Al valico del più grande carcere del mondo

Riprendo da un altro sito…

Arancio: Gaza è peggio di una prigione, è un vero lager. Nelle prigioni infatti esiste una legalità e viene riconosciuto il diritto dei detenuti. Questo a Gaza non avviene e a una delegazione come la nostra, pacifica e trasparente, viene impedito di visitare e confortare una popolazione detenuta innocente".

http://www.islam-online.it/del_gaza.htm

Una delegazione italiana si è presentata stamattina al valico di Eretz per entrare a Gaza su invito dela resistenza palestinese ricevendo però un secco divieto dal comando militare israeliano e questo nonostante i passi che il governo italiano, per rassicurazione personale del sottosegretario Ugo Intini, aveva compiuto presso le autorità di Tel Aviv affinchè ai nostri connazionali fosse permesso di entrare nella Striscia. Fanno parte della delegazione: Leonardo Mazzei «Comitato Gaza Vivrà» – Fernando Rossi, Senatore – Giovanni Franzoni, Comunità Cristiane di Base – Lucio Manisco, Giornalista ed ex parlamentare – Maria Grazia Ardizzone, Campo Antimperialista – Elvio Arancio,  Centro studi cultura islamica di Torino (e collaboratore di www.islam-online.it) – Davide Casali, Fotoreporter, inviato di Infopal.it – Giuseppe Pelazza, Avvocato – Vainer Burani, Avvocato, membro «Giuristi Democratici» – Maria Grazia Da Costa, Operatrice sanitaria – Ugo Giannangeli, Avvocato, onlus «Per Gazzella» – Zeno Leoni, Giornalista – Carmela Vaccaro, Docente universitaria, esperta di acqua – Erika Miozzi, Associazione umanitaria di volontariato «Sumud» – Anika Persiani, Associazione umanitaria di volontariato «Sumud» – Margarita Langthaler  «Coordinamento antimperialista Vienna».

Il loro scopo, come precisato in comunicato del Comitato "Gaza Vivrà", era quello di testimoniare la solidarietà di una parte importante e consapevole della società civile italiana e verificare le condizioni in cui versa la popolazione della città e dell’intera Striscia. In particolare avrebbero dovuto avere incontro con il Primo Ministro Ismail Haniyye, il  presidente del Parlamento palestinese Ahmad Bahar nelle cui mani avrebbero consegnato l’Appello «GAZA VIVRÀ», visitato le aree danneggiate dagli israeliani nelle zone di confine, campi profughi, ospedali, scuole ed industrie colpite dall’embargo e dagli attacchi israeliani e il valico di Rafah (dove, come noto, sono bloccate da mesi sul lato egiziano migliaia di persone che non riescono più ad entrare nella Striscia).

Erano previsti anche incontri con le organizzazioni umanitarie, gli studenti universitari e i bambini di una scuola elementare.

la visita avrebbe dovuto concludersi con una conferenza stampa con tutti i media presenti a Gaza per rendere noti i risultati della visita e annunciare le future iniziative congiunte.

Il giorno 27 dicembre la delegazione, di passaggio in Israele, avrebbe avuto una fitta rete di incontri con le diverse organizzazioni sostengono la causa palestinese e combattono l’embargo contro Gaza.

Ora tutto questo è stato compromesso dai carcerieri di gaza, l’esercito israeliano che non tollera che testimoni sinceri possano vedere e riferire le reali condizioni della popolazione della Striscia.

Questa mattina abbiamo raggiunto al telefono alcuni membri della delegazione tra cui  il senatore Fernando Rossi che ci ha confermato il rifiuto israeliano. Rossi ha ribadito la solidarietà alla popolazione di Gaza e ha denunciato il comportamento delle autorità israeliane. Il nostro fratello e collaboratore Elvio Arancio ci ha detto: "Gaza è peggio di una prigione, è un vero lager. Nelle prigioni infatti esiste una legalità e viene riconosciuto il diritto dei detenuti. Questo a Gaza non avviene e ad una delegazione come la nostra, pacifica e trasparente, viene impedito di visitare e confortare una popolazione detenuta innocente. Tutto ciò è intollerabile: faremo quanto nelle nostre possibilità per denunciare quest’orrido abuso".

