L’Evento (3)

Abbiamo pubblicato due articoli – uno sui rifiuti e uno sulla scommessa – come premessa a una riflessione di Douglas Rushkoff, artista, tecnologo, filosofo dei nuovi media.

Non posso giurare che non abbia abbellito letterariamente l’episodio iniziale, ma è un punto di partenza straordinario per capire la direzione in cui sta correndo il treno del mondo. E che è molto, molto di più di un semplice “problema ambientale”.

Ogni giorno, veniamo invitati a mettere un ditino nelle crepe della diga ambientale che sta crollando, dalle stesse persone che stanno riempiendo il bacino.

Rushkoff descrive il rapporto tra questo fenomeno, la cultura sottostante della scommessa, gli immaginari di futuro e le tecnolosuzioni che stanno nascendo, in modo talmente chiaro e semplice, che ci siamo presi la briga di tradurre tutto.

Sul sito dal significativo nome di Futurism, si illustrano così varie immaginifiche tecnosoluzioni proposte per il cambiamento climatico, tutte forme ingigantite dello stesso meccanismo che ci ha messi in questa situazione

Survival of the Richest

The wealthy are plotting to leave us behind

L’anno scorso sono stato invitato in un luogo privato di villeggiatura di superlusso, per tenere un discorso di apertura davanti a quelli che pensavo sarebbero stati un centinaio di banchieri investitori. Non mi era mai stato offerto tanto denaro per fare un discorso – circa la metà del mio stipendio annuo come professore universitario – per raccontare un po’ di intuizioni sul tema del ‘futuro della tecnologia’.

Non mi è mai piaciuto parlare del futuro. Le sessioni di domande e risposte finiscono sempre in una sorta di gioco da salotto, dove mi si chiede di dire la mia sugli ultimi termini di moda nella tecnologia, come se fossero indicatori per potenziali investimenti: blockchain, stampa 3D, CRISPR. Il pubblico di rado è interessato a imparare qualcosa a proposito di queste tecnologie o dei loro potenziali impatti al di là della scelta binaria se investirvi o no. Ma il denaro parla, e così ho accettato l’invito.

Appena arrivato, mi hanno portato in quello che pensavo sarebbe stato il camerino. Ma invece di  attaccarmi un microfono o condurmi verso il palco, mi hanno messo a sedere a un semplice tavolo rotondo, mentre mi veniva portato il pubblico: cinque super-ricchi, sì tutti maschi, il vertice del mondo degli hedge fund. Dopo un po’ di conversazione superficiale, mi sono reso conto che non erano affatto interessati alle domande per cui mi ero preparato riguardanti il futuro della tecnologia. Erano arrivati con  domande tutte loro.

Hanno cominciato in maniera abbastanza innocua. Ethereum o bitcoin? Il quantum computing esiste davvero? Ma pian piano si sono avvicinati ai temi a cui erano davvero interessati.

Quale regione sarà meno colpita dall’imminente crisi climatica: Nuova Zelanda o Alaska? E’ vero che Google sta costruendo una casa per il cervello di Ray Kurzweil? La sua coscienza sopravviverà alla transizione, o rinascerà come una coscienza totalmente nuova? Alla fine, il CEO di una brokerage house raccontò che aveva quasi completato la costruzione del proprio sistema di bunker sotterranei, e chiese, “Come farò a mantenere l’autorità sulle mie forze di sicurezza dopo l’Evento?”

L’Evento. Era il loro eufemismo per il collasso ambientale, sommosse sociali, esplosione nucleare, virus incontenibile o hackeraggio robotico che butta giù tutto.

Quella singola domanda occupò il resto dell’ora. Sapevano che ci sarebbero volute guardie armate per difendere le loro ville da folle infuriate. Ma come si potevano pagare le guardie, una volta che i soldi avevano perso ogni valore?  Chi poteva impedire alle guardie di scegliere i propri capi? I miliardari pensavano di usare speciali serrature a combinazione per proteggere i depositi di cibo che loro soltanto conoscevano. O far indossare collari di qualche tipo alle guardie, in grado di controllarle, in cambio della loro sopravvivenza. O forse di costruire robot come guardie e operai – se c’era abbastanza tempo per sviluppare la tecnologia richiesta.

