assoluta irrilevanza strutturale delle distinzioni etniche per quel sistema, e per le sue forme di dominio internazionale, non hai capito semplicemente niente.
# Miguel
Il segreto del dominio statunitense è che quel che domina il mondo (e anche gli Stati Uniti) non è nulla di particolarmente statunitense: è qualcosa che prospera benissimo in Cina (e dalla Cina), in Europa ( e dall’Europa), in Giappone (e dal Giappne), e pure in/da Russia, Messico, India, Egitto, Marocco, Iran, Argentina etc. (anche se lì, per il momento, spesso con maggiori difficoltà). Era qualcosa che si poteva intravedere già nel 1848, ed è stato davvero molto più forte della Grande Muraglia, della Bibbia o del Corano.
La modernità (capitalistica) non prospera a causa degli Stati Uniti e del loro presunto "Dominio". Gli effetti di oppressione delle particolari condizoni sociali create dalla modernità o dal capitalismo non hanno quasi mai a che vedere con il presunto dominio americano: si tratta di forze e conflitti in larga misura interni (anche agli Stati Uniti, come è ovvio).
Solo una postilla: il fatto che la modernità e/o il capitalismo creino forti tensioni sociali e problemi individuali non sgnifica che i sistemi precedenti funzionassero meglio, da questo punto di vista.
@peucezio 14
alcuni tratti del tuo commento mi fanno venire in mente le cose dette da emanuele, se ripassa sarà tutto contento
oops, ho dimenticato di firmare: il commento # 15 è mio
Giuseppe
Per Peucezio n. 14
Sono in parte d’accordo, ma per motivi meno astratti dei tuoi.
L’impero romano è stato una coalizione di liberi proprietari terrieri che, a prescindere dalle loro origini etniche, condividevano uno stile di vita e la protezione di un esercito.
Un sistema in cui c’era uno sfruttamento durissimo, ma che richiedeva stabilità.
Il sistema anglosassone era invece un circuito commerciale planetario: l’Inghilterra vendeva l’oppio indiano ai cinesi; vendeva i vestiti inglesi agli indiani; il sud degli Stati Uniti, grazie agli schiavi, produceva il cotone che serviva alle fabbriche inglesi; il West statunitense forniva il cibo di cui aveva bisogno l’esercito inglese per tenere in piedi questa struttura; e tutto il denaro messo in moto in questo modo circolava, prima a Londra e poi a New York.
Questo sistema aveva dei nodi agricoli, ma molto diversi da quelli dei proprietari terrieri romani: l’oppio veniva coltivato da milioni di piccoli contadini indiani che portavano il loro prodotto nei magazzini di stato; la schiavitù del sud era finalizzata alla produzione industriale e non all’alimentazione locale; la produzione agricola del West era finalizzata al mantenimento del bestiame, a sua volta inviata a Chicago per la macellazione.
In un simile sistema, la stabilità è del tutto irrilevante, anzi grandi cambiamenti costituiscono grandi opportunità.
C’è però un punto di contatto con il mondo romano: i primi capitali che permettono a questo frullatore planetario di mettersi in moto provengono dai proprietari terrieri inglesi, arricchitisi con il doppio furto delle terre dei monasteri e delle terre comuni dei contadini.
E in quella casta si è effettivamente formata una cultura, spesso affascinante, affine a quella romana.
Miguel Martinez
Sono sostanzialmente d’accordo con Miguel al num. 18
Peucezio, nella sua analisi, tocca anche il tasto del razzismo.
Naturalmente i Romani non potevano essere razzisti, prima di tutto perché non esistevano le razze (nessuno le aveva ancora inventate), e poi perché la cosa era del tutto irrilevante, se non dannosa, per un Impero (anche e soprattutto quando era ancora repubblica) che, come mette giustamente in rilievo Miguel, aspirava a offrire stabilità a un ceto di piccoli proprietari terrieri-coltivatori diretti
(aiutava il fatto che i Romani fossero un coacervo di popoli già in partenza da Roma, naturalmente).
Un’altra cosa che aiutava parecchio era che sia i Romani, che la quasi totalità dei popoli più o meno vicini, fossero in pratica tutti figli in una misura o nell’altra della cultura ellenistica, che costituiva un legame comune
(erano ellenisti i Celti da ben prima dell’Impero, per capire gli dèi altrui- e i propri- li si paragonava-univa con quelli greci, ecc. ecc.)
