Vita da cassiera, vita da calzolaio

L’ultimo calzolaio del rione, tra tasse e costi del cuoio ha perso casa, per molti mesi si è rifugiato dentro la sua minuscola bottega senza acqua corrente (il bagno glielo faceva usare il corniciaio di fronte).

Poi alla fine si è arreso e ha abbandonato Firenze, come hanno fatto tanti altri artigiani.

Di solito raccontiamo le disgrazie altrui, come storie individuali che servono per strappare una lacrima, perché viviamo in genere in un mondo virtuale in cui possiamo far finta di essere solidali con tutti, perché non siamo solidali con nessuno.

Invece la scomparsa del calzolaio non è una perdita solo per lui.

Quando volevi, potevi passare da lui e dal suo cane dagli occhi di due colori – che occupava un bel po’ del marciapiede – e parlavi di scarpe, di industrie, della storia  dei luoghi, del senso della vita e delle mani. Gli artigiani sono inseparabili dal paesaggio, dalla rete infinitamente complessa di relazioni tra sassi, persone, generazioni, arrivi, partenze, feste e funerali che crea un rione.

Ma nel pianeta parallelo in cui vive quella roba che chiamano economia, leggo:

Anche quando chiude un supermercato, ci sono le cassiere e i facchini che si trovano senza reddito.

Ma non è esattamente la stessa cosa, per due motivi.

Uno, non siamo noi luddisti rionali a far perdere il posto alle cassiere, sono i loro stessi proprietari che non vedono l’ora di dare loro una pedata nel sedere:

“Amazon sta sviluppando piani per la creazione di negozi in cui le casse vengono totalmente eliminate. La videosorveglianza e l’intelligenza artificiale saranno allineate per seguire gli articoli nel carrello del cliente, permettendo loro di uscire dal negozio senza alcuna interazione umana, poi manderanno loro una fattura per email da addebitare sul loro conto in banca.”

Ma il riferimento ai luddisti ci ricorda una cosa importante, che si capisce solo quando si vive da vicino il mondo delle botteghe e degli artigiani.

Se il calzolaio chiude, ci dispiace perché ha perso una fonte di reddito; ma ci dispiace anche perché ha perso un lavoro.

Se il supermercato chiude, ci dispiace perché la cassiera ha perso una fonte di reddito; ma un po’ facciamo anche festa, ché almeno si è liberata da un lavoro.

E’ un’affermazione che potrebbe sconvolgere, ma solo perché quando diciamo Posto di Lavoro, pensiamo, non al lavoro, ma solo al reddito indispensabile per vivere.

Di Marx si può pensare quello che si vuole; ma certamente qualunque artigiano che aveva perso il lavoro davanti alle macchine ed era stato ridotto a lavorare in fabbrica, poteva capire questa descrizione del lavoro salariato:

“il lavoro resta esterno all’operaio, cioè non appartiene al suo essere, e l’o­peraio quindi non si afferma nel suo lavoro, bensì si nega, non si sente appagato ma infelice, non svolge alcuna libera energia fisica e spirituale, bensì mor­tifica il suo corpo e rovina il suo spirito.

L’operaio si sente quindi con se stesso soltanto fuori del lavoro, e fuori di sé nel lavoro.

A casa sua egli è quando non lavora e quando lavora non lo è. Il suo lavoro non è volontario, bensì forzato, è lavoro costrittivo. Il la­voro non è quindi la soddisfazione di un bisogno, bensì è soltanto un mezzo per soddi­sfare dei bisogni esterni a esso.

La sua estraneità risalta nel fatto che, appena cessa di esistere una costrizione fisica o d’altro genere, “il lavoro è fuggito co­me la peste”. “

Immagino che gli artigiani che ascoltavano Marx non sognassero come alternativa la catena di montaggio in un’acciaieria sovietica, però capivano perfettamente contro cosa si ribellavano.

Per fortuna oggi esiste ancora una straordinaria rete di protezione, che rende asettico il lavoro: non dura troppe ore, non stanca  troppo, non ci devono essere troppi pericoli, se ci si fa male c’è l’ospedale e si può fare ricorso se qualcuno prova a frustarti.

Ma resta il fatto che la maggior parte di noi prende le otto ore migliori della nostra giornata, a fare cose che non ci riguardano e non ci interessano, con l’unico scopo di uscirne al più presto possibile, con in mano il reddito.

E’ vita da cassiere, non da calzolaio.

 Il che non è certo colpa dei cassieri, ma di chi non si batte per un mondo con più calzolai.

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168 risposte a Vita da cassiera, vita da calzolaio

  1. maffeia scrive:

    Il tuo post mi stava convincendo. Anche io subisco un lavoro.
    Poi sono giunto all’ultima frase. E lì ti ho perso.
    Come ci si batte per un mondo con più calzolai? O con più impagliasedie, o più maniscalchi? Alcuni mestieri cadono in disuso. Altri sorgono dal nulla.
    Perché il mondo cambia, e cambiano le nostre esigenze. Se il tuo amico calzolaio ha chiuso, evidentemente è perché pochi si facevano risuolare le scarpe da lui, o se le facevano fare artigianali. Personalmente, non vado da un calzolaio da anni. Può essere triste, ma il calzolaio sta diventando un mestiere che non ha utilità per il cittadino medio.

    • Miguel Martinez scrive:

      per maffeia

      “Come ci si batte per un mondo con più calzolai?”

      Un paio di mesi fa ho incontrato Jacopo Simonetta, e ho notato che portava uno splendido paio di scarpe, e se ho notato io qualcosa del genere, che non mi accorgo mai dell’abbigliamento delle persone…

      Jacopo mi ha detto che erano le scarpe di quando faceva il militare, ormai qualche decennio fa, e che gliele riguarda il calzolaio di tanto in tanto.

      Noi abbiamo spesso delle scarpe che abbiamo pagato cinquanta euro, le porto del calzolaio e per dieci euro ti rimette a nuovo le suola. Come comprarsi un nuovo paio di scarpe da cinquanta euro.

      Certo, siamo poco abituati ad andare dal calzolaio, non siamo abituati a frequentare una persona che ci sappia anche spiegare come sono fatte le scarpe, o perché si sfondano, o che cosa evitare quando le compriamo, e in questo magari farebbe bene un po’ più di educazione a partire dalle scuole.

      Però alla fine, il calzolaio non scompare perché mancano scarpe da aggiustare, scompare per una serie di circostanze esterne: la stessa pressione cui un supermercato con le sue banche e i suoi commercialisti e i suoi investitori internazionali resiste, affoga il calzolaio.

      • Miguel Martinez scrive:

        Dimenticavo, l’impagliasedie (che poi è la moglie del falegname, si mette all’uscio di casa d’estate con le sedie e i bambini attorno) è abbastanza ricercata. Forse non ci potrebbe fare un mestiere vero e proprio, ma arrotonda lo stipendio del marito.

    • paniscus scrive:

      per maffeia: in parte ha già risposto Miguel, ma rilancio.

      Tu non vedi un calzolaio da anni perché usi scarpe talmente resistenti a prova di bomba che durano anni?…

      …oppure non ci vai perché ti compri due o tre paia di scarpe nuove ogni anno, e poi dopo un anno le butti via perché sono ridotte male da fare schifo, e comunque costa di meno comprarle nuove che farle risistemare?

      Perché l’ambiente risente anche di quello, eh.

      Enorme produzione di massa di oggetti che costano poco ma che sono anche fatti apposta per durare poco e per essere buttati via prestissimo, e sostituiti in continuazione con altre copie simili fatte apposta per costare poco e durare poco, e tutto difficile da smaltire e impossibile da riciclare. Tutto questo non è affatto a bilancio positivo a lungo termine…

      • Z. scrive:

        Io per la prima ragione!

        L’ultimo paio di scarpe che ho rottamato, come si usa dire oggi, mi è durato non mi ricordo se sei o sette anni e mezzo.