Dopo aver assassinato Caligola, la guardia pretoriana scopre Claudio nascosto dietro a una tenda e lo proclama imperatore (dipinto di Lawrence Alma-Tadema, Wikicommons)

Fu allora che capii: almeno secondo questi signori, si trattava davvero di una discussione sul futuro della tecnologia.

Prendendo la mossa da Elon Musk che aspira a colonizzare  Marte, Peter Thiel che inverte il processo di invecchiamento, o Sam Altman e Ray Kurzweil che fanno l’upload delle loro menti in supercomputer, si stavano preparando a un futuro digitale che non aveva tanto a che fare con il rendere il mondo un luogo migliore, quanto nel trascendere del tutto la condizione umana e isolarsi da un pericolo molto reale e presente di cambiamento climatico, livelli del mare che si alzano, migrazioni di massa, pandemie globali, panico nativista ed esaurimento delle risorse. Per loro, il futuro della tecnologia riguarda una sola cosa: la fuga.

Non c’è nulla di male a lasciarsi andare a con fantasie folli su come la tecnologia potrebbe beneficiare la società umana.

Ma la spinta attuale verso un’utopia postumana è qualcosa di diverso.

E’ meno la visione di una migrazione in massa dell’umanità verso un nuovo stato dell’essere, che il tentativo di trascendere tutto ciò che è umano: il corpo, l’interdipendenza, la compassione, la vulnerabilità e la complessità. Come segnalano da anni i filosofi della tecnologia, la visione transumanista troppo facilmente riduce tutta la realtà a dati, arrivando alla conclusione che “gli esseri umani non sono altro che oggetti che elaborano informazioni.”

Si tratta di ridurre l’evoluzione umana a un videogioco che qualcuno vince scoprendo la via di fuga e poi invitando un paio di amici a fare un giro con lui. Sarà Musk, Bezos, Thiel…Zuckerberg? Questi miliardari sono i presunti vincitori dell’economia digitale – lo stesso scenario affaristico di sopravvivenza del più adatto che alimenta proprio questa speculazione.

Ovviamente, non è sempre stata così. C’è stato un breve momento, nei primi anni Novanta, in cui il futuro digitale sembrava aprire nuove prospettive, che dipendevano dalla nostra inventiva. La tecnologia era diventata un parco giochi per la controcultura, che vi vedeva un’occasione per creare un futuro più inclusivo, distribuito e filoumano. Ma gli interessi affarstici vedevano soltanto nuove potenzialità per la stessa vecchia estrazione, mentre troppi tecnologi finirono per lasciarsi sedurre da nuove ditte. I futures digitali diventarono sempre più come i futures della borsa o del cotone – qualcosa da prevedere e sui scommettere.

Notate il caratteristico colore/grafica, meriterebbe un approfondimento…

Così quasi ogni discorso, articolo, studio documentario o ricerca diventa significativo unicamente in quanto indica un segno di borsa. Il futuro è diventato meno una cosa che creiamo attraverso le nostre scelte o speranze attuali per l’umanità, che uno scenario predestinato su cui scommettiamo con il nostro capitale di rischio.

Ciò ha liberato tutti dalle implicazioni morali delle proprie attività. Lo sviluppo della tecnologia è diventato meno una storia di fioritura collettiva che di sopravvivenza personale. Peggio, mi sono reso conto che se richiamo l’attenzione su questo, vengo considerato, contro le mie stesse intenzioni, un nemico del mercato o un rancoroso antitecnologista.

Nuovi mestieri. Con appena 12.49 dollari, ottieni l’Instant Download di un corso di autoipnosi per superare la tecnofobia. Deborah Dewey, per quanto ci riguarda, potrebbe essere un semplice generatore automatico di file, o nemmeno esistere. Notare ancora la grafica

Quindi, invece di considerare le questioni etiche pratiche che riguardano l’impoverimento di molti in nome di pochi, la maggior parte degli accademici, giornalisti e autori di fantascienza si sono occupati di dilemmi molto più astratti e fantasiosi: è leale da parte di un trader in borsa usare smart drugs?  Ai bambini si dovrebbero fare impianti perché imparino lingue straniere? Vogliamo che i veicoli autoguidati diano la priorità alle vite dei pedoni rispetto ai passeggeri? Le prime colonie su Marte dovrebbero essere gestite democraticamente? Modificare il mio DNA sovverte la mia identità? I robot dovrebbero avere dei diritti?