Oltre a ciò, per praticità appunto contadina, e per mancanza di uno stacco tecnologico netto, i Romani non avevano problemi ad adottare tecnologie, idee, stili di vita altrui, finché non turbassero l’ordine pubblico.
In questo senso, il "celtismo" d’accatto della Lega, e altri idee simili che si trovano un po’ in tutta Europa, ha ragione nel rivendicare una continuità culturale di un territorio assai precedente alla sua unificazione romana;
ha torto marcio nell’immaginarsi che questo implichi anche un’unità genetico-"razziale" e una differenza sostanziale con i territori diversi.
Semplificando (molto): sì, è vero che i lombardi una volta erano Celti, ma è stato assai più importante, per la loro cultura, il momento in cui sono diventati Romani (senza cambiare una virgola di quanto facevano prima, peraltro, eppure nessuno notava niente da diverso rispetto agli altri Romani…).
Ora, Peucezio ha ragione: di quale impero moderno si può dire la stessa cosa?
Gli indiani hanno assorbito moltissimo della cultura anglosassone, eppure non sono diventati "inglesi", casomai quelli che risiedono in Gran Bretagna da generazioni si ritengono "britannici", che non è un modo di dire che sono diventati uguali ai gallesi o quelli dell’isola di Manx, ma di rivendicare anche per la cultura indiana un posto ormai tradizionale all’interno della Gran Bretagna.
Aspirano, insomma, a essere gli arbereshe d’Inghilterra.
A quanto mi risulta, l’unico ad aver tentato di fare come i Romani è stato Balbo in Libia
(la Libia dal ’33- se ricordo bene- non era colonia ma provincia italiana, e i libici di conseguenza cittadini italiani, tant’è vero che nell’esercito portavano le stellette- gli assai più fedeli eritrei no- ecc. ecc.).
(i Territori d’Oltremare francesi, o come si chiamano ora, sono un’invenzione del dopoguerra, un modo per gestire in modo decente i residui di colonie, e non mi pare riflettano nessuna particolare volontà di integrazione culturale: sono un po’ come l’Alto Adige, via)
Non ci fosse stato il fascismo e le leggi razziali, non fatico a immaginare per il colonialismo italiano, in alcune parti delle colonie (ritengo l’Eritrea e magari un pezzo di Libia) un esito abbastanza diverso da quello inglese, e non per qualche presunta superiorità "razziale" italiana, ma perché l’Italia si servì delle colonie per stabilire in effetti un numero non esiguo di "coloni", cioè di contadini, il che richiedeva in effetti un tipo di integrazione assai maggiore
(su un forum americano un tipo mi mostrava una cartolina pre-fascismo d’aqrgomento militaresco, dove si esaltavano i soldati "italiani bianchi" e "italiani neri"; e si chiedeva, si sarebbemai potuta trovarne una uguale britannica che esaltava dei "black britons"?)
Siamo comunque nella fanta-storia.
Ciao!
Per PinoMamet #19
”Balbo”
C’e’ un’importante alternativa a Balbo nel suo tentativo di emulare i Romani: Salazar. Il Portogallo aveva mantenuto pezzi del suo impero coloniale nonostante l’indipendenza del Brasile, l’occupazione spagnola dal 1500 al 1580 (credo) e quella napoleonica, grazie sopratutto al suo farsi riserva dell’Inghliterra. Ma con Salazar le ovvie simpatie lusitane per l’Asse rendevano l’appoggio inglese meno ovvio, tant’e’ che per ingraziarseli fu concessa agli Alleati una base alle Azzorre. Finita la guerra e sopraggiunto l’Impero Statunitense, le Azzorre fruttarono al Portogallo l’accesso alla NATO, ma cio’ non sarebbe bastato a mantenere le colonie. Allora Salazar si invento’ per l’Ultramar la definizione di Portogallo ‘stato multietnico’, in cui ai Portoghesi africani era riservato uno sviluppo separato secondo la stessa ideologia paternalistica del ‘fardello dell’uomo bianco’ di rhodesiana memoria. (Come ricordo bene che disse il mio maestro delle elementari ormai troppi decenni fa parlando dell’Angola provocando lo sdegno unanime di tutta la classe, i Portoghesi sostenevano che i negri fossero come bambini, inadatti a governarsi da soli. Poco tempo dopo, fu la casuale lettura di un articolo del Corriere sulle atrocità Portoghesi nella repressione delle guerriglie indipendentiste in Angola a spingermi a interessarmi di politica estera e di storia; in quegli stessi anni Alberto Sordi girava da quelle parti il bel ‘Riusciranno i nostri eroi a rittrovare il loro amico misteriosamente scomparso in Africa?’, che è poi uno dei primissimi film Italiani di argomento anticolonialista).
