La nostra terra

In questi giorni, ho scoperto Trescogli, “Contadino, vignaiolo, boscaiolo — Cultore del Grande Pennato Apuo.

Spero di incontrarlo un giorno di persona, ma attualmente ne ignoro il nome, so solo che vive in alto, a Tre Scolli, frazione di Camaiore, sulle Alpi Apuane.

Mi ha permesso di pubblicare anche qui alcune delle sue storie, che credo spieghino molto di ciò che è il nostro Granducato. Che – come tutti i luoghi di questo incredibile pianeta – è il luogo più bello del mondo.

Pieno di cose a malapena visibili, come il pettirosso che lui ci sfida a vedere:

Chesterton diceva:

“Yea; Heaven is everywhere at home
The big blue cap that always fits,
And so it is (be calm; they come
To goal at last, my wandering wits),
So is it with the heroic thing;
This shall not end for the world’s end
And though the sullen engines swing,
Be you not much afraid, my friend.”

Trescogli ha sia un blog, sia un canale su Twitter, che è ottimo per farsi conoscere, ma è poco adatto a raccontare storie, e quindi spero di fare cosa utile rendendo le sue più leggibili qui.

Ecco come si presenta:

Ritornare qui è stata la mia liberazione da catene invisibili. Ho ritrovato il mio tempo, non sono schiavo dei ritmi imposti da una società malata. Ho solo il compito di fare cose che mi servono per vivere, coltivare, fare legna, accudire gli animali.

Ogni anno allevo un maiale così come facevano una volta. Quindi carne, salsicce, lardo ecc. Ho qualche gallina che mi fornisce uova, non ho conigli. Il formaggio lo prendo da un pastore che ha un bel gregge di 120 tra capre e pecore e a volte riesco anche a prenderci la ricotta.

Ovviamente ho contatti con i paesani quando scendo per comprare qualche piccola cosa indispensabile, olio, sale e poco altro. Ogni settimana il pane, focaccia biscotti, dolci, è opera di una mia vicina che ha il forno a legna e io fornisco la legna.

I contatti umani qui sono rari qui da me, solo il fine settimana ci sono persone che imboccano i due sentieri che partono da qui per salire sulle Apuane. Il saluto è d’obbligo quando ci si incontra. Per educazione, per condivisone dei luoghi e del rispetto della natura.

Il tempo qui ha una dimensione diversa dal vivere in una comunità più grande sia essa un paese o una città. Inoltre si riconoscono gli odori e i profumi della natura e dei suoi animali, e il silenzio della notte è interrotto solo dal canto del gufo o del barbagianni.

Pranzo alle 12 e ceno alle 19 come facevano i miei nonni. Riconosco il divenire delle stagioni, nonostante i cambiamenti climatici,dalla natura che mi circonda. L’unica “modernità” che possiedo sono uno smartphone e un computer portatile con un collegamento via parabola.

Non ho l’orologio al polso, mai avuto. Ma da quando sono qui ho sviluppato il senso di riconoscere il tempo, il mio corpo è diventato un orologio. L’intensità della luce quando è nuvoloso, le ombre quando c’è il sole.

Sono circondato dal bosco in cui vivono cinghiali, daini, caprioli, istrici, tassi e volpi. Otre a volatili come poiane, gheppi, merli, ghiandaie, corvi, pettirossi e passeri. Il bosco è a maggioranza composto da lecci, querce e frassini, ontani.

Molti anni fa sono tornato a vivere in montagna recuperando quello che era un rustico con un pò di terra coltivabile di proprietà dei miei nonni. Una casa con solidi muri in pietra, composto di 4 stanze, due a pianterreno e due al primo piano, di circa 60 mq totali.

Coltivo l’orto per necessità personale con verdure, patate, mais ecc. E faccio conserve, passate . Faccio legna nel bosco per i lunghi inverni. L’acqua proviene da una sorgente privata, con un deposito costruito negli anni sessanta e controllata regolarmente.

Quindi l’unica fonte di energia che pago è l’elettricità. Nella mia proprietà, di circa 4.000 mq destinata alla coltivazione ci sono anche piante di vario tipo, da frutto (pesche, albicocche, susine, pere, mele) poi noci e ciliegi.

Prima questo rudere era adibito a stalla, al pianoterra le stalle per il bestiame, pecore e vacche e al primo piano il fienile e la rimessa degli attrezzi. La casa ha una finestra per ogni stamza, tutte e quattro rivolte a sud e una verso nord.