Al momento sembra che ci sia in programma una manifestazione a Betlemme e una conferenza stampa che ancora non si sa quando e dove si terrà.

Terremo informati i nostri lettori, in tempo reale, per quanto ci sarà possibile.

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27 risposte a Al valico del più grande carcere del mondo

  1. utente anonimo scrive:

    Insomma, intorno c’è tutto il mondo arabo pro-palestina e nessuno li aiuta?

    Ragazzi, la verità è che i palestinesi non li vuole nessuno. Qui i carnefici e carcerieri non sono solo gli israeliani, sono anche tutti gli altri paesi che sulla carta sono filopalestinesi, ma poi lasciano fare, perchè alla fine una bella ecatombe di palestinesi fa comodo a tanti.

    Figurarsi se quelle persone lì, abituate a combattere contro un regime, finissero rifugiati per sbaglio in uno stato come la Giordania, la Siria, L’ Iran o qualsivoglia paese retto da finti governi…..no, no, meglio dire “poverini” a braccia incrociate.

    saluti

    Rubimasco

  2. utente anonimo scrive:

    Boh, non capisco cosa c’entrano gli “altri” in questo caso… le responsabilità sono specifiche e individuali.

    Tutto ciò non fa altro che testimoniare ancora una volta uno stato d’eccezione, un sopruso fuori da ogni legalità internazionale, al quale può essere posto termine solo con la nascita di uno Stato unico binazionale, democratico (quindi non confessionale).

    Finché non accadrà, per i palestinesi permarrà una situazione insostenibile.

    PS: quanto alla Siria, lì vige sicuramente un regime più democratico che in Israele, in quanto sono riconosciute con pari diritti tutte le comunità religiose (musulmani, cristiani ortodossi, e altre confessioni).

    Rita.

  3. Julio26 scrive:

    Qual’era quel film in cui New York era un’enorme prigione a cielo aperto in cui il protagonista si faceva chiamare Jena Plinsky?

    Un Film ambientato in un futuristico 1997 dove il sole era oscurato dalle nubi inquinanti e dove i presunti criminali apparivano come degli eroi.

    Mi sembra”1997 fuga da New York”.

    Che dire se Carpenter oggi girasse un fac-simile titolato “2007 fuga da Gaza”?

  4. falecius scrive:

    Rita scusami, ma la democraticità di un paese si misura da tante altre cose oltre alla libertà religiosa (che comunque c’è anche in Israele). Certamente i membri delle diverse comunità religiose hanno pari, ma pochi, diritti.

    Falecio in versione sionista 🙂

  5. utente anonimo scrive:

    —-“Certamente i membri delle diverse comunità religiose hanno pari, ma pochi, diritti.

    Falecio in versione sionista :)” —

    Non in Israele, dove gli arabi musulmani non hanno un vero diritto alla proprietà, e molte altre cose.

    Un israeliano ebreo che sposa un cittadino/a israeliano musulmano perde la cittadinanza, diventa un apolide. Ci sono varie coppie miste che hanno dovuto (a ragione) abbandonare il paese e rinunciare alla cittadinanza israeliana. Ti pare democratico, questo?

    Poi, adesso Damasco è piena di luminarie natalizie sui balconi della popolazione cristiana …tanto per restare in tema di libertà religiosa…

    Rita.

  6. BarbaraLattanzi scrive:

    Julio:

    “chiamami jena!”

    Jena Plissken era l’eroe di 1997: fuga da New York. Nel 1997 poi è uscito anche Fuga da Los Angeles, sempre con lo stesso personaggio interpretato da kurt russel.

  7. abdannur scrive:

    Purtroppo era prevedibile. Ciò non rende la cosa meno grave, ma tant’è.

    Leggevo oggi di un decreto israeliano per la costruzione di nuove case presso Gerusalemme Est; i negoziatori palestinesi hanno espresso “stupore e preoccupazione”.

