Vernon Lee, l’Europa e lo spirito della guerra

facial-masks-plastic-surgerySiamo alla vigilia di una grande guerra.

Guardiamoci attorno, lungo tutte le frontiere del mondo. Dalle Filippine al Qatar all’Ucraina ai confini del Messico, non aspettano altro.

Potrà non scoppiare mai: le guerre avvengono sempre per un caso idiota e imprevedibile.

La Russia non attaccò la Turchia, che ne aveva abbattuto un aereo sui cieli siriani.

Il Ministro degli Esteri dell’Austria Ungheria decise di porre condizioni impossibili al governo della Serbia, senza nemmeno accertarsi prima di avere un esercito pronto per imporle. E come tutti coloro che giocano con il fuoco, fece saltare in aria il proprio paese, con la magra soddisfazione di aver portato nella tomba anche innumerevoli giovani serbi.

Insomma, non sai da che parte può cadere il dado, quando lo si lancia.

Spero che sarà una vigilia molto, molto lunga.

Ma abituiamoci, impariamo cosa voglia dire guerra, abituiamoci a pensarla tutti i giorni.

La mia amica Vernon Lee (come ho avuto occasione di precisare, il fatto che lei fosse morta molti decenni prima che io nascessi non cambia nulla nel nostro reciproco affetto), scrisse nel 1915 il Balletto delle Nazioni, un testo teatrale che pare che nessuno abbia mai messo in scena, e che spiega, con una lucidità immutata a un secolo di distanza, cosa sia la guerra.

B., la nostra cantante lirica che viene dalla Macedonia, suo fratello vende clandestinamente straordinarie creazioni di fil di ferro sul Ponte Vecchio, ci racconta di come la guerra incomba sul suo paese, come un destino ineluttabile… le parlo del Balletto delle Nazioni, chi sa se un giorno riusciremo a raccontare la vera storia di Satana al mondo…

Vernon Lee era europea – nata in Normandia, vissuta in Francia, in Italia, in Germania, in Inghilterra; e dentro di sé possedeva una conoscenza a noi perduta delle lingue, a partire dal latino e dal greco, ma anche del tedesco o del francese, e dell’arte che formava il nostro continente.

In tempi in cui le illustrazioni a colori erano una rarità, sapeva tutto sui pittori del Rinascimento, le cui opere era andata a vedere a piedi.

Quando nel 1914 scoppiò la guerra, non è che non avesse patria: erano tutte le sue patrie.

Per questo, diceva di avere per forza di cose una visione copernicana, in un mondo in cui tutti vedevano l’universo girare tolemaicamente attorno alla loro unica, piccola patria. Voi girate tutti attorno a un Sole più grande di voi.

Appena finita la guerra, Vernon Lee scrisse un’introduzione al Balletto delle Nazioni e vi aggiunse un lungo testo di riflessioni filosofiche (l’editore le aveva detto che queste riflessioni erano di troppo, un secolo dopo me le sono lette tutte riga per riga).

E’ un testo molto denso, che mi piacerebbe commentare in dettaglio (è uno dei pochissimi libri che io abbia osato sottolineare a matita), ma in particolare mi colpisce quando cerca di esporre la grande difficoltà che prova a comunicare con quasi tutti i suoi vecchi amici, tanto inglesi quanto tedeschi.

Persone che

“a mio avviso, sono state complici, hanno alimentato e in alcuni casi hanno messo in atto, la calamità più abominevole di tutti i tempi”

Epppure, lei sapeva che Il Balletto delle Nazioni avrebbero urtato profondamente la loro sensibilità. Vernon Lee ricostruì nella sua immaginazione il discorso che tutti, tedeschi come inglesi, le avrebbero potuto fare.

Se cogliete la capacità di Vernon Lee di apprezzare, da una parte, il genius loci di ogni singolo angolo dell’Europa, e dall’altra come cercava di immaginarsi fino in fondo le ragioni proprio di coloro che l’avrebbero disprezzata, capirete perché la considero infinitamente superiore, ad esempio, a Bertolt Brecht: pacifista anche lui in quella specifica guerra, con una grande capacità di cogliere davvero i difetti altrui; ma poi, da lì, capace in fondo soprattutto di demolire, spesso di odiare, al massimo talvolta di commiserare, ma mai di amare e di capire.

Ecco l’inglese/tedesco/francese/italiano/austroungarico che parla:

“Noi sappiamo di prendere parte al più grande e deliberato sacrificio mai fatto per quelli che sono i più alti obiettivi immaginabili. Liberamente, spontaneamente, deliberatamente e con passione offriamo le nostre vite, e le vite che ci sono ancora più care delle nostre, assieme a tutto ciò che rende dolce la vita, in quella che per noi è un’immensa contesa tra ciò che è giusto e ciò che è vile, l’onore e il disonore, la libertà e la servitù, l’ordine futuro e l’illegalità futura.

Sappiamo che stiamo facendo ancora di più; sappiamo che per questo motivo, afferriamo le armi e i metodi che più aborriamo. Noi che abbiamo in orrore la guerra stiamo facendo la guerra a coloro che ritengono che la guerra non sia un crimine.

Ecco cosa proviamo verso questa guerra a cui partecipiamo con orrore, ma per scelta deliberata.

E tu, con questa superficiale satira, dipingi lo scontro tra il Bene e il Male, la prova di forza tra la Giustizia e l’Ingiustizia, come un semplice cataclisma collettivo mondiale di cui tutti sono ugualmente responsabili o meglio irresponsabili; osi rappresentarlo come una mera involontaria, insensata danza della Morte, priva di significato, dove tutte le Nazioni, tra cui c’è poco da scegliere, si prendono per mano in obbedienza imbecille, abominevole, agli sviolinamenti di Satana.

E’ forse questo, davvero, il senso di cò che dici?”

A cui Vernon Lee risponde, “It is”, è proprio questo il senso.

In fondo, basta ricordare che le parole appena citate potevano essere dette, ugualmente, a Londra o a Berlino nel 1915.

 stereo

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64 risposte a Vernon Lee, l’Europa e lo spirito della guerra

  1. Francesco scrive:

    Hai aperto una mia personale cicatrice.

    La Grande Guerra o Guerra Europea o Guerra per finire tutte le guerre rimane per me un abisso di iniquità nero che non ne esce un filo di luce.

    Meglio, quello che ne esce è luce infernale, che nega ogni senso alla vita umana, singola e collettiva.

    Forse apposta, non ho mai voluto leggere le opposte propagande, è come se sentissi il fetore che ne promana in anticipo.

    Ciao

  2. mirkhond scrive:

    Le sensibilità sono differenti, a seconda del carattere di ognuno di noi.
    Ciò che è mostruoso per alcuni, può essere un’occasione per altri.
    Lo stesso vale anche nel nostro rapporto con il mondi di oggi: c’è chi lo vede sull’orlo di un abisso, e chi come il migliore dei mondi possibili.
    Diversamente o saremmo tutti depressi o tutti felici.

    • Miguel Martinez scrive:

      Per Mirkhond

      “Le sensibilità sono differenti, a seconda del carattere di ognuno di noi.”

      E’ vero.

      Poi io personalmente non penso tanto a un abisso, quanto a un momento di immensa trasformazione, che certamente comporta parecchi problemini, ma che fa parte della vita dell’universo.

      Tra cento milioni di anni, ci sarà qualcuno che guarda incantato i video che parlano di questi anni, come noi guardiamo quelli sull’estinzione dei dinosauri.

      • Francesco scrive:

        Scusi lei ma, detto tra noi, che ce ne fotte della vita dell’universo? A me interessano i milioni e milioni di morti male e senza apprezzabili ragioni, non le Contesse che guardano incantate dal ponte del 150 metri “Lotta Continua”.

        🙂

  3. mirkhond scrive:

    A me i cambiamenti hanno sempre fatto paura, proprio per l’incognita che essi comportano, più che per un attaccamento ad una società come questa, in cui mi sono sempre sentito a disagio.

  4. Miguel Martinez scrive:

    OT

    che ai non messicani interesserà il giusto… stanno scavando il grande Tzompanti, la rastrelliera dei teschi, di Tenochtitlan.

    Hanno trovato finora 676 teschi, ma probabilmente ce ne sono innumerevoli migliaia.

    La cosa interessante è che non si tratta solo di teschi di giovani maschi – i prigionieri di guerra che venivano sacrificati a Huitzilopochtli – ma anche di donne e bambini, qualcosa su cui mancano le testimonianze scritte.

    Cosa se ne faceva Huitzilopochtli?

    • Andrea Di Vita scrive:

      @ Martinez

      Mi hai quasi tolto il mouse di mano! 🙂

      Lessi tempo fa “Les guerres, éléments de polémologie” di Gaston Bouthul (https://fr.wikipedia.org/wiki/Gaston_Bouthoul , per l’edizione italiana v. https://books.google.it/books/about/Sociologia_delle_guerre_Trattato_di_pole.html?id=_Ce1cQAACAAJ&redir_esc=y).

      L’autore, uno studioso umanista dalla cultura enciclopedica la cui insaziabile curiosità lo salvo’ dagli aspetti peggiori della sua natura di topo di biblioteca, dedicò l’intera esistenza a cercare di capire se ci fosse una o più cause ricorrenti nella guerra, fondando così la ‘polemologia’.

      Con un approccio interdisciplinare tipico che si sarebbe trovato poi negli “Annales”, il sociologo Bouthul si andò a studiare in modo certosino dati e documenti letteralmente di migliaia di guerre in tutti i continenti e in tutte le epoche. Esamino’ e scartò una dopo l’altra tutte le varie teorie (quelle che riducono tutto ad economia, a religione o a razza, in primo luogo, le altre che fanno risalire tutto all’ambizione di questo o di quel governante, ecc.). Non tira mai fuori semplificazioni indebite (come ad esempio quella sulla ‘razza’ nell’apposito capitolo della Psicologi delle folle di Gustave Le Bon, libro perlatro pregevole ma sotto altri aspetti). Bouthul ebbe l’umiltà di non proporre una propria soluzione in modo ultimativo, ma solamente come un’ipotesi di lavoro, sempre passibile di revisione.

      Per Bouthul, la guerra è “un infanticidio differito di massa”, che si innesca più facilmente in presenza di un eccesso di popolazione maschile in età fertile e inattiva.

      In ultima analisi – e salvo eccezioni – la guerra non è cioè originata nè dall’economia, nè dalla religione. Queste naturalmente forniscono i pretesti e possono facilitarla; ma è caratteristico della guerra che scoppi anche quando soluzioni alternative, e meno sanguinose, ai conflitti sarebbero perfettamente possibili, e contro ogni aspettativa degli stessi che finiscono coinvolti. Viceversa, possono darsi situazione di oppressione e intolleranza che magari durano secoli senza che una guerra scoppi.

      L’idea della guerra come di un fenomeno essenzialmente impersonale la si ritrova nell’osservazione del grandissimo matematico inglese Richardson (https://en.wikipedia.org/wiki/Lewis_Fry_Richardson#Mathematical_analysis_of_war), a mio parere genio dalla vita romanzesca non meno di quella di un Turing, che oltre a preconizzare le previsioni del tempo e l’esistenza di geometrie frattali in natura notò, da pacifista integrale quacchero qual era, che classificando le guerre in ragione della data del loro inizio e del numero di vittime che facevano risulta come la distanza tipica fra due guerre consecutive con lo stesso numero di vittime è tanto più piccola quanto minore il numero delle vittime. In altre parole, le guerre seguono una distribuzione statistica, in base alla quale è impossibile stabilire quando e dove ne scoppierà un’altra ma si può stimare con una certa precisione in quanti vi moriranno.

      Insomma, una sorta di meccanismo autoregolatore della specie, tipo quello descritto nella vecchia bufala sui lemming (https://en.wikipedia.org/wiki/Lemming) . Chi abbia letto “L’anno del diagramma” (https://en.wikipedia.org/wiki/The_Year_of_the_Jackpot) di Robert Heinlein non potrà che apprezzare.

      Ciao!

      Andrea Di Vita

      • Miguel Martinez scrive:

        Per ADV

        “Insomma, una sorta di meccanismo autoregolatore della specie”

        Grazie, non ne sapevo nulla.

        Poniamo che la tesi sia vera… mi affido alle tue doti di fisico per dire meglio quello che intendo esprimere.

        1) Il limite di consumo energetico al di sopra del quale un individuo diventa un peso per tutti, mille anni fa era 100.

        2) Oggi, grazie alla bolla energetica, è 5000.

        3) Quindi, per arrivare a una guerra, bisogna avere una popolazione 50 volte maggiore di quella di mille anni fa.

        Quindi, la guerra scoppierà a quel punto 🙂

        • Andrea Di Vita scrive:

          @ Martinez

          Non sembra essere proprio così. Il tuo ragionamento filerebbe se il consumo di energia (e di risorse in genere; d’ora in poi con la parola ‘consumo’ faccio riferimento al ‘consumo di risorse’) fosse uguale per tutti. In realtà questo consumo segue la statistica del pollo: pochi hanno tanto e molti pochissimo ( https://it.wikipedia.org/wiki/Principio_di_Pareto ). In linea di principio è possibile un forte aumento della popolazione senza aumentare granché il consumo complessivo di risorse, purché i nuovi nati facciano la fame. Gran parte della storia umana ha sempre visto èlites ‘ricche’ e moltitudini misere.

          Quello che di cui parla Bouthul è ‘l’ “eccesso” di popolazione maschile inattiva e fertile. Applicando la sua idea, ad esempio, un genocidio appariva più verosimile nel Ruanda all’inizio degli anni ’90 col 4% di incremento demografico che nell’Ucraina degli stessi anni: in Ucraina probabilmente c’era anche più gente in nera miseria che nel Ruanda, ma la crescita demografica era quasi a zero (e i giovani di ambo i sessi emigravano appena possibile).

          Insisto su questo punto perchè tu hai fatto notare che Tzompanti contiene anche teschi di donne e bambini, e ti sei chiesto perché. Se davvero la guerra è un meccanismo di autocontrollo della specie tramite infanticidio, allora si capisce perché lo sterminio sia indiscriminato, tanto che ora si ritrovano anche teschi di donne e bambini: l’infanticidio è differito nel caso in cui la vittima sia un giovane maschio, non è differito quando la vittima è un bambino, e quando la vittima è una donna (specie se giovane) allora oltre ad aversi un infanticidio differito si ha anche una limitazione delle nascite future: parleremmo allora di infanticidio anticipato per interposta madre-vittima.

          Detto in parole semplici: se l’infanticidio ( https://en.wikipedia.org/wiki/Infanticide ) è una forma di igiene sociale e/o controllo delle nascite, allora la guerra è la stessa cosa fatta in modo preventivo e su larga scala.

          Ciao!

          Andrea Di Vita

          • Miguel Martinez scrive:

            Per ADV

            “In realtà questo consumo segue la statistica del pollo”

            Giusto, condivido.

            Anche se non credo che il rapporto fosse mai così disuguale come oggi: quanto cioccolato e quanti tacchini poteva mangiarsi il capoclan Mexica in più del contadino medio, considerando che magari per restare capoclan doveva anche far vedere che era generoso e capace di condividere?

            • Andrea Di Vita scrive:

              @ Martinez

              Non si tratta necessariamente di consumare risorse per sopravvivere fisicamente. Lo stesso mantenimento di differenti ruoli sociali consuma risorse. Ad esempio, un faraone non mangiava certo molto di più di un contadino, visto che entrambi avevano uno stomaco solo. Ma le risorse per costruire una tomba per il faraone erano immensamente più grandi di quelle richieste per la tomba del contadino. In questo senso, la società egizia manteneva una allocazione di risorse fortemente diseguale.

              Ciao!

              Andrea Di Vita

          • Miguel Martinez scrive:

            Sempre per ADV

            “Quello che di cui parla Bouthul è ‘l’ “eccesso” di popolazione maschile inattiva e fertile.”

            Su questo punto sono istintivamente d’accordo.

            Pensiamo alla xenofobia in Europa.

            Posso preoccuparmi che il governo francese faccia leggi contro l’hijab, o che non si dia lavoro a un ragazzo che viene da un campo Rom. Ma non ho la minima paura che la violenza fisica contro i musulmani o i Rom diventi la norma, proprio perché agli indigeni manca oggi la “giovinezza critica”.

            Non manca un certo numero di giovani indigeni, saranno anche milioni; ma sono figli unici o quasi, chiusi in casa, scuola o discoteca, fanno branco in maniera antipatica ma molto mite quando vanno a bere fuori la sera.

            Mentre la “giovinezza fisica” c’era, ad esempio nel 1919 e nel 1968.

      • Mauricius Tarvisii scrive:

        Secondo me invece è un problema di bacino di reclutamento.
        Prima della leva universale obbligatoria, i paesi potevano contare su un bacino di reclutamento limitato, generalmente su base familiare, esaurito il quale si doveva far ricorso a strumenti più onerosi (mercenari) o più destabilizzanti (reclutare gente al di fuori del bacino di reclutamento, cosa sgradita sia a chi si vedeva appioppato il nuovo onere sia a chi invece godeva di privilegi legati al bacino di reclutamento). Ovviamente ciò comportava eserciti più piccoli e guerre più limitate.
        La controprova? Esplosione demografica ed estensioni del bacino di reclutamento hanno reso le guerre ravvicinate del primo Novecento le più grandi carneficine mai viste.
        C’è anche un discorso economico. Una grande guerra impegna lo Stato anche per il futuro, a causa dell’esposizione debitoria che diventa pericolosa, dunque finché non si ripagano i debiti e non si fa ripartire l’economia si devono evitare nuove guerre, con un aumento dei tempi per i conflitti più estesi.
        Considerando che si cerca la pace quando il bilancio è messo male o quando si è a corto di truppe, mi sembra che i conti tornino.

        • PinoMamet scrive:

          “Prima della leva universale obbligatoria, i paesi potevano contare su un bacino di reclutamento limitato, generalmente su base familiare”

          Mah, non so se sono d’accordo.
          Si potrebbe dire che non si potevano prelevare più di tanti soldati da un contesto economico che richiedeva molte braccia, ma questo vale anche per la leva, che è antecedente alla rivoluzione industriale.
          E poi non vuol dire: i Romani se ne fregavano alla grande (e rimediavano poi con la colonizzazione e l’assegnazione di terre ai veterani), ma in realtà anche i Greci ecc.

          Forse si potrebbe pensare che le guerre “antiche”, pre-polvere da sparo, richiedessero meno gente, ma anche questo non regge troppo: mi pare, tutto sommato, che ne richiedessero di più
          (è molto più faticoso ammazzare uno con lancia e spada piuttosto che con il fucile, e tutto sommato anche più rischioso).

          Credo invece che la chiave stia nell’addestramento: formare un buon arciere, ma anche semplice fante armato di lancia, per non parlare di cavaliere, richiede più tempo che insegnare a sparare.

          Poi in caso di necessità mi pare si sia sempre chiamato tutte le persone di cui si aveva bisogno, al limite li si faceva todos caballeros dopo…

          • PinoMamet scrive:

            Anzi, gli eserciti dei Greci e dei Romani erano basati proprio su quei cittadini (ceto medio di coltivatori diretti in grado di comparsi scudo, spada e lancia) che “economicamente” sarebbe stato meglio tenere a casa…

            finché Mario non ha avuto l’idea geniale di arruolare i proletari, che prima al massimo facevano i fanti leggeri o i rematori.

            Insomma, non credo che si possano applicare sempre le logiche moderne al mondo antico/medievale:
            noi abbiamo studiato Economia, loro no… 😉

            (un po’ la stessa cosa è da tenere presente quando si trovano elenchi di popoli “affini” o delle loro lingue in autori antichi: non è detto che seguissero la nostra logica, né che avessero i nostri criteri…)

            • Mauricius Tarvisii scrive:

              Se hai i forzieri vuoti non serve avere una laurea in economia per capire che:
              – se fai guerra di bottino, devi fare una guerra;
              – se fai guerra che ti porterà troppo poco bottino, devi evitare come la peste la guerra.

              Pino, secondo me tu sottovaluti chi è vissuto prima di noi, anche se con la (parziale, visto che a volte fai sembrare stupidi pure loro) eccezione degli antichi.

            • PinoMamet scrive:

              Io mi baso su quello che dicono le fonti; non credo affatto che fossero stupidi, sta di fatto che- sta su qualunque libro di Storia, in effetti- a causa delle continue guerre e del ricorso al ceto medio di coltivatori, questi finirono per indebitarsi e trasfomarsi in proletari, sicché si doveva in qualche modo rimediare trovandogli altre terre
              (il che veniva anche comodo per controllare territori di nuova conquista).

              Poi per esempio ci sono scrittori tardi, come Vegezio, che elenca i motivi per cui era meglio arruolare gente di campagna:
              -è più abituata a lavorare insieme
              -è più robusta e addestrata a camminare a lungo con attrezzi pesanti
              -è più virile perché sta lontano da lavori svilenti cme quelli degli artigiani di città…

              ripeto, non penso affatto che fossero stupidi, solo che non sempre i nostri criteri o i loro coincidessero.

              Per questo faccio l’esempio degli elenchi di popoli:
              lo stile di vita simile o il semplice trovarsi confinanti li faceva mettere insieme popoli che avevano origini diverse, oppure trovavano “parentele” e “consanguineità” con popoli con cui avevano ben poco a che spartire, secondo l’utilità del momento…

            • PinoMamet scrive:

              “Pino, secondo me tu sottovaluti chi è vissuto prima di noi, anche se con la (parziale, visto che a volte fai sembrare stupidi pure loro) eccezione degli antichi.”

              Secondo me tu sopravvaluti i medievali 😉

              anzi no, come moltissimi in Italia (ma chissà perché? sarebbe da indagare) identifichi un po’ tutto ciò che è accaduto prima della Rivoluzione Industriale con il Medioevo, come se non fosse esistito niente prima, dopo, a destra e a sinistra di esso 😉

              davvero, sovrapporre la mentalità medievale con quella imperiale o repubblicana romana lo trovo piuttosto azzardato;
              per quanto ci sia stata più un’evoluzione che una cesura netta, è altrettanto vero che molti, troppi fattori sono cambiati in modo troppo radicale per ignorarlo.

          • Miguel Martinez scrive:

            Per PinoMamet

            “Si potrebbe dire che non si potevano prelevare più di tanti soldati da un contesto economico che richiedeva molte braccia, ma questo vale anche per la leva, che è antecedente alla rivoluzione industriale.”

            Probabilmente la questione ha due aspetti: diciamo che esiste l’organizzazione statale della violenza, ed esiste la violenza in sé.

            Pino e Mauricius parlano soprattutto di questo primo aspetto, e resto in ascolto, perché non ho le idee chiare.

            Invece, ho una discreta esperienza della violenza in sé. Cosa che è sostanzialmente negata all’attuale generazione, a parte qualche rara eccezione.

            Cioè conosco la tendenza dei giovani maschi di organizzarsi per combattere altri giovani maschi, senza alcun bisogno di uno stato, e ne capisco istintivamente le dinamiche, che sono la base necessaria di ogni guerra, dalla rissa tra livornesi e pisani alla guerra del 1914-1918.

            Il pezzo che mi manca è appunto il passaggio da questo livello a quello statale.

            Posso solo dire che i giovani maschi di cui sopra non sono semplicemente l’oggetto passivo di furbi politici: è in questo che resto affascinato dall’analisi psicologica che ne fa Vernon Lee.

            Troverò mai il tempo per tradurre il suo testo?

            No, però mi piacerebbe…

            • Miguel Martinez scrive:

              Cito me stesso:

              “Posso solo dire che i giovani maschi di cui sopra non sono semplicemente l’oggetto passivo di furbi politici”

              Questo mi sembra un passaggio molto importante.

              Finché pensiamo alla violenza come qualcosa commessa dagli altri (“i tedeschi”, “i musulmani”, ma anche “i padroni”, “i generali”), arriveremo a capo di poco.

              Certo, esistono situazioni in cui davvero è abbastanza così: nelle due guerre mondiali in Italia, lo Stato ha veramente mandato a morire centinaia di migliaia di contadini la maggior parte dei quali avrebbero preferito trovarsi un lavoro e una fidanzata.

              Ma esiste un’ampia, volontaria partecipazione di giovani maschi (con l’applauso magari delle giovani femmine), senza la quale la guerra sarebbe impossibile.

          • Mauricius Tarvisii scrive:

            Si parla del 5% della popolazione totale sotto le armi in queste “guerre totali” pre-Novecento.
            Fa eccezione, ovviamente, la città in armi, ma che per definizione di morti ne fa pochi (al massimo un quarto della popolazione di una città antica? E che sarà mai!).
            I Romani sono proprio un esempio calzante di limitazioni al reclutamento, in questo caso etnico-geografica, con estensione a certi “meritevoli”. Ma sta di fatto che anche l’esercito romano era molto piccolo in confronti alla vastità dell’impero su cui finirono per governare.

            • PinoMamet scrive:

              I Romani a dire il vero hanno limitato l’arruolamento su base censitaria solo fine a Mario, come già detto;
              dopodichè inseriscono altre limitazioni, più o meno simili a quelle di un esercito moderno volontario
              (doti fisiche e cittadinanza, con eccezioni; i Romani, come gli statunitensi e i francesi e a differenza degli italiani, ammettevano che si ottenesse la cittadinanza in seguito al servizio militare);

              ma a parte questo non mi pare che avessero mai avuto l’intenzione di limitare il numero dei soldati, semmai in epoca tarda avevano il problema contrario
              (uno dei motivi dell’obbligo di residenza in una data zona e di permanenza in determinati lavori, proprio per poter fungere anche da base di reclutamento).

            • Mauricius Tarvisii scrive:

              Però non fare il classicista confondendomi il concetto di cittadinanza dello Stato moderno con la cittadinanza romana. Una volta fatta la distinzione, vedrai che la differenza ti balzerà subito agli occhi.

            • PinoMamet scrive:

              Eh ho capito, ma si potrà pur fare un esempio, caspita!

        • Peucezio scrive:

          Io credo che stringi stringi sia un problema di rapporto con le risorse e il territorio.
          E che alla fine si debba tornare sempre alla solita partizione (datemi pure dell’ossessivo) fra pastori nomadi e contadini stanziali.
          In sostanza diventano guerrieri quelli che, sono sì in pochi, ma stanno in un territorio povero di risorse (per quello sono pochi, e nomadi: bisogna continuamente andare in giro a cercarne di nuove) e quindi sviluppano l’abitudine ad andare a depredare le società basate sulla produzione, che sono sostanzialmente pacifiche, perché chi è sazio non ha motivo di rubare niente agli altri.

          Dice, ma dopo la preistoria…?

          L’uomo pastore-nomade, grazie all’uso della forza, ha imposto il suo modello; le società antiche, medievali e in fondo anche moderne sono contemporaneamente società militari e produttive, la distinzione si è persa. Ma i valori, il modello culturale e antropologico, non è quello dell’uomo produttivo, ma dell’uomo guerriero, al punto che, tolti i Baschi, parliamo lingue indoeuropee, non lingue “mediterranee”.

          • PinoMamet scrive:

            Lo sai Peucezio che continua a non convincermi questa cosa dei mediterranei (che poi, c’entreranno qualcosa coi Baschi? mah…) e degli indoeuropei.

            Poi a me a dire il vero le guerre delle poleis greche più antiche sembrano l’evoluzione andata a male di un antico “rituale”, o poco ci manca, tra cittadine di agricoltori, non troppo diverso dai palii cittadini per intendersi;
            per cui si combatte dal tal mese al tal altro, e chi vince si piglia il campo del vicino… almeno per l’anno in corso, l’anno dopo rivincita.

            Questo se devo pindareggiare (sta di fatto che d’inverno non si combatteva quasi mai, fino a quando le poleis non diventeranno “moderne” metropoli con una loro politica imperialistica);

            e ci metto su anche l’altra evoluzione delle guerre, quella “pacifica” delle Olimpiadi e altri Giochi
            (che infatti hanno alla base l’addestramento militare: la corsa in armi, la lotta, il lancio del giavellotto ecc.)

            • Peucezio scrive:

              Dovremmo leggerci un po’ di tomi di archeologia (che peraltro sono noiosissimi).
              Comunque lasciami dire che questa cosa che dici mi stupisce sempre, alla luce dei poemi omerici, che parlano della società tardo-micenea, anche se sono stati scritti dopo, quindi raccontano di un’epoca abbastanza precedente a una fase arcaica delle poleis classiche.
              Però è una macelleria continua. E’ la tipica società guerriera indoeuropea, archetipica direi (nel senso che l’immagine della società guerriera indoeuropea sostanzialmente è forgiata su quella).
              Insomma, alla faccia del palio cittadino…
              Sbaglio…? Non so, sei tu il grecista.

            • PinoMamet scrive:

              La società micenea però era diversa, e in alcuni aspetti più avanzata, di quella del Medioevo ellenico/inizio epoca classica…

              comunque diversa.

              Ance sulla macelleria, intendiamoci. Certo i particolari fisici degli ammazzamenti, su cui l’Iliade (come molti poemi epici di ogni cultura) indugia con un certo compiacimento, non sono il massimo come “carineria”.

              Ma l’impressione che ne ricavo io è proprio quella di un gioco truce, o di un rituale cruento.
              Aristocratico, in maggioranza, quello di Omero, dove la massa dei soldati rimane sullo sfondo;
              già popolare quello delle poleis, dove l’efebia o esperienze consimili dovevano cementare un’amicizia virile tra coetanei, e gli eroi di Omero fornivano il modello ideale.

              Però si combatteva in modo molto diverso dagli eroi di Omero, che erano individui che si sfidavano a “singolar tenzone” in vari modi abbastanza confusi.

              Gli eserciti oplitici erano cautissimi, si avanza uno di fianco all’altro, tutti allo stesso passo per non scoprirsi, coperti dalla testa alle ginocchia…
              se i più coraggiosi del lato destro sopravvanzavano i loro avversari e iniziavano l’accerchiamento, c’erano sbandate e fughe e ritirate…

              lo strano è che passano alcuni secoli prima che si metta in discussione questo schema prevedibilissimo.

              Mi ricorda un vecchio documentario che vidi su un so più che popolo del bacino del Rio delle Amazzoni, che ogni tanto faceva guerra ai suoi vicini e metteva in conto di perdere due o tre giovinotti uccisi con la lancia o le frecce; proprio una cosa rituale e stagionale, tipo le danze per la pioggia.

            • Peucezio scrive:

              Sì, d’accordo, per quel poco che ne so mi sembra una buona analisi (poi tu sei molto competente sulla Grecia classica).

              Non vedo però la contraddizione col dualismo indoeuropeo-mediterraneo.
              Una ritualizzazione della guerra può temperarne alcuni aspetti più efferati (a volte anche acuirli però), ma non esclude l’idea di una società basata sulla violenza, anche se una violenza incanalata e non anarchica. Così come la rilevanza dei riti religiosi non inficia il carattere teocratico di una società, anzi, lo rafforza.

        • Andrea Di Vita scrive:

          @ mauricius tarvisii

          “bacino di reclutamento”

          Mi sembra che tu abbia trovato un caso particolare di quanto affermato da Bouthul. Maggiore l’eccesso di popolazione maschile in età fertile (dunque anche in età di combattere), maggiore il bacino di reclutamento disponibile.

          Ciao!

          Andrea Di Vita

      • Francesco scrive:

        >>> Per Bouthul, la guerra è “un infanticidio differito di massa”, che si innesca più facilmente in presenza di un eccesso di popolazione maschile in età fertile e inattiva.

        In ultima analisi – e salvo eccezioni – la guerra non è cioè originata nè dall’economia,

        Veramente questa è una contraddizione clamorosa.
        La spiegazione del B. è che la guerra sia il modo con cui “il sistema” elimina un eccesso di “consumatori di risorse” rispetto alle risorse disponibili, il che E’ esattamente una spiegazione economica.
        Ci sono varie difficoltà in questa teoria: se le giovani donne sopravvivono, l’eccesso di consumatori si riproporrà molto presto. Un Sistema intelligente avrebbe mandato in guerra le donne fertili e lasciato gli uomini a inchiappettarsi vicendevolmente, attività che non genera consumatori di risorse.
        Inoltre è follemente anti-economico differire l’infanticidio!

        Cosa hanno detto le ricerche posteriori?

        Ciao

        • Andrea Di Vita scrive:

          @ Francesco

          “contraddizione”

          Mi spiego meglio; anch’io ci ho messo un po’ a capirlo.

          Bouthul nega che ci sia una motivazione economica delle guerre perché nega le spiegazioni ad es. di stampo leniniano sulla guerra come effetto della spasmodica ricerca di nuovi mercato da parte di un capitale minacciato da crisi di sovrapproduzione.

          La tesi di Bouthul è un mero risultato dell’analisi comparata di tante statistiche (il che non rende il libro un modello di leggibilità, in effetti).

          Bouthul si guarda bene dal dare una ‘spiegazione’ della sua tesi, si limita a trovarla confermata mentre altre tesi (come quella ad es. di Lenin) la vede in contrasto coi dati.

          In effetti se io volessi scientemente ridurre il tasso di fertilità di una popolazione e avessi il potere di un onnipotente demiurgo universale penserei anch’io a far morire le donne fertili.

          Posso solo ipotizzare (sottolineo che Bouthul non lo fa) che se davvero il meccanismo della guerra ha una sua funzione biologica e scatta in presenza di un eccesso di popolazione maschile fertile allora la natura abbia utilizzato alla bisogna un istinto di aggressività già presente nella specie che spinge i maschi in età fertile a combattersi l’un l’altro per le femmine. Ormoni, istinti e quant’altro sono già lì; in presenza di sovraffollamento la bellicosità scatta.

          (In fondo, in zoologia sono noti vari esempi di reazioni biologiche -cioè, a livello di singoli organismi- a situazioni di stress da sovraffollamento: le femmine incinte di ratto abortiscono spontaneamente e riassorbono il feto, gli individui di certe specie di anfibi cambiano sesso ecc.)

          Ciao!

          Andrea Di Vita

    • PinoMamet scrive:

      “Cosa se ne faceva Huitzilopochtli?”

      Suppongo sia una cosa come le carotine di fianco alla bistecca.
      Spesso sul menù c’è scritto solo bistecca… 😉

  5. Miguel Martinez scrive:

    OT

    Un interessantissimo saggio – per anglofoni – sulla carinizzazione del mondo:

    http://quillette.com/2017/06/24/confessions-hello-kitty-killer-pernicious-effects-cuteness/

    • Moi scrive:

      il fenomeno estetico lezioso-infantile è stato ripreso in Giappone con gran successo come “kawai” … e quando c’è un particolare inquietante in contrasto di risalto con il resto, adesso si dice universalmente “creepy” !

  6. Miguel Martinez scrive:

    Torniamo alla guerra… credo che l’Europa sarà l’ultima potenza a buttarcisi, ma credo che sia molto interessante riflettere sul tentativo americano di imporre sanzioni a chi fa affari per il gas con la Russia.

    Molto semplicemente, il gas o è liquido e passa per i tubi, oppure viene spiaccicato, messo su navi e “rigassificato” con notevoli spese.

    La Russia ovviamente può rifornire l’Europa tramite tubi, gli Stati Uniti soltanto usando i rigassificatori.

    Adesso le sanzioni USA stanno cercando di stroncare chiunque acquisti gas russo, nella speranza di rendere appetibile il gas statunitense.

    L’Europa per ora dice no: http://russia-insider.com/en/politics/russia-sanctions-bill-sets-stage-german-american-clash/

    • Z. scrive:

      Era ora che dicesse no. Almeno per ora, che è già qualcosa.

    • Francesco scrive:

      Veramente Trump sta cercando di imporre per legge delle sanzioni di questo tipo? neppure Reagan al culmine della Guerra Fredda!

      è veramente un cretino o sono solo sparate?

      • Miguel Martinez scrive:

        Per Francesco

        “Veramente Trump sta cercando di imporre per legge delle sanzioni di questo tipo? neppure Reagan al culmine della Guerra Fredda!

        è veramente un cretino o sono solo sparate?”

        Io penso sia un errore sottovalutare Trump.

        C’è una logica precisa in tutto ciò che fa, come già si ragionava qui ai tempi del suo viaggio in Arabia Saudita.

        Con la sua solita retorica, che da una parte è molto comprensibile, dall’altra permette di far sognare e carica di entusiasmo, lui scrive sul suo canale twitter (33 milioni di seguaci):

        Donald J. Trump‏Account verificato @realDonaldTrump 29 giu

        Our new American Energy Policy will unlock MILLIONS of jobs & TRILLIONS in wealth. We are on the cusp of a true energy REVOLUTION.
        President Donald J. Trump Remarks On American Energy Dominance
        American Energy will power our ships, our planes & our cities. American hands will bend the steel&pour the concrete that brings this energy into our homes, & that EXPORTS this energy around the world!
        15.867 risposte 18.529 Retweet 76.075 Mi piace
        Donald J. Trump‏Account verificato @realDonaldTrump 29 giu
        When it comes to the future of America’s energy needs, we will FIND IT, we will DREAM IT, and we will BUILD IT. #EnergyWeek
        Energy Department

        • Francesco scrive:

          io penso che sia un errore sottovalutare il fatto che una cazzata rimane una cazzata, anche se la fa il Prez ov de Iu Ez Ei

          poi non ho niente contro lo Shale Gas ma temo che questo veramente capisca di commercio internazionale quanto Mussolini o Grillo

          🙁

  7. Z. scrive:

    La mia competenza al riguardo è, per usare un eufemismo, scarsa.

    http://www.librimondadori.it/libri/il-grido-dei-morti-niall-ferguson

    Questo libro sembra dare per scontata una buona conoscenza della materia storica cui si riferisce, sicché forse non fa proprio per me. Mi rendo conto di non essere in grado di apprezzarne appieno il contenuto.

    Però è interessante e ve lo consiglio.

  8. Moi scrive:

    la maschera in questione ce l’ha anche la Villainess specializzata in veleni nel “Wonder Woman” Hollywoodiano … in cui i Tedeschi sono di fatto già Nazisti in fieri nella I Guerra Mondiale 😉

    Com’è noto, hanno dovuto combattere anche contro Captain America nonché i Transformers ! 😉

  9. Moi scrive:

    Cmq amip avviso la mascherina “normale” 😉 più inquietante in assoluto resta quella “avvoltoiesca” 😉 del “Plague Doctor” , il Medico della Peste reso celebre dalla pittura Veneziana.

    https://s-media-cache-ak0.pinimg.com/736x/a5/8b/c5/a58bc58f61ad15f29fdcbcae007b98d4–creepypasta-plauge-doctor-mask.jpg

    http://1.bp.blogspot.com/-bxdF2nfX1WQ/T1QFwkPAOtI/AAAAAAAABv0/pTOxOj_Xi7U/s1600/Plague%2BDr%2Bdrawing.jpg

  10. Moi scrive:

    a mio

    e.c.

  11. Moi scrive:

    … vi ricordate la simpatica asinata dell’ Uomo del Popolo Donald Trump VS Vince Mc Mahon ?

    http://www.independent.co.uk/voices/donald-trump-cnn-wrestling-meme-tweet-funny-violence-against-media-a7820996.html

    … l’ ha fatta diventare un meme VS i Radical Chic della CNN !

  12. Moi scrive:

    IlManifesto riscopre i Classici … e rievoca direttamente dalle Versioni di Latino le Ancelle [sic] come esempio di Maschilismo nel PD :

    https://ilmanifesto.it/le-ancelle-con-lombrello-imbarazzano-il-pd/

  13. Francesco scrive:

    OT

    qualcuno non vuole partecipare alla danza macabra della guerra e della morte.

    il Parlamento europeo ha finalmente ratificato il trattato di libero scambio col Canada (e l’opposizione della CGIL da sola è garanzia al riguardo) e si appresta a discutere quello col Giappone

    c’è ancora speranza (cit.)

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