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25 risposte a La nostra terra

  1. daouda scrive:

    DUSCIEH !

  2. Peucezio scrive:

    In questo momento, beato lui!

    Fa parte di quelle risicatissime minoranze di persone per le quali in questi giorni non è cambiato praticamente nulla.

  3. PinoMamet scrive:

    Non è una vita per tutti.
    Rispetto chi la fa…
    come chi fa quella completamente opposta.

  4. Pierluigi Vernetto scrive:

    grande…. fra un po’ cominceranno ad arrivargli dei cittadini in cerca di rifugio, come sfollati in tempo di guerra…

  5. mirkhond scrive:

    Ma se non si può uscire manco dale proprie case!

  6. mirkhond scrive:

    Con i controlli che ci sono?

    • Peucezio scrive:

      Mah… io oggi sono andato piuttosto lontano da casa per comprare alimenti.
      Ti assicuro che sarei potuto tranquillamente andare a trovare miei parenti e amici che abitano da quelle parti, senza incorrere in alcun tipo di problema.
      Cosa che peraltro di per sé non è che crei grossi problemi, se uno va sempre dalle stesse persone.
      Io non lo faccio, perché i miei amici potrebbero sempre contagiarmi e, quanto ai miei parenti, sono anziani e se io contagiassi loro, sarebbero guai.
      E’ chiaro che se uno comincia a farlo abitualmente, aumentano le probabilità che lo pizzichino.

  7. Andrea Di Vita scrive:

    @ tutti

    I DUE “STILI” STARTEGICI DI GESTIONE DELL’EPIDEMIA A CONFRONTO (Di Roberto Buffagni).

    Propongo una ipotesi in merito ai diversi stili strategici di gestione dell’epidemia adottati in Europa e altrove. Sottolineo che si tratta di una pura ipotesi, perché per sostanziarla ci vogliono competenze e informazioni statistiche, epidemiologiche, economiche che non possiedo e non si improvvisano. Sono benvenute le critiche e le obiezioni anche radicali.

    L’ipotesi è la seguente: lo stile strategico di gestione dell’epidemia rispecchia fedelmente l’etica e il modo di intendere interesse nazionale e priorità politiche degli Stati e, in misura minore, anche delle nazioni e dei popoli. La scelta dello stile strategico di gestione è squisitamente politica.

    Gli stili strategici di gestione sono essenzialmente due:

    1. Non si contrasta il contagio, si punta tutto sulla cura dei malati (modello tedesco, britannico, parzialmente francese)
    2. Si contrasta il contagio contenendolo il più possibile con provvedimenti emergenziali di isolamento della popolazione (modello cinese, italiano, sudcoreano).

    Chi sceglie il modello 1 fa un calcolo costi/benefici, e sceglie consapevolmente di sacrificare una quota della propria popolazione. Questa quota è più o meno ampia a seconda delle capacità di risposta del servizio sanitario nazionale, in particolare del numero di posti disponibili in terapia intensiva. A quanto riesco a capire, infatti, il Coronavirus presenta le seguenti caratteristiche: alta contagiosità, percentuale limitata di esiti fatali (diretti o per complicanze), ma percentuale relativamente alta (intorno al 10%, mi pare) di malati che abbisognano di cure nei reparti di terapia intensiva. Se così stanno le cose, in caso di contagio massiccio della popolazione – in Germania, ad esempio, Angela Merkel prevede un 60-70% di contagiati – nessun servizio sanitario nazionale sarà in grado di prestare le cure necessarie a tutta la percentuale di malati da ricoverarsi in T.I., una quota dei quali viene così condannata a morte in anticipo. La quota di pre-condannati a morte sarà più o meno ampia a seconda delle capacità del sistema sanitario, della composizione demografica della popolazione (rischiano di più i vecchi), e di altri fattori imprevedibili quali eventuali mutazioni del virus.