    E’ forse accessorio ed impertinente, ma credo che una delegazione del genere avrebbe dovuto coltivare preliminarmente un più ampio consenso sociale e culturale qui in Italia. Riferirsi genericamente ad “una parte importante e consapevole della società civile italiana” – considerando preliminarmente quanto sia già “limitata” la “società civile” in senso stretto, in Italia – non sembra un biglietto da visita sufficientemente autorevole. Può ben darsi che non ci sarebbe stata comunque autorevolezza che tenesse, dinanzi alle condizioni carcerarie dell’embargo israeliano; tuttavia, provare un passo del genere avrebbe forse dovuto implicare una copertura più ampia e radicata.

  8. BarbaraLattanzi scrive:

    Da qui non possiamo fare nulla?

    intendo come protesta, che ne so, di fronte all’ambasciata. in questo senso si vedrebbe che qualche cnsenso nella società civile c’è 🙂

  9. RitvanShehi scrive:

    >Non in Israele, dove gli arabi musulmani non hanno un vero diritto alla proprietà, e molte altre cose. Rita<
    Sì, e l’11/9 l’ha fatto il Mossad, avvisando preventivamente gli ebrei che lavoravano nel WTC:-).

    >Un israeliano ebreo che sposa un cittadino/a israeliano musulmano perde la cittadinanza, diventa un apolide. Ci sono varie coppie miste che hanno dovuto (a ragione) abbandonare il paese e rinunciare alla cittadinanza israeliana.<
    Sì, e l’11/9 l’ha rifatto il Mossad, avvisando preventivamente gli ebrei che lavoravano nel WTC:-).

    Nel 2003 (credo) è stato approvato dal Parlamento israeliano un emendamento alla legge sulla cittadinanza che abolisce la concessione automatica della cittadinanza agli arabi palestinesi della Cisgiordania e di Gaza, che sposano un/a cittadino/a israeliano/a.

    L’emendamento è stato giustificato dal fatto che 19 attentati terroristici sono stati compiuti proprio da palestinesi che avevano ottenuto automaticamente la cittadinanza.

    La notizia è stata riportata da molti media in modo distorto, omettendo che la concessione della residenza non sarà più “automatica” ma subordinata al parere del ministro dell’Interno che valuterà se il richiedente si identifichi realmente con lo Stato di Israele, senza volerne minare la pace e la sicurezza.

    Non quindi un rifiuto a priori ma un’attenta valutazione.

    Non credo che spargere in giro bugie facilmente smascherabili giovi alla causa palestinese. Sai, qualcuno potrebbe rispolverare il vecchio adagio “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”:-).

    Forse è meglio che tu continui a concertrarti sull’11/9:-).

  10. falecius scrive:

    Rita: io non ho negato che in Siria ci sia libertà religiosa, e non ho detto (né lo penso) che Israele sia un faro di democrazia e bla bla. Ho solo detto, e lo ripeto, che l’assenza di discrimninazioni religiose (che invece per alcuni apsetti esisterebbero in Israele) non basta a fare della Siria un democrazia.

  11. utente anonimo scrive:

    E’ incredibile come i piu’ riescano a svicolare la questione di Gaza. Un campo di concentramento di massa, ove vengono perpetrati delitti su una popolazione civile totalmente innocente che subisce violenze da tutti, compresa l’ipocrita europa e la svenduta italia … Si mettono a parlare di tutto, dell’11 settembre, del cugino scippato da un arabo, del bisnonno reduce da un lager nazista…

    Mi chiedevo se e’ un reato augurarsi che un’atroce e lentissima morte colpisca tutti i sionisti e i loro lacche’ 🙂

    Massimo

  12. utente anonimo scrive:

    io questa storia non la capisco.

    troppe lacune storiche (ho appena la licenza media, non lapidatemi, però).

    a istinto, mi sembra una grande ingiustizia.

    b.

  13. utente anonimo scrive:

    la cosa interessante è che in Italia si chiama “jena Plisky” ma in lingua originale era “Snake Plisky”…….una parola come “snake” se la traduci con “serpente” ti incasina tutto il doppiaggio….

