Le regole in discesa

Ci sono stati molti commenti, anche sanamente critici, ai concetti che ho espresso nel post sull‘Effetto Seneca e le prostitute a Firenze. Come spesso capita, i commenti sono anche trasbordati altrove, comunque mi hanno aiutato a chiarire meglio i concetti.

Esistono due linee: quella della risorse e quella delle regole per gestire le risorse e il loro utilizzo.

La linea delle risorse è definita anche dal rapporto tra fonti disponibili, costi di estrazione e scarti, e fin qui stiamo parlando di temi che altri hanno sviluppato con molta più competenza di me: è quello che si vede comunque nella Piana di Firenze, dove l’ultima risorsa territoriale viene consumata contemporaneamente da un inceneritore, da un nuovo aeroporto e dall’espansione dell’autostrada, poi ci si strozza.

Limitiamoci a parlare comunque delle risorse disponibili per le istituzioni. In Italia oggi abbiamo superato il picco e sta iniziando la discesa. E per quanto siano immensi gli sprechi e la corruzione, non è vero – come sostengono alcuni militanti politici – che “i soldi ci sono, basta ridistribuirli”.

Quando le risorse diminuiscono, si inizia a tagliare sempre dal basso: ad esempio sul numero di custodi che tengono aperto un museo di secondaria importanza o su una linea di autobus poco frequentata.

Questo vuol dire che magari si continua per un bel po’ a investire in aeroporti giganteschi o sistemi missilistici, che colpiscono l’attenzione generale, mentre i tagli sembrano locali.

Thomas Homer-Dixon ha dedicato uno straordinario capitolo di The Upside of Down agli studi degli archeologi sul degrado degli acquedotti romani in Provenza, dove si vede esattamente questo meccanismo: un po’ più di calcare che si accumula anno dopo anno, perché c’è un po’ meno manutenzione, un privato che ci fa un forellino per annaffiare il proprio campo e così via fino al collasso dell’intero sistema.

Ma forse perché chi si occupa di queste cose proviene in genere dalle scienze biologiche, chimiche o climatiche, non si pensa molto al rapporto di tutto questo con le istituzioni che organizzano tutto.

Infatti, le regole, studiate per tempi di maggiori risorse, continuano a valere e si scontrano con le nuove esigenze: rendendo quindi catastrofica quella che in altre condizioni poteva sembrare una dolce scivolata verso il basso.

Da cinque anni vivo profondamente immerso in una realtà amministrativa molto locale e piccola, quella del Centro Storico di Firenze.

Alcuni mi contestano che sarebbe una realtà unica, completamente diverse da tutte le altre d’Italia e d’Europa. Può darsi, posso solo dire che è l’unica realtà che io conosco bene. E a naso, sospetto che altrove non sia in realtà così diverso, visto che i rigorosi meccanismi che operano qui sono gli stessi di tutto il resto d’Italia, e dovrebbero dare gli stessi effetti.

L’altro giorno, leggo che sette funzionari della Direzione Ambiente del Comune di Firenze sono stati rinviati a giudizio.

Non voglio entrare in merito, e semplificherò alcuni dettagli, sperando di non offendere nessuno.

Ci sono molte migliaia di alberio a Firenze, piantati  in tempi in cui i Comuni potevano spendere di più.

Su quell’abbondanza, sono state costruite delle regole, che richiedono un’attenta cura di ogni singolo albero, per evitare che si ammali o che cada in testa ai passanti.

Poi arrivano i tagli. E così si decide che ci sono cose più importanti degli alberi.

Arrivano meno fondi, i mezzi che si hanno si deteriorano e non si sostituiscono, qualcuno va in pensione e nessuno viene assunto, al posto dei giardinieri esperti arrivano cooperative rimediate tra disperati… insomma, piano piano si finisce per ridurre drasticamente i controlli sugli alberi.

Un giorno, un ramo di uno delle migliaia di alberi che si trovano in un grande parco cade in testa a due persone, uccidendole.