Ciao!
Andrea Di Vita
Per Peucezio #14
”Dove ci sono gli anglosassoni c’è anarchia assoluta, caos, violenza interna (infatti, pur dominando il mondo, non si annettono mai niente), le società si destrutturano, si sfaldano, perché a loro non interessa avere un’autorità (che, etimologicamente, non dimentichiamolo, è ciò che accresce, auget), ma depredare.”
‘Depredare’ non esclude ‘civilizzare’ (=trasmettere istituzioni, regle e Valori che durano molto oltre il saccheggio). Roma ingrasso’ una casta di super-ricchi e a una plebe di fannulloni a spese di metà del mondo allora conosciuto, ma diede in cambio strade, leggi, acquedotti, fontane, terme e una lingua comune per tuti. L’Inghilterra ha creato il frullatore planetario del capitalismo imperialista e finanziario che forse distruggerà l’umanità, ma dall’India al Canada ha fornito scuole, ferrovie, leggi e lingua comune. Persino l’Argentina deve la sua rete ferroviaria al bisogno di trasportare carne dalle pampas ai porti, per alimentare il rancio dei soldati di Sua Maestà nel mondo. Il fardello dell’uomo bianco è esistito davvero, anche se il facchino non era disinteressato.
Ciao!
Andrea Di Vita
"Roma ingrasso’ una casta di super-ricchi e a una plebe di fannulloni a spese di metà del mondo allora conosciuto"
Ti dirò, questo (che peraltro fu soprattutto un fenomeno di Roma città) mi pare fosse un effetto non della politica coloniale romana (che era coloniale in senso etimologico: terreda coltivare ai contadini italici in primis, e poi a quelli ad essi assimilati) ma della forza del sistema di clientele e della natura imperfetta del sistema politico romano;
tutto concorreva perché i ricchi riuscissero a deviare le politiche a loro vantaggio (facendosi assegnare terre demaniali al posto dei piccoli coltivatori, ad es.) nutrendo il sistema di clientes che avrebbe poi garantito loro sostegno politico.
Nulla aveva ciò a che fare con la presunzione di una qualche supremazia razziale, essenziale invece a un impero come quello britannico
(che trovava di enorme utilità dividere gerarchicamente le razze già in Gran Bretagna, e applicava il sistema specialmente in India. Echi di questo negli scrittori anglosassoni moderni commerciali alla Wilbur Smith, tuttora convintissimi che il tal popolo africano sia più "fiero" o "nobile" del tal altro- guarda caso quello descritto in termini più entusiastici è quello che è sempre stato più fedele all’Impero…)
Mi pare che il caso più simile, se non l’unico, di sfruttamento inglese dell’India che si trovi a Roma sia lo sfruttamento dell’Egitto, che non a caso:
1- era proprietà privata dell’imperatore;
2- divenne culla del cristianesimo.
Del resto, l’inglese dell’india è strumento di comunicazione e di elevazione sociale (come il latino o il greco dell’Egitto), mentre il latino di Gallia e Spagna, Dacia, Dalmazia (e, non ci fossero state altre invasioni che lo hanno interrotto, quello di gran parte dei Balcani e Africa Settentrionale) era la lingua parlata dalla gente.
"C’e’ un’importante alternativa a Balbo nel suo tentativo di emulare i Romani: Salazar."
Non ci avevo pensato.
Non sono un esegeta di Balbo e potrei benissimo sbagliarmi, ma non credo che a Balbo interessasse lo stato multi-razziale, dove magari una razza ne guida un’altra; gli interessava "l’Impero" in cui tutte le province concorrono alla grandezza dell’idea di "Roma".
Ciao!!
Un altro "granaio" sfruttato quasi quanto l’Egitto, non dall’imperatore in persona ma da latifondisti senza scrupoli, era la Sicilia.
Infatti:
– era tenuta fuori dall’Italia vera e propria (mentre Milano ne divenne capitale… per motivi logistici, economici e militari; alla fine tutto si riflette ancora oggi)
– è la diventata la regione più "feudale" d’Italia (è del resto la mentalità feudale a distinguere la mafia da altre normali organizzazioni malavitose, che peraltro sono sempre esistite ovunque. Un paragone con le società segrete cinesi, a partire dalla dinastia Qing, e con la Yakuza, è al di sopra delle mie capacità)
Ciao!