    In ogni caso buona festa del Sol Invictus a tutti.

    rubimasco

  14. utente anonimo scrive:

    Barbara

    Davanti all’ambasciata israeliana non si può fare niente, intanto fino a una grande distanza è transennata quindi, proprio davanti all’ambasciata non sarà, e poi, credimi. è più facile manifestare davanti al Quirinale o al Palazzo Chigi.

    Non è permesso a nessuno manifestare (non davanti che non è possibile)lontanto dall’ambasciata israeliana.

    I sionisti sono nati con la camicia(di forza)e hanno già sistemato le cose in modo di togliere queste possibilità a tutti.

    reza

  15. BarbaraLattanzi scrive:

    Forse pressioni sulle istituzioni diplomatiche italiane?

  16. abdannur scrive:

    Le istituzioni devono avere un interesse per agire. Oggi non ce l’hanno, ed anzi hanno parecchio interesse a restare inerti, nominalmente “equivicine” come qualcuno ha suggerito, concretamente complici in ultima istanza.

    L’interesse lo crei con una forte pressione popolare, un’informazione che renda evidenti le peggiori storture ed un’indicazione da offrir loro, piuttosto che lasciarle in balia della propria incapacità.

    La pressione – quello cui mi riferivo – va creata col consenso, il quale a sua volta va coltivato moltiplicando le occasioni di trattazione della questione, in pubblico ed a vari livelli, dalla libreria di quartiere fino al grande ateneo, passando per tutto quel che ci sta nel mezzo.

    Non c’è molto da dire circa l’informazione, che andrebbe forse coordinata maggiormente tra le varie fonti esistenti fin da oggi; eguale discorso per la “exit strategy”, che va fondamentalmente nella direzione della sospensione dell’embargo e soprattutto nel riallacciamento di rapporti umanitari e diplomatici seri e non sussurrati colla Striscia di Gaza.

    Il grosso ostacolo, per quanto mi riguarda, è la prospettiva pregiudizialmente ideologica. Un discorso che guardi ai risultati concreti da realizzarsi in Palestina è presto inglobato entro un più ampio orizzonte di lotta al nazionalismo sionista, alla sua influenza nella regione, alla strumentalità in ambito imperiale statunitense e via dicendo. Chiaramente non si tratta di respingere un orizzonte più ampio – che anzi è necessario – quanto piuttosto di capire quale relazione sia possibile stabilire tra la coscienza della situazione globale – nel limite delle proprie possibilità – e l’instaurazione di un percorso concretamente efficace per l’emancipazione del popolo palestinese.

    Secondo me questo tipo di limite sussisteva fin dall’appello “Gaza Vivrà”, cioé la dannosa commistione tra attenzione alla situazione della Striscia di Gaza ed alle sue esigenze immediate – prioritaria ed urgente, oltreché giusta – da un lato, e denuncia della politica sionista e della necessità di un’esplicita battaglia politica dall’altro. La prima istanza è passibile di raccogliere consensi, la seconda conduce inevitabilmente a delle divisioni – le quali non sono di per sé negative, ma lo sono all’atto pratico laddove il risultato cui si tiene maggiormente sia il raggiungimento di un obiettivo concreto e nel minor tempo possibile.

    Se si vuole riprendere le fila del discorso in modo efficace, secondo me è necessario farlo in un ambito meno politico e più socio-culturale – quello che, d’altra parte, pure in Palestina risulta essere l’aspetto più a rischio, ed entro il quale vi sono maggiori margini di cooperazione, sostegno, ricostruzione e progettualità. Ripartire, insomma, dagli obiettivi immediati, e farlo attraverso il più ampio consenso possibile – che, mi sembra chiaro, non equivale all’unanimismo fine a se stesso.

    Pace su di voi.