Quindi la potenziale responsabilità dei funzionari dell’Ambiente diventa anche penale.

La regola ideata per i tempi di abbondanza li obbliga quindi ad agire in emergenza.

Così corrono a sistemare tutti gli alberi di Firenze. Ma non avendo più i mezzi per farlo, chiamano persone senza la minima esperienza, a fare l’unica cosa possibile – segare rami a caso, capitozzandoli come si dice.

Così sulla carta risulta che gli alberi sono stati controllati e che l’ufficio ha seguito le regole e nessuno finisce in galera.

Solo che la capitozzatura è una delle pratiche più dannose immaginabili. Si toglie il ramo che potrebbe cascare, e si mette a rischio la stabilità di tutto l’albero.

Anche i platani vengono segati e gettati nelle chippatrici, immense macchine che tritano tutto, lanciando polveri e frammenti ovunque: peccato che Firenze sia un focolaio del cosiddetto “cancro colorato del platano” che si trasmette per contatto tra un platano e l’altro, motivo per cui esistono norme molto rigorose per l’eliminazione dei resti dei platani stessi. Mentre la dispersione dei resti dei platani non fa altro che propagare la malattia.

chippatricechippatrice all’opera

Passano tre anni, e quest’estate cade un grande ippocastano (non so se per capitozzature passate), fortunatamente senza ferire nessuno.

Ma il rischio è stato grosso, e le regole obbligano il sindaco a prendere subito delle misure.

Così vengono tagliati alberi a centinaia, in base a un visual tree assessment (in italiano, un’occhiata).

La gente protesta, e dai tanti esposti, nasce un’inchiesta della Magistratura, con le seguenti motivazioni.

1) i funzionari non avrebbero svolto, in questi anni, tutti i lavori di controllo e manutenzione richiesti dalle regole

2) non avrebbero seguito la regola che richiede l’autorizzazione della Soprintendenza per ogni singolo taglio nell’area del Centro Storico

3) avrebbero abbattuto anche alberi che si potevano salvare con un trattamento molto meno radicale.

Le buone intenzioni dei funzionari sono indiscutibili.

Sono pagati per salvare le capre (i cittadini) e i cavoli (gli alberi).

Una volta avevano le risorse per farlo.

Adesso non ce le hanno più, e quindi finiscono inevitabilmente sotto processo, perché non possono salvare entrambi. Finiscono sotto processo, sia per ciò che fanno che per ciò non fanno.

Allo stesso modo, nessuno discute le buone intenzioni del direttore degli Uffizi, il troppo energico tedesco Elke Schmidt, che da anni combatte il fenomeno dei bagarini che comprano in blocco tutti i biglietti che permettono l’ingresso in giornata al Museo e li rivendono al doppio del prezzo ai turisti.

Schmidt ha avuto l’idea di piazzare un altoparlante che mandava messaggi mettendo in guardia i turisti.

Mai prendere un’iniziativa: nella primavera del 2016 gli arriva una multa di 295 euro per ‘pubblicità fonica non autorizzata’ che paga subito di tasca propria.

E ieri, gli è arrivata un’altra multa, questa volta di oltre 2.300 euro, per “omesso versamento Cimp, vale a dire il Canone installazione mezzi pubblicitari”.

Quando si dice che i funzionari pubblici sarebbero svogliati, il motivo non è sempre e solo la pigrizia.

Se le risorse diminuiscono, ma le regole restano immutate, il funzionario può salvarsi da processi e persecuzioni soltanto in uno di due modi.

Deve firmare un testo in cui inasprisce al massimo le regole e poi impone a qualcun altro di metterle in atto. Passa cioè il cerino, facendo vedere che lui stesso comunque è apposto.

Il problema scoppia quando il cerino arriva all’ultimo della fila.

Lì esistono soltanto due soluzioni: l’illegalità o la chiusura dell’attività stessa.

Moltissime cose vengono fatte nell’illegalità, senza per questo essere necessariamente immorali: è illegale mettere altoparlanti antibagarini agli Uffizi, è illegale tagliare un albero senza essersi accertati che sia davvero da abbattere.