    La ratio di questa decisione sembra la seguente:

    1. L’adozione del modello 2 (contenimento dell’infezione) ha costi economici devastanti
    2. La quota di popolazione che viene pre-condannata a morte è in larga misura composta di persone anziane e/o già malate, e pertanto la sua scomparsa non soltanto non compromette la funzionalità del sistema economico ma semmai la favorisce, alleviando i costi del sistema pensionistico e dell’assistenza sanitaria e sociale nel medio periodo, per di più innescando un processo economicamente espansivo grazie alle eredità che, come già avvenuto nelle grandi epidemie del passato, accresceranno liquidità e patrimonio di giovani con più alta propensione al consumo e all’investimento rispetto ai loro maggiori.
    3. Soprattutto, la scelta del modello 1 accresce la potenza economico-politica relativa dei paesi che lo adottano rispetto ai loro concorrenti che adottano il modello 2, e devono scontare il danno economico devastante che comporta. Approfittando delle difficoltà dei loro concorrenti 2, le imprese dei paesi 1 potranno rapidamente sostituirsi ad essi, conquistando significative quote di mercato e imponendo loro, nel medio periodo, la propria egemonia economica e politica.

    Naturalmente, per l’adozione del modello 1 sono indispensabili due requisiti: un centro direzionale politico statale coerentemente e tradizionalmente orientato su una accezione particolarmente radicale e spietata dell’interesse nazionale (tipici i casi britannico e tedesco); una forte disciplina sociale (ecco perché l’adozione del modello 1 da parte della Francia sarà problematica, e probabilmente si assisterà a una riconversione della scelta strategica verso il modello 2).

    L’adozione del modello 1, insomma, corrisponde a uno stile strategico squisitamente bellico. La scelta di sacrificare consapevolmente una parte della popolazione economicamente e politicamente poco utile a vantaggio della potenza che può sviluppare il sistema economico-politico, in soldoni la scelta di liberarsi dalla zavorra per combattere più efficacemente, è infatti una tipica scelta necessitata in tempo di guerra, quando è normale perché indispensabile, ad esempio, privilegiare cure mediche e rifornimenti alimentari dei combattenti su cura e vitto di tutti gli altri, donne, vecchi e bambini compresi, nei soli limiti imposti dalla tenuta del morale della popolazione, che è altrettanto indispensabile sostenere.

    Gli Stati che adottano il modello 1, dunque, non agiscono come se i loro concorrenti fossero avversari, ma come se fossero nemici, e come se la competizione economica fosse una vera e propria guerra, che si differenzia dalla guerra guerreggiata per il solo fatto che non scendono in campo gli eserciti. La condotta di questo tipo di guerra, proprio perché è una guerra coperta, sarà particolarmente dura e spietata, perché non vi ha luogo alcuno né il diritto bellico, né l’onore militare che ad esempio vieta il maltrattamento o peggio l’uccisione di prigionieri e civili, l’impiego di armi di distruzione di massa, etc. Per concludere, la scelta del modello 1 privilegia, nella valutazione strategica, la finestra di opportunità immediata (conquistare con un’azione rapida e violenta un vantaggio strategico sul nemico) sulla finestra di opportunità strategica di medio-lungo periodo (rinsaldare la coesione nazionale, diminuire la dipendenza e vulnerabilità della propria economia dalle altrui accrescendo investimenti statali e domanda interna).

    ***

    Alla luce di quanto delineato a proposito degli Stati che adottano il modello 1, è più facile descrivere lo stile etico-politico degli Stati che adottano il modello 2.

    Nel caso della Cina, è indubbio che il centro direttivo politico cinese sappia molto bene che la competizione economica è componente decisiva della “guerra ibrida”. Furono anzi proprio due colonnelli dello Stato Maggiore cinese, Liang Qiao e Xiangsui Wang, che negli anni Ottanta elaborarono il testo seminale sulla “guerra asimmetrica”[1]. Credo che il centro direzionale politico cinese abbia scelto, pare con successo, di adottare il modello 2 per tre ragioni di fondo: a) il carattere spiccatamente comunitario della tradizione culturale cinese, nella quale il concetto liberale di individuo e il concetto cristiano di persona hanno rilievo scarso o nullo b) il profondo rispetto per i vecchi e gli antenati, cardine del confucianesimo c) una valutazione strategica di lungo periodo, riassumibile in queste due massime di Sun Tzu, il pensatore che più ispira lo stile strategico cinese: “La vittoria si ottiene quando i superiori e gli inferiori sono animati dallo stesso spirito” e “Una guida coerente permette agli uomini di sviluppare la fiducia che il loro ambiente sia onesto e affidabile, e che valga la pena combattere per esso.” In altri termini, penso che la direzione cinese abbia valutato che il vantaggio strategico di lungo periodo di preservare e anzi rafforzare la coesione sociale e culturale della propria popolazione superasse il costo di breve-medio periodo del danno economico, e della rinuncia a profittare nell’immediato delle difficoltà degli avversari. Perché “le vie che portano a conoscere il successo” sono tre: 1. Sapere quando si può o non si può combattere 2. Sapersi avvalere sia di forze numerose che di forze esigue 3. Saper infondere uguali propositi nei superiori e negli inferiori.”