Porsi domande di questo genere, sebbene sia filosoficamente divertente, è un misero surrogato per non affrontare i reali dilemmi morali associati allo sviluppo tecnologico illimitato in nome del capitalismo imprenditoriale. Le piattaforme digitali hanno trasformato un mercato già basato sullo sfruttamento e l’estrazione (si pensi a Walmart) in qualcosa di ancora più disumanizzante (si pensi ad Amazon). La maggior parte di noi si è accorta delle ricadute in termini di lavori automatizzati o a richiesta [gig economy], e la morte delle rivendite locali.

Ma l’impatto più devastante del turbocapitalismo digitale ricade sull’ambiente e sui poveri del mondo. La produzione di parte dei nostri computer e smartphone ancora oggi richiede lavoro servile. Queste pratiche sono talmente radicate che un’azienda che si chiamava  Fairphone [“telefono equo”], creata dal basso per realizzare e vendere telefoni etici, apprese che era impossibile (l’azienda oggi tristemente definisce i propri prodotti telefoni “più equi”).

Nel frattempo, l’estrazione di metalli delle terre rare e lo smaltimento delle nostre tecnologie altamente digitali stanno distruggendo gli habitat umani, sostituendoli con discariche tossiche che vengono poi spigolate da bambini contadini assime alle loro famiglie, che rivendono i materiali utilizzabili agli stessi produttori.

Questa esternalizzazione alla “occhio non vede, cuore non duole” della povertà e del veleno non scompars semplicemente perché ci copriamo gli occhi con visori per la realtà virtuale, immergendoci in una realtà alternativa. Casomai, più a lungo ignoriamo le ripercussioni sociali, economiche e ambientali, più diventano un problema. Ciò a sua volta diventa motivo per ritirarci ancora di più, per più isolazionismo e fantasie apocalittiche – e tecnologie e fantasie apocalittiche sempre più deliranti. E’ un ciclo che si autoalimenta.

Più ci impegniamo in questa visione del mondo, più finiamo per vedere gli esseri umani come il problema e la tecnologia come la soluzione. L’essenza stessa di ciò che fa di noi esseri umani viene trattata più come un baco che come una caratteristica. Nonostante i preconcetti che incorporano, le tecnologie vengono dichiarate neutrali. Ogni cattivo comportamento che possono indurre in noi è solo un riflesso del marcio che alberga in noi. E’ come se qualche innata violenza primitiva in noi fosse colpevole dei nostri guai. Proprio come l’inefficienza del mercato locale dei taxi si può “risolvere” con un’app che manda in rovina gli autisti umani, le fastidiose incoerenze della psiche umana si possono correggere con un upgrade digitale o genetico.

In ultima istanza, secondo l’ortodossia tecnosoluzionista, il futuro dell’umanità raggiunge il suo apogeo facendol’upload della nostra coscienza a un computer o forse meglio, accettando la tecnologia stessa come nostro successore evolutivo. Come membri di una setta gnostica, aneliamo a entrare nella fase trascendente del nostro sviluppo, scartando i nostri corpi e lasciandoceli indietro, assieme ai nostri peccati e guai.

I nostri film e serie televisive mettono in atto per noi queste fantasie. Le serie con zombie disegnano un  post-apocalisse dove le persone non sono meglio dei non-morti – e sembrano rendersene conto. Peggio ancora, questi spettacoli invitano gli spettatori a immaginare il futuro come una battaglia a somma zero tra gli umani sopravvissuti, dove la sopravvivenza di un gruppo dipende dalla morte di un altro. Anche Westworld —basato su un romanzo di fantascienza dove i robot impazziscono – finì nella seconda stagione con una rivelazione finale: gli esseri umani sono più semplici e prevedibili dell’intelligenza artificiale che creiamo. I robot imparano che ciascuno di noi può essere ridotto a poche righe di codice, e che siamo incapaci di fare scelte volontarie. Persino i robot in quella serie vogliono sfuggire ai confini dei propri corpi e passare il resto della loro vita in una simulazione informatica.