Su Roma e gli anglosassoni:
Pino Mamet,
sì, siamo sostanzialmente d’accordo.
Un’unica osservazione: ai tempi dei romani non c’era il razzismo come ideologia e tantomeno come dottrina scientifica, come c’era invece nel XIX secolo, ma c’era già un popolo che aveva una visione razzista del mondo, della legge, della religione e, di conseguenza, della politica: gli ebrei, unici fra gli stessi semiti (che anch’essi avevano creato grandi imperi multietnici), fondavano la loro stessa identità sulla discendenza di sangue.
Per Miguel,
lo so, sarà la mia ossessione, ma sono sempre loro: tu dai uan spiegazione di carattere economico (e, di conseguenza, sociale). Non la contesto: è un modello interpretativo e come tale funziona.
Però io te ne propongo un altro, di matrice religiosa: gli anglosassoni (o, almeno, una parte di essi, che costituisce il primo nucleo della colonizzazione americana) sono stati l’unico popolo al mondo, dopo i Cazari, a sentirsi e ritenersi eredi e figli spirituali degli ebrei. Hanno preso abbastanza alla lettera la concezione razzista dell’Antico Testamento (ripresa dal Talmud) e sono andati in America, con la bibbia e il fucile, a starminare i pellirosse, esattamente come avevano fatto gli ebrei al ritorno dall’Egitto con le varie tribù autoctone cananaiche, filistee ecc. (e come fanno ancora con i discendenti di esse: i Palestinesi).
Nell’immaginario collettivo dei protestanti americani questa mitologia del popolo eletto da Dio, del bene contro il male, dei non eletti da annientare è ancora molto forte e presente e determina i loro atti e la loro politica.
Resta da indagare come mai proprio gli anglosassoni (e in generale i Germani: non altrove è sorto e si è diffuso il protestantesimo, di cui il puritanesimo anglosassone è la versione più estrema) hanno fatto propria questa religiosità e questa concezione; perché cioè solo loro, fra tutti i popoli convertitisi nei secoli al cristianesimo, ne hanno ripreso fanaticamente la componente veterotestamentaria ed ebraica, malgrado il cristianesimo sia nato proprio in seno all’ebraismo, ma per porvisi e superarlo, soprattutto nelle sue concezioni razziste.
Esiste uno specificum germanico che resta da indagare. Non dimentichiamo che già l’arianesimo, nel momento in cui nega la divinità di Gesù, fa un piccolo passo indietro verso l’ebraismo, rispetto al cristianesimo ufficiale niceno e trinitario. Piccolo sul piano storico, organizzativo e cultuale (la chiesa ariana era molto simile a quella cattolica), ma notevole sul piano dottrinale: nemmeno i protestanti sono mai arrivati a negare, almeno a parole, la divinità di Cristo.
x Peucezio
mi pare che i puritani fossero una piccola parte dei protestanti, a loro volta piccola parte degli inglesi, che erano in maggioranza anglicani (o cattolici perseguitati).
quindi non mi pare che sia utile guardare a loro come "gli anglosassoni", oltretutto furono gli anglicani a fare l’Impero Britannico, prima che i puritani facessero quello USA.
ciao
Francesco
"Resta da indagare come mai proprio gli anglosassoni (e in generale i Germani: non altrove è sorto e si è diffuso il protestantesimo, di cui il puritanesimo anglosassone è la versione più estrema) hanno fatto propria questa religiosità e questa concezione;"
ma io credo semplicemente che i protestanti si identificassero con gli ebrei (perlomeno con quelli dell’Antico Testamento) perché leggevano appunto l’Antico Testamento.
I cattolici molto meno.
Oltre tutto, i cattolici avevano la guida di "Roma", quindi non dovevano sbattersi a cercare da soli nei testi (è stato un bene per loro, molte meno minchiate ne sono sorte!); i protestanti invece trovavano (perché si trova sempre ciò che si vuol cercare) nelle loro letture la conferma ulteriore che Roma fosse non già l’erede di Gerusalemme, ma quella di Babilonia.
Eco che si trova poi nel protestantesimo di un altro popolo che, anche per motivi storici, si è voluto identificare con gli ebrei, vale a dire i neri americani
(dal protestantesimo nero+ suggestioni etiopiche derivate dalla sconfitta italiana ad Adua, prontamente propagandata dal concorrente imperialismo di altri paesi europei, è sorto il movimento rastafariano, e da questo tutto quell’inneggiare a "Zion" contro "Babylon" del reggae).