    Nel caso dell’Italia, la scelta – per quanto incerta e mal eseguita – del modello 2 credo dipenda dalle seguenti ragioni. 1) Sul piano culturale, dall’influsso della civiltà italiana ed europea premoderna, infusa com’è di sensibilità precristiana, contadina e mediterranea per la famiglia e la creaturalità, poi parzialmente assorbita dal cattolicesimo controriformato e dal barocco: un influsso di lunghissima durata che continua ad operare nonostante la protestantizzazione della Chiesa cattolica odierna, e nonostante l’egemonia culturale, almeno di superficie, di liberalismo ideologico e liberismo economico 2) Sempre sul piano culturale, dal pacifismo instaurato dopo la sconfitta nella IIGM e perpetuato prima dalle sinistre comuniste e dal mondo cattolico, poi dalle dirigenze liberal-progressiste UE; un pacifismo che genera espressioni buffe come “soldati di pace”, e la negazione metodica della dimensione tragica della storia 3) Sul piano politico, sia dal grave disordine istituzionale, ove i livelli decisionali si sovrappongono e ostacolano reciprocamente, come s’è palesato nel conflitto tra Stato e Regioni all’apertura della crisi epidemiologica; sia dalle preoccupazioni elettorali di tutti i partiti; sia dalla fragile legittimazione dello Stato, antico problema italiano 4) sul piano politico-operativo, dalla sbalorditiva incapacità delle classi dirigenti, nelle quali decenni di selezione alla rovescia e abitudine a scaricare responsabilità, scelte e relative motivazioni sulle spalle dell’Unione Europea hanno indotto una forma mentis che induce sempre a imboccare la linea di minor resistenza: che in questo caso è proprio la scelta di contenere il contagio, perché per scegliere la via del triage bellico di massa (comunque la si giudichi, e io la giudico molto negativamente) ci vuole una notevolissima capacità di decisione politica.

    In altre parole, la scelta italiana del modello 2 ha ragioni superficiali e consapevoli nei nostri difetti politici e istituzionali, e ragioni profonde e semiconsapevoli nei pregi della civiltà e della cultura a cui, quasi senza più saperlo, l’Italia continua ad ispirarsi, specie nei momenti difficili: siamo stati senz’altro umani e civili, e forse anche strategicamente lungimiranti, senza sapere bene perché. Però lo siamo stati, e di questo dobbiamo ringraziare i nostri antenati defunti, i Lari[2] il cui culto, sotto diversi nomi, si perde nei secoli e millenni; e che senza saperlo, oggi onoriamo e veneriamo facendo tutto il possibile per curare i nostri padri, madri, nonni, anche se non servono più a niente.

    Farebbe sorridere Sun Tzu e forse anche Hegel constatare che i due modelli impongono metodi operativi di implementazione esattamente opposti rispetto allo stile strategico.

    L’implementazione del modello 1 (non conteniamo il contagio, sacrifichiamo consapevolmente una quota di popolazione) non richiede alcuna misura di restrizione della libertà: la vita quotidiana prosegue esattamente come prima, tranne che molti si ammalano e una percentuale non esattamente prevedibile ma non trascurabile di essi, non potendo ottenere le cure necessarie per ragioni di capienza del servizio sanitario, muore.

    L’implementazione del modello 2 (conteniamo il contagio per salvare tutti i salvabili) richiede invece l’applicazione di misure severissime di restrizione delle libertà personali, e anzi esigerebbe, per essere coerentemente effettuato, il dispiegamento di una vera e propria dittatura, per quanto morbida e temporanea, in modo da garantire l’unità del comando e la protezione della comunità dallo scatenamento delle passioni irrazionali, cioè da se stessa. Operativamente, la direzione esecutiva del modello 2 dovrebbe essere affidata proprio alle forze armate, che possiedono sia le competenze tecniche, sia la struttura rigidamente gerarchica adatte.

    Concludo dicendo che sono contento che l’Italia abbia scelto di salvare tutti i salvabili. Lo sta facendo goffamente, e non sa bene perché lo fa: ma lo fa. Stavolta è facile dire: right or wrong, my country.

    Ciao!