  17. utente anonimo scrive:

    Abdannur, io invece credo che l’errore risieda nel sia tipo di lotta portata sinora avanti: si chiede la distruzione di israele e si finanzia la lotta armata quando invece sarebbe preferibile usare tutte le risorse per costruire lo stato palestinese. Le scuse ufficiali sono sempre state due/tre, la mancanza di soldi, il fato che israele avrebbe distrutto quelle infrastrutture e l’esistenza dei campi profughi.

    I soldi sappiamo benissimo tutti che ci sono sempre stati e, senza attentati non ci sarebbero le rovinose ritorsioni israeliane; quanto ai campi profughi qusti sono gestiti dall’autorità palestinese e non da israele.

    Il vero problema è che a tutti rimane comodo lo status quo

    The Beyonder

  18. utente anonimo scrive:

    Perchè non provare dal valico di Rafah. I fratelli egiziani non hanno previsto alcuna limitazione per i fratelli palestinesi. Oppure si?

    SeBastiano

  19. Ritvanarium scrive:

    Scusate l’ Off Topic ma è successo un fatto gravissimo: hanno ucciso Benazir Bhutto !!! … Poi qualcuno nega ancora che il Mondo Islamico ha preso una bruttissima piega !!!

  20. kelebek scrive:

    Per Rubimasco n. 1 e Sebastiano n. 19

    Non capisco cosa c’entrino i comportamenti dei paesi arabi.

    E’ notissimo che sono governati da bande di delinquenti che hanno come primi nemici i propri popoli.

    E questo è particolarmente evidente nel caso dell’Egitto, che è il secondo paese al mondo per quantità di aiuti ricevuti dagli Stati Uniti (indovinate qual è il primo).

    Ovvio che l’Egitto partecipa al blocco di Gaza. E ovvio che i poliziotti egiziani sparano sugli studenti egiziani che manifestano a favore di Gaza.

    E’ su questa banale considerazione, su questo banale dato di fatto, che al-Qa’ida ha avuto tanto successo.

    Miguel Martinez

  21. kelebek scrive:

    Per Abdannur n. 8

    Non ce l’ho con te, la mia è una risposta generica a chi ha fatto affermazioni simili.

    Il discorso su Gaza è necessariamente politico: non si tratta di uno tsunami, ma di un assedio.

    Non credo poi che tu conosca il lungo lavoro diplomatico con cui si è tentato di fare un discorso più ampio su Gaza.

    Non è semplicemente possibile, per alcuni motivi banali:

    1) la casta dei “rappresentanti della Palestina” in Italia, cioè gli ex-rivoluzionari inseriti nella vita borghese del nostro paese, è in gran parte legata alla banda di Abu Mazen, che è il primo a profittare dell’assedio a Gaza

    2) Anche quella parte della diaspora palestinese che non è legata alla banda di Abu Mazen – come il FPLP – è comunque vicina alla sinistra italiana, cioè a chi oggi partecipa direttamente all’assedio di Gaza

    3) Anche chi a sinistra non è d’accordo con la partecipazione all’assedio a Gaza, ha comunque paura di mettere in imbarazzo un governo che si è dimostrato assai precario; e qui stiamo parlando di tutto il mondo delle ONLUS, delle ONG ecc.

    4) Ecco perché purtroppo l’iniziativa per Gaza poteva avere il sostegno solo di un’area abbastanza ristretta di persone, in particolare di chi è uscito da sinistra dal Partito della Rifondazione Comunista (come, in modi diversi, Turigliatto e Ferrando).

    Miguel Martinez

  22. kelebek scrive:

    Per The Beyonder n. 18

    1) Quando parliamo di “Palestina”, ricordiamoci che stiamo parlando di quattro piccolissimi nuclei di territorio attorno a popolose città – Nablus, Ramallah, al-Khalil, Gaza – divise da enormi insediamenti e intere città ebraiche.

    Quindi non stiamo parlando di un territorio in grado di diventare uno stato, o di avere un’economia.

    2) Da diversi anni ormai, i palestinesi fanno “attentati” – cioè lanci di inutili razzi verso un unico insediamento israeliano – unicamente in risposta alle incursioni israeliane. Basta leggere attentamente i comunicati per capirlo.