Un altro effetto collaterale:
se Roma non è erede di Gerusalemme, ma simbolo di decadenza, allora è anche non più erede degli antichi Romani, e il loro diritto di imperare sarà passato a qualcuno più meritevole…
guarda caso gli anglosassoni stessi
(da qui tutte le mitologie farlochissime su discendenze di dinastie inglesi da imperatori bizantini ecc. ecc., e la paccottiglia anche peggiore de "i romani antichi erano alti biondi, poi si sono mescolati coi neri e sono decaduti…").
Quanto all’identità "razziale" degli ebrei antichi, in parte è vero;ma mi sembra (chiedo a chi ne sa di più) un effetto della loro permanenza a Babilonia, quella vera, quando si sentiva il bisogno di definire un’identità separata, e di dotarla di un adeguato passato semi-mitico di eroi e conquistatori, da contrapporre al presente di conquistati.
Non ricordo nessun altro popolo antico che abbia avuto una vicenda simile, perciò non mi stupisce che il caso ebraico in questo costituisca un hapax.
Ciao!
Ora che ci penso:
nell’antichità no, ma in epoca moderna/contemporanea un popolo che ha avuto una vicenda simile a quella ebraica dell’esilio a Babilonia è proprio quello nero americano.
Che infatti ha sviluppato un’identità (o gliela hanno sviluppata gli altri, che poi è la stessa cosa) basata su criteri razziali, e, tra le varie tendenze, anche una suprematista e una che aspira a tornare nella terra dei padri.
(No, non esiste alcuna "razza nera" e non esiste alcun motivo per cui Colin Powell, Morgan Freeman e la moglie di Obama debbano essere considerati della stessa "razza"; infatti in altri paesi non lo sarebbero. La razza, giova ricordarlo, è una costruzione culturale).
Ciao!
Alcune osservazioni: altro granaio di Roma era l’Africa, specialmente il nord dell’attuale Tunisia, (la Zeugitana) a partire dalla fine del secondo secolo.
E gli oliveti della Byzacene erano paragonabili a piantagioni coloniali, direi.
Per Peucezio. Se vogliamo, il primo protestantesimo fu ceco e specificamente anti-germanico. (mi riferisco agli hussiti). protestanti divennero presto i Lettoni, gli Estoni, i Finlandesie una parte importante dei Magiari, non germanici, per non parlare della Francia e della parte francofona della Svizzera.
Comunque l’identificazione con Israele è avvenuta anche altrove. Sospetto ce ne possano trovare tracce in area araba preislamica, è forte in Etiopia e si è manifestata in certe forme religiose russe, tra i cristiani. E suppongo di dimenticare qualcuno (bizantini?).
Penso che avesse qualcosa di questa concezione anche l’idea che di sé stessi avevano i Conquistadores spagnoli ma non ne sono sicuro.
Per quanto riguarda le identificazioni con gli Ebrei sfociate in conversioni all’ebraismo, il mondo è pieno di casi strani, in posti a volte a improbabili come l’Africa nera e il Sud della Cina, i Caraibi e in generale il mondo nero-americano (penso al rastafarianesimo, connesso all’Etiopia; ma è vero che lì c’è una forte acculturazione al protestantesimo anglo-americano) e poi quello straordinario e stranissimo caso che fu, nella tua Puglia, la conversione all’ebraismo degli abitanti di San Nicandro.
Ti consiglio "Ebrei per scelta" di Turdor Parfitt ed Emanuela Trevisan Semi.
Inoltre non concordo che il "razzismo etnico" fosse, all’epoca in cui inziò la stesura della Bibbia, esclusiva degli Ebrei. L’iscrizione di Mesha, re di Moab, presenta una visione del mondo perfettamente analoga e un etnocentrismo suprematista simile, ovviamente a parti invertite. Certamente gli eventi della Cattività babilonese produssero un cambiamento nella visione ebraica che altri popoli non sperimentarono, a causa della deculturazione imposta dagli Assiri; i quali a loro volta si ritenevano superiori agli altri popoli ed eletti dal Dio Asshur.
Per Pino Mamet: hai letto "geneaologie incredibili" di Bizzocchi?
No, ma provvederò.