    Andrea Di Vita

    • werner scrive:

      l’Articolo ha qualche spunto interessante, ma temo ci siano degli errori di fondo.

      In primo luogo tentare di applicare il modello 1 in un paese democratico credo sarà impossibile, per inciso mi pare anche un po’ folle come idea per superare la crisi, ma io non sono un epidemiologo.

      Secondo, Francia e Germania sembra stiano rapidamente slittando verso il modello 2. Quindi al momento restano solo la GB (e in parte gli Usa) a perseguire davvero il modello 1.

      Tezo, la scelta di Usa e Gb è davvero una scelta? Io noto che sono due tra i peggiori sistemi sanitari del mondo sviluppato. Vedremo come va.

      Quarto, il modello sudcoreano mi pare abbastanza diverso dal modello Italiano. Si cerca di salvare tutti senza bloccare tutto. E sembra funzioni benone.

    • Francesco scrive:

      spiacente ma il cosiddetto modello 1 sarebbe totalmente nelle corde della dirigenza cinese

      se non lo hanno adottato, o non è un vero modello praticabile o ha costi molto più alti

      la storia cinese è di sistematico sacrificio di larghissime quote di popolazione per gli interessi di chi comanda, mi risulta difficilissimo credere che siano diventati buonisti per vaghi motivi strategici di lungo periodo

      ciao

    • habsburgicus scrive:

      l’avevo già condiviso ieri 😀

  8. mirkhond scrive:

    “Se potessi addormentarmi qui e domani mattina svegliarmi, mettere il basto all’asino e andare alla vigna. Se potessi addormentarmi e svegliarmi, non soltanto con i polmoni sani, ma anche con la testa di un uomo normale, col cervello liberato da tutte le astrazioni. Se potessi rientrare nella vita reale e normale. Zappare, arare, seminare, raccogliere, guadagnarmi da vivere e la domenica parlare con gli altri uomini. Adempiere la Legge che dice: ” tu ti guadagnerai la vita col sudore della tua fronte”. A rifletterci bene, forse l’origine delle mie angoscie è in questa infrazione all’antica Legge, nella mia abitudine di vivere tra i caffè, le biblioteche e gli alberghi, nell’aver rotto la catena che per secoli aveva legato i miei antenati alla terra. Forse mi sento un uomo fuori legge, non tanto perché contravvengo ai decreti arbitrari del partito al potere quanto perché sono fuori di quella più vecchia Legge che aveva stabilito: ” tu ti guadagnerai da vivere col sudore della tua fronte”. Non sono più un contadino, ma neppure sono diventato un politico; mi è impossibile tornare alla terra, ma ancora più difficile tornare nel mondo immaginario in cui ho vissuto finora.”

    Ignazio Silone, Vino e Pane

    • Peucezio scrive:

      Bellissimo!

      • Francesco scrive:

        Peceuzio

        di alternative a fare il contadino è piena la Storia

        anche se posso capire il problema di Silone

        PS bellissimi i romanzi, comunque

    • Z. scrive:

      Silone spia. Lo salva, in parte, avere ispirato il titolo di un pezzo dei Metallica (The God That Failed).

      • mirkhond scrive:

        Spia molto tormentata.

      • Peucezio scrive:

        Spia di chi per chi?
        Ricordatemi un po’ la faccenda…

        • mirkhond scrive:

          Allora

          Secondo studi recenti, diciamo da circa 25 anni, è emerso che Silone tra il 1919 e il 1930 avrebbe condotto una doppia vita: da una parte dirigente giovanile socialista e poi comunista (fu uno dei fondatori del Partito Comunista d’Italia nel 1921) e dall’altra informatore della polizia politica italiana.
          La quale grazie alla sua collaborazione, riuscì ad assestare un colpo talmente duro al partito comunista italiano, da costringerlo a spostare la sua direzione all’estero nel 1927.
          Nel 1924, questa doppia vita avrebbe provocato in Secondino Tranquilli (questo il vero nome di Ignazio Silone) una prima crisi di coscienza, poi superata per le pressioni del commissario di polizia Guido Bellone, a cui il giovane informatore inviava relazioni molto dettagliate sul’attività dei comunisti italiani in patria e soprattutto all’estero, Svizzera, Francia, Germania, Urss, attività divenuta clandestina dopo l’avvento del fascismo.
          Tuttavia nel 1928, in seguito all’attentato a Milano contro Vittorio Emanuele III, venne arrestato il suo giovane fratello, Romolo Tranquilli, il quale sulle orme del fratello era anche lui diventato clandestinamente comunista.
          Il giovane Tranquilli, accusato di essere uno degli attentatori, probabilmente venne pestato dalla polizia e nel 1931, sebbene fossero cadute le accuse di terrorismo, venne condannato a 12 anni di carcere per comunismo dal Tribunale Speciale.
          Fu inviato nel carcere di Perugia, considerato uno dei più duri d’Italia, dove le sue condizioni di salute si aggravarono da farlo trasferire a Nisida, dove morì nel 1932 a 28 anni.
          Silone, che dal 1928 risiedeva stabilmente in Svizzera, cercò di aiutare il fratello attraverso una campagna di mobilitazione internazionale, ma nello stesso tempo si riaffacciò la grave crisi depressiva, probabilmente vissuta come un castigo divino per la sua attività delatoria.
          Questa crisi gravissima che lo portò sull’orlo del suicidio, lo portò sia ad allontanarsi sempre di più dal partito comunista di cui era diventato uno dei massimi dirigenti, e sia conseguentemente dalla sua attività delatoria.
          Riuscì a sopravvivere grazie al ricovero nella clinica psichiatrica di Jung dove si dette alla scrittura, iniziando a comporre il suo primo romanzo, Fontamara, scritto nel 1929-1930, poi rielaborato e infine edito nel 1933, facendolo diventare uno scrittore di fama mondiale.
          Tuttavia stando malissimo, non fu in grado di salvare il fratello dalla prigione e dalla morte, e divorato dal senso di colpa, passò il resto della sua vita a scrivere e riscrivere sempre la stessa storia, la sua, per cercare, anche alla luce di un doloroso cammino religioso che lo portò a riscoprire Cristo e poi, gradualmente a riavvicinarsi anche alla Chiesa, di elaborare, di trovare un senso agli eventi spaventosi che avevano segnato irrimediabilmente la sua giovinezza tra gli 11 e i 32 anni.
          Durante la seconda guerra mondiale comunque, riprese la sua attività di spia, questa volta per l’OSS statunitense, poi CIA, perché spaventato dal dilagare del comunismo da cui si era sempre più distaccato, ritenendolo, non a torto, un altro totalitarismo non migliore del fascismo.
          Tuttavia finché visse, il suo ruolo di spia non venne mai alla luce, e fu solo molti anni dopo la sua morte (1978) che nel 1996, due storici, Dario Biocca e Mauro Canali, analizzando gli archivi della polizia italiana, scoprirono che Silone era stato appunto un informatore.
          Alla luce di questa scoperta, che trovò un fuoco intenso di critiche da Indro Montanelli al gotha dell’antifascismo non comunista italiano, che non riuscì a reggere lo shock di tali rivelazioni, la rilettura dei romanzi di Silone acquistò un nuovo senso, soprattutto Vino e Pane.

  9. mirkhond scrive:

    E’ tratto dal romanzo più autobiograficamente drammatico di Silone, scritto nell’esilio svizzero nel 1936-1937 e poi rielaborato più volte nei decenni successivi.
    In esso l’autore esule e in cura psichiatrica per una serie di tragedie personali e famigliari che lo avevano portato sull’orlo di un suicidio, immagina di poter tornare nella nativa Marsica e qui, dall’incontro con la realtà contadina della sua terra, liberarsi gradualmente delle astrazioni marxiste della gioventù, pur restando un socialista nella sostanza e ritrovando nella rinata fede in Cristo e nella rielaborazione letteraria la terapia per elaborare, dare un senso alle sue sofferenze.
    Nel romanzo infatti l’autore spiega l’origine di tali sofferenze proprio nell’aver abbandonato il suo paese e di essere diventato uno sradicato cosmopolita, finendo risucchiato tra la sua doppia vita di dirigente comunista e di informatore della polizia italiana, in un gioco più grande di lui al punto da quasi stritolarlo……

  10. mirkhond scrive:

    Un pensiero alla cara Lombardia che sta vivendo un momento così difficile:

    https://youtu.be/PZbTQrRvMsM

  11. Miguel Martinez scrive:

    Di solito evito di fare l’estremista, ma trovo terrificante questa dichiarazione congiunta dei governi della “Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti” sulla Siria (notare come gli “Stati Uniti” si mettono modestamente in fondo):

    https://www.state.gov/joint-statement-on-the-ninth-anniversary-of-the-syrian-uprising/

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