    Quindi togliamo di mezzo la questione del “terrorismo”.

    3) Non esiste un finanziamento della lotta armata.

    Esiste un’altra cosa: il tentativo che Israele persegue da anni, di fare sì che siano i palestinesi a sparare sui palestinesi, al posto loro.

    4) Perché ciò avvenga, deve esistere un gruppo di palestinesi armati.

    Inoltre, Israele è riuscito a evadere al proprio dovere legale di curare la sopravvivenza delle popolazioni sotto la propria occupazione, passando la palla agli europei e ad altri donatori stranieri, ma continuando a controllare in gran parte la destinazione dei fondi.

    Questo vuol dire:

    a) che l’economia palestinese può solo campare di elemosina

    b) che quell’elemosina viene assegnata politicamente (enormi regali ad Abu Mazen, la fame per Gaza)

    c) che chi riceve quell’elemosina, può pagare la gente

    d) chi paga la gente lo fa per rafforzare il proprio potere, e quindi investe soprattutto in guardie armate, sotto vesti ufficiali e non

    e) ne consegue che le quattro isole della Palestina pullulano di bande armate, carceri segrete, giovani che sanno solo usare un’arma

    f) la peggiore banda privata di tutta la Palestina, quella di Muhammad Dahlan, è stata cacciata di Gaza, ma ne restano tante altre.

    Miguel Martinez

  23. abdannur scrive:

    Rispondi pure come preferissi, mi rendo perfettamente conto che non si tratta di questioni personali.

    E’ sul punto 3) che resto perplesso.

    Parto da un assunto preliminarmente a-partitico. E’ evidente che non è possibile aspettarsi l’appoggio di qualche forza politica dell’attuale schieramento parlamentare.

    Guardo quindi alla società civile, e resto perplesso circa l’irrealizzabilità di un discorso ampio ed efficace sulla questione palestinese. Se un’associazione nicchia, ce ne dev’essere un’altra. Ancora una volta, penso a coinvolgimenti personali, sulla falsa riga della raccolta firme, ma che da una firma inneschino percorsi di coinvolgimento ulteriore. Credo che le associazioni vengano di seguito, e non in precedenza, almeno a proposito di questo tema.

    D’altronde mi chiedo a cosa valga un appello al governo italiano laddove si abbia la perfetta consapevolezza di non poter contare nemmeno sulla parte più estrema dell’attuale schieramento politico. Non si tratta di contestarlo di per sé; è chiaro che sia meglio che nulla, è chiaro il valore testimoniale, è chiaro che sia preferibile muovere le acque, piuttosto che stare a braccia conserte dinanzi ai cancelli dei check points. Tuttavia delle premesse del genere suggeriscono una base diversa, mi sembra. Il problema bisogna porselo, pure con tutte le difficoltà del caso.

  24. utente anonimo scrive:

    Sulla natura dei governi nei paesi arabi o resi arabi del medio oriente concordiamo in pieno.

    E’ qui iniziano le incompresioni: Israele vigila su Gaza per proteggere sè stesso, inteso come popolo. L’Egitto vigila su Gaza per proteggere la propria classe dirigente.

    Eppure l’unico bersaglio di “Gaza vivrà” è Israele, ossia quello che tra i due custodi è giustificato. Perchè?

    Sebastiano

    p.s. Nel caso dell’Egitto abbiamo anche un esempio di eterogenesi dei fini: proteggendosi dal fanatismo di Hamas e dei fratelli mussulmani, la classe dirigente cerca anche di evitare che il popolo egiziano finisca governato da fanatici religiosi.

  25. 6by9add6add9 scrive:

    Stavo notando una cosa., quando si parla di Palestina i commenti sono sempre molto ridotti rispetto alla media dei post., e non so se e’ dovuto alla scarsa conoscenza del problema o alla scarsa volonta’ di parlare del problema., propendo per la seconda ipotesi seppur dando alla prima un lieve margine di vantaggio.. poveri fratelli palestinesi., cosi nella vita cosi’ nei blog., chi mai li aiutera’ davvero? ma davvero davvero?

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