        Non ho scarpe di quando facevo il militare, ma a mia discolpa – o a mia ulteriore ignominia, YMMV – non ho fatto il militare!

      • Roberto scrive:

        Devo dire che pure io ho la fortuna di comprare scarpe abbastanza solide e a pensarci le ultime che ho comprato le ho prese nell’estate 2016 (un paio da basket, quelle effettivamente ogni due anni le devo ricomprare, ed un paio da trekking).
        Ogni volta comprarmi delle scarpe è un martirio a causa del numero, quindi mi considero fortunato a farlo pochissimo

      • maffeia scrive:

        Compro un paio di scarpe ogni 2-3 anni, e le butto via quando sono ridotte male da fare schifo.
        Non sono mai stato appassionato di scarpe.

  2. Miguel Martinez scrive:

    Chiaramente, calzolaio e impagliasedie non sono mestieri di massa, come possono essere l’elettricista o l’estetista.

    Ma sono mestieri che possiamo imparare ad apprezzare e che servono davvero, specialmente il primo.

    Fanno risparmiare poi una quantità di soldi alla comunità, anche se la valutazione non è semplice: la possibilità di riusare anziché usare/gettare (tutti parlano adesso di “economia circolare”), la creazione di “rete” (altro luogo comune oggi) che è il più grande presidio della famosa “sicurezza”, il fatto che la bottega del calzolaio non sforna scatole di pizze… bisognerebbe scalare al calzolaio un punto di tasse per ciascuna di queste virtù tanto esaltate oggi quanto poco praticate.

    Poi nel caso specifico di Firenze, c’è ‘aura dell’artigianato, che non dovrebbe significare solo il calzolaio che fa il paio di stivali in oro e pelle di panda per il mafioso russo…

    • Francesco scrive:

      Devo dire che molte delle cose che Miguel dice hanno molto senso per me.

      Gli economisti – che non sono i poveretti pagati male per scrivere pseudo-articoli pubblicitari sui quartieri cool – ci stanno pensando, credo da qualche tempo.

      Forse non tutti ma, come in ogni categoria, i pionieri sono pochi.

      Si potessero misurare, le virtù di cui parla Miguel, la sua idea sarebbe anche buona. Il che non toglie che la gentrification è uno dei motori di vita delle città da sempre, anche se a lui proprio non piace.

      • Miguel Martinez scrive:

        Per Francesco

        “Devo dire che molte delle cose che Miguel dice hanno molto senso per me.”

        La sfida all’ultima battuta, tra me e Francesco, è ormai da anni un luogo comune di questo blog.

        Eppure è chiaro che molte cose che sostiene Francesco fanno parte della realtà della vita, e hanno aiutato anche me ad affinare i miei ragionamenti.

        Almeno nella nostra esperienza concreta qui, per dire una frase di apparentemente enorme banalità, “la diversità è una ricchezza”. In pratica, quando si ascoltano pareri radicalmente diversi, che nascono da esperienze in apparenza inconciliabili, nascono le soluzioni.

        • Francesco scrive:

          Miguel

          invecchiando, qualche lezione “a latere” dei tempi dell’università sui limiti del denaro come misura di tutte le cose sta tornando a galla

          anche grazie a te e alla tua pazienza

          un abbraccio

  3. Z. scrive:

    Miguel,

    sei disposto anche a batterti per un mondo con più avvocati?

    Nella seconda metà degli anni Duemila, se ben ricordo, a Bologna c’erano circa 4000 avvocati iscritti all’albo; cinque anni dopo, diciamo nel 2013, ce n’erano circa 5000.

    Molti di loro si fanno mantenere dai genitori e/o dal coniuge. Molti altri hanno lasciato il lavoro per svolgere attività certamente dignitose ma indubbiamente più impersonali, cui spesso adempiono – per restare nel tuo esempio – con lo stesso slancio con cui un cassiere svolge la propria mansione.

    Credo che anche architetti e archeologi non se la passino benissimo, e immagino che altre professioni soffrano allo stesso modo (leggevo di recente un’articolo sugli psicologi, ad esempio).

    • PinoMamet scrive:

      Non ho idea per architetti e psicologi, ma posso testimoniare che in Italia di archeologi ci sarebbe bisogno, se solo ci fossero abbastanza soldi per pagarli…
      (che poi magari ci sono, ma vengono spesi per Laeroporto o altre… come le chiama Miguel? Grandi Opere Imposte e Inutili?)

    • Miguel Martinez scrive:

      Per Z

      “sei disposto anche a batterti per un mondo con più avvocati?”

      Forse sì, basta che mi spieghi in che modo gli avvocati lavorano con le mani, tessono reti tra le persone, creano amicizie, abbiano botteghe in cui la gente entra ed esce.

      Fatta questa sadica premessa, mi interessa il problema di cui parli.

      Tra l’altro è un tema che hai toccato spesso, e sicuramente ne sai molte volte più di me. Qui in Oltrarno, di avvocati non ne conosco, ma conosco un numero infinito di architetti, e probabilmente valgono anche per loro alcune delle tue considerazioni.

      • Z. scrive:

        Perché chi lavora con le mani dovrebbe valere più degli altri? Perché chi ha una bottega dovrebbe essere più meritevole di tutela? Perché calzolai e bronzisti meritano la salvezza mentre archeologi e avvocati meritano “sadicamente” di soccombere?

        Gli architetti sono in esubero né più né meno che gli avvocati o i calzolai. Sad but true, come dite voi Yanquis.

        Certo, possiamo intentare cause a mezzo Paese per far sopravvivere qualche avvocato in più, o magari farci arrestare, ma temo che sarebbe una soluzione poco proficua.

      • Z. scrive:

        Cioè, a dire il vero “né più né meno” è una frase che suona bene, ma non è esatta. Quale sia il grado di esubero per ciascuna delle categorie non lo so. Però in esubero lo sono…

      • Mauricius Tarvisii scrive:

        “lavorano con le mani”

        Non ho ancora conosciuto un avvocato che gli atti li scriva con altre parti del corpo, se non metaforicamente…

  4. izzaldin scrive:

    “Gli artigiani sono inseparabili dal paesaggio, dalla rete infinitamente complessa di relazioni tra sassi, persone, generazioni, arrivi, partenze, feste e funerali che crea un rione.”

    a Palermo c’è via Calderai che un tempo era parte del ghetto ebraico e che per secoli fino a ieri è stato pieno di calderai appunto e stagnini e gente che lavorava i metalli che tappezzavano tutta la via, strettissima e quindi senza rifrazione solare. l’anno scorso è morto l’ultimo stagnino, i figli non continuano, le case in pieno centro tra Giurisprudenza, via Maqueda e la Martorana valgono un sacco, vengono ristrutturate e vendute a cordate di architetti facoltosi e chissà che ne faranno.
    ormai per fare un calderone per i pomodori ad agosto bisogna andare in un negozio e non si può chiamare lo stagnino che riutilizza una marmitta o chissà cosa per creare un oggetto che dura per generazioni.

    • izzaldin scrive:

      una foto per dare una idea di ciò che stiamo guardando scomparire

      https://www.camperonline.it/diari/userfiles/4374_Sicilia%20giugno%202013%20121_5.jpg

    • Miguel Martinez scrive:

      Per Izzaldin

      “a Palermo c’è via Calderai che un tempo ”

      Interessante.

      Sicuramente i mestieri cambiano; il problema credo che sia trovare i mestieri che oggi svolgono il ruolo di quelli che vengono liquidati.

      Gli elementi che mi vengono in mente sono:

      – trasmissione orale di capacità manuali
      – una relativa autonomia
      – quel particolare carattere di “arte”, dove il contenuto pratico e quello creativo sono inseparabili
      – un rapporto vivo con il territorio e con la strada (e non solo una vetrina)

      Di mestieri ancora utili, ce ne sarebbero molti. Alcuni più “artistici”, come il corniciaio, il restauratore o il gioielliere; altri più “pratici” come sarto, parrucchiere, calzolaio, falegname.