La ginnastica mentale richiesta per compiere un tale rovesciamento nei ruoli tra esseri umani e macchine dipende tutta dal presupposto sottostante che gli esseri umani fanno schifo. O li cambiamo o ce ne allontaniamo, per sempre.

Così abbiamo i miliardari della tecnologia che lanciano auto elettriche nello spazio – come se questo simboleggiasse qualcosa in più della capacità di un unico miliardario di promuovere la propria azienda. E se alcuni riusciranno ad arrivare alla velocità di fuga e in qualche modo sopravvivere in una bolla su Marte – anche se siamo stati incapaci di mantenere una simile bolla qui sulla Terra in entrambe le prove Biosphere, costate miliardi di dollari – il risultato sarà meno un proseguimento della diaspora umana che una scialuppa di salvataggio per l’elite.

Elon Musk propone di bombardare Marte con bombe atomiche per renderlo abitabile

Quando i hedge funder mi chiedevano come mantenere l’autorità sulle loro forze di sicurezza dopo “l’evento”, io suggerii che la scommessa migliore sarebbe stata, trattare questa gente molto bene, da subito.  Avrebbero dovuto trattare il personale di sicurezza come se fossero membri delle loro famiglie. E più fossero riusciti a espandere questo ethos di inclusività al resto delle loro attività, alla gestione della catena di fornitori e alla distribuzione della ricchezza, più sarebbe diventato improbabile “l’evento” stesso. Tutta questa magia tecnologica si poteva applicare per interessi meno romantici ma più collettivi, e da subito.

Trovavano divertente il mio ottimismo, ma non ne erano convinti. Non erano interessati a come prevenire una calamità; erano convinti che fosse troppo tardi. Nonostante tutta la loro ricchezza e potere, non credevano di poter davvero avere un effetto sul futuro. Semplicemente, accettavano lo scenario più cupo e poi impiegavano ogni risorsa finanziaria o tecnologica per isolarsi – soprattutto se non sarebbero riusciti trovare un posto sul razzo che va su Marte.

Per fortuna, chi di noi non gode di finanziamenti che ci permettano di ripudiare la nostra umanità, ha davanti a sé opzioni molto migliori. Non siamo costretti a usare la tecnologia in modo  così antisociale e atomizzante. Possiamo diventare diventare i consumatori individuali e i profili che i nostri apparecchi e piattaforme vorrebbero, oppure possiamo ricordare che l’essere umano evoluto non cammina da solo.

Essere umani non è una questione di sopravvivenza o fuga individuale. E’ uno sport di squadra. Qualunque futuro gli umani avranno, sarà insieme.

Nell’affresco di Masaccio, San Pietro distribuisce l’elemosina mentre ai suoi piedi, Anania – che voleva tenere per sé i propri averi: ma l’immagine pari raffiguri contemporaneamente il Capitano della Compagnia di Sant’Agnese che distribuisce il pane preparato dai fornai alle famiglie del quartiere


 

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38 risposte a L’Evento (3)

  1. Francesco scrive:

    Credevo che l’età dell’oro della fantascienza sociologica, catastrofica e moralistica fossero gli anni ’60.

    Abbiamo già visto i film su cosa succede dopo l’Evento. Il mio preferito è Zardoz, con un giovane Sean Connery.

  2. Francesco scrive:

    PS il sito che linki ha aumentato la mia diffidenza nei confronti degli ingegneri. Il problema non è solo tecnico, fioi.

    • Miguel Martinez scrive:

      Per Francesco

      ” il sito che linki ha aumentato la mia diffidenza nei confronti degli ingegneri. Il problema non è solo tecnico, fioi.”

      Non ho la minima idea a quale sito ti riferisci (Rushkoff ha messo diversi link nel suo articolo), ma mi preoccupa terribilmente una cosa: anche tu sei passato dalla parte degli architetti?

