L’11 settembre di Beppe Grillo (4)

Faccio una piccola sosta, perché vedo che qualche complottista inizia a fare manovra: "d’accordo che i camion possono entrare a Piazza Navona, d’accordo che il Grande Infiltrato segnalato da Beppe Grillo era un ragazzotto qualunque, ma non hai visto che quelli del Blocco Studentesco hanno fatto a cazzotti anche la mattina?"

E’ un salto logico piuttosto noto.

"A" dice, "gli zingari rubano i bambini, li smontano e li vendono sul mercato degli organi".

"B" risponde, "guarda che non è mai stato dimostrato un solo caso di bambino rapito dagli zingari, né l’esistenza di un mercato involontario di organi".

"A" controbatte, "e così tu mi vorresti far credere che nessuno zingaro abbia mai scippato un portafoglio?"

Per non cadere in questo genere inutile di discussione, dividiamo i problemi.

Il primo, grosso come una casa, è:

"Esiste un gigantesco complotto tra il governo, la polizia, i media e un gruppetto romano chiamato Blocco Studentesco?"

Il secondo, piccolo come un Pinocchio di legno, è:

"Chi è stato il più cattivo durante la rissa a Piazza Navona?"

Esattamente un anno fa, pubblicai qui un testo di Giulio Salierno che spiegava tutto, e ve lo ripresento qui, assieme alla premessa che scrissi allora, e che inizia con il prossimo paragrafo.

Il sociologo rivoluzionario Giulio Salierno, nel 1980, scrisse una profonda opera di riflessione, La violenza in Italia. A dimostrazione di quanto siano cambiati i tempi, a pubblicarglielo fu la Arnoldo Mondadori. Il libro si presenta con una frase di Baruch Spinoza:

"Le azioni umane non debbono essere derise, né compiante, né odiate, ma capite".

Il libro è una miniera di riflessioni, alcune datate (erano gli anni di Prima Linea e non si pensava proprio alle migrazioni dei popoli), altre sempre attuali.

Salierno dedica alcune pagine alle reazioni della sinistra, "storica e nuova", alla violenza diffusa (non solo politica) di quegli anni; e all’uso successivo di capri espiatori, prima anarchici e poi fascisti, per le stragi.

Viene fuori un brano un po’ lungo, anche tagliando qua e là, ma non è importante che lo leggiate tutto. Voglio che resti però a disposizione, in futuro, qui su Internet.

Ascoltiamo, quindi Giulio Salierno (La violenza in Italia, Arnoldo Mondadori 1980, pp. 49 ss. e 278 ss).



"[Di fronte all’]insorgere della violenza politica manifesta, la sinistra italiana, storica e nuova, fatte salve alcune individualità […] ha balbettato spiegazioni che non spiegano nulla, si è rifugiata nella metafisica dei complotti, ha etichettato tutti quelli che sparavano come fascisti, ha lasciato che tra i suoi militanti e/o simpatizzanti circolassero le più inverosimili, incredibili storielle […].

L’interpretazione luciferina dei fenomeno sociali […] risponde, certo, alla necessità per la propaganda (in questo caso di settori della sinistra, ma il discorso è generale), di trasformare gli avversari, situati in campi opposti tra loro, in un nemico unico, facilmente identificabile e demonizzabile. Ha quindi, per i partiti che l’adottano, funzioni di sbarramento e contenimento nei confronti del nemico demonizzato, ma anche di mobilitazione e controllo – rese posibili propro da questo tipo di propaganda – della propria base.

Svolge, inoltre, per gli stessi, un ruolo di attacco e disorientamento nei riguardi di tutto coloro – singoli, partiti o movimenti – che siano tentati o tentino di occupare, con idee e comportamenti contrapposti (che la propaganda s’incaricherà di assimilare a quelli dell’avversario-Belzebù), quegli spazi politico-sociali considerati propri.

Ma la "complottomania", negli ultimi dieci anni, è andata molto al di là delle stesse esigenze della propaganda.[…]

L’avere, infatti, per circa un decennio, attribuito, con un martellamento propagandistico senza pari, ogni attentato o violenza politica e persino i disordini negli stadi durante le partite di pallone, a un disegno strategico promosso e perseguito da un unico "cervello" (le cui capacità maligne dovrebbero destare l’invidia del Principe delle tenebre) ha provocato, forse, addirittura un mutamento nel clima culturale del paese. Che, infatti, reagisce, di fronte a ogni evento che a torto o a ragione gli sembri strano, cercando, per l’appunto, di spiegarselo in chiave di complotto. […]

E ciò, nello specifico dell’emarginazione, della violenza politica come di quella comune, delle Br come della guerriglia diffusa, ha prodotto guasti profondi, pressoché irreparabili nel breve periodo. Infatti, le interpretazioni irrazionali dei fatti che accadevano in Italia e all’estero, hanno concorso a causare un lento, progressivo imbarbarimento  culturale e civile, prima che politico, contribuendo a far dimenticare, o a non far capire, che il nazismo o il fascismo non nascono nella testa di Hitler o di Mussolini.