      Nulla a che vedere con mestieri ormai destinati a scomparire, come quello di gestore di internet point.

      • Francesco scrive:

        Beh, il primo problema è capire quali sono liquidati e perchè.
        Poi la tua “pretesa” di un carattere locale del mestiere è molto pesante, anche se ha un grande valore.
        Il Parroco ha da essere “locale” ma le parrocchie muoiono anche perchè è normale per le famiglie non vivere più il quartiere. Io lavoro a 10 km da casa, è un caso che i miei figli vadano a scuola a 200 mt da lì. Giusto mia moglie casalinga è donna di quartiere in senso quasi classico, conosce le persone, sa chi è malato o chi è morto, si affeziona.

  5. PinoMamet scrive:

    Oh, io le scarpe fatte a mano le comprerei più che volentieri, ma, avete un’idea dei prezzi??

    • Francesco scrive:

      dipende anche dai posti ma in sostanza hai ragione tu, da prima del 1800

      😉

    • Miguel Martinez scrive:

      Per PinoMamet

      “Oh, io le scarpe fatte a mano le comprerei più che volentieri, ma, avete un’idea dei prezzi??”

      Io pensavo al calzolaio che le scarpe te le aggiusta, piuttosto.

      • Francesco scrive:

        come vedi, anche per quelli che conosci non si immagina mai veramente quello che pensano

        se può farti piacere, qui nel paese dove lavoro il calzolaio che ripara c’è e pare sia molto popolare, anche tra chi lavora qui pur venendo da fuori

        🙂

      • PinoMamet scrive:

        Dalle mie parti conosco due-tre calzolai aggiustatori, e un negozio di scarpe fatte a mano alternativ-fighette (so che ce ne sono anche di fatte a mano classiche, molto più costose).

        Naturalmente, come i sarti, tendono a scaseggiare (anche tra i sarti, ne conosco diversi aggiustatori, economicissimi e molto bravi- uno cinese; pochi di quelli che sanno farti un abito su misura).

        • paniscus scrive:

          Io avevo avuto notizia del fatto che, negli anni più recenti di crisi peggiore, ci fosse stata una riscoperta del mestiere dei sarti, proprio per una questione di risparmio economico:

          la maggior parte delle persone normali non ha più voglia di buttare via dei capi di abbigliamento ancora buoni, per un piccolissimo danno facilmente riparabile, una scucitura, un orlo, un’asola sfasciata, una cerniera da cambiare, una toppa al ginocchio da mettere ai jeans del bambino che li distrugge in continuazione…

          …ma contemporaneamente, quasi nessuno è più in grado di farsi quelle piccole riparazioni da solo, e quindi ricorre al professionista.

          Fanno eccezione quelli (e mi ci metto anch’io) che hanno ancora le mamme, le nonne o le suocere capaci di farlo, ma sono sempre di meno.

          • Miguel Martinez scrive:

            per Paniscus

            “Io avevo avuto notizia del fatto che, negli anni più recenti di crisi peggiore, ci fosse stata una riscoperta del mestiere dei sarti, proprio per una questione di risparmio economico: ”

            E’ vero che i prodotti industriali “costano di meno” di quelli artigianali: oggi un fabbro mi faceva vedere degli oggetti che lui creava, e che costavano quaranta euro, e accanto uno simile industriale, che secondo lui costava un euro, poi faceva notare le differenze qualitative, che però sfuggono a quasi tutti.

            Però è anche vero il contrario: che per abitudine, se compriamo un paio di pantaloni a venti euro e c’è un piccolo strappo, preferiamo comprarcene un altro paio da venti euro, piuttosto che andare dalla sarta che ce li rammenda con dieci euro.

            E fossero anche venti euro, a noi non cambia nulla, e facciamo campare la sarta e soprattutto la sua bottega non diventa un locale Very Cool.

          • Roberto scrive:

            “la maggior parte delle persone normali non ha più voglia di buttare via dei capi di abbigliamento ancora buoni, per un piccolissimo danno facilmente riparabile, una scucitura, un orlo, un’asola sfasciata, una cerniera da cambiare, una toppa al ginocchio da mettere ai jeans del bambino che li distrugge in continuazione…”

            In che senso non ha più voglia? Hai mai conosciuto qualcuno che butta un pantalone per uno qualsiasi di quei motivi?

            • paniscus scrive:

              “Hai mai conosciuto qualcuno che butta un pantalone per uno qualsiasi di quei motivi?”
              ————————-

              Ma DAVVERO non hai esperienza di quanto sia diffusa la normalità assoluta del buttare via oggetti potenzialmente riparabili, solo perché si pensa che in fondo sia più facile e più comodo comprarseli nuovi?

              • Roberto scrive:

                NON ho parlato di oggetti facilmente riparabili MA di vestiti con piccoli danni. Tipo pantaloni con l’orlo da rifare, o la cerniera rotta (ovvero i tuoi esempi) e lì DAVVERO NON conosco nessuno che butti i pantaloni per una cosa così.

                Mi spiace frequento gente bizarra…

              • PinoMamet scrive:

                Mmmm io non li butterei certo (e non li ho buttati, di fatto) per una cosa così, ma sai Roberto, non giurerei su molta altra gente…

              • Francesco scrive:

                qui nella ricca Milano la soluzione Roberto è universalmente praticata, anzi addirittura si passano i vestiti dei bambini da una famiglia all’altra

                però ho sempre pensato che noi siamo molto meglio degli alri

                😀

              • paniscus scrive:

                per Francesco, sulla sana abitudine di passarsi i vestiti infantili da una famiglia all’altra:

                UNO:
                come sia io che Miguel abbiamo raccontato più volte, noi ci abbiamo provato, a incoraggiare questa abitudine nella nostra comunità locale, organizzando tavolini di scambio gratuito. Bene, ha funzionato, raccogliendo consensi entusiasti, solo per le prime due o tre volte, perché era una novità curiosa e interessante. Nel giro di pochi mesi, l’interesse si è smontato alla grande, e il mercatino di scambio gratuito è diventato una succursale della discarica (anche se si tratta di materiale selezionato e in buone condizioni). Nel senso che è molta di più la gente che ci viene solo per sbolognare roba che non sa dove mettere, piuttosto che quella che viene per prendersi roba utile… e che quindi gli organizzatori dei tavolini tornano indietro con carrelli e scatoloni PIU’ pieni di come li avevano portati.

                DUE:
                un mio amico dal background impegnatissimo come ecologista-decrescista-anticonsumista tutto d’un pezzzo, già da vent’anni prima di noi, aveva provato a incoraggiare una cosa del genere nel suo ambiente, in un altro quartiere, e soprattutto a educare il proprio figlio in tal senso. Ha ammesso di aver dovuto gettare la spugna intorno ai 10-11 anni del ragazzino, perché questo si vergognava di essere l’UNICO di tutti i suoi compagni che indossava roba di seconda mano.

                Per cui: a lungo termine, il meccanismo funziona solo come donazioni individuali tra parenti o tra amici molto stretti, oppure come vera e propria elemosina a categorie sfigatissime, che passa attraverso le parrocchie o le associazioni di volontariato organizzate. Su scala generale, non passa proprio.

              • Z. scrive:

                Prof,

                una volta avrei scosso il capo davanti a certi soggetti, che fanno i sussiegosi quando c’è da vestire i figli con abiti usati e poi magari si lamentano delle troppe spese, delle troppe tasse e compagnia cantante.

                Ma ora sono invecchiato. E in questo vedo la prova di qualcosa di più oscuro.

                A quanto pare, l’uomo emiliano-romagnolo ha abbandonato il suo fardello e ha fallito la sua missione civilizzatrice nel resto del mondo, là fuori, dove ci sono i leoni e gli uomini vivono piangendo.

                E per colpa nostra, per colpa della nostra accidia, siete costretti ad andare in giro griffati!