Promette di essere interessante. 🙂
Per Oeucezio #24
”Resta da indagare come mai proprio gli anglosassoni (e in generale i Germani: non altrove è sorto e si è diffuso il protestantesimo, di cui il puritanesimo anglosassone è la versione più estrema) hanno fatto propria questa religiosità e questa concezione;”
Ma no: i Puritani sono andati in America perchè erano perseguitati in patria. Cromwell è uno dei capi inglesi più odiati della storia (ed è anche uno dei pochi di cui non si vantano cogli stranieri) , e la Chiesa Anglicana inglese, nonostante la sua divisione in Alta e Bassa, è cattolica praticamente in tutto fuorchè il sacerdozio alle donne (nella sola chiesa Bassa, credo) e la sottomissione a Roma. Certamente i riferimenti religiosi sono più diffusi nella letteratura inglese che in quella francese modrrna, ma gli Inglesi non hanno avuto Robespierre. In compenso, gli Inglesi sono fra i popoli meno praticanti d’Europa: dove stavo io, a Oxford, la chiesa era chiusa con paratie anti barboni tutta la settimana, e si teneva la messa solamente alle sette del mattino di domenica.
Ciao!
Andrea Di Vita
Ora che ci penso (alla faccenda di Balbo):
anche i giapponesi, a un certo punto, decisero che Taiwan era parte del Giappone vero e proprio, e i taiwanesi (cinesi e austronesiani) dovessero essere giapponesi, adottare lingua e costumi e stop.
Ignoro tutto dei metodi, i risultati mi pare che ci furono anche, mi risulta anziche fino a un decennio fa c’erano anziani taiwanesi che parlavano e scrivevano giapponese, come c’erano anziani del Dodecanneso che sapevano scrivere in italiano, ma non in greco.
Pino #26
Sì, mi pare un’analisi condivisibile.
Sugli Ebrei e la cattività babilonese: in effetti molta dell’identità ebraica è nata in quel frangente, anche se ovviamente, come ogni fondazione di un’identità, viene retrodatata di secoli. Però le deportazioni di massa erano una pratica abituale per gli assiri prima e per i neo-babilonesi poi. Ciò che ha consentito agli ebrei di non disperdersi e mescolarsi fra gli altri, è stata proprio la loro identità molto forte, che evidentemente, sia pure in forma più implicita e meno elaborata, era già ben radicata nella loro mentalità.
#28 Falecius,
osservazioni molto ineterssanti.
Citando i Cazari ho voluto schematizzare. Diciamo che il cristianesimo stesso e l’Islam sono delle forme di conversione all’ebraismo, poiché ne abbracciano il monoteismo e vari altri aspetti ad esso connessi. Però i popoli che hanno assimilato la cultura e il modo di sentire ebraico, quasi considerandosi ebrei essi stessi (o a volte senza il "quasi") sono comunque un fatto eccezionale.
A Sannicandro del Gargano un tizio ebbre delle curiose visioni e da lì si convinse di essere un fedele di Jahveh e convertì un gruppo di persone le quali, dopo lo scetticismo iniziale delle comunità ebraiche, furono ammesse praticare la religione giudaica. In realtà fu un fenomeno comunque minoritario, che non abbracciò certo l’intero paese. Non so nemmeno se ci siano ancora seguaci dell’ebraismo a Sannicandro (o San Nicandro, come si chiama da qualche anno): approfondirò in merito.
Andrea #31
E’ vero. L’identità inglese è uan cosa complessa, che contiene al suo interno degli opposti. L’anglicanesimo della Chiesa Alta è la più simile al cattolicesimo fra le chiese cristiane non cattoliche, mentre, al tempo stesso, le forme più estreme di protestantesimo si sono imposte sempre fra gli inglesi e i loro discendenti.
Parlando di anglosassoni bisognerebbe distinguere. Quando parlo di anglosassoni, io mi riferisco alla parte più dinamica e più aggressiva di loro, che non è espressa tanto dalle aristocrazie della Chiesa Altao dlle minoranze cattoliche, ma da quella parte dell’Inghilterra che stava con Cromwell, dai Padri Pellegrini, dai dissidenti e fuggiaschi di ogni risma, insomma da una componente che ha avuto alterne vicende, ma che ha comunque contribuito a caratterizzare la storia e lo spirito inglese e che è alla base di quello americano.
Peucezio: credo che alcune donne anziane a Sannicandro pratichino ancora la "religione" come la chiamano, o almeno era così alcuni anni fa.
La maggior parte dei discendenti di quei convertiti vive in un kibbutz in Galilea.