Semplicemente, se dovesse succedere qualcosa, quello che rimane con il cerino si prende tutti i processi per aver agito in maniera che sapeva essere illegale (e lo si può dimostrare, grazie a tutti i documenti con cui quelli a monte gli hanno passato il cerino).

L’alternativa ovviamente è la chiusura pura e semplice, come succede in innumerevoli migliaia di piccoli casi. Una chiusura ufficiale, ma anche una semplice chiusura in emergenza con nastro bianco e rosso.

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48 risposte a Le regole in discesa

  1. Ugo Bardi scrive:

    Tagliare gli alberi è un lento suicidio che la specie umana sta commettendo su un arco di svariate migliaia di anni. I dettagli non sono ancora del tutto certi, ma l’idea che le foreste governano il clima si sta facendo strada (vedi per esempio http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0959378017300134). E una delle principali cause della desertificazione sembra essere il taglio delle foreste. Ovviamente, non puoi pretendere che un sindaco che sta in carica qualche anno ragioni su scale di millenni. E così…….

  2. Ugo Bardi scrive:

    Fra le altre cose, la regola del “Mai prendere un’iniziativa” è la legge fondamentale anche all’interno dell’Università. Provare per credere.

  3. Peucezio scrive:

    Ma sarebbe così difficile cambiare le regole?
    E’ una delle poche attività che non comporta rischi, perché il legislatore non risponde a nessuno, sono gli altri che rispondono alle sue leggi.

    Se io entro in auto in una ZTL, mi arriva la multa. Se viene abolita la ZTL, chi la abolisce si rende responsabile dell’entrata di migliaia di auto in quella stessa area, ma mica viene multato. Al massimo la sua legge può essere annullata e si ripristina la ZTL.

    • Miguel Martinez scrive:

      Per Peucezio

      “Ma sarebbe così difficile cambiare le regole?”

      Credo di sì, bisogna sentire i nostri legali.

      Ho l’impressione che le regole costituiscano un’intelaiatura molto fitta: ad esempio, se decido che agli Uffizi si possono piazzare altoparlanti, entro in conflitto con mille regolamenti sui palazzi storici e apro la possibilità a chiunque di farlo anche loro.

      Se metto la mia firma sulla riduzione dei controlli sugli alberi, quando qualcuno si fa male, sarò accusato, più o meno, di omicidio, e la prova sarà proprio la mia firma.

      Meglio quindi fare meno controlli, ma non firmare niente.

      • Peucezio scrive:

        Miguel,
        “Ho l’impressione che le regole costituiscano un’intelaiatura molto fitta”

        Credo che il problema in Italia sia proprio questo (scopro l’acqua calda…).
        Ma mi chiedo per quale cavolo di motivo non si riesce mai a fare una seria sfoltita, di quelle con l’accetta.
        Qui non credo sia una questione di paura (che si rischia?), ma di cultura giuridica e più in generale di mentalità burocratica, di amore per la complicazione, che temo sia uno degli inveterati vizi italici, sostenibile finché c’è abbondanza, ma quando le risorse diminuiscono, diventa un costo insostenibile, perché è come se tu dovessi andare a cercare il cibo con le caviglie legate da una corta, muovendoti a saltelli e cascando continuamente.

        • Miguel Martinez scrive:

          Per Peucezio

          “Ma mi chiedo per quale cavolo di motivo non si riesce mai a fare una seria sfoltita, di quelle con l’accetta.”

          Ne parlavo recentemente con una giurista, che mi ha spiegato l’enorme complessità della “semplificazione”.

          Forse il problema di fondo è questo.

          Io faccio una norma di buon senso, che 999 persone su 1000 rispettano. Uno su mille “trova l’inganno” e frega tutti.

          A questo punto devo fare una norma più complicata, perché non è rivolta alle persone normali, ma solo a bloccare il “fregatore”.

          Questo vuol dire che la norma diventa quasi impossibile da rispettare anche per le persone normali; ma se non la impongo, il fregatore farà ciò che vuole.

          Esiste ad esempio una norma che vieta di mettere altoparlanti davanti a posti come gli Uffizi.

          Ma non esiste ancora una regola che vieti ai bagarini di sostarci davanti.

          E quando sarà fatta una norma del genere, probabilmente impedirà anche a me di uscire di casa a piedi per andare a fare la spesa.

          • Peucezio scrive:

            Ma ciò di cui non mi capacito è come mai all’estero, Svizzera compresa, che ce l’ho qui a mezz’ora di macchina, ‘sto problema non c’è.
            Si fanno regole lineari, semplici, pratiche, poche.
            E non è un mito: tutti quelli che vivono all’estero lo dicono.

            Forse la colpa è anche dei magistrati. Se il legislatore sapesse che il giudice poi capisce l’intento della norma e impedisce al centesimo di fregare gli altri 99, applicando più lo spirito che la lettera della legge, il legislatore stesso potrebbe fare la sua norma semplice e sarebbe tranquillo.
            Chi ha condannato quello degli altoparlanti, anche se si è attenuto scrupolosamente alla legge, secondo me è un emerito deficiente.

            • Roberto scrive:

              I magistrati non possono applicare lo spirito della legge!

            • Peucezio scrive:

              Io mi ricordo di aver studiato, tanti anni fa, che il giudice doveva interpretare l’intenzione del legislatore.

            • Miguel Martinez scrive:

              Per peucezio

              “Ma ciò di cui non mi capacito è come mai all’estero, Svizzera compresa, che ce l’ho qui a mezz’ora di macchina, ‘sto problema non c’è.”

              siamo sicuri?

              Voglio dire, oltre alla tua esperienza personale di viaggiatore, hai parlato a lungo con un consigliere comunale di Lugano, a proposito delle regole di sicurezza nei parchi giochi?

              Hai parlato con il negoziante, a proposito delle regole di sicurezza sul cibo che vende?

              E’ in queste piccole cose che si misura il problema.

              E guarda che non sto dicendo che bisogna avere cibi meno sicuri, sto solo indicando la struttura del problema.

            • Roberto scrive:

              No peucezio, il giudice può cercare di ricostruire la volontà del legislatore, quando altri metodi di interpretazione (letterale, logica, sistematica) non danno frutti e in ogni caso senza andare contro il significato letterale della legge.
              Poi c’è una margine per l’interpretazione delle regole di interpretazione. Personalmente credo che la ricostruzione della volontà del legislatore si avvicina pericolosamente a dare ai giudici il potere legislativo che spetta al parlamento e a me l’idea non piace

              Ti segnalo una spiegazione chiara su questo tema
              http://www.altalex.com/documents/news/2005/04/26/i-diversi-modi-di-interpretare-la-legge-una-piccola-goccia-nel-mare-magnum

            • Roberto scrive:

              Sempre per peucezio,

              Ti faccio un esempio.

              Ho una regola che mi dice “gli atti dell’amministrazione devono essere impugnati entro un mese”, e lo scopo del legislatore è quello di non lasciare l’attività dell’amministrazione sotto la spada di damocle perenne di un ricorso. Dopo un mese bona, discorso finito.
              Mi arriva un ricorso dopo un mese e un minuto, che faccio? Posso basandomi sulla volontà del legislatore dire “vabbuò, per un minuto non muore nessuno”? Secondo me no, perché sennò il legislatore avrebbe scritto “entro un termine ragionevole” per dare al giudice un margine di manovra. Se ha scritto un mese, beh vuol dire un mese

            • Peucezio scrive:

              Sì, non posso darti torto in generale.
              Però se la magistratura fosse selezionata in modo molto più attento, io credo che un minimo di margine in più per applicare del buon senso laddove l’applicazione letterale della legge porti a conseguenze palesemente assurde e contrarie all’intento di qualunque legislatore sano di mente ci potrebbe essere.

            • Roberto scrive:

              Guarda di matti ce ne sono in giro in ogni professione e ho conosciuto personalmente matti togati che erano pagati per rendere giustizia.
              Ciò detto, il discorso si sta facendo troppo vago e non credo che ci sia un problema “sistemico” ma appunto di matti inevitabili

            • Peucezio scrive:

              Mah, le testimonianze oltretutto indirette di questo tipo valgono quello che valgono, ma ti posso dire che uno dei miei cugini avvocati mi diceva che la maggior parte dei giudici sono approssimativi e oltretutto diventano ostili all’imputato o a una delle parti, se ha un atteggiamento non abbastanza rispettoso verso di loro, mentre c’è una minoranza nutrita, che quantificherebbe tipo a un terzo, che sono corretti e scrupolosi.
              In particolare lui ne conosce uno che è un tipo attentissimo, scrupolosissimo, rigorosissimo, che lavora come un negro per non trascurare mai nessun aspetto, la persificazione della giustiza come dovrebbe essere, ma è sintomatico che risalti per queste caratteristiche, che, in fondo, per un ruolo così delicato, dovrebbero essere la normalità.

              Ripeto sono impressioni soggettive, però devo dire che mi hanno colpito. Non ho motivo di credere si discostino totalmente dalla realtà.

        • PinoMamet scrive:

          Un po’ quello che succede ai biglietti dei treni: prima potevi acquistarli per la tratta che ti interessava e fine.

          Poi hanno messo l’obbligo di timbrarli, come quelli degli autobus, perché qualche furbo con lo stesso biglietto avrà percorso la stessa tratta cinque o sei volte senza mai incontrare il controllore (che a sua volta deve forarlo, e quindi vede se è già forato o meno da un collega).

          Poi, visto che qualche furbo comunque la faceva franca lo stesso, in aggiunta a foratura e timbratura, han messo anche la durata massima dalla data di emissione.

          Naturalmente a rimetterci in tutto ciò saranno stati, percentualmente, 2 furbi e 98 distratti; ma la legge non distingue.

          • PinoMamet scrive:

            Nel frattempo il costo del biglietto è anche salito di parecchio;
            dicono per far fronte ai furbi (ma non mi pare che l’aumento sia proporzionato)
            e per migliorare il servizio (che invece è peggiorato);
            per cui, sento odore di fregatura.

      • Peucezio scrive:

        Aggiungo una cosa.,
        L’italiano, soprattutto del sud, ha un insopprimibile amore per la Regola. La vede come una panacea, come un toccasana, quasi un riflesso dell’Ordine Divino.
        Non è vero che l’italiano sia insofferente alle regole: l’italiano vuole le regole, fosse pure per poi trasgredirle.
        Quesro amore è estremamente pernicioso, perché la regola, anziché essere considerata uno strumento pratico, è divinizzata.

        Un anglosassone o un nordeuropeo in genere venera la regola, nel senso che considera la sua trasgressione un peccato gravissimo, moralmente censurabile. Ma non ha questa volutta di emanarla: quando deve crearle, segue il senso pratico, poi, una volta create, vi si conforma rigidamente, anche contro il senso pratico.
        Da noi è al rovescio: si producono fiumi di regole, poi la vita concreta consiste in un continuo esercizio funambolico per poterle eludere al fine di evitare la paralisi.

      • PinoMamet scrive:

        Diciamo così: i nordici fanno le regole quando gli servono, come uno che vuol tagliare un albero e si fa una scure; poi, essendo persone lige, le rispettano anche quando non servono o sono d’intralcio.

        I mediterranei fanno le regole perché gli piace farle, gli piace l’esercizio mentale della formulazione e dell’enunciazione di un principio che deve essere generale.
        Poi, se anche lo disattende, tanto meglio 😉

        Uno dei risultati (o delle cause?) di questo è il meraviglioso linguaggio amministrativo/burocratico/legale italiano, una lingua a parte che ha (o, ahimè, aveva) ben poco in comune con l’italiano parlato, e in cui ogni verbo e ogni oggetto doveva essere obbligatoriamente sostituito con un sinonimo più difficile o con un lungo giro di parole.
        Del fenomeno, ben noto, hanno scritto altri più bravi di me, e non c’è bisogno di ripeterlo, perciò mi limito a far notare la somiglianza con gli usi di certi popoli del Pacifico o dell’Amazzonia, che hanno due lingue distinte, una per tutti i giorni e una magica o riservata al culto.

        • Peucezio scrive:

          Eheh, è vero. Le lingue iniziatiche.

          Sarebbe da capire donde viene questa pulsione del meridionale a scrivere regole.
          Forse perché crede che le regole siano un segno dell’autorità dello stato e siccome per secoli lo stato nel sud agiva più secondo arbitrio che secondo giustizia (e spesso ancora oggi), vuole mettersi dalla parte del più forte, pensa che scrivere tante leggi significhi partecipare della sacralità divina dello stato che sovrasta gli individui ma difende i suoi sacerdoti.

        • Peucezio scrive:

          Non so, è la prima ipotesi che mi è venuta in mente.
          Poi c’entra anche probabilmente una tradizione di urbanesimo e complessità sociale plurimillenaria, che impedisce di concepire le cose in modo semplice.

      • giovanni scrive:

        se per Schmidt l’unica soluzione al bagarinaggio sono gli altoparlanti, è bene che venga legnato di multe. Se metti l’obbligo di prenotazione on line con biglietti nominativi (magari anche fino a 5 minuti prima, il punto è che Tizio può visitare gli Uffizi solo se compra sul sito ufficiale un biglietto a nome di TIzio) il bagarino scompare.
        Non è che siccome vengono tagliati i soldi pubblici allora il dirigente può fare qualsiasi boiata perchè “tanto i soldi non ci sono”. Ci sono limiti oggettivi (gli alberi o li curi, e devi pagare tanto personale per farlo, o li tagli) e limiti che stanno solo nella testa di chi è pagato lautamente per usarla.

  4. Roberto scrive:

    “Ma sarebbe così difficile cambiare le regole”?

    Bella domanda.
    Azzardo qualche elemento di risposta
    1. È tecnicamente difficile perché è come un castello di carte: sposti qualcosa e viene giù tutto. Ogni cambiamento deve essere veramente ben pensato.

    2. È politicamente difficile, primo perché devi avere i numeri e, secondo, perché le regole sono SEMPRE l’espressione di un compromesso fra interessi diversi . Cambi qualcosa per far piacere a tizio e scontenti caio

    3. Dipende poi dal livello di regole e dalla cultura amministrativa. Per fare un esempio, parlando di semplici pratiche amministrative, mi è capitato di proporre almeno una ventina di cambiamenti nei miei 15 anni di eurocrazia (quasi sempre con successo) ed è interessante notare i tre atteggiamenti: conservatore per principio (abbiamo sempre fatto così, perché cambiare?) il rivoluzionario per principio (abbiamo sempre fatto così, cambiamo!) il pratico (vediamo se mi conviene il cambiamento) il pratico idealista (vediamo se il cambiamento è utile per i nostri “clienti”)

    • Peucezio scrive:

      Roberto,
      “1. È tecnicamente difficile perché è come un castello di carte: sposti qualcosa e viene giù tutto. Ogni cambiamento deve essere veramente ben pensato.”

      Da profano assoluto che ragione tagliando con l’accetta: se si abbattesse tutto il castello e si riscrivesse da capo stabilendo a priori un limite tassativo proprio di numero di caratteri?

      • Z. scrive:

        Massì, buttiamo giù tutto. What could possibly go wrong?

      • Roberto scrive:

        Certo che è possibile, è l’idea di ogni rivoluzionario che si rispetti
        🙂

      • Roberto scrive:

        Comunque per me non è un problema di quantità ma di qualità, cioè vedo leggi proprio scritte a pene di segugio

      • Peucezio scrive:

        Beh, si può benissimo fare legalmente: la rivoluzione è una sovversione violenta dell’ordine costituito. E spesso lascia le leggi ordinarie così come sono!

        Sulla qualità delle leggi odierne hai ragione da vendere (e ne sai sicuramente molto più di me).
        Allora dobbiamo dire che il problema è a monte, riguarda la formazione.
        Cioè ciò su cui insisto ossessivamente da anni: il sistema formativo deve selezionare, non aiutare. Massima severità.

      • Mauricius Tarvisii scrive:

        A volte l’incertezza è data dalla lunghezza, a volte dal silenzio.

    • Ugo Bardi scrive:

      Così difficile cambiare le regole? E’ ovvio, ogni cambiamento induce cambiamenti, e chi si prende la responsabilità se i cambiamenti non sono in meglio? Molto meglio non cambiare nulla o, al massimo, rendere le regole più rigide. Cosa può andar male?

    • Miguel Martinez scrive:

      Per roberto

      “Azzardo qualche elemento di risposta”

      Bella risposta, sono abbastanza d’accordo.

    • Francesco scrive:

      Da economista marxiano alle vongole, sottolineo il punto 2: ogni situazione esistente o nasce come punto d’incontro di interessi o lo diventa dopo un pò che è lì. Interessi particolari e strenuamente difesi contro il cambiamento.

      Immagino che i vigili urbani che NON vanno in giro a dirigere il traffico abbiano generato una stirpe di addetti che non hanno voglia di uscire, prendere freddo o caldo, camminare, litigare con gli automobilisti indisciplinati e così via … oltre che regole in materia.

      Ciao

  5. Peucezio scrive:

    Miguel,
    nel senso che intendi tu effettivamente no.
    Però è l’interfacciarsi dell’amministrazione pubblica col cittadino che, a quanto mi dicono tutti gli stranieri con cui ho parlato, è più lineare, semplice, comprensibile.
    Poi credo ci siano proprio dati circa il numero di leggi in Italia e all’estero.
    Io farei pagare un quid di tasca propria a quelli che scrivono le leggi per ogni carattere impiegato, così sarebbero costretti alla massima semplicità e brevità.

    • Peucezio scrive:

      Sarebbe interessante che Roberto ci descrivesse la situazione lì da lui.

      • Roberto scrive:

        Come ho già spiegato qui c’è un rapporto “amministrazione e cittadino”, non “monarca e suddito”. Reciproca collaborazione e non reciproca sfiducia.
        Ovviamente faccio la tara di incompetenti, imbroglioni, ladri e scansafatiche che esistono pure qua (guai a fare un incidente stradale con un lussemburghese, la polizia farà sempre il culo allo straniero….ma uno dei miei migliori amici è un pezzo grosso della polizia e me la cavo 🙂 )
        Ma nella maggioranza dei casi, vai sul sito dell’amministrazione, guardi la procedura che c’è da seguire per ottenere una certa cosa, la segui e la ottieni.
        Per dire, devo trasformare la mia patente italiana in patente lussemburghese? Spedisco (senza raccomandata) la mia patente, due foto, un certificato di residenza, una fotocopia della carta d’identità (non autenticata!) all’ufficio competente, dopo 5 giorni ricevo per posta la patente nuova con un bollettino di pagamento, vado sul sito della mia banca è pago e voilà!

        Poi certo, piove, non c’è la pizza, e sono freddi, ma sbattimenti di palle, perdite di tempo e denaro stanno a zero, e questo personalmente lo trovo un enorme miglioramento della mia qualità di vita rispetto all’Italia.

        • Peucezio scrive:

          Sono cose che cambiano la qualità della vita.
          Tu ci sei abituato, quindi probabilmente un po’ le dai per scontate, ma per noi cose così sono fantascientifiche.

    • giovanni scrive:

      Dove si sono accumulate leggi complicate non si possono fare nuove leggi semplici. Perchè qualsiasi nuova legge COME MINIMO deve indicare uno per uno gli articoli delle millemila leggi precedenti che riguardano lo stesso ambito che vengono abrogati e/o sostituiti, e già quello rende la comprensione della legge impossibile al profano.

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