                😀

              • Roberto scrive:

                Vedi lisa che a Firenze siete strani?

                Nel granducato vero, lo scambio dell’usato per bambini è moneta corrente.

                Stavo pensando ad una inglesina della Chicco che da esattamente 18 anni gira tra i figli di un gruppo di eurocrati italiani (ci pensavo perché proprio un paio di settimane fa ho incontrato la prima bambina per la quale è stata comprata, andava in Italia per un preesame per un’università…ed in questi giorni la stessa carrozzina è uscita dal giro dell’eurocrazia per andare a casa di un amico pizzaiolo)

              • Roberto scrive:

                Da noi il mercatino dell’usato lo organizzano i genitori a scuola due volte all’anno (Natale per le cose invernali, primavera per tutto il resto)

                Poi c’è quello permanente dei tedeschi organizzato dalla comunità luterana

              • PinoMamet scrive:

                Credo esistano anche qua, quello che di sicuro fan tutti i genitori è scambiarsi-regalarsi spontaneamente abiti dei bambini di età diverse
                (il discorso ragionevolissimo, che ho sentito mille volte, è che “tanto ai bambini scappano subito, è peccato buttare cose nuove!”)

              • Peucezio scrive:

                “qui nella ricca Milano la soluzione Roberto è universalmente praticata, anzi addirittura si passano i vestiti dei bambini da una famiglia all’altra”

                La cosa bellissima di Francesco è che ti racconta la Milano degli anni ’10 del Duemila come se fosse un paese di provincia degli anni ’50.
                Francesco, presentamele queste famiglie così!

              • Peucezio scrive:

                Roberto,
                per curiosità, il Lussemburgo è tradizionalmente cattolico o luterano?

                Comunque non mi stupisce molto come dici.
                Solo l’italiano ha l’ossessione del vestire come elemento di promozione sociale (ma non solo del vestire: casa, macchina, cellulare, laurea, tutto…, niente vale per la sua funzione pratica; cioè, sì, ma secondariamente).

              • Francesco scrive:

                Peucezio,

                io parlo di famiglie borghesi e benestanti (alcuni assai benestanti), in cui è normale – quando nei cassetti ci sono troppi abiti ormai piccoli – sbatterli in una borsona e passarli alla cugina/cognata/amica con figli della taglia adeguata.

                Magari li porti al destinatario su un’auto da xmila euri che si guida sola, parla e vola, ma lo spreco in sè è attività inconcepibile.

                Ciao

              • paniscus scrive:

                per Francesco: ma guarda che stiamo parlando di due cose diverse.

                Anch’io sono d’accordo con te nel dire che in un sacco di famiglie è normale passarsi i vestiti tra cugini o cognati.

                Lo fanno quasi tutti, però sempre limitato a una forma di regalo personale, che si considera ammissibile solo tra parenti stretti o tra amici di fiducia assoluta.

                Ma qua si stava parlando di un ricircolo generale, e sostanzialmente anonimo, a livello di vicinato, di piccola comunità, di associazione di quartiere, di mercatino della scuola, o roba del genere.

                La stessa tipologia di persone che è entusiasta di dare al proprio figlio i vestitini dismessi del cuginetto più grande, o di regalare a sua volta i propri all’amica che ha un bambino un po’ più piccolo…

                …invece, sbatte molto facilmente il muso su una sorta di tabù imbarazzante sul fatto di accettare roba usata da persone che non si conoscono bene e con cui non si ha confidenza , o a maggior ragione di accettarla da un banco di scambio anonimo, senza sapere di chi era, anche se è in ottimo stato e pulita.

              • Francesco scrive:

                Beh, qui entra un discorso leggermente diverso: non si porta via roba gratuita a chi ne ha davvero bisogno. Anzi, la si porta a chi la distribuisce.

                Credo faccia parte del modo milanese di essere borghesi.

                Ciao

            • habsburgicus scrive:

              per curiosità, il Lussemburgo è tradizionalmente cattolico o luterano?

              @Peucezio
              in attesa del nostro ottimo Robelux, posso già dirti io che il Lussemburgo é sempre stato tradizionalmente cattolico
              il Lussemburgo, inclusa la parte maggioritaria oggi belga (“oggi” sarebbe dal 1831/1839, eh :D) di cui costituisce una provincia vallone, rimase fedele al Re di Spagna nella grande crisi dei 1570′ (MENTRE le Fiandre inclusa Gent e Antwerpen stavano allora in buona parte con i “fratelli in Calvino e in lingua” dell’Olanda, e saranno ricattolicizzate DOPO la riconquista dovuta ad Alessandro Farnese, gloria d’Italia..e ai vari Spinola)
              durante l’annerssione giacobina e napleonica, 1792/1794-1814 anche il Lussemburgo “mormorò” in senso cattolico, seppur senza genti eclatanti estranei all’indole
              nell’Ottocento, l’élite era in buona parte liberale, ma il Lussemburgo unito ai Re protestanti d’Olanda (1815-1890), mantenne un ruolo ufficiale del Cattolicesimo, pur in clima di libertà di culto [che in pratica lì esiste, in varie gradazioni, dal massonissimo Giuseppe II, nei 1780′..il “vecchio mondo”, cattolico rigido, finì con Maria Teresa, 1740-1780]
              quando nel 1890 la Regina d’Olanda, in seguito alla legge salica, non poté ereditare il Lussemburgo [poi i lussemburghesi cambiarono subiton le leggi e ci sono state Granduchesse, Maria e Charlotte !], il trono passò al protestante Adolfo già Duca di Nassau che fu detronizzato nel 1866 da Bismarck (ma il Duca non era fesso, fece la pace con Bismarck che fesso non era neppure lui..magari Bismark il cugino sì :D) ed ebbe l’appoggio tedesco all’ascesa al trono lussemburghese
              ricordiamoci che sino al 1867 il Lussemburgo ebbe guarnigione della Confederazione germanica (sciolta nel 1866) ed il trattato di londra dell’11/5/1867, che ne fissò la neutralità 8ma con garanzia collettiva e non individuale come nel caso belga del 19/4/1839..in soldoni, i tedeschi invasero pure il Lussemburgo il 2/8/1914 e se é per questo per ovvie ragioni PRIMA del Belgio, ma Albione non avrebbe potuto usare il Lussemburgo per dichiarare guerra alla Germania..Robelux e Z, se vorranno, vi spiegherà ‘ste noiosissime cose)
              sino al 1919 moneta era il Reichsmark, poi conseguenza della finis Germaniae ci fu l’unione monetaria con il franco belga (dal 1921 al 2002) e l’essor del francese che “umiliò” il tedesco, in pubblico, laddove prima del 1914 era esattamente il contrario e il francese era sì noto, ma come in quei noto era noto in tute le élite, a San Pitroburgo come ad Atene e dunque a fortiori a Lussemburgo !
              da lui deriva l’attuale dinastia
              i suoi discendenti (di Adolf di Nassau) si fecero cattolici [forse Leone XIII, altri Papi, lo pretese, per l’invio di un’Internunziatura nel 1891, unita a quella al’aja] e, almeno Maria (durante la I GM) era molto devota e antimassonica..
              la Francia radicale, vittoriosa, la obbligò ad abdicare (nel 1914 aveva di fatto accettato l’occupazione tedesao, con un minimo, ma proprio il minimo sindacale di proteste) e il tronò passò alla sorella Charlotte, molto più “liberal” (é quella che nel 1940, memore della sorte della sorella e del rancore “alleato”, scappò a Londra..il nostro R. Ministro disse a Ciano, in un rapporto segretissimo che ora si legge nei DDI, che AH le avrebbe volentieri lasciato il trono, come fece in Danimarca del resto, solo che gliel’avesse chiesto..lei però fuggì e i tedeschi introdussero una propria amministrazione in Lussemburgo e il 30/8/1942 lo annessero; Charlotte tornò, con gli americani, nell’autunno 1944)
              la G.D Charlotte, cui é dedicato il ponte che ho visto, iniziò la massonizzazione della Casa granducale, completata in seguito
              oggi, in teoria sono “cattolici”, ma del rito del Grande Oriente 😀
              il popolo, rimasto cattolico sino ai 1950, fu decatt0licizzato con la rivoluzione dei ’60 e ’70..oggi tutte le élites sono massoniche o massonizzate e il lussemburghese medio è laico–Robelux saprà dirti meglio di me se ancora esiste qualche cattolico, ma ho dei dubbi
              però, non bisogna commettere il grave errore, di proiettare il Lussemburgo laicissimo e soprattutto indifferente di oggi, con il Lussemburgo storico..certo non fu mai la Spagna né la Vandea, ma ebbe una tradizione cattolica di tutto rispetto durata sino ai 1960’