      • Francesco scrive:

        quelli sono degli ingegneri dilettanti! anche peggio

        la guida spetta ai politici, la conoscenza agli economisti, la salvezza ai preti

        gli altri zitti e obbedire

        😀

        PS parlavo del sito futurista e delle balordissime idee che contiene

  3. Ugo Bardi scrive:

    Questi sono quelli di cui parlavo nel mio post sulle isole di Kiribati.

    http://cassandralegacy.blogspot.com/2018/06/the-betrayal-of-nation-how-kiribati.html

    Sostengono che il cambiamento climatico non esiste, ma si stanno preparando a scappare, lasciando i poveri ad affogare. Così va il mondo….

    • Miguel Martinez scrive:

      Per Ugo Bardi

      “Questi sono quelli di cui parlavo nel mio post sulle isole di Kiribati. ”

      Infatti, è un post che mi ha colpito molto: credo che spieghi molto di ciò che sta succedendo nel mondo.

      Perfettamente riassunto qui:

      http://thesenecatrap.blogspot.com/2018/01/donald-trump-in-davos.html

      • Francesco scrive:

        PS la storia dell’Impero romano non dimostra la fallacia della tesi dell’effetto Seneca?

        • Ugo Bardi scrive:

          Beh, non direi proprio. L’impero ha visto un tipico collasso di Seneca. Lento all’inizio, e poi rapidissimo

          • Francesco scrive:

            a me pare sia collassato lentamente per un paio di secoli … come molti imperi

            certo, alla fine, esaurite le ultime forze, si cade ma la decadenza inizia molto prima

            • Ugo Bardi scrive:

              Tutto viaggiava più lento all’epoca. I Romani ci hanno messo circa 10 secoli per conquistare il loro impero – culminato circa nel secondo secolo AD. Poi è andato tutto in vacca in tempi brevi. Nel terzo secolo, l’impero era già un ombra di se stesso. Ha continuato a esistere in qualche modo fino al quinto secolo, ma ormai uno zombie.

              • Miguel Martinez scrive:

                Per Ugo

                “Tutto viaggiava più lento all’epoca.”

                Mi faceva sorridere il buon Francesco che sfida proprio te sul piano della storia dell’impero romano.

                Nel frattempo stiamo rilanciando la Scuola Itinerante dei Beni Comuni, dopo l’equinozio temo che ti tocchi di nuovo aggirare per l’Oltrarno con la falce alla caccia della Contessa Pia Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare.

              • mirkhond scrive:

                La Pars Occidentis dell’Impero Romano, perché la Pars Orientis invece è durata altri mille anni.

              • Peucezio scrive:

                Già.
                Questo ce lo dimentichiamo sempre, quasi fosse un dettaglio.

              • Francesco scrive:

                come vedi, anche noi umilmente ci si arrabatta a pensare, pur avendo nessun titolo professorale

                😉

              • Miguel Martinez scrive:

                Per Francesco

                “pur avendo nessun titolo professorale”

                Non volevo dire che Ugo ne sa di più perché è professore: come professore, si occupa di puzzolentissima roba chimica, dove immagino sia competente ma spero che né tu né io vogliamo entrarci.

                E’ che Ugo ha la capacità di collegare tutto alla storia dell’impero romano, argomento non previsto dalla sua cattedra.

              • PinoMamet scrive:

                ” Nel terzo secolo, l’impero era già un ombra di se stesso. Ha continuato a esistere in qualche modo fino al quinto secolo, ma ormai uno zombie.”

                Mi sembra una discreta esagerazione…

              • Francesco scrive:

                Prof,

                ho letto il 95% dell’articolo linkato.

                Temo ci sia un problema: ai Romani sarebbe bastato inventare la carta moneta per sopravvivere all’esaurimento delle miniere di oro e argento.

                Dopo tutto, noi economisti sappiamo che il valore della moneta è puramente convenzionale, in qualsiasi modo sia fatta la moneta stessa. L’unica materia prima di cui ha bisogno la moneta è la fiducia.

                Cordiali saluti

              • Daouda scrive:

                FRANCE ma che cazzo dici? Tra costi di produzione e messa in circolo il valore di un pezzo di banconota oscilla tra i 15 e i 50 centesi.
                Anche il bit coin ha un costo di produzione ed un dato consumo per poter essere immesso nel “circuito”.