Che le Gallie non sono acquisite a Roma da Cesare, ma suo tramite.

Che il governo di Salvador Allende non cade grazie o solo grazie a una congiura della CIA, ma soprattutto ed essenzialmente per l’esplodere di contraddizioni nel tessuto sociale, economico, politico del Cile. […]

Che tutti gli elementi ideologici e culturali (libri, riviste, psicologia, slogan, critiche, etica, religione, leninismo, ecc.), di volta in volta accusati o chiamati a spiegare l’origine di questo o di quell’attentato, di questa o quella violenza, non significano praticamente nulla se non vengono inquadrati in un discorso strutturale e sovrastrutturale che vada al di là del nostro stesso paese, e che si proietti nel divenire storico.

[pagina 278 ss in riferimento alla strage di Brescia del 1974] A livello politico, infatti, non è più sostenibile la tesi degli opposti estremisti, e, contemporaneamente, si può presumere che esplodano le contraddizioni tra esecutori degli attentati e settori degli apparati istituzionali, quelle interne ai servizi di sicurezza e tra quest’ultimi e il potere politico; a sua volta, probabilmente, lacerato da gesuitiche e pur feroci lotte intestine.

[…] Il potere può puntare così, trasformando gli attentatori fascisti in esseri diversi, in distrazioni sociali, a proiettare sui "folli" il male generato dal sistema capitalistico stesso. Il terrorista nero, alienato e reificato, diventa, cioè, assieme alle bombe, nei primi anni ’70, uno degli elementi di trasferimento e di scarico necessari a chi gestisce il dominio per far dimenticare, rimuovere, ignorare lo sfruttamento, il privilegio, la morte generati dalla macchina economica capitalistica.

Per la classe egenome è facile, attraverso i canali del consenso, condannare le "disfunzioni" di questo o quell’apparato istituzionale, chiedere la rimozione di "singoli" funzionari, presentare gli attentati come un tentativo di rivincita degli epigoni del fascismo e della Repubblica di Salò, o di sparuti gruppetti nazisti, e proiettare sui leaders di estrema destra di turno, in connessione con "soggettive" deviazioni di di organi pubblici, il sadismo, la xenofobia, la violenza generati dall’intera struttura sociale.

L’assetto di potere ottiene così, in larghi strati di cittadini, l’interiorizzazione della negazione di una parte del reale, mediante l’annullamento di ciò che nel presente appare spiacevole. E il processo di decolpevolizzazione  si ritualizza nelle cerimonie liturgico-acritiche contro il fascismo, nel corso delle quali il potere proietta le proprie tendenze autoritarie e si serve della violenza fascista come capro espiatorio delle proprie responsabilità sociali, culturali, religiose, economiche, politiche e storiche.

Stragi e neofascismo sono, cioè, le valenze attraverso cui chi gestisce il dominio, in quegli anni, manipola o tenta di manipolare la coscienza delle classi subalterne offrendo loro in cambio del pericolo sventato e pubblicamente denunciato solo alcune gratificazioni potenziali: la preservazione degli istituti di democrazia delegata.

Nulla più di quanto i dominati stessi avevano conquistato o ritenuto di avere conquistato con la Resistenza e che, prima delle stragi, consideravano come garantito. E così attentati indiscriminati e feroci, sovente contraddittori e inintelligenti, offrono al potere il pretesto per preparare l’opinione pubblica alla successiva accettazione avalutativa di leggi e provvedimenti limitatrici delle stesse libertà borghesi."

P.S. Segnalo due commenti critici interessanti a questa serie di post, uno di Brullo Nulla e uno di Georgia.

(Continua…)

Questa voce è stata pubblicata in neofascisti e contrassegnata con , , , , , , . Contrassegna il permalink.

8 risposte a L’11 settembre di Beppe Grillo (4)

  1. utente anonimo scrive:

    Io personalmente apprezzo lo slogan che il Blocco studentesco gridava, nè rossi nè neri, ma solo studenti (o roba del genere). Leggo anche che la questione del camion può essere diversa da quello che è apparso in un primo momento.

    Perchè la polizia non è intervenuta a bloccare i facinorosi già da subito, ma ha lasciato che gli scontri continuassero?