              • habsburgicus scrive:

                un po’ come il québec
                se uno conosce solo il Québec dell’ultimo cinquantennio, uno pensa a anticlericalismo, femminismo, pansessissimo, gauchisme in tutte le salse…
                ma sino ai 1960 il Québec fu cattolicissimo
                triste dirlo, ma fra poco (o forse già ora ?) si potrà dire lo stesso del’Irlanda
                cattolica per antonomasia per secoli e secoli, se uno guarda all’oggi trova una Nazione molto, molto anti-clericale e indifferente al Cattolicesimo

              • Roberto scrive:

                Io mi sarei limitato a dire “cattolico”, ma per fortuna c’è habsb

  6. Miguel Martinez scrive:

    Il post è stato ripreso da Comune.info, invito tutti a leggere i commenti:

    https://comune-info.net/2018/05/vita-cassiera-vita-calzolaio/

    Tra i commenti, questo bellissimo:

    “Il mio calzolaio continua a chiedere a mia mamma (in realtà è il calzolaio di mia mamma) perché mi ostino a farmi riparare le scarpe (che inevitabilmente distruggo perchè cammino un sacco, anche coi tacchi)… prima o poi riuscirò a spiegargli che è perché a me piace un mondo con più calzolai!”

    • Z. scrive:

      Ottimo, si tratta di trovare qualcuno a cui piaccia un mondo con più avvocati!

      Non fa altrettanto fratelli Grimm, ma farebbe molto liceo classico, sol che li si chiamasse “oratori” 😀

  7. Roberto scrive:

    “Forse sì, basta che mi spieghi in che modo gli avvocati lavorano con le mani, tessono reti tra le persone, creano amicizie, abbiano botteghe in cui la gente entra ed esce.”

    Miguel,
    Ma crea comunità solo chi ha una bottega?

    Se è così, vedo due difficoltà

    1. Se tutti hanno una bottega, che comunità potrà mai essere? Il bottegaio sta a bottega non va in giro di bottega in bottega

    2. La comunità è creata da bottegai + gente che ha il tempo. Ergo, disoccupati, casalinghe, pensionati, traduttori freelance e chi altro?

  8. Moi scrive:

    @ ROBERTO

    Un vecchio Luogocomunismo 🙂 dice che i Norreni (Lussemburghesi compresi) sono “di default” dei “gran gricciazzi”;) anche quando di “pilla” ne hanno eccome … per contro, i Mediterranei (Italiani in testa) sono dei “gran spanizzi” 😉 anche quando di “pilla” NON ne hannoun “ghello” 😉 …

    Vero ? NON del tutto ! Falso ? NON del tutto !

    Come tutti i Luoghicomunismi, dal momento che esiste … un fondo di verità (magari storicamente obsoleto, eh !) ce l’avrà !

    • Roberto scrive:

      Per come la vedo io, si tratta semplicemente di spendere soldi per cose diverse. un lussemburghese non esita a portare la macchina all’autolavaggio ogni settimana, ma ti guarda come se tu fossi pazzo se spendi più di 50 euri per un pantalone, o se vai a mangiar fuori una volta di più.

      Di italiani che lavano la macchina ogni settimana non ne conosco, in compenso di gente sempre vestita a festa e ristoranti strapieni ogni giorno, in Italia ne vedo in continuazione.

    • Roberto scrive:

      Poi ci sono popoli dove la tirchieria è una virtù e quelli che fanno gli splendidi come gli italiani vengono visti con aperto disprezzo, come la formica vede la cicala. Ma siamo decisamente in zona Olanda-Danimarca, certo non Lussemburgo e Germania!
      non per nulla, sono posti che disprezzo.

    • Roberto scrive:

      Infine, per guardare la tirchieria o no, bisognerebbe vedere come si dividono i conti al ristorante.
      Ricordo che gli inglesi dicono “to go Dutch” per indicare lesecrabile pratica di stare a guardare chi ha mangiato cosa al ristorante.
      Non “to go German” o “to go Luxembourgish”

      • Z. scrive:

        A Bologna si dice “fare alla romana” per entrambi i modi di dividere la spesa. La cosa è piuttosto bizzarra.

        • Peucezio scrive:

          Secondo me in tutta Italia, se tu chiedi a qualcuno se fare alla romana significa dividere fra tutti o vedere ognuno cosa ha mangiato, non ti sanno rispondere, anche se di massima propenderanno più per la prima cosa.

        • Peucezio scrive:

          Per inciso,
          oggi fare alla romana, nel senso comune di dividere per tutti, mi sembra del tutto naturale, come è normale fra persone adulte che non debbano stare attente al centesimo, ma ricordo che da bambino, la prima volta che sentii accennare a questa pratica, provai un profondo senso d’indignazione morale per la sua palese ingiustizia, un po’ come quando pochi bambini fanno chiasso e la maestra punisce tutti.

          • Z. scrive:

            Vedila così – quando tu eri bambino, il centesimo era obiettivamente più importante per te rispetto a quanto non lo sia oggi!

            • Peucezio scrive:

              No. La cosa avvenne in una fase in cui non maneggiavo soldi e non m’interessavano.
              Era una questione di puro principio.

            • Mauricius Tarvisii scrive:

              È un discorso di norma sociale speciale, che deroga al principio generale di responsabilità personale.

          • Roberto scrive:

            Una volta in Olanda, in 5-6 ci eravamo ammazzati di cibo e vino, ed una settima persona si era unita a noi in ritardo mangiando un dolce e bevendo un bicchiere.
            Al momento di pagare propongo ovviamente di dividere tutto in parti uguali tra noi che avevamo mangiato, e mi hanno guardato come se fossi pazzo “ma lui ha mangiato un dolce! Tu hai preso il pane ed io no!”
            Gente di merda

            • Francesco scrive:

              Nomino seduta stante i paesibassisti “liguri onorari”

              Già mi piacciono 😀

            • PinoMamet scrive:

              Non ho la conoscenza estensiva dei Paesi Bassi di Roberto, però conosco un paio di olandesi che mi sembrano simpatici
              (uno molto bene, però è italianizzato da anni…)

              invece, ahimè, non ho troppo simpatia per i liguri. Mi ci trovo poco, ecco.

              • Francesco scrive:

                Anche io di solito. Ma sono per metà ligure e al 100% tirchio

                😀

              • Roberto scrive:

                Io ci ho vissuto sei mesi, ed è l’unico posto in cui mi sono trovato male. Poi per carità, conosco pure olandesi simpatici, ma è proprio l’atmosfera generale, la tirchieria elevata a sistema di vita, il “non ti giudico perché sei una bestiolina non giudicabile”, la finta apertura e socialità….mi sono rimasti indigesti come il loro pessimo cibo

              • Z. scrive:

                Ma come… il gouda!

              • Roberto scrive:

                Hanno due o tre cose commestibili, ma che dire, uno dei loro piatti forti è l’uitsmjiter….uovo fritto su un pezzo di pane….

                https://www.brood.net/recepten/ei/hollandse-uitsmijter

              • Roberto scrive:

                Poi apprezzo le aringhe, le anguille e la zuppa di piselli. Per il resto…raiga

  9. Moi scrive:

    Almeno fino a Fine Novecento girava quella che i Mediterranei sarebbero “straccioni che vivono da nababbi”, i Nordici “nababbi che vivono da straccioni” … 😉

    • PinoMamet scrive:

      Mi fido di te, io questo luogo comune su nordici vs mediterranei non l’ho mai sentito (tra i tanti).

      In compenso ho conosciuto davvero dei nababbi, o all’incirca, che vivevano come straccioni, e viceversa: ma entrambe le categorie rappresentate ma miei concittadini.

  10. Moi scrive:

    Luciano De Crescenzo non era l’unico a sostenerlo … ma senz’altro quello che più di ogni altro dava la cosa per positiva ! 😉

  11. Z. scrive:

    Un altro mestiere che sembra avviarsi al tramonto è il barbiere.

    I saloni da barbiere mi ricordano la mia giovinezza. Un’epoca in cui il mondo mi sembrava molto più sensato e molto meno spietato di quanto non mi sembri oggi (non che lo fosse davvero, intendiamoci: probabilmente è solo che ci capivo poco, anche meno di oggi).

    Però, però, il mio parrucchiere cinese, in dieci minuti circa, mi sciampa, mi rade alla perfezione e sinanco mi pettina per dieci euro.

    La barba me la faccio da solo, come sempre.

    Mi sa che continuerò ad andare dal cinese.

  12. Moi scrive:

    Io invece ho scoperto solo recentissimamente che quella specie di misterioso paletto con spirale”ipnotica” da vecchio film Americano … è (o era) l’insegna del barbiere !

  13. Moi scrive:

    poi c’ è(ra) anche l’ asta portabandiera sempre senza bandiera … nei “cartoons” di Hanna-Barbera (0 simili) serviva ai personaggi per rimbalzare e aggrapparvisi quando cadevano dai grattacieli !

  14. Francesco scrive:

    Miguel,

    stavo riflettendo sulla tua citazione di Marx e credo tu abbia scelto uno dei suoi errori più marchiani e più da “intellettuale borghese”.

    Contraddetta dall’esistenza delle aristocrazie operaie, cioè degli operai “capaci di fare il loro lavoro” e per questo già in grado di trattare con i padroni ai tempi di Marx.

    Ma penso anche ai minatori: non vedo lavoro più alienante (nel senso di Marx) ma anche più in grado di definire la persona. Come si vide nel grande e tragico scontro tra i minatori e il governo conservatore negli anni ’80.

    I minatori erano in quanto minatori e quando le miniere sono state chiuse non hanno più avuto identità.

    Addirittura, nella società liquida (guarda chi vado a citare) è meglio essere un pò alienati al lavoro, perchè domani sarai altrove e se ti identifichi troppo con quello che fai oggi ne soffri e basta.

    Ciao

    • Miguel Martinez scrive:

      Per Francesco

      ” credo tu abbia scelto uno dei suoi errori più marchiani e più da “intellettuale borghese”.”

      Concordo con praticamente tutto quello che scrivi in questo commento, tranne questa riga 🙂

      1) La condizione operaia la conosco poco, ma ho notato che ci sono alcuni tecnici che davvero amano il loro lavoro (indimenticabile la gioia con cui un tecnico di una fabbrica spiegava a quelli della Coca Cola i testi cui sottoponeva i tappi prodotti dalla ditta per cui lavorava): l’aristocrazia operaia esiste, però sono sempre degli artigiani, che gli stessi padroni ascoltano con rispetto.

      2) I minatori: una riflessione molto interessante. Però non so se amassero esattamente il loro lavoro, o piuttosto si fossero forgiati un carattere nell’avversità. Poi magari i minatori avevano mentalità diverse, in epoche diverse. http://kelebeklerblog.com/2012/09/25/%E2%80%9Egluck-auf%E2%80%9C-le-fondamenta-della-germania/

      3) Io mi identifico abbastanza nell’ultimo punto che scrivi, non amo il mio lavoro, ma essendo vario, per clienti vari, e soprattutto NON ESSENDO DIPENDENTE, non ne soffro più di tanto.

      Però Marx, che ha scritto sciocchezze in molti altri contesti, qui secondo me ci azzecca proprio. Anche se non pensiamo al lavoro “sofferto”, io – se credessi a Babbo Natale – metterei subito la firma per il Reddito di Cittadinanza, invece di fare traduzioni che non sento mie, potrei fare il Giardiniere (come mi chiamano i figli) e dedicarmi a scrivere sul blog. Due attività che farei anche otto giorno la settimana venticinque ore al giorno.

      • paniscus scrive:

        “potrei fare il Giardiniere (come mi chiamano i figli) e dedicarmi a scrivere sul blog. Due attività che farei anche otto giorno la settimana venticinque ore al giorno.”

        …e non è detto che la cosa sarebbe approvata in famiglia : – )

      • Francesco scrive:

        Miguel,

        qui emerge il tuo lato messicano, che proprio non arriva al concetto di lavoro, temo.

        Forse, se chiedessi al tuo lato USA, quella roba che i giocatori di basket chiamano “professionalità” e che li divide dai pirloni, pur facendo entrambi i gruppi un lavoro che amano.

        Ah, sui minatori, non dico che amassero il loro lavoro, dico che ERANO quel lavoro. Anche troppo, da cattolico-socratico che ricorda sempre che dobbiamo lasciare questo mondo e abbiamo un’anima immortale.

        E sono certo di avere ragione.

        Ciao

  15. Moi scrive:

    @ HABS

    Più o meno, il copione è sempre lo stesso:

    dopo che prevalse lo Spirito del Concilio, la Massoneria “intomellano” ) la Chiesa Cattolica buttandola sul Filantropico … nel giro di 40 anni al massimo, le due sono indistinguibili: al punto che la Massoneria può tornarsene a far finta di NON esistere ! 😉

    … Però il giochino si è guastato: i Musulmani danno per scontata l’ “accoienza” da parte dell’ Occidente (al punto che gli Sceicchi non dànno un ghello e non accolgono nessuno del resto della Umma, preferendo spendere in troie, iòcht ;), villoni e macchinoni nonché troie 😉 !) per poter poi ricreare il Mondo Deserticolo di un Millennio e Mezzo Fa ovunque riescano a inocularsi e proliferare in maniera abnorme. 😉

    • Francesco scrive:

      Moi

      varda ben che i sceicchi troiaioli sganciano un sacco di dindi per le moschee nelle terre degli infedeli

      per fortuna in concorrenza tra loro, che sono uno strumento di creazione di legami tra la diaspora musulmani e i paesi degli sceicchi – anche quando i diasporati prevongono da altri paesi

      sarebbe cosa da studiare, invece di farsi le pugnette pensando a cosa succede sugli iocht!

      😀

      • PinoMamet scrive:

        OMDAF

        testimonianze oculari mi parlano di ricche donazioni da parti di paesi del Golfo anche alle famiglie musulmane in Albania, perché e purché si comportino “da musulmani” secondo i particolari standard arabi sunniti del Golfo (e quindi lontanissimi dalla tradizione albanese).

        • Francesco scrive:

          questo è un pò più pervasivo di finanziare moschee e scuole coraniche … ho letto voci su cose del genere presso tutte le popolazioni musulmane della ex-Jugoslavia ma le avevo prese con beneficio d’inventario

          • paniscus scrive:

            La Bosnia, a partire dal 2000 circa, è stata sommersa di finanziamenti per la ricostruzione post-bellica provenienti dalla Turchia, che contemporaneamente sono serviti anche a fondare associazioni culturali islamiche, scuole di lingua araba (non turca, ma proprio araba, per leggere il Corano) o di qualsiasi altra cosa legata a tradizioni culturali islamiche, dall’arte, alla cucina, al sistema dei prestiti e crediti islamicamente corretti.

            Se siano state offerte delle donazioni alle singole persone, non lo so, ma di misteriose agenzie a sfondo sociale e culturale islamico, è pieno.

    • habsburgicus scrive:

      spendere in troie, iòcht ;), villoni e macchinoni nonché troie ? !

      @Moi
      : D 😀 😀
      in mezza riga hai descritto alla perfezione il Golfo 😀

  16. habsburgicus scrive:

    @Francesco @Moi
    li sganciano veramente, a quanto pare…purtroppo per noi 😀
    le ragioni potrebbero essere due
    i.pur impazzendo per la fàiga bionda :D, nonostante tutto ci credono 😀
    ii.si parano il posteriore, acquisendo ut ita dicam la “non belligeranza” degli islamici in modo da ridurre [per sé] il rischio di andare a testare anzitempo le Uri :D..e continuare ad accontentarsi più prosaicamente delle baltiche 😀

    • Moi scrive:

      “La seconda che hai detto” [cit.] … “gli Sceicchi Arabi, in quanto Mercanti Levantini, mentono sulla mercanzia come respirare !”, si diceva prima del Politically Correct 😉 !

      In ogni caso, chiamare “Finanziare l’ Accoiènza (Boldriniana)” il rifilare ai Kuffar chi a differenza di loro ci crede davvero … è talmente geniale da meritare socio-darwinianamente tutto ciò che possiedono, ergo all fàiga money can buy 😉 !

      • Francesco scrive:

        “gli Sceicchi Arabi, in quanto Mercanti Levantini, mentono sulla mercanzia come respirare !”

        mi sa che lo dicevano i commercianti inglesi, bravissimi a vantare la propria onestà … un pò meno a essere onesti, temo.

        lo rilevo perchè tra i Levantini ci mettono pure noi italiani!

        🙂

        PS che se noi abbiamo Di Maio, loro hanno Farange!

        • Z. scrive:

          Chissà perché Farage in Italia diventa spesso Farange.

          Dev’essere una di quelle cose tipo Bismark o Ghandi o Bansky.

          • Francesco scrive:

            c’ho pensato un pò poi mi sono detto che l’ortografia non è nelle loro principali preoccupazioni

            ma di certo Farange suona giusto e Farage sembra solo Garage scritto sbagliando una lettera

          • Z. scrive:

            Ma infatti è questa la cosa interessante: significa che la lectio alternativa suona più giusta di quella ufficiale.

            Se potessi permettermi Peucezio come precettore, forse scoprirei perché.

            • Francesco scrive:

              ah io posso! mi ha appena scritto il ministro delle finanze del Benin che mi devono accreditare un milione e mezzo di dollari, sono ricco!

              😀

  17. Moi scrive:

    Ah … di “Americanate Liberal” ve ne ho strolgata 😉 un’altra che dovrebbe interessarvi :

    Racism VS … Colorism / Shadism [sic]

    https://en.wikipedia.org/wiki/Discrimination_based_on_skin_color

    Woh ! Woh ! Woh ! Woh ! Woh ! Woh ! Woah !
    … Ain’t U just gonna get triggered, buddies 😉 ?!

  18. PinoMamet scrive:

    OT:
    scuola

    segnalo a chi parla di scuola (spesso, bisogna dire, basandosi su ricordi più o meno rielaborati della propria vita di studente, e basta):

    https://www.orizzontescuola.it/maestre-indagate-tra-le-accuse-parlano-dialetto-contano-fino-a-tre-urlano-basta-processo-e-soluzione/

    morale della favola:
    se lo studente ti mena e lo lasci fare, finisci indagato perché non sai fare il tuo lavoro;
    se lo sgridi, finisci indagato per “maltrattamenti”;
    se ti difendi, ti menano i genitori;
    se lasci il disabile a terra, lo stai umiliando;
    se lo sollevi, lo stai strattonando…

    insomma, come fai sbagli.

    La mia soluzione, che scrivo e ribadisco immediatamente a caratteri di scatola, è:
    fuori i genitori dalle scuole. Fuori, subito. Tolti tutti i loro assurdi poteri, e quelli degli studenti. Basta, avete rotto il cazzo.
    Non esiste che il paziente si faccia le diagnosi, e stabilisca le terapie e i tempi di ricovero: non esiste, non ha senso.

    • Francesco scrive:

      Toh, un altro che scopre le colpe del ’68!

      😀

      PS non sto scherzando, l’ultima frase di Pino è un attacco frontale a tutto quello che il 68 ha rappresentato come “riorganizzazione della società”

      • paniscus scrive:

        Francesco:

        queste mode (del coccolamento sentimentale estremo degli alunni, dello strapotere dei genitori dentro alla scuola, e del terrore del ricorso facile) sono esplose negli anni novanta.

        Il sessantotto non c’entra un piffero.

        Io sono stata a scuola quando il sessantotto era passato da un pezzo, e assicuro che questi atteggiamenti non c’erano.

        Tu confondi l’atteggiamento rivoltoso degli studenti incazzosi, che si ribellavano sia contro le istituzioni, sia contro le famiglie (che effettivamente poteva essere associato all’ideologia del sessantotto)…

        …con l’attuale atteggiamento piagnucoloso degli studenti che si atteggiano a vittime (non a contestatori, ma semplicemente a vittime) e con quello dei loro genitori che si atteggiano a protettori dei loro cuccioli ad ogni costo.

        Se tu sostieni veramente che i giovani ribelli del sessantotto mandavano la mammina a piangere dall’insegnante perché “li aveva fatti sentire poco inclusi nel gruppo classe”, o mandavano il papino a protestare dal preside minacciando ricorso contro il voto insufficiente, sei semplicemente in mala fede.

        • MOI scrive:

          Be’: han scoperto che il Chiagneffotti Merregano dei Séif Spéiss e dei trìgghers 😉 funzia molto meglio dell’ Antagonismo InK@zz@to 😉 !

        • Z. scrive:

          Non credo che Francesco sia in mala fede, anzi. Ma nel merito la Prof ha ragione.

        • Roberto scrive:

          “sono esplose negli anni novanta.”

          Certo, ma appunto i genitori che avevano figli a scuola (almeno alle superiori) negli anni novanta non sono più o meno quelli che erano studenti nel 68?

          Francesco poi si riferisce ad una questione precisa che non è quella di cui parli tu ma “non esiste che il paziente faccia la diagnosi”.
          Non c’entra niente con la piagnucolodita o i cuccioli, ma riguarda la sovversione dei ruoli della società.
          Credo che francesco ci prenda abbastanza con questa osservazione

        • Roberto scrive:

          Sono invece ovviamente d’accordo sul fatto che la piagnucolosità non ha nulla a che vedere con il 68, anzi!

        • Peucezio scrive:

          Lisa,
          brava dritta: ma quando è che i sessantottini sono passati dall’altra parte della cattedra? Come insegnanti, ma soprattutto come dirigenti, funzionari della Pubblica Istruzione, pedagoghi, tecnici ed esperti vari, classe dirigente…?

          Credevi veramente pensassi che i danni del ’68 venissero dal fatto che gli studenti si sono ribellati e da allora i professori si sono intimiditi?
          E non dalla mutazione antropologica che il ’68 ha rappresentato?

          • Z. scrive:

            Secondo me ciò che tu vedi come causa ed effetto sono due diverse forme di manifestazione della velocità sempre più elevata con cui cambia il mondo nella nostra epoca.

            • Peucezio scrive:

              E chi ha parlato di causa-effetto?
              Ripeto: il ’68 è una mutazione antropologica.Che quindi agisce a tutti i livelli.
              Voi scientisti 😛 credere nei rapporti causa-effetto, noi abbiamo visioni olistiche, organicistiche.

        • Francesco scrive:

          prof

          io sostengo che il ribellismo “without a cause”, l’anti-autoritarismo, il personalismo del “perchè lo dico io” contro “le regole”, la mancanza di rispetto, sono figli diretti del ’68 e che senza il ’68 l’attuale “familismo frignone” sarebbe non solo impossibile ma anche inconcepibile

          saluti

    • PinoMamet scrive:

      Hai ragione… ma non le ho mica scoperte ora 😉

    • Z. scrive:

      È una tendenza diffusa anche fuori dalla scuola, sgond a me. E temo che peggiorerà.

      • PinoMamet scrive:

        In effetti, ho sentore che sia una tendenza in aumento anche negli ospedali, appunto: dove i pazienti non si fanno le diagnosi da soli, certo, ma quasi.
        Mi pare che il numero delle cause “ospedaliere” sia cresciuto di molto negli ultimi anni, per cui (così sento dire) molti medici optano per le terapie di minor impatto e minore responsabilità.
        Ma non sono addentro al settore e non saprei andare più nello specifico.

      • Z. scrive:

        Eh, sai quante volte i clienti entrano nello studio di professionisti di ogni genere e dicono “un mio amico mi ha detto che” o “ho letto su internet che”…

        C’è chi dà la colpa ai comuni, chi a Berlusconi, chi a Grillo. Probabilmente certa retorica ha fatto molti danni.

    • Roberto scrive:

      Temo che Z abbia ragione

    • Francesco scrive:

      spero che il governo di +scemo e +cattivo segni il culmine del fenomeno e l’inizio del riflusso verso la Ragione

      spero

    • Z. scrive:

      Basterebbe un riflusso verso la Regione, dove per ora resistiamo meno peggio che altrove a certe derive.

    • Z. scrive:

      Detto questo, secondo me l’articolista non dovrebbe scagliare la prima pietra…

    • Moi scrive:

      Maurizio Blondet direbbe a Pino che chi ha voluto la Bicicletta Talmudica (ossia Intellettualismo Sovversivo in Occidente) … pedali talmudicamente ! 😉

      • Z. scrive:

        Minacciare un professore con un casco a suon di bestemmie sarebbe dunque “intellettualismo sovversivo”.

        Bah 🙂

      • PinoMamet scrive:

        Il Talmud in effetti parla di educazione, ma non certo in modo sovversivo…

        più o meno ci trovi massime tipo “ci sono quattro tipi di studenti, quelli che imparano tardi e dimenticano tardi, quelli che imparano tardi e dimenticano presto, quelli che imparano presto e dimenticano presto, quelli che imparano presto e dimenticano tardi”
        oppure
        “ci sono quattro tipi di persone tra quelli che frequentano le Case di Studio: ci va e non applica, ottiene la ricompensa per esserci andato; non ci va e applica, ottiene la ricompensa per applicare; ci va e applica, è un giusto; non ci va e non applica, è un malvagio”

        vedi tu se è sovversivo… 😉

  19. Roberto scrive:

    Come sapete non è il mio compito quello dell’antieuropeista del blog, ma stavolta non posso far a eno di notare che
    1. Ho un crampo all’indice forza di cliccare consensi
    2. Non posso più accedere a certi siti
    3. La privacy mi fa lo stesso effetto che a fantozzi la corazzata
    4. Il nuovo regolamento sta occupando spazi della mia vita lavorativa che potrei utilizzare più utilmente altrimenti

    http://www.repubblica.it/tecnologia/2018/05/25/news/privacy_vari_siti_usa_offline_in_europa_tra_questi_anche_il_los_angeles_times-197313741/

    Abbasso il nuovo regolamento!

    • Z. scrive:

      Più che altro, in un mondo dove quasi tutti fanno a gara a mettere in piazza i propri dati personali, appare bizzarro che una delle più grosse preoccupazioni sia che vengano messi in piazza i dati personali!

      • Roberto scrive:

        Ma appunto!
        Lasciateci mettere in piazza i nostri dati come meglio ci gira, mica siamo bambini!

        • Mauricius Tarvisii scrive:

          Basta che non metti in piazza i miei…

          • Roberto scrive:

            Tipo?

          • Z. scrive:

            MT,

            — Basta che non metti in piazza i miei… —

            Non serve. Quasi certamente lo stai già facendo da solo 🙂

            • Mauricius Tarvisii scrive:

              Prendo le mie precauzioni.

              • Z. scrive:

                Beh…

                secondo me usi solo telefoni non smart, non hai profili su servizi di social network e non hai servizi intestati (tipo numeri di telefono, per capirsi) forse puoi contenere il danno.

                Contenere, non eliminare, nel senso che ci sarà sempre qualcuno che diffonde i tuoi dati, ma è già qualcosa.

                Diversamente la vedo bigia.

              • Roberto scrive:

                Ovviamente non usi carte di credito, non viaggi in aereo, non cammini vicino a posti videosorvegliati (niente banche e supermercato) non hai nessuna tessera-sconto (negozi o supermercati), non noleggi macchine, non sei nell’elenco telefonico….in pratica sei il mio criceto!

              • Mauricius Tarvisii scrive:

                C’è spazio tra il rinchiudersi in una campana di vetro e il lanciarsi dal quinto piano, no?

              • Z. scrive:

                In questo ambito temo proprio di no.

    • Peucezio scrive:

      Il guaio è che ‘sti regolamenti diventano sempre seccature per i tutelati, quando dovrebbe essere il contrario.
      Questo perché il regolamento non serve per tutelare la privacy, ma per fare sì che chi vuole infrangerla, possa farlo con il consenso dell’interessato e del tutto legalmente.
      Altrimenti basterebbe stabilire che
      1) tu non puoi archiviare né diffondere nulla senza l’esplicito consenso dell’interessato;
      2) che tale consenso debba venire dall’interessato sua sponte e tu non hai diritto di sollecitarlo o fargli domande in tal senso;
      3) che tu non puoi porre subordinare l’erogazione di nessun tipo di servizio al suo assenso: cioè la negazione del consenso da parte sua non può avere nessun tipo di conseguenza di nessun genere.
      Solo così si tutelerebbe la riservatezza (perché cazzo si deve dire privacy???) seriamente.
      Invece è chiaro che le leggi che si fanno servono a fare sì che i grossi colossi (e anche i pesci piccoli) possano fare quel cazzo che vogliono, dando una parvenza di legalità.

      • mirkhond scrive:

        “la riservatezza (perché cazzo si deve dire privacy???)”

        Già.

      • Mauricius Tarvisii scrive:

        Che poi correttamente sarebbe “protezione dei dati personali”, visto che la riservatezza con certe cose non c’entra un tubo: se tu mi dai dei tuoi dati non sei riservato, ma i tuoi dati speri che comunque siano protetti (cioè che io non li giri a terzi).

  20. Roberto scrive:

    OT BIS

    immagino che tutti gli occhi e le preghiere dei cattolici oggi siano qui

    https://www.irishtimes.com/news/politics/abortion-referendum

    • Peucezio scrive:

      Non ci dovrebbe essere bisogno di essere cattolici.

    • Mauricius Tarvisii scrive:

      No, i miei pensieri adesso stavano a un video degli anti-Trump e pro-UE in cui si dice che dovremmo tutti impegnarci a dire a Trump che il cambiamento climatico è reale e che bisogna contrastarlo.
      I diffusori sono gli stessi che qualche tempo fa protestavano contro dazi e protezionismo, perché le merci devono circolare su scala globale.

    • Francesco scrive:

      confermo per me

  21. MOI scrive:

    Va be’, dài: “Banksy” sembra una roba bancaria 😉 perciò … è ovvio che NON piaccia ! 😉

  22. MOI scrive:

    Mi parrebbe assai strano se in Irlanda dopo essere passato il “gender” NON passasse l’ aborto … anche se, da copione, l’ Ordine di Successione nella Finestra di Overton è l’opposto !

  23. MOI scrive:

    Di solito, chi è entusiasta dell’ aborto piange tutte le sue lacrime se vede un gatto “stirato” in tangenza …

  24. MOI scrive:

    Ah … se il Karlone (citato da Miguel in Post, eh !) potesse vedere i Millennials che si sentono Imprenditori a monetizzare in Youtube i videini ove dar sfoggio di politically correct girati in cameretta !

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