                La fiducia è fondamentale , ovvio, ma nessuno esamina che la diminuzione del valore inttinseco del mezzo usato CHE C’E SEMPRE PER NATURA DELLE COSE, ossia la sua non aderenza alla portata di quel che adempie nel mercato,è in definitiva un segno dell’espropriazione vigente.
                Difatti gli euri che usi, ma anche i bit coin, tecnicamente non sono tuoi.
                Saluti

              • Francesco scrive:

                Dauda

                espropriazione di cosa? sulla moneta c’è il volto di Cesare perchè senza Cesare non c’è moneta

                se vuoi vivere da anarco-liberista, per prima cosa liberati del denaro

                poi mi racconti

                😀

              • Daouda scrive:

                Francè ancora una volta che cazzo c’entra?
                Il comunista sei tu che neghi il valore intrinseco al mezzo di scambio.
                Io anarco liberista? Non credo proprio il che non mi vieta di dire il giusto…venga dai comunisti, dai liberisti o dai sindacalisti lobbystici

              • Francesco scrive:

                e si vede che una volta al secolo c’hanno ragione i comunisti

                il denaro in sè non vale un cazzo, lo scelgono apposta perchè così è più comodo

  4. Z. scrive:

    Miguel,

    — Essere umani non è una questione di sopravvivenza o fuga individuale. E’ uno sport di squadra. Qualunque futuro gli umani avranno, sarà insieme. —

    Molto vero.

    • Francesco scrive:

      tocca dare ragione a questa orrenda verità comunista

      un futuro in cui si resta da soli con una squadra di robot metà badanti e metà guardie del corpo … che cosa ha di umano?

      • Z. scrive:

        Non è necessariamente “comunista”. Anche un futuro iperliberista è un futuro assieme.

        • Francesco scrive:

          il mercato è un costrutto sociale, cosa che i liberisti ideologici vogliono dimenticare, da bravi fanatici

          • Z. scrive:

            Sono d’accordo.

            Comunque intendo dire che non penso possa esistere un futuro che non sia insieme. Non credo sia mai esistito, da quando esiste la divisione del lavoro…

  5. Daouda scrive:

    Bel modo di dire ( ovviamente mi sono fermato all’esposizione sulla fuga ): “in poche parole mi sono fatto pagare da cojoni” nascondendo e il suo complicismo e il fatto che – dato che in fin dei conti il male e il bene chi può dirlo? – se ero al posto loro chissà!
    L’esaltazione gnostica esiste perché è materia su cui identificarsi, ecco perché tenere presente Beliar è indispensabile.
    Non sono così stupido da dimenticarmi di ciò che prevede perciò.
    Aggiungiamo al carrello facendo presente che è un modo anarcocapitalistico di immaginarsi la Cosca, in questo Marx su Bastiat aveva ragione.

    • Daouda scrive:

      Ciò è presto detto. Chi può credere che alcuni che hanno ampio margine di manovra ( su quel che gli è permesso ) si rapportino fra loro dimenticado la legge di Hume ossia il peccato originale?
      Inoltre il discorso morale sotteso è prettamente anti socievole giacché nega il principio di autorità o come si dovrebbe scrivere oggi di autorevolezza.

      Lo stesso motivo per cui l’Oltrarno è e rimane una realtà capitalistica ( burocratica, banchiera e baronale, in definitva una realtà immersa nel socialismo liberista corporativo vigente chiamato sommariamente CAPITALISMO ) anti umana proprio e soprattutto nelle relazioni che Miguel ci spaccia per sane.

      Saluti

      • Francesco scrive:

        >>> una realtà immersa nel socialismo liberista corporativo

        a me mi pare una presa in giro, anche poco fine

        • Z. scrive:

          Il socialismo liberista corporativo è un’ideologia sostenuta da genoani blucerchiati e da alcolisti astemi.

        • Daouda scrive:

          Non è fine ma spessa.

          Apprezzo l’ironia di Z. ma è evidente che tale concezione non può implicare malati e mormoratori.
          Sarebbe come affermare che la s.p.Lazio sia stata la scuatra a portare il calcio a Roma…una menzogna

          • Daouda scrive:

            Le uniche cose da preservare: proprietà del singolo individuo…res communis omnium…res nullius sacralis.

            Della proprietà pubblico collettiva, proprietà associativo corporativa, proprietà privata frudale ce ne fottiamo!

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