    Tutto sommato non c’è davvero bisogno di una analisi (quasi) matematica per stabilire un rapporto tra causa ed effetto partendo da una causa che in realtà (ed in mancanza di prove) può essere solo presunta (per cui non certa e per questo in una analisi del genere trascurabile). Non c’è davvero bisogno di provare l’esistenza di una linea di comando che arrivi ai ragazzi di Casapound (quali esecutori materiali di questo comando) per arrivare ad avere la certezza del fatto che la polizia non intervenendo si è resa responsabile di quello che è accaduto.

    Sono diverse le testimonianze su questo, mi pare.

    Molte volte è più facile ottenere un risultato attraverso una omissione che per mezzo di un’azione.

    Che dire poi delle dichiarazioni di Nitto Palma?

    A mio modo di vedere è l’utilizzo della notizia successivo ai fatti, è l’interpretazione che si da dei fatti accaduti ad essere significativa: particolarmente grave è l’interpretazione che ne da chi ai fatti si dovrebbe attenere, soprattutto se questo ricopre una carica istituzionale.

    ed è a questo punto che scattano le interpretazioni di parte, si formano le parti; mentre probabilmente (dico probabilmente) chi da l’interpretazione bugiarda ha il solo scopo, nel darla, di creare due parti.

    Allora chi è il complottista?

    Chi pone in essere un complotto (magari strumentalizzando con uno scopo preciso) o chi lo subisce?

    all’inizio di questa seria di quattro articolo hai parlato di 11.9.

    Lasciando perdere tutte le questioni del genere di quella sugli “ebrei danzanti”, a me il punto fermo sembra questo: la versione ufficiale su quei fatto è falsa, mentre la si continua a spacciare per vera. Intanto (copiando ed incollando l’ultima frase di questo tuo post): “E così attentati indiscriminati e feroci, sovente contraddittori e inintelligenti, offrono al potere il pretesto per preparare l’opinione pubblica alla successiva accettazione avalutativa di leggi e provvedimenti limitatrici delle stesse libertà borghesi”.

    fabrizio

  2. utente anonimo scrive:

    miguel,

    4 post di fila con i quali sono totalmente d’accordo!

    ti prego di cambiare l’andazzo senno’ saro’ costretto a cercare un altro blog al quale fare le pulci

    🙂

    roberto

  3. utente anonimo scrive:

    “C’è una logica precisa dietro questo mancato controllo”

    a proposito di logica precisa “dietro” non sempre visibile a chi sta davanti, consiglio un racconto stupendo di asimov, il cronoscopio (the dead past)

    roberto

  4. utente anonimo scrive:

    Non c’è davvero bisogno di provare l’esistenza di una linea di comando che arrivi ai ragazzi di Casapound (quali esecutori materiali di questo comando) per arrivare ad avere la certezza del fatto che la polizia non intervenendo si è resa responsabile di quello che è accaduto.

    Sono diverse le testimonianze su questo, mi pare.

    Molte volte è più facile ottenere un risultato attraverso una omissione che per mezzo di un’azione.

    accidenti, come odio quando la gente scrive meglio e in meno parole esattamente quello che penso! 🙂

  5. kelebek scrive:

    Per roberto n. 2

    Grazie.

    1) Io ho sempre vissuto di frontiera, e sono anche un meticcio in materia di razionalismo/misticismo 🙂

    2) Ne vedo tanto di complottismo in giro, proprio nel mondo di chi vorrebbe essere contro il sistema, che mi sembra ora di dire qualcosa, senza per questo approvare il sistema.

    3) Mi piace molto Jean Bricmont, che riesce a essere un combattivo antimperialista e un nemico di ogni fuffa allo stesso tempo.

    4) Non sopporto che offendano Sheykh Osama dicendo che non esiste, oppure che lavora per la CIA 🙂

    5) Scherzi a parte, il mondo di quelli che ammiccano, gettano fango, insinuano e lanciano sospetti mi fa un po’ schifo.

    Miguel Martinez

  6. kelebek scrive:

    Sempre per roberto n. 2

    E poi bisogna scegliere il meglio delle persone. Guy Debord, autore della Società dello spettacolo, che considero un testo fondamentale, era un complottista scemo quando si trattava di parlare delle Brigate Rosse in Italia.

    Miguel Martinez

  7. utente anonimo scrive:

    roberto,

    non ho capito molto il nesso tra il cronoscopio e la dietrologia. Ti riferivi alle diverse ragioni per cui i soggetti vogliono che il cronoscopio venga costruito o distrutto o al vero motivo per cui il governo ne ostacola la diffusione?

    Z.

  8. utente anonimo scrive:

    z.,

    pensavo alla “logica dietro”:

    i tizi che lottavano contro la censura sul cronoscopio, avevano una parte della storia e, senza capirne le implicazioni, si facevano un viaggione sulle motivazioni di chi censurava

